\H TEMPIO DI APOLLO\h
Il santuario dedicato ad Apollo è il più antico luogo di culto di Pompei.
Non conosciamo l'aspetto originario dell'area sacra. Sulla base dei reperti più
antichi raccolti nei depositi votivi del santuario possiamo però stabilire che
il culto risale al VII secolo a. C. o addirittura al secolo precedente. In
quest'epoca così antica, non era stato costruito un tempio vero e proprio, ma
il culto doveva svolgersi in un'area aperta forse attrezzata con uno o più
altari.
Il primo edificio fu costruito nel VI secolo a. C., ma solo una parte delle
terrecotte dipinte che decoravano il tetto si è conservata. Il tempio che
vediamo oggi fu costruito in età sannitica dal questore Oppio Campano, come
ricorda l'iscrizione posta sulla soglia della cella. Poco tempo dopo, per
permettere la realizzazione del Foro, l'area del santuario venne ristretta. Il
senato della colonia sillana fece porre presso il tempio un altare in onore di
Apollo. In età augustea, fu sistemato nel santuario un orologio solare e venne
elevato il muro occidentale per togliere la vista alle case vicine. Dopo il
terremoto del 62 d. C., tutta l'area sacra venne naturalmente restaurata con
grande cura.
Apollo e il suo tempio sono stati costantemente oggetto delle cure dei
magistrati della città e ciò ne sottolinea l'importanza. In età augustea si
svolgevano addirittura dei giochi in onore del dio, i ludi Apollinares. Il
carattere del culto, però, non è ancora del tutto chiaro. Sono due le ipotesi
possibili: o Apollo era il dio poliadico, cioè il protettore per eccellenza
della città, oppure era il dio che proteggeva le attività commerciali, da
sempre fonte di sostentamento e di ricchezza per gli abitanti di Pompei.
\H TEMPIO DEL GENIO DI AUGUSTO\h
In età augustea, una sacerdotessa pubblica di nome Mammia costruì a sue
spese e su un suo terreno un piccolo tempio sul lato Est del Foro. Mammia era un
personaggio così importante a Pompei che il senato locale le concesse una tomba
sul suolo pubblico, nella necropoli di Porta Ercolano.
Se l'interpretazione dell'iscrizione che ricorda la dedica dell'edificio è
corretta, dovrebbe trattarsi di un tempio dedicato al Genio dell'imperatore
Ottaviano Augusto. La cronologia della struttura sembrerebbe confermare tale
ipotesi, ma non tutti gli studiosi concordano su questa interpretazione.
Tuttavia è certo che si tratti di un luogo riservato al culto dell'imperatore,
poiché sull'altare di marmo collocato al centro del cortile è raffigurato il
sacrificio di un toro, l'offerta che veniva fatta agli dei per l'imperatore
ancora vivente.
Solo una piccola parte dell'edificio originale è conservata: il piccolo tempio
su podio forse con quattro colonne sul fronte e una parte della facciata verso
il Foro. Tutto il recinto e gli ambienti retrostanti sono stati restaurati dopo
il terremoto del 62 d. C.
\H ANFITEATRO \h
L'anfiteatro di Pompei è il più antico anfiteatro romano del mondo. Fu
costruito dai due magistrati che reggevano il governo della città (duoviri)
subito dopo la fondazione della colonia sillana e poteva ospitare fino a 20.000
spettatori. I magistrati si chiamavano Quinzio Valgo e Marco Porcio, gli stessi
che costruirono il teatro coperto.
Spesso, nelle città conquistate dai romani, accadeva che i grandi edifici da
spettacolo venissero costruiti in zone periferiche sia per il costo minore dei
terreni, sia per evitare i disagi dovuti all'affollamento degli spettatori nel
centro della città.
Per la costruzione venne sfruttato l'aggere della fortificazione più antica,
che forniva un poderoso terrapieno a cui venne addossata la fondazione delle
gradinate orientali. Un nuovo terrapieno fu invece realizzato appositamente per
sostenere le gradinate occidentali.
Oltre la fortificazione non sappiamo cosa ci fosse in questa zona prima della
costruzione dell'anfiteatro, ma è possibile che vi si trovassero della
abitazioni private come nel caso della vicina palestra grande.
Come nei moderni teatri, le gradinate (cavea) erano divise in ordini di diversa
qualità, che avevano anche ingressi separati. A ridosso dell'arena, si
trovavano i posti migliori, riservati ai magistrati, ai membri del senato locale
(decurioni), agli organizzatori e finanziatori dei giochi. In caso di eccessiva
calura, gli spettatori potevano essere riparati da enormi teli (vela) che
venivano issati sopra la cavea e l'arena.
Gli spettacoli prevedevano combattimenti tra uomini e animali, oppure tra uomini
e uomini, ed erano seguiti da arbitri e giudici di gara, come spiegavano una
serie di affreschi dipinti tutto intorno all'arena e purtroppo oggi perduti. In
occasione degli spettacoli, intorno all'anfiteatro si svolgeva un mercato e i
venditori, con il permesso dei magistrati competenti (edili) potevano
addirittura utilizzare gli archi della struttura esterna come botteghe.
\H OFFICINE E BOTTEGHE \h
Dato lo straordinario stato di conservazione in cui fu scoperta l'intera
città di Pompei, è stato possibile conoscere aspetti della vita quotidiana
meno monumentali o lussuosi quali per esempio piccole botteghe, officine di
artigiani o locali di ristoro.
Le botteghe o i luoghi di vendita erano sparse per tutta la città senza
rispettare una particolare disposizione e, il più delle volte, il genere
prodotto o venduto era indicato sulla facciata dell'edificio con un dipinto o
con una placca in argilla a rilievo. Sono stati individuati luoghi di vendita di
olio, vino e latte, botteghe di cuoiai, ciabattini e conciatori, di orefici, di
fabbri ferrai e di muratori. Sono stati riconosciuti i laboratori di pittori,
stuccatori e scultori, le officine per la produzione di sapone e di profumi, i
luoghi dove i medici ricevevano i loro pazienti e dove si vendevano medicine.
