INTRODUZIONE 
 
 
 
  
 
  
 
Da qualche decennio si è sviluppato in un modo incredibile l’interesse per 1'antiquariato contagiando le più disparate classi sociali. Ignare vecchiette di campagna sono state duramente rimproverate dai nipoti cittadini per aver venduto un vecchio e sporco cassettone tenuto per anni in solaio e signore non più giovani si angosciano sempre al ricordo di aver cambiato i vecchi arredi di casa con quelli moderni , già completamente superati dopo qualche anno. 
 
Non in pochi si sono chiesti il perché del nascere di questo interesse. Le risposte possono essere diverse. La ragione prima è senz'altro il sorgere di un maggiore e più diffuso benessere economico: vi è poi una certa diffidenza verso il mobile nuovo, provocata dalla velocità con la quale in questo campo vengono lanciati sul mercato sempre nuovi prodotti, che hanno la facoltà di rendere nel giro di pochi anni, completamente sorpassati quelli acquistati precedentemente. 
 
Ma perché rivolgersi proprio al mondo dell'antiquariato; che presenta molte incognite agli inesperti, quando una determinata nuova produzione di mobili firmati da architetti può accontentare le esigenze più raffinate ? Noi molto semplicemente pensiamo che questa moda nasconda la necessità dell'uomo contemporaneo di possedere nella propria casa qualcosa di solido che lo tenga legato alla tradizione. Questa esigenza era meno sentita dall'uomo del passato che viveva più legato al clan familiare: infatti è risaputo che collezionisti e amatori di oggetti antichi sono sempre esistiti (i romani raccoglievano testimonianze della precedente civiltà greca e gli umanisti quattrocenteschi rievocavano quelle della civiltà romana), ma si trattava quasi sempre di una élite. 
 
Questi appassionati si distinguevano dalla popolazione media per una cultura molto profonda e per un patrimonio altrettanto cospicuo, che permetteva loro di acquistare ciò che di meglio il mercato offriva in questo campo. 
 
Giacché l’antiquario dei periodi precedenti s'interessava quasi unicamente di pezzi ad alto livello: si trattava generalmente di mobili perfetti come linee, firmati da grandi ebanisti e da intarsiatori, oppure di elementi importanti per il bagaglio storico loro collegato. Ai nostri giorni, invece, il desiderio e soprattutto la possibilità di avere pezzi antichi sono alla portata di tutti. Purtroppo però a un aumentato benessere economico (perciò a un'aumentata possibilità d'acquisto) non si unisce un altrettanto rapida formazione culturale che impedisca di contentarsi di qualsiasi oggetto, purché vecchio. 
 
I mobili di cattivo gusto, bastardi di forma e di decorazione, sono sempre esistiti. Con questa sintetica guida all'antiquariato vorremmo aiutare i novelli amatori, non solo a riconoscere un mobile autentico da una copia, ma anche a scegliere quelli che più fedelmente presentino sia le caratteristiche fondamentali del secolo nel quale sono stati costruiti, sia quelle del luogo dove è avvenuta la lavorazione. 
 
 
 
Dove trovare il mobile antico 
 
 
 
Il pezzo antico, oggi tanto ricercato, può arrivare fino a noi dalle fonti più svariate. Se le nostre cognizioni nel campo dell’antiquariato sono un po’ vaghe e dilettantesche, cerchiamo di scoprire, tra queste provenienze, quali siano in grado di darci le maggiori garanzie sull’oggetto da acquistare. 
 
Quando il pezzo giunge fino a noi per eredità familiare, il problema non esiste. Se poi vogliamo farlo valutare, non tanto per essere sicuri della sua autenticità, ma per conoscere il suo valore, basterà mostrarlo a un buon restauratore o a un antiquario serio e preparato. L’esperienza dell’artigiano o dell’antiquario, in questo campo, sarà più che sufficiente per stabilire se si tratta di un esemplare di rara bellezza o invece un pezzo di fattura normale, a quale periodo appartiene e in quale regione è stato costruito. 
 
Il medesimo discorso è valido se il pezzo è acquistato presso privati, dei quali si conosce un poco la storia familiare. 
 
Se l’acquisto invece viene fatto presso persone che non conosciamo direttamente, sarà necessario assumere prima qualche informazione sulla loro onestà , una certa garanzia si potrà avere se, in questa casa, il mobile non è un pezzo unico ma fa parte di un arredamento nel quale risultino presenti altri pezzi coevi di quello che noi desideriamo comperare. 
 