Le botteghe più numerose in città erano comunque quelle dei \J\KSPISTR\kfornai\j,
che macinavano il grano con macine azionate da animali, cuocevano e vendevano il
pane. Lungo le strade erano numerosissime le \J\KSASELL\kcaupone\j e i \J\KSTERMO\ktermopoli\j.
Si trattava di taverne e osterie in cui si poteva bere o mangiare e dove di
frequente prestavano servizio anche prostitute.
\H CAPRA \h
Per realizzare gli edifici antichi non bastavano i materiali da costruzione. Un
ruolo indispensabile era svolto dalle macchine per il sollevamento e il
trasporto delle parti già lavorate. Uno di questi macchinari era
particolarmente utilizzato dagli antichi per la sua facilità di costruzione e
di uso. Si chiamava capra o rechamum e veniva allestita a seconda delle
necessità. Occorrevano due travi di legno che venivano legate insieme ad
un'estremità e divaricate dall'altra. Questa struttura era assicurata a terra
con delle funi che fungevano da tiranti. In cima alle travi veniva assicurato un
verricello mentre verso la base si inseriva il rullo che doveva fungere da
argano. Il rullo era azionato da pertiche che venivano inserite in appositi fori
praticati alle sue estremità. Per azionare la capra bastavano due operai,
poichè il carico poteva essere alleggerito notevolmente utilizzando una serie
di rimandi di carrucole sulla parte della fune che doveva sorreggere il carico.
Nei casi in cui i carichi erano particolarmente pesanti si poteva ricorrere a
una ruota esterna alla struttura principale, che richiedeva lo sforzo di almeno
cinque persone.
\H CASA DEI CEII\h
Sul fronte di questa casa sono dipinte nove iscrizioni con cui nove
personaggi diversi annunciano i loro programmi elettorali. Uno di questi è
Lucio Ceio che potrebbe essere stato l'ultimo proprietario della casa.
Questa casa ha conservato l'impianto originario delle piccole casette a schiera
tipiche di questo quartiere della città. Il poco spazio a disposizione non
sembrerebbe aver rappresentato un limite per i proprietari della casa che,
evidentemente, desideravano abbellirla secondo la moda corrente a partire dal I
secolo a. C., riproducendo cioè dentro la città gli elementi più
caratteristici delle villae, le dimore rurali dei ricchi proprietari terrieri.
Dopo l'atrio, che possiamo immaginare scoperto, si accede a un piccolo
peristilio su cui si affacciano quattro sale. Lo spazio è assai esiguo e così
tutti gli altri elementi necessari all'imitazione della villa sono rappresentati
sull'affresco che corre tutto intorno al peristilio. Sono dipinte fontane con
statue circondate da scene di caccia e vedute di paesaggi che ricordano l'Egitto
con tempietti lungo un grande fiume.
Successivamente, forse dopo il terremoto del 62 d. C., la casa fu dotata di un
secondo piano che non fu mai completato. Al momento dell'eruzione erano pronte
le stanze lungo la facciata, ma si stava ancora costruendo la parte sopra il
tablino.
\H LA DECORAZIONE\h
Una parte importante dell'arredo della casa erano le pitture. I dipinti non dovevano semplicemente decorare l'ambiente in cui erano realizzate ma definirne la funzione, proprio come i mobili o gli oggetti in esso contenuti. Le pitture di Pompei rappresentano un'insieme unico al mondo e sono state suddivise dagli studiosi in quattro categorie o « stili ».
Il \J\KPPRIMO\kprimo stile\j è il più antico ed è datato dalla fine del III a tutto il II secolo a. C. In questo periodo la decorazione è costituita da grandi riquadri in stucco colorato e in aggetto. I colori sono vivaci: viola, giallo, verde, rosso o di finto marmo, alabastro o granito. Più che una pittura il primo stile è una rappresentazione architettonica e si trova sia nelle grandi case ad atrio che nelle più piccole case a schiera.
Il \J\KPSECON\ksecondo stile\j si diffonde dopo la fondazione della colonia. Si ricollega al primo stile poiché si continua a rappresentare elementi architettonici ma si tratta omai solo di dipinti e non ci sono più elementi in aggetto. Tra queste architetture, al centro della parete, vengono riprodotti quadri di paesaggi dai soggetti più svariati che danno una forte illusione prospettica all'interno dell'ambiente. Le composizioni diventano ora assai varie e troviamo nel secondo stile anche fregi con figure a grandi dimensioni, come ad esempio l'affresco della villa dei Misteri. Questo stile verrà utilizzato fino agli ultimi anni del I secolo a. C.
Tra il 30 e il 20 a. C. si data comunemente l'inizio del \J\KPTERZO\kterzo stile\j, che non sostituisce ma si affianca agli ultimi dipinti in secondo stile. Nelle pitture resta la rappresentazione architettonica ma gli elementi sono ormai ridotti a semplici schemi decorativi e perdono la solidità che li distingueva nel secondo stile. Le pareti vengono suddivise in grandi campi a fondo unico, i paesaggi perdono l'illusione prospettica e le figure vengono generalmente raggruppate al centro dei riquadri.
Il \J\KPQUART\kquarto stile\j è il più tardo e appare intorno alla metà del I secolo a. C. E' il più eterogeneo dei quattro stili e raggruppa vari tipi di decorazione. Appaiono motivi che ricordano prodotti in tessuto, come tendaggi o tappeti, e l'attenzione si sposta definitivamente all'esecuzione del dettaglio. Al centro di questi pannelli possono essere dipinti piccoli quadri figurati, possono essere ripetuti soltanto ornamenti stereotipati oppure l'intera superficie può essere occupata da scene figurate, generalmente con soggetto mitologico.