Una fonte d’acquisto che non dovrebbe far nascere dubbi sull'autenticità dell'oggetto è 1'antiquario di fiducia , che non ha alcun interesse a vendere per vero ciò che è falso. Nel giro ristretto degli antiquarie dei clienti inoltre, la cosa potrebbe venire risaputa, cosicché la somma ricavata da una simile vendita, anche se notevole, non potrebbe ripagare una seria reputazione danneggiata. 
 
Logicamente tutte queste garanzie hanno, un prezzo che puo’ venire in parte compensato dalla perfetta condizione in cui il mobile verrà consegnato, e dall’assistenza che lo stesso riserva al cliente. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
L’antiquariato della domenica 
 
 
 
Dopo i consigli sulle fonti d'acquisto più tradizionali per il mobile antico e sulle garanzie che queste ci possono dare, consideriamo ora quelle più nuove e persino divertenti sorte in questi anni, insieme con il dilagare della passione per 1'antiquariato. La ricerca del vecchio oggetto è diventata un hobby, una specie di caccia al tesoro che solitamente si svolge di domenica. 
 
Per accontentare queste nuove richieste sono sorte, ai margini della città, dei particolari centri di vendita. 
 
Generalmente si tratta di magazzini tenuti da rigattieri o da restauratori, che durante la settimana battono la campagna e i paesi circostanti per comperare tutto ciò che di vecchio si può ancora trovare presso i contadini o qualche antica casa patrizia in disarmo. Il sabato e la domenica si trasformano in venditori. 
 
I frequentatori di questi posti si possono dividere in due categorie distinte. Alla prima appartengono i più incauti, i quali ogni settimana esplorano indiscriminatamente una diversa zona alla ricerca di sempre nuovi magazzini. Alla seconda, quelli, che avendo scovato fuori città un rigattiere di fiducia (onesto nei prezzi e abile nella ricerca), si recano fedelmente e periodicamente a visitarlo per vedere di quali novità si sia arricchito il suo deposito. 
 
Come si può facilmente intuire, 1'acquisto del pezzo antico attraverso questo tipo di mercato è molto discutibile: quali garanzie di autenticità e di stato di conservazione è in grado di dare? I consigli che possiamo offrire in questo campo sono pochi: se il magazzino ha aperto anche durante la settimana, e se appena vi è possibile, tornate per stabilire gli accordi di compera in un giorno non festivo: troverete meno confusione e forse prezzi più bassi. 
 
Non sperate di trovare presso i rigattieri di paese pezzi di eccezionali bellezza; infatti è possibile imbattersi in mobili autentici e di buon linee, ma molto difficilmente questi presenteranno grandi pregi di lavorazione, trattandosi quasi sempre i esemplari di fattura corrente. In questi magazzini i mobili che offrono una maggiore garanzia d'autenticità sono quelli tipici della regione. Cercate allora di approfondire le vostre cognizioni sulle caratteristiche che distinguono gli stili di quel1a zona. 
 
Se la spesa che intendete fare è di una certa importanza, è bene informarsi sul posto in quale stima tenuto il venditore. 
 
Il discorso fatto finora è valido anche per quei mercati di robivecchi sistemati nei quartieri caratteristici delle grandi città. 
 
Fonte di delizie e di autentici affari per i pionieri dell'antiquariato, nei tempi andati, oggi queste fiere cittadine hanno oramai perso quasi completamente il loro fascino: capita per esempio che siano gli stessi antiquari della città a trasferire i pezzi dei loro negozi sulle bancarelle e sui marciapiedi, per poter meglio stuzzicare nell'amatore il piacere della scoperta. 
 
 
 
Come distinguere un mobile autentico da una copia 
 
La passione per l'antiquariato, esplosa in questi anni, ha fatto aumentare la richiesta dl questo prodotto sul mercato. A differenza dei mobili nuovi, costruiti secondo la domanda, il patrimonio di quelli antichi, pur essendo molto ricco, non può venire rinnovato. Da questa carenza hanno tratto vantaggio i commercianti, invadendo il mercato con le imitazioni. Nel campo del mobile in stile è facile trovare copie vendute onestamente come tali, In grado di accontentare il pubblico meno esigente. Anche tra queste è consigliabile cercare quelle costruite con legni vecchi, e il più possibile fedeli non solo ai canoni dello stile copiato, ma anche a un ben preciso prototipo originale. 
 
Quando si ha una conoscenza dell'antiquariato piuttosto superficiale ciò che maggiormente può trarre in inganno sono i revival. Costruiti nel secolo passato o nel primo decennio di questo per soddisfare una precedente ondata d'interesse per l'antico, riescono a passare come pezzi autentici grazie al loro legno manualmente invecchiato. Aiutano a denunciarli come copie solo certi imbastardimenti delle linee e dei motivi dovuti al gusto del tempo. Per difenderci dal dilagare del falso, cerchiamo di stabilire, prima di passare allo studio degli stili, i punti attraverso iquali è possibile accertarsi se un mobile è autentico. 
 
La prima osservazione da fare è la funzione del mobile stesso. L’arredo è 1'espressione della vita e delle abitudini di un popolo, di un determinato periodo. Per esempio, non è possibile trovare un divano autentico del Cinquecento, in quanto a quel tempo la vita familiare, non avendo le esigenze salottiere tipiche del Settecento, non aveva sentito la necessità di realizzare un mobile di questo tipo. 
 
È poi indispensabile conoscere, almeno a grandi tratti, le linee, le forme e le decorazioni tipiche di ogni epoca. Sarà necessario anche tenere presente la diffusione geografica degli stili, Per cui uno specifico tipo di arredo potrà essere stato costruito in certe zone prima che in altre. 
 
Dopo aver osservato attentamente la forma del mobile, per riconoscere se il suo uso e le sue linee appartengono al secolo denunciato dal venditore, è indispensabile passare a un esame più approfondito riguardante il materiale e la tecnica di lavorazione. 
 
Il legno ultracentenario, anche se ben conservato, presenta sempre i segni dell'usura: gli spigoli e le sculture saranno sempre un poco smussati, i braccioli logori e le basi, cioè le gambe o i piedi, si presenteranno quasi sempre come le parti più danneggiate, in quanto a più diretto contatto con 1'attrlto dei pavimenti. 
 
L’impiallaciatura (in legno di rosa, in mogano ecc.) viene usata solo dopo la seconda metà del Settecento, per cui tutti i mobili costruiti nei secoli precedenti devono essere eseguiti solo in legno massiccio. 
 
Nei secoli passati la lavorazione del legno veniva fatta manualmente con la sega. Per questa ragione solo le superfici a vista si presentavano perfettamente levigate, mentre quelle nascoste venivano lasciate in uno stato più rustico: passando le mano sotto l'asse di un tavolo, dovremo perciò incontrare una superficie piuttosto ruvida. 
 
Nei vecchi mobili (fino al Settecento) mancano le viti per unire le testate dei letti alle sponde, e i pannelli nei mobili ad ante, sono molto grosse e di legno. 
 
Gli incastri quasi sempre eseguiti a coda rondine, non risultano mai fissati con chiodi, ma fermato con, cavicchi pure di legno. I chiodi (quando ci sono) devono essere irregolari e di fattura piuttosto grossolana, perché fino alla prima me del Settecento venivano lavorati manualmente. 
 
Verificando la ferratura, si devono riscontrare quelle imperfezioni tipiche dei lavoro eseguito a mano. Nei mobili lavorati a intarsi (anteriori al 1850) le lamelle di legno che formano le decorazioni si presentano piuttosto spesse e con i contorni leggermente irregolari, poiché a quell'epoca anche queste piccole parti venivano lavorate con la sega. Ultimo nostro alleato, per stabilire 1'autenticità di un mobile, è il buco del tarlo. Ma siccome anche questo può venire falsificato, sparando contro il mobile una scarica di pallini da caccia, si può controllare la sua veridicità infilando, almeno nei buchi più evidenti, uno spillo. Se questo penetra in profondità, il foro è prodotto artificialmente, poiché quello creato del tarlo forma un percorso a chiocciola. 
 
Difficili da individuare sono le falsificazioni dei mobili del Settecento dipinti e laccati. Infatti oltre alle lacche di vera provenienza orientale (dalla ben riconoscibile durezza e trasparenza), nel Settecento sono state usate altre varietà di lacche, simili, ma di invenzione europea Parecchi mobili veneziani venivano addirittura composti con pannelli laccati importati direttamente dall'Estremo Oriente. Questa varietà di lacche usate nel Rococò rende difficile il riconoscimento di contraffazioni odierne. 
 