\H EDIFICI PER IL CULTO \h
I luoghi di culto sono tutti concentrati nel settore sud-occidentale della città, delimitato da Porta Marina, via Stabiana e via della Fortuna. Tra i templi inoltre troviamo gli unici edifici pubblici che risalgono al II secolo a. C. Il \J\KSAPOLL\ktempio di Apollo\j e il tempio Dorico del \J\KSTRIAN\kForo Triangolare\j furono infatti costruiti, a pochi anni di distanza uno dall'altro, nella prima metà del VI secolo a. C. e non sappiamo ancora quale fosse l'aspetto del resto dell'abitato in questa epoca. Solo con la generale urbanizzazione del II secolo a. C. furono costruiti nuovi santuari, ma, dei due più antichi, solo il tempio di Apollo venne restaurato. Sul Foro fu realizzato il \J\KSGIOVE\kCapitolium\j (il tempio poliadico della città) e lungo via Stabiana due santuari minori, dedicati a divinità straniere e posti significativamente lontano dal centro della città: il \J\KSISIDE\ktempio di Iside\j e quello cosiddetto di Giove Meilichio. Con il passare del tempo, dopo la costruzione a opera forse dello stesso Silla del tempio di Venere presso Porta Marina, gli edifici sacri furono dedicati esclusivamente alla venerazione dell'imperatore: sul Foro vengono costruiti il cosiddetto \J\KSAUGUS\ktempio di Vespasiano\j, il tempio cosiddetto dei \J\KSLARI\kLari Pubblici\j e, presso via della Fortuna, il \J\KSFORTU\ktempio della Fortuna Augusta\j.
\H CASA DEL FAUNO \h
La casa del Fauno è la più grande casa di Pompei e deve il suo nome alla
statua bronzea di Fauno che decora l'impluvio dell'atrio tuscanico. Si estende
su una superficie di circa 3000 mq. e si trova nel quartiere della città in cui
è concentrato il maggior numero di case "ad atrio" con peristilio.
In questa abitazione troviamo tutti gli elementi caratteristici
dell'architettura privata romana, ma duplicati e dilatati fino a creare una vera
e propria residenza che non trova confronto con nessun monumento conosciuto di
Pompei e dell'Italia romana. Basta considerare quante poche stanze per i bisogni
reali degli abitanti sono presenti nella casa in confronto alla superficie degli
atri e dei due peristili, per rendersi conto dell'intento eminentemente
celebrativo di questa architettura.
La casa fu costruita nel II secolo a. C. distruggendo un più antico edificio,
databile alla fine del III secolo a. C., di cui sono stati portati alla luce
soltanto alcuni ambienti.
Il suo proprietario doveva essere certamente un personaggio molto in vista nella
comunità di Pompei in età sannitica e di alto livello economico come dimostra
il gran numero di oggetti d'oro e d'argento rinvenuti durante lo scavo e la
lussuosa decorazione delle stanze di uso sia pubblico sia privato. Non
conosciamo purtroppo il suo nome. Sappiamo soltanto che fece scrivere sul
marciapiede, di fronte all'ingresso principale, il saluto in latino HAVE per
ostentare la sua cultura in un periodo in cui, a Pompei, si parlava la lingua
osca. Un suo antenato doveva aver avuto probabilmente dei rapporti con la corte
di Alessandro Magno. Forse per questo motivo la grande sala colonnata dopo il
primo peristilio venne decorata con il grande mosaico che raffigura la vittoria
di Alessandro sul re persiano a Isso.
\H IL TEMPIO DI GIOVE\h
Tra la fine del III e l'inizio del II secolo a. C., quando si volle creare
una piazza monumentale presso l'ingresso alla città dal porto, venne costruito
anche il tempio sul lato settentrionale della piazza. L'edifico che vediamo è
il risultato dei rinnovamenti successivi che hanno modificato la struttura
originaria del tempio.
Di questa resta soltanto il podio, comune alla maggior parte dei santuari di
Pompei, che li identifica come templi del tipo etrusco-italico. Questo podio è
cavo all'interno poiché è costituito da tre camere allineate coperte a volta.
In questi sotterranei venivano depositati tutti i doni votivi portati al tempio
e le attrezzature necessarie per lo svolgimento dei riti. Forse, al momento
della fondazione della colonia sillana, la parte superiore del tempio fu
modificata con l'erezione delle sei colonne di ordine corinzio sulla facciata.
Durante lo scavo, fu rinvenuto tra le macerie della cella un colossale busto di
un personaggio maschile seduto, probabilmente parte della statua di culto,
identificato come Giove. Da qui l'ipotesi che il tempio fosse originariamente
dedicato a Giove e poi trasformato nel tempio principale della città, il
Capitolium, localizzato nel Foro come nella gran parte delle colonie fondate da
Roma.
\H PALESTRA DEI GLADIATORI\h
Il quadriportico costruito dietro la scena del Teatro grande viene
comunemente chiamato "Caserma dei gladiatori". Questa definizione
rispecchia però soltanto l'uso più recente dell'edificio che era stato
costruito nel I secolo a. C. con diversa funzione. Purtroppo però non è ancora
certo quale fosse questa funzione originaria.
Generalmente i teatri romani e greci venivano dotati di un portico costruito
dietro la scena (porticus post scaenam) per offrire agli spettatori un luogo in
cui passeggiare e attendere durante gli intervalli degli spettacoli.
Il Teatro grande e il quadriportico non sono però disposti sullo stesso asse,
cosa difficile da spiegare se si trattasse dello stesso monumento. Si è allora
pensato di riconoscere nel quadriportico un ginnasio, un luogo cioè dove i
giovani della città potevano praticare sport e avere una formazione artistica e
culturale.
Dopo il terremoto del 62 d. C. tutto il monumento venne restaurato. Le pitture
che raffigurano trofei e scene gladiatorie, le dimensioni delle piccole celle ai
lati del porticato, la scoperta di armature da gladiatore, di abiti da parata
ricamati in oro e di ceppi di ferro con cui incatenare gli schiavi, dimostrano
chiaramente il nuovo uso che si fece del monumento
.
\H LUPANARE\h
A Pompei sono noti circa venticinque bordelli, quasi tutti posti presso un
incrocio di strade secondarie. Questo è il più grande, costruito appositamente
per questo scopo, con dieci stanze distribuite su due piani. In genere, infatti,
i bordelli erano associati a taverne e osterie oppure ricavati in stanze singole
con porta direttamente sulla strada.