Più ardui ancora da riconoscere sono i falsi arredi veneziani a lacca povera: diversi restauratori recuperano spesso il fusto di uno scadente mobile impiallacciato settecentesco, grattando via il rivestimento ormai perduto. L'interno di esso denuncia una inequivocabile autenticità. Lo ricoprono incollandovi sopra stampe di poco prezzo (ma dell'epoca), trasformandolo in un veneziano a lacca povera. La frode appare evidente solo nel caso in cui il fusto sia costituito adesso, oppure nel caso in cui le vecchie stampe prescelte per il rivestimento siano di epoca posteriore al Settecento. 
 
 
 
Come conservare un mobile antico  
 
 
 
Dopo aver finalmente trovato il mobile di nostro gusto, dopo averlo fatto sistemare, sarà giusto avere per questo pezzo della nostra casa quelle cure un po' particolari dovute a qualsiasi oggetto di venerabile età. Le condizioni climatiche delle case odierne (fortunatamente per noi!) differiscono completamente da quelle per le quali questi mobili vennero creati. Per molto tempo, a volte per interi secoli questi arredi sono rimasti in locali dove le condizioni di umidità si mantenevano quasi costanti sia d'estate sia d'inverno. Infatti il riscaldamento a caminetto o a stufe (a legna o a carbone) era talmente relativo, essendo localizzato in ambienti molto più grandi degli attuali, da provocare delle variazioni termiche e di umidità quasi impercettibili. Al contrario, 1'aria delle abitazioni odierne diventa eccessivamente secca durante il periodo di funzionamento dell'impianto centralizzato di riscaldamento (a termosifoni o a pannelli radianti), cosicché si ha tra una stagione e 1'altra un forte sbalzo, oltreché di temperatura, anche di umidità. I mobili antichi - costruiti con tavole di legname massiccio (che si dilatano o ritirano notevolmente per effetto della temperatura e dell'umidità), mal sopportando queste variazioni. Esse possono provocare crepe, spaccature, deformazioni, facilitate dalla scarsa tenuta delle colle usate anticamente, molto igroscopiche e ormai disseccate col tempo. 
 
Anche le eventuali impiallacciature e gli intarsi possono, per la stessa ragione, subire dei danni. 
 
Proprio per questi motivi nella costruzione dei moderni mobili in legno si sono adottate tavole massicce, sostituendole con compensato, panforti e pannelli di trucioli, che non ai crepano, (incurvano o dilatano per effetto delle brusche variazioni termiche o di umidità. Anche le colle attuali hanno maggiore tenuta e più resistenza alle variazioni di umidità. Mentre nel ripristino e nel restauro del mobile antico 1'uso dei modemi collanti può migliorarne la validità, la sostituzione di pannelli in legno massiccio con panforti o compensati, per ragioni di resistenza, ne menomerebbe gravemente 1'autenticità. Perciò nostra principale preoccupazione sarà quella di sistemarlo in un ambiente dove non abbia a soffrire troppo a causa di cambiamenti igroscopici e termici. 
 
Come abbiamo visto, i più grandi nemici dei vecchi legni sono i caloriferi o meglio la mancanza di umidità da essi provocata. Per questa ragione, affinché nel nostro pezzo non si formino quelle antiestetiche crepe causate dall'atmosfera troppo secca, sarà consigliabile ricorrere a qualche accorgimento. Per prima cosa, si tenga sempre sul calorifero un apposito recipiente d'acqua, ricordandosi di mantenerlo sempre colmo. Inoltre, il mobile antico dovrà essere posto, studiando attentamente 1'arredamento, il più possibile lontano da qualsiasi fonte di calore (caloriferi, stufe elettriche o a cherosene, zone di pavimento o di pareti più calde per la presenza di pannelli radianti o per il passaggio delle tubature di riscaldamento). 
 
Tutte queste misure non saranno ancora sufficienti, se durante la stagione invernale non si aiuterà il legno a sopportare 1'atmosfera secca delle case mantenendolo più morbido con il passarvi di uno straccio cerato. Questa operazione va eseguita in quelle case con riscaldamento a pannelli radianti, nelle quali la fonte di calore è diffusa ovunque e non è assolutamente possibile portare qualche miglioramento alle condizioni generali d'umidità. 
 
Uno dei danni più frequenti dovuto alla vicinanza di fonti calorifiche è il sollevamento dell'impiallacciatura. Prima che questa abbia a staccarsi completamente (e in questo caso è necessario ricorrere a un artigiano), bisogna combattere il fenomeno all'apparire dei primi sintomi che si manifestano sotto forma di bolle. 
 
Per mantenere la lucidatura dei mobili, non spolverarli mai con uno straccio di tessuto rigido (iuta, cotone ecc.), ma sempre con stracci di lana perfettamente asciutti. Sempre per mantenere il mobile perfettamente lucido, è indispensabile non appoggiare su di esso sostanze calde. Ripristinare una superficie lucida risulta sempre un'operazione molto difficile, che è bene lasciare compiere agli esperti. In alcuni casi, quando cioè il danno provocato è molto piccolo, si può tentare il lavoro da soli, passando della pomice sottilissima sulla superficie rovinata. Affinché la vernice venga tolta senza creare un dislivello tra la superficie da ripristinare e le parti che la contornano, questo sfregamento deve essere esteso ai bordi. È poi necessario rifare la lucidatura usando un tampone per gommalacca, insistendo sul punto da riparare e invece diminuendo la pressione sui bordi. 
 
Infine si ripassa la superficie rilucidata con un tampone intriso di spirito. La bellezza di taluni arredi massicci in noce, ciliegio o altro legno pregiato, è costituita dalla loro superficie esterna lasciata naturale e opaca. In questo caso, come per gli intarsi, il piano dei mobili non è protetto da alcuna vernice, quindi bisogna fare attenzione a non appoggiarvi oggetti bagnati (bicchieri o bottiglie) o lasciarvi cadere macchie di inchiostro, che impregnerebbero subito il legno in maniera irrimediabile provocando un danno sia estetico, sia economico. 
 
Quando i mobili sono verniciati a stoppino o a copale, le macchie d'acqua si possono lavare così: passare sulla macchia uno straccio di tela bagnato con olio minerale, ripetendo 1'operazione per alcune ore; quindi ripassare sulla vernice con copale o gommalacca. Per i mobili tirati a cera, si ripassa la parte macchiata con uno straccio imbevuto di cera liquida. 
 
Raccomandiamo poi di proteggere, negli spostamenti e nei traslochi, il pezzo di antiquariato (specialmente se scolpito con sporgenze) contro le ammaccature: se queste sono lievi, si può rimediare appoggiandovi sopra una pezza di tela bagnata e quindi sovrapporvi un ferro da stiro non troppo caldo. 
 
E infine un ultimo avvertimento per il buon mantenimento di un mobile antico: non lasciarlo troppo esposto al sole. La luce solare diretta può avere vari effetti nocivi: alterare i colori dei legnami, specialmente se diversi nel caso delle impiallacciature, incurvare il legno, seccar eccessivamente le colle che tengono unite le varie parti causando spaccature e fenditure. 
 
 
 
                                       Vero o falso 
 
 
 
È un argomento che nessuno, in ogni caso pochi vorrebbero affrontare, vale a dire che si tratta di un tormentone. 
 
Durante il II Impero e parte dell'Eclettico lo stile Barocco era imitato, per la mobilia, con una tale perfezione da mettere in imbarazzo, o addirittura indurre in errore, gli antiquari e gli esperti più agguerriti della materia. 
 
Ora noi sappiamo che fra le produzioni in Barocco autentico e le imitazioni successive è trascorso all'incirca un secolo e mezzo. 
 
Nel settore del mobile realizzare oggi giorno un falso in qualsiasi stile, vuoi seicentesco, settecentesco o ottocentesco, è di scarsa soddisfazione economica, anzi, costerebbe addirittura di più, in termini produttivi, di quanto verrebbe a costare 1'originale. 
 
Nell'800 non si era ancora a questi livelli, non si era nemmeno troppo distanti per reperibilità dei materiali, dei legni pregiati e rari, la realizzazione di intagli e intarsi, la non facile imitazione delle inchiodature, delle cerniere autentiche ecc. 
 
Questa è una prima ipotesi che vuol dire: per carità, il bravo artigiano mobiliere è capacissimo di riprodurre pari pari, in copia, un mobile originale. L'operazione ha costi iperbolici, può avvenire esclusivamente su commissione, con la tacita intesa fra fabbricante e committente, che si tratta pur sempre di una riproduzione. Quello che ne farà il proprietario, in seguito e sotto la sua diretta responsabilità, va dalla commercializzazione di un falso dichiarato autentico, a una eventuale truffa per tale considerata dai codici, Tuttavia ciò è assai difficile che accada. Le imitazioni sono però talmente perfette e ineccepibili che lo sprovveduto di turno (non di rado anche qualche antiquario) casca nel gioco e imprudentemente acquista. 
 