L'atrio e le porte delle stanze erano decorate con pitture a carattere erotico.
In ogni stanza c'era un basamento in muratura su cui veniva appoggiato un
materasso.
In questo edificio abbiamo una delle prove che l'attività di restauri imposta
dai terremoti che caratterizzarono gli ultimi anni della vita di Pompei, fu
praticamente ininterrotta fino alla disastrosa eruzione del 79. Sull'intonaco di
una delle celle al primo piano sono impresse le tracce di monete coniate
nell'anno 72.
\H MACELLUM\h
Macellum è forse una parola fenicia che vuol dire "recinto" e i
Romani e i Greci ricevettero probabilmente dai Fenici il modello per questo tipo
di monumento. Il Macellum era il mercato delle carni e del pesce. Come l'altro
mercato alimentare, il Foro Olitorio, si trovava presso il Foro fin dal momento
della sistemazione monumentale di questa piazza nel corso del II secolo a. C.,
ma in un settore un po' appartato rispetto agli altri monumenti.
Come in molti monumenti di Pompei, gli interventi successivi al terremoto del 62
d. C. hanno nascosto i resti delle fasi più antiche del monumento. Tuttavia
l'aspetto del macellum non dovrebbe essere cambiato di molto nel corso dei
secoli. Tutte le decorazioni che possiamo osservare risalgono però all'ultima
fase di vita dell'edificio. Nel portico erano rappresentate scene della
mitologia greca mentre nell'ambiente di vendita più grande troviamo
personificazioni del fiume Sarno e paesaggi marittimi. Sono i luoghi da cui
proveniva la merce.
Nonostante la sua specifica funzione, anche questo edificio fu deputato alla
celebrazione della famiglia imperiale, come tutti quelli che furono costruiti
sul lato Est del Foro dall'età di Augusto in poi. Sul lato in fondo al cortile,
venne infatti costruito un piccolo tempio in cui vennero collocate le statue
dell'imperatore, dei dedicanti e dei membri della famiglia imperiale.
\H PALESTRA SANNITICA\h
La palestra sannitica è uno degli edifici che compongono il cosiddetto
"quartiere dei teatri". Questo edificio deve il suo nome a
un'iscrizione osca che ricorda il lascito di una somma ai magistrati della
città sannitica per costruire l'edificio. La costruzione infine era offerta dal
magistrato alla vereia, un'associazione a sfondo politico e militare che
raccoglieva il fior fiore della giovane aristocrazia di Pompei. L'interno era
decorato da una statua del dio Ermete e da una copia della famosa scultura
dell'artista greco Policleto chiamata il Doriforo, cioè il portatore di lancia.
In alcuni ambienti sul lato occidentale del porticato sembra si possano di
riconoscere i locali in cui gli atleti si preparavano e la stanza in cui si
tergevano dall'olio sparso sulla pelle alla fine della gara. Si tratta in
realtà di un edifico dalle dimensioni piuttosto ridotte, soprattutto se
paragonate a quelle della Palestra Grande. È difficile immaginare che questo
spazio fosse sufficiente per consentire esercizi ginnici o gare di corsa. Più
probabilmente avvenivano qui soltanto le riunioni dell'associazione.
\H CASA DI PAQUIO PROCULO\h
Per questa casa conosciamo due possibili proprietari. Le iscrizioni
elettorali dipinte intorno alla casa ricordano infatti due personaggi: Caio
Cuspio Pansa e Publio Paquio Proculo. I Cuspii erano arrivati a Pompei con i
primi coloni al momento della fondazione della colonia sillana, avevano subito
fatto eleggere alcuni loro membri alle magistrature e avevano restaurato
l'anfiteatro.
Anche questa casa, come quella di Decio Ottavio Quarto, ha conservato l'impianto
originario delle piccole casette "a schiera", databile tra la fine del
III e l'inizio del II secolo a. C. In seguito venne man mano modificata fino ad
acquisire gran parte delle proprietà che si trovavano sul lato lungo
dell'isolato.
È interessante notare che, come avvenne nella casa già ricordata, anche qui
tutto lo spazio acquisito con le modifiche successive non fu utilizzato per
creare nuove stanze, ma fu riservato alla realizzazione di un peristilio su cui
si affacciano sale con pitture e mosaici.
Il resto della casa venne tuttavia abbellito. Sono conservati i mosaici del
vestibolo dell'atrio e del tablino decorati presso l'ingresso con armi e un cane
da guardia. All'interno troviamo invece motivi geometrici che incorniciano
uccelli, belve, animali domestici e marini.
\J\KILATINO\kVISUALIZZA TESTO ORIGINALE LATINO\j
\HPlinio il Giovane, Lettere, VI, 16\h
Caro Tacito
Mi chiedi di scriverti della morte di mio zio affinché tu possa tramandarla ai
posteri più adeguatamente. Te ne ringrazio: ritengo, infatti, che, se da te
celebrata, alla sua morte potrà essere assicurata un'immortale gloria. Sebbene,
infatti, egli sia morto in mezzo alla distruzione di un paese bellissimo per
città e popolazioni, in una situazione degna di memoria, quasi per sopravvivere
per sempre nel ricordo, e sebbene egli stesso abbia composto molte e durevoli
opere, molto aggiungerà, al perdurare della sua fama, l'immortalità dei tuoi
scritti. Io reputo, invero, beati coloro ai quali, per dono degli dei, sia dato
di fare cose degne d'esser narrate e di scriverne degne d'essere lette;
fortunati oltremodo coloro cui è dato questo e quello. Fra costoro, per i suoi
ed i tuoi libri, sarà mio zio. È per questo che sono ben lieto di fare ciò
che mi chiedi, ed anzi te lo chiedo io stesso come favore.