Contrariamente alla pittura ottocentesca, variamente riprodotta e spacciata con tanto di patente di autenticità, nella riproposizione iconografica e nella metodica copiatura della firma, il mobile ha seguito altre strade. In pittura le procedure di invecchiamento delle tele, della composizione dei colori sono evidentemente meno impossibili (riguardano non solo il secolo scorso, ma anche i dipinti antichi), sebbene quell'attrezzo che si chiama lampada di Wood (dal fisico americano che nei primi anni Cinquanta del nostro secolo creò apparecchi adatti alla ricerca di ottica fisica, capaci di rilevare, tramite la radiazione ultravioletta, alterazioni o cancellature su documenti, dipinti su carta compressa, cartoncino e tela, alterazioni della pelle) sia un autentico nemico dei falsari. Si potrebbe dire, valutando le diverse situazioni, che il legno non mente e il suo precoce invecchiamento fornisce risultati, nella casistica più ampia, davvero sconfortanti. 
 
Tralasciando i mobili "in stile" che già dalla definizione denunciano la loro qualità di "ripetizione" di un repertorio antico (vanno peraltro attentamente osservati 1'uso di colle sintetiche, i coloranti, i chiodi in acciaio anziché in ferro), per eliminare i dubbi fra vero o falso sarà bene osservare la struttura granulosa del legno i cui fori si restringono con il passare dei decenni e dei secoli. Talché il legno, specie quello duro e solido, finisce con l'assumere una compattezza che ha 1'eguale solo nel marmo. 
 
Sempre per il. legno antico si deve parlare della patina, che consiste nella progressiva accentuazione del suo colore naturale: tonalità di grigio e nervature scure nel noce, nel rovere e nel castagno; il rosso-arancio nel ciliegio; il giallo chiaro, simile a quello della paglia, del pioppo e di altri legni dolci. Normalmente un esperto di mobilia, un antiquario che sappia fare il suo mestiere è in grado di distinguere un falso da un autentico. Falso supposto, beninteso, nel caso in cui il rivenditore cerchi di sostenere 1'originalità del mobile che sta per vendere ben conoscendo 1'assenza, totale o parziale, dei più elementari requisiti di autenticità. E c'è da aggiungere la questione dei materiali accessori. L'abitudine a ritenere che nei mobili di un tempo la congiunzione delle loro diverse parti avvenisse tramite pioli lignei (elementi cilindrici appuntiti a una o a tutte e due le estremità).. Le caratteristiche dei chiodi di ferro, sono la testa grossa e il gambo a sezione piramidale prolungata. Venivano adoperati al posto dei pioli in legno per realizzare meglio la perfetta geometria di un incastro in sostituzione delle incastrature (frammenti in legno a forma di coda di rondine), molto meno precise nel far combaciare i diversi elementi di un mobile. Chiodi nel modo antico o vecchio vengono prodotti regolarmente dalle industrie dei nostri anni e, come per le serrature, i chiavistelli, i cardini, le maniglie, le chiavi imitati da epoche lontane, vengono adoperati solo per evitare in un mobile d'imitazione o in un restauro una impressione sgradevole di eccessiva modernità. L'autenticità di questi "accessori" è identificabile, in prevalenza, dalla ruggine che intacca il metallo con il trascorrere del tempo. La produzione attuale di modelli antichi non sembra però avere intenzion 
i fraudolente; essa serve infatti, quasi unicamente, a sostituire "pezzi" consumati e non riutilizzabili di un mobile d'epoca o di un mobile di recente fabbricazione artigianale che è dichiaratamente "in stile". 
 