Egli (Plinio il Vecchio) era a Miseno ove personalmente dirigeva la flotta. Il
nono giorno prima delle calende di settembre (24 agosto), verso l'ora settima,
mia madre gli mostra una nube inconsueta per forma e grandezza. Egli, dopo aver
fatto un bagno di sole ed uno d'acqua fredda, se ne stava disteso, fatta una
piccola colazione, a studiare: chiese le scarpe e salì in un sito donde poteva
essere meglio osservato tale fatto straordinario. Una nube stava sorgendo e non
era chiaro all'osservatore da quale monte s'innalzasse (si seppe, poi, essere il
Vesuvio), il cui aspetto fra gli alberi s'assimilava soprattutto al pino. Essa,
infatti, levatasi verticalmente come un altissimo tronco, s'allargava in alto,
come con dei rami; probabilmente perché, innalzatasi prima spinta da una
corrente ascendente, esauritasi, poi, o per cessazione della sua spinta, o vinta
dal suo stesso peso, distesamente si espandeva: bianca a tratti, altra volta
nera e sporca a causa della terra e della cenere che trasportava.
Da uomo eruditissimo qual era, egli ritenne che il fenomeno dovesse essere
osservato meglio e più da presso. Ordina, allora, che gli sia apprestata una
liburna (battello veloce), mi autorizza, se voglio, ad andare con lui, ed io gli
dico che preferisco restare a studiare e, per puro caso, egli mi aveva assegnato
dei lavori da stendere. Era sul punto d'uscir di casa: riceve un messaggio di
Rectina, moglie di Tasco, atterrita dal pericolo che vedeva sovrastarla (la sua
villa era, infatti, ai piedi del monte, e nessuna possibile via di scampo v'era
tranne che con le navi); supplicava d'esser sottratta a tale pericolo. Egli,
allora, mutò consiglio e, quello che intendeva compiere per amor di scienza,
fece per dovere. Dette ordine di porre in mare le quadriremi e s'imbarcò egli
stesso, per portare aiuto non alla sola Rectina, ma a molti (infatti, per
l'amenità dei siti, la zona era molto abitata). S'affretta proprio là donde
gli altri fuggono, va diritto, il timone volto verso il pericolo, così privo di
paura da dettare e descrivere tutti i fenomeni della tragedia che si compiva
esattamente come si presentava ai suoi occhi. Già la cenere pioveva sulle navi,
sempre più calda e densa quanto più esse si avvicinavano; e si vedevano già
pomici e ciottoli anneriti e bruciati dal fuoco e spezzati, poi un passaggio e
la spiaggia bloccata dai massi proiettati dal monte. Dopo una breve esitazione
indeciso se tornare indietro come gli suggeriva il pilota, esclama: la fortuna
aiuta gli audaci, dirigiti verso Pomponiano! Questi si trovava a Stabia,
dall'altro lato del golfo, verso la meta di esso; infatti, il mare ivi s'incunea
seguendo la linea di costa disegnando una curva. Quivi Pomponiano, sebbene il
pericolo non fosse imminente, ma considerando che tale potesse presto divenire,
aveva trasferito su navi le sue cose, pronto a fuggire non appena il vento si
fosse calmato. Ma questo era, invece, favorevole a mio zio che veniva in
direzione opposta, abbraccia l'amico impaurito, lo incoraggia, lo conforta e,
per calmarne le paure con la propria sicurezza, chiede di essere portato al
bagno, si lava, cena allegramente o, assai più probabilmente, fingendo
allegria. Frattanto dal monte Vesuvio, in molte parti risplendevano larghissime
fiamme e vasti incendi, il cui risplendere e la cui luce erano resi più vividi
dalla oscurità della notte. Per calmare le paure, mio zio diceva che si
trattava di case abbandonate che bruciavano, lasciate abbandonate dai contadini
in fuga. Poi se ne andò a dormire e dormì di un autentico sonno, se il suo
rumoroso russare, reso più fragoroso dalla corporatura massiccia, veniva udito
da quanti origliavano oltre la soglia. Nel frattempo, il livello del cortile s
'era cosi tanto innalzato per la caduta di cenere e pomici che non sarebbe più
potuto uscire dalla stanza se avesse più oltre atteso.
Ma, nel cortile, attraverso il quale si andava a quell'appartamento, si era
tanto accumulata la cenere mista a pietre, che per poco che egli si fosse
fermato nella stanza non avrebbe potuto più uscirne. Svegliato egli ne esce e
ritorna da Pomponiano e dagli altri che non avevano chiuso occhio. Si
consultarono tra di loro se dovessero restare in casa o uscire all'aperto, dal
momento che la casa era colpita da frequenti e lunghe scosse, e come colpita
nelle fondazioni, mostrava or qua or là di cadere. Ma, ad uscire allo scoperto
si temeva nuovamente il cadere delle pietre, sebbene leggere e prive di forza.
Valutati i pericoli fu scelto quest'ultimo partito, prevalendo in lui una più
matura riflessione; negli altri un più forte timore. Messi dei cuscini sul capo
li legano bene con lenzuoli; questo faceva da riparo a ciò che cadeva
dall'alto.
Già altrove faceva giorno, ma là era notte, più scura e fitta di ogni altra
notte; ancor che molte fiamme e varie luci la rompessero. Egli volle uscire sul
lido e guardare da vicino se fosse il caso di mettersi in mare; ma questo era,
tuttavia, tempestoso ed impraticabile. Quivi, buttatosi su un lenzuolo disteso,
domanda dell'acqua e beve per due volte. Intanto le fiamme e un odore sulfureo
annunziatore delle fiamme fanno sì che gli altri fuggano ed egli si riscuote.
Sostenuto da due servi si leva e spira nel punto stesso; dal momento che il
vapore che aumentava gli impedì, cosi come io penso, il respiro e gli serrò lo
stomaco, già di sua natura debole, stretto e soggetto ad un frequente bruciore.
Come fu giorno (era il terzo da quello della sua morte) il corpo di lui fu
ritrovato intero ed illeso, con indosso i medesimi vestiti, ed in atteggiamento
più di un uomo che dorme che di un uomo già morto. Io e mia madre eravamo
intanto a Miseno. Ma ciò non riguarda questa storia; né tu da me volesti
sapere altro che della sua morte. Dunque concluderò. Aggiungerò solo che ho
fedelmente esposto tutto ciò che vidi io medesimo o che subito dopo (quando i
ricordi sono più veritieri) intesi dagli altri. Tu tirane fuori il meglio,
poiché altro è scrivere una lettera; altro (raccontare) una storia; altro
parlare ad un amico; altro (parlare) a tutti. Addio.
\HPlinio il Giovane, Lettere, VI, 20\h
Caro Tacito
Tu dici che, mosso dalla lettera che io ti scrissi, a tua richiesta circa la
morte di mio zio, desideri sapere (ciò che avevo cominciato e poi interrotto)
non solo i timori, ma anche quali avvenimenti abbia io sofferto essendo rimasto
a Miseno.
Benché l'animo inorridisca a ricordare, comincerò.
Partito lo zio, passai il restante tempo (perché ero rimasto per questo) a
studiare, poi il bagno, la cena ed un sonno breve ed inquieto. Molti giorni
prima si era sentita una scossa di terremoto; senza però che vi si desse molta
importanza, perché in Campania è normale; ma in quella notte fu così forte
che sembrò che non si scuotesse, ma che crollasse ogni cosa. La madre corse
nella mia stanza, ed io pure mi alzavo per risvegliarla se mai dormisse. Ci
sedemmo nel cortile della casa che la separava dal mare, per un breve tratto. Io
non so se chiamarlo coraggio o imprudenza perché toccavo appena i 18 anni.
Chiedo un volume di Tito Livio e così, per ozio, mi metto a leggere e
continuavo anche a farne appunti. Quand'ecco un amico ed ospite dello zio,
appena venuto dalla Spagna, alla vista mia e di mia madre seduti, ed io che per
giunta leggevo, rimprovera lei per la propria indolenza e me di poco giudizio,
ma non per questo io levai l'occhio dal libro. Già faceva giorno da un'ora e
pur tuttavia la sua luce era incerta e quasi languente, già erano crollate le
case intorno e benché fossimo in un luogo aperto ma angusto grande e certo era
il timore di un crollo.
Allora, finalmente ci parve bene di uscire dalla città. Ci segue una folla
sbigottita e ciò che nello spavento appare come prudenza, antepone il proprio
parere all'altrui e in gran massa incalza e preme chi fugge. Usciti dall'abitato
ci fermammo. Quivi assistiamo a molti fenomeni e molti pericoli. Infatti i carri
che ci facemmo venire dietro sebbene il terreno fosse pianeggiante andavano
indietro e neppure con il sostegno di pietre restavano nello stesso punto.
Inoltre si vedeva il mare riassorbito in sé stesso e quasi respinto dal
terremoto. Certamente il litorale si era allargato e molti pesci restavano a
secco. Dal lato opposto una nera ed orrenda nube squarciata dal rapido
volteggiare di un vento infuocato si apriva in lunghe lingue di fuoco; esse
erano come lampi e più che lampi. Allora, quel medesimo amico venuto dalla
Spagna, con più forza ed insistenza: "Se tuo fratello, disse, se tuo zio
vive, vi vorrebbe salvi; se è morto vorrebbe che voi gli sopravviviate; perché
dunque indugiate a scappare?" Al che rispondemmo: "Non abbiamo
l'animo, incerti della sua salvezza, di provvedere alla nostra". Egli non
esita oltre e se la dà a gambe e a gran corsa si sottrae al pericolo; né
passò molto tempo che quella nube discese a terra e coprì il mare. Aveva
avvolto e nascosto Capri e tolto dalla vista il promontorio di Miseno. Allora la
madre cominciò a pregarmi, a scongiurarmi, a ordinarmi, che, in qualunque modo
io fuggissi; lo facessi io perché giovane; ella, appesantita dall'età e dalle
(stanche) membra sarebbe morta felice di non essere stata la mia causa di morte.
Ma io risposi di non volermi salvare che con lei; poi pigliandola per mano la
costringo ad affrettare il passo; ella mi segue a stento e si lamenta perché mi
rallenta (il cammino).
Cadeva già della cenere, non però ancora fitta; mi volto e vedo sovrastarmi
alle spalle una densa caligine che quale torrente spargendosi per terra ci
incalzava. Deviamo, io dissi, finché ci si vede, per non essere travolti, una
volta raggiunti, dalla folla che ci viene dietro.
Appena fatta questa considerazione si fa notte, non di quelle nuvolose e senza
luna, ma come quando ci si trova in un luogo chiuso, spente le luci.
Avresti udito i gemiti delle donne, le urla dei bambini, le grida dei mariti;
gli uni cercavano a gran voce i padri; gli altri i figlioli; gli altri i
consorti; chi commiserava la propria sorte; chi quella dei suoi. Vi erano di
coloro che, per timore della morte, la invocavano. Molti supplicavano gli dei;
molti ritenevano che non ve ne fossero più e che quella notte dovesse essere
l'ultima notte del mondo. Né mancavano quelli che con immaginari e bugiardi
spaventi accrescevano i veri pericoli. Vi erano di quelli che, bugiardi, ma
creduti, dicevano di venire da Miseno e che esso era una rovina e
(completamente) incendiato.
Fece un po' di chiaro; né questo ci sembrava giorno, ma piuttosto la luce del
fuoco che si avvicinava. Se non che il fuoco si arrestò più lontano; nuova
oscurità e nuovo nembo di fitta cenere; noi ci alzavamo a tratti per toglierla
di dosso; altrimenti ne saremmo stati se non coperti schiacciati. Potrei
gloriarmi che in tante calamità non mi sia uscito un lamento, né una parola
men che virile, se non avessi trovato gran conforto alla morte il credere che in
quel momento con me periva tutto il mondo. Finalmente si attenuò quella
caligine e svanì come in fumo e nebbia; quindi fece proprio giorno ed apparve
anche il sole, ma scolorito come suol essere quando è in ecclisse. Agli occhi
ancor tremanti tutto si mostrava cambiato e coperto da un monte di cenere, come
se fosse nevicato. Ritornati a Miseno e ristorate alla meglio le membra si
passò una notte affannosa ed incerta tra la speranza ed il timore. Ma il timore
prevaleva.
Intanto continuavano le scosse di terremoto e molti, fuori di senno, con le loro
malaugurate predizioni si burlavano del proprio e del male altrui. Noi, però,
benché salvi dai pericoli ed in attesa di nuovi, neppure allora pensammo di
partire, finché non si avesse notizia dello zio. Queste cose, non degne
certamente di storia, le leggerai senza servirtene per i tuoi scritti; né
imputerai che a te stesso, che me le hai chieste, se non ti parranno degne
neppure di una lettera. Addio.
\H TORRE DI MERCURIO\h
La prima fortificazione di Pompei risale al VI secolo a. C., ma in questa
fase e per diversi secoli a venire non fu dotata di torri. Il primo circuito
difensivo fino a oggi scoperto era infatti costituito da un muro in blocchi di
lava tenera che circondava tutto il pianoro su cui si sarebbe sviluppata Pompei.
Non è stato scoperto l'intero perimetro di questo primo muro, ma uno dei tratti
si trova esattamente in corrispondenza della Torre di Mercurio.
Sappiamo che la collina di Pompei fu in realtà abitata stabilmente a partire
dall'Età del bronzo ma non si sono ancora rinvenute tracce di circuiti
difensivi più antichi di questo.
La fortificazione venne ricostruita in blocchi di calcare nel corso del V secolo
a. C e alla fine del IV - inizi del III secolo a. C. Da questo momento il muro
non si presenterà più come una semplice struttura verticale, ma sarà
associato a uno spesso terrapieno chiamato aggere. Dopo un ulteriore restauro,
non databile con precisione, la fortificazione venne foderata in alcuni tratti
da una cortina in muratura di lava e vennero poi inserite le torri.
Probabilmente, al posto di questa torre, si trovava originariamente una porta
che consentiva alla via di Mercurio di oltrepassare la linea delle mura. Si
trattava di un percorso molto importante che aveva condizionato l'impianto
urbanistico della città e su cui si affacciavano gran parte degli insediamenti
agricoli nel territorio.
\H CASA DEI VETTI\h
I Vetti erano una famiglia pompeiana molto ricca, ma di origini non nobili,
che, verso la metà del I secolo a. C., acquistò e ristrutturò questa antica
casa nel quartiere a settentrione del Foro. Si trattava infatti di liberti,
cioè di schiavi liberati dai propri padroni che generalmente guadagnavano
ingenti fortune dedicandosi ad attività commerciali
Due sigilli scoperti nella casa ricordano un Aulo Vettio Restituto e un Aulo
Vettio Conviva. Quest'ultimo era anche sacerdote del culto tributato
all'imperatore.
Come molte delle case più belle di Pompei, anche questa aveva due atri, uno in
asse con l'ingresso e ben visibile dalla strada e uno più piccolo nel quartiere
riservato alla schiavitù. La particolarità sta invece nel fatto che sul fondo
dell'atrio maggiore non c'era il tablino, ma una ampia porta che metteva l'atrio
direttamente in comunicazione con il peristilio. Si tratta di una soluzione
originale che si ritrova a Pompei solo altre quattro volte.
Tutta la casa era arricchita da una serie di affreschi di vario genere, il cui
soggetto era stato adattato alla funzione degli ambienti in cui erano collocati:
scene mitologiche nelle stanze attorno all'atrio principale e nelle grandi sale
aperte sul peristilio, quadretti erotici e simboli di buon augurio nel quartiere
servile.
\H CASA DELLA VENERE IN CONCHIGLIA\h
La Casa di Venere in conchiglia deve il suo nome al grande affresco sulla
parete di fondo del peristilio, che raffigura Venere all'interno di una grande
conchiglia con il manto agitato dal vento.
Ci troviamo in un isolato originariamente occupato dalle antiche casette "a
schiera". Con il passare dei secoli e dopo i terremoti che precedettero
l'eruzione, la suddivisione interna dell'isolato venne totalmente cambiata. In
questa casa in particolare possiamo osservare come è avvenuto il cambiamento.
La parte prospiciente la strada ha conservato il nucleo originario, con le due
stanze da letto ai lati dell'ingresso aperte su un atrio/cortile che doveva
essere scoperto. Nella parte più interna, invece, le vecchie stanze vennero
smantellate per fare spazio al peristilio dipinto con le sale intorno. Lo spazio
che si riuscì a ricavare non era comunque sufficientemente ampio: così, come
avvenne nella casa della fontana piccola, il compito di rendere più eleganti
gli ambienti di rappresentanza e di svago fu affidato alla decorazione dipinta.
Non conosciamo il nome della famiglia che occupava la casa. Sappiamo soltanto
che avevano conservato alcune anfore con iscrizioni dipinte in lingua greca.
\H FORO TRIANGOLARE\h
Il cosiddetto Foro Triangolare è in realtà uno spazio irregolare, dovuto
alla conformazione della collina, risparmiato dalla costruzione di monumenti
diversi e sistemato definitivamente solo in età augustea.
La collina lavica su cui sorse Pompei scendeva in modo irregolare verso la valle
percorsa da Via Stabiana. Su questa pendice si trovava una terrazza naturale,
limitata a Sud dalla fortificazione dell'abitato. Qui, nel VI secolo a. C.,
venne fondato un santuario dedicato a Minerva. Il santuario era costituito da un
tempio di ordine dorico, ma di pianta di tipo italico di fronte al quale furono
costruiti un piccolo sacello, alcuni altari e fu scavato un profondo pozzo.
Il tempio venne ridecorato diverse volte verso la fine del V, nel IV e ancora
nel corso del II secolo a. C. Nella stessa epoca il magistrato osco (meddix)
Numerio Trebio fece costruire per scopi rituali la piccola rotonda colonnata sul
pozzo più antico. Vennero inoltre costruiti i due isolati della Regione VIII
prospicienti l'area sacra, la cosiddetta Palestra Sannitica, il teatro grande e
l'edificio che sarà più tardi trasformato in caserma dei gladiatori ed è
quindi possibile che, in questa fase, l'area del santuario fosse collegata alle
funzioni culturali e sportive che si svolgevano nei monumenti vicini.
Con l'età di Augusto, l'area assunse il suo aspetto monumentale. Intorno al
tempio fu costruito il porticato lungo complessivamente 200 metri; l'ingresso
all'area fu monumentalizzato con la realizzazione del propylon e presso l'antico
tempio i due magistrati Lucio Sepunio Sandiliano e Marco Erennio Epidiano posero
un orologio solare e un sedile semicircolare di marmo (schola).
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\H LE TIPOLOGIE\h
La scoperta di Pompei rivelò ai primi scavatori un'immagine del tutto
inaspettata della città antica e dei suoi monumenti. In particolare, i
differenti generi di abitazioni attirarono fin da allora l'attenzione di
studiosi e di visitatori. La casa romana infatti era il luogo in cui si svolgeva
gran parte della vita quotidiana e il mezzo attraverso il quale il proprietario
cercava di dare un'immagine del proprio benessere a chi si recava a fargli
visita. Conoscere le case della città, complete dell'arredo e della decorazione
originaria, significa conoscere la storia degli abitanti.
La casa romana classica è composta da una serie di stanze raccolte attorno a un
grande ambiente chiamato atrio. L'atrio poteva essere interamente o parzialmente
scoperto è rappresentava il centro dell'abitazione. Al centro dell'atrio si
trovava una vasca chiamata impluvio, destinata a raccogliere l'acqua piovana.
L'atrio era detto tuscanico se il tetto che lo copriva non aveva supporti che lo
sorreggessero da terra, tetrastilo se il tetto era sorretto da quattro colonne
poste agli angoli dell'impluvio e corinzio se attorno all'impluvio era disposto
un vero proprio colonnato. L'ampio ingresso faceva sì che l'interno fosse
visibile anche dalla strada, rivelando così ai passanti i segni della ricchezza
dei proprietari. Questo tipo di casa, specialmente la \J\KTATRIO\kcasa ad
atrio\j tuscanico, ha origini molto antiche ma è attestata a Pompei solo dal II
secolo a. C., da quando cioè la città sannitica venne assorbita nell'orbita
culturale romana. Alla casa ad atrio viene aggiunto con il passare del tempo un
portico con giardino chiamato \J\KTPERIS\kperistilio\j posto generalmente subito
dietro l'atrio e, se possibile, in asse con esso. Si tratta di un elemento
essenzialmente decorativo. Attorno al peristilio si dispongono le grandi sale (oeci)
da banchetto o da ricevimento e in qualche caso anche delle piccole terme. Al
centro del peristilio si allestiva il giardino della casa. Alcune case con
peristilio furono costruite in posizione panoramica sul limite meridionale e
occidentale della città, cosicché dal giardino colonnato si potesse godere
anche della vista verso il Golfo di Napoli e la penisola sorrentina. Le case ad
atrio o ad atrio con peristilio erano le abitazioni dei ceti più elevati della
città. Si pensi che soltanto l'atrio raggiungeva mediamente una superficie di
circa 150 mq.
Esisteva naturalmente anche un genere di edilizia più popolare, che troviamo
concentrato principalmente nei quartieri orientali della città. Qui, in un
periodo compreso tra la fine del III e il II secolo a. C. venne infatti
costruita una serie di isolati paralleli occupati da \J\KTSCHIE\kcase a
schiera\j. Si tratta abitazioni di dimensioni inferiori rispetto a quelle delle
case ad atrio, la cui superficie originaria era per metà occupata da ambienti
coperti e per metà da un giardino detto hortus. La parte abitata si sviluppava
anche in questo caso attorno a un ambiente centrale, quasi un piccolo atrio,
sempre scoperto. Con il passare del tempo molte delle proprietà originarie
vennero acquistate da pochi proprietari e gli isolati si trasformarono in
lussuose case dotate di enormi giardini.
Oltre alle abitazioni costruite entro le mure gli scavi ci hanno rivelato la
presenza di lussuose ville costruite presso la città, lungo le strade che
collegavano Pompei con le città vicine. Queste ville, come la \J\KSDIOME\kvilla
di Diomede\j o la \J\KSMISTE\kvilla dei Misteri\j, erano in realtà delle
fattorie che producevano olio e vino dove il padrone aveva allestito un
quartiere residenziale per sé, per la sua famiglia e per gli ospiti di
riguardo. Ritroviamo in queste ville tutti gli elementi delle dimore urbane ma,
a differenza delle case in città, qui il peristilio è sempre posto davanti
all'atrio e non viceversa.
\H TERMOPOLIO\h
Termopolio è una parola greca che vuol dire "luogo in cui si vendono
bevande calde" e indica ciò che noi chiameremmo un'osteria. In genere
erano locali composti da una sola stanza, posta a uno degli angoli dell'isolato
in cui si trovavano, e con un solaio in legno che sosteneva il piano superiore.
Qui gli avventori potevano riposare oppure incontrare prostitute messe a
disposizione dai gestori del locale.
Questo termopolio, aperto su una delle vie principali della città, è il più
grande di quelli fino a oggi conosciuti. Occupa una superficie pari a quella di
una casa, aveva un piccolo atrio, un larario dedicato al dio Mercurio e un
giardino porticato con triclinio estivo decorato con pitture.
La vendita avveniva nella prima stanza aperta sulla strada. In un bancone in
muratura erano inserite otto giare che contenevano il vino. Una di queste giare
era anche utilizzata come cassa. Al momento dello scavo furono ritrovati un gran
numero di spiccioli per un valore complessivo di 683 sesterzi, ovvero 3 chili di
bronzo. Dietro il bancone era stato costruito un piccolo santuario dedicato a
Mercurio e naturalmente a Bacco, il dio del vino.
Il vino, prima di essere venduto, era conservato in anfore sistemate in
giardino. Una di queste conteneva un particolare tipo di vino, il truginon,
caratteristico per il suo colore nero.
BY FILO