Abbiamo citato 1'esempio dei mobili barocchi realizzati durante il II Impero e il primo Eclettico, nell'800. Abbiamo detto della loro perfezione, capace di ingannare anche 1'occhio più esperto, e tuttavia non possiamo parlare di falsi. Si tratta semplicemente di mobili ritardatari. Sempre alla stessa categoria appartengono i Maggiolini e i Neoclassici, che nel secolo scorso continuarono a essere fabbricati anche oltre gli anni Cinquanta. In tutti questi, come in altri casi, la possibilità di distinguere 1'originale dal modello si può affidare esclusivamente a criteri estetici, poiché è ben difficile che 1'artigiano che ripete un mobile d'epoca precedente riesca a tradurre, nel proprio manufatto, 1'estro, 1'invenzione, 1'eleganza del mobile preso a prestito dal passato. Solo su questa base gli eccessi di doratura, di pesantezza degli intagli, 1'approssimazione degli intarsi possono fornire elementi probanti su una più precisa datazione del mobile. Altro fattore, quasi decisivo, è la scoperta dei segni degli strumenti usati per la lavorazione: la differenza, per esempio, fra la traccia lasciata da una sega elettrica rispetto a quella lasciata da una sega a mano; la piallatura meccanizzata al posto della pialla a mano ecc. 
 
Non c'è invece da fidarsi dell'esame dello stato di conservazione delle parti più esposte del mobile (fianchi, angoli) e dei fondi dei cassetti, se non si conoscono le cadenze dei restauri che esso ha subito. 
 
Il "vero" falso, che ha fini prevalenti di lucro, si ha quando 1'artigiano abbandona gli strumenti meccanici e ricorre a quelli manuali per lavorare legni vecchi o antichi ricavati dal saccheggio, abbastanza frequente nell'800, oppure dal riciclaggio di pavimenti, travi da costruzione, fasciame marino ecc., e utilizza chiodi, serrature, chiavi, bronzi, cardini provenienti da vecchie demolizioni. Quando le colle adoperate sono di provenienza animale, sciolte in un tegame al fuoco e 1'uso della vernice si ottiene dalla cera d'api. Il falso in questo caso è totale, in Italia peraltro assai raro. 
 
Esiste poi un falso parziale: sportelli antichi che diventano intere credenze, ante di armadi completati da un fondo e da fianchi che in precedenza non c'erano, strutture autentiche di scrivanie, e tavoli che hanno il piano parzialmente o totalmente rifatto, sempre con materiale di riporto; come per le batterie da dodici, ridotte a sei per sostituire le parti integre di quelle meno compromesse con quelle integre delle sedie da maggiormente rovinate. 
 
La casistica, a questo riguardo, è vastissima e si potrebbe andare avanti all’infinito. In linea di massima la falsificazione è valutabile esclusivamente in proporzione agli interventi che sono stati eseguito. 
 
Certo che, se intorno a un frammento si ricostruisce un intero mobile, la proporzione del rifacimento è tale che non si può certo parlare di autentico mobile d’epoca. Questo vezzo fu molto diffuso, nel secolo scorso, fra gli artigiani toscani e umbri e di Venezia. In ciò che concerne il mobile laccato del ‘700, si rifecero in quel tempo, con ragguardevole perizia, interi arredamenti "in stile" negli stili più disparati, facendoli passare per autentici. Era una produzione destinata in prevalenza all’estero che curiosamente, con un’onda di inoltrato; qui da noi l’inganno (in certi casi autentiche truffe) venne fatalmente smascherato. 
 
Non si possono infine considerare falsi quei mobili nati sotto la spinta di una accertata volontà di ritorno a concezioni stilistiche precedenti, per un reale bisogno di riscoprire i valori non solo materiali ma anche spirituali del passato. Essi non appartengono neanche ai manufatti ritardatari o in stile, bensì ad uno stile nuovo. Ci riferiamo al Neogotico, al Neorinascimentale, al Neorococò, al Neobarocco, al Neomoresco, spesso fusi insieme durante il periodo Eclettico. 
 
Ma come riconoscere i falsi? Una ricetta francamente non c’è, tre sono le condizioni indispensabili per evitare le beffe più grossolane e le vere e proprie truffe: il gusto, la cultura e la modestia. 
 
La cultura. Una infarinatura culturale generale, la conoscenza della storia, dell’evoluzione del pensiero delle mode, delle arti figurative sono essenziali per acquistare gli strumenti indispensabili per poter valutare e collocare un mobile nella giusta epoca. Difficile capire il Neoclassico, l’Impero e, prima ancora, il Barocco italiano senza conoscere la Controriforma, l’illuminismo, le vicende di Napoleone Bonaparte. Occorre pertanto una buona base culturale per riconoscere il "giusto" dal "posticcio", vale a dire gli elementi inseriti o sovrapposti dall’artigiano che, talvolta inconsapovolmente, tramite la giustapposizione di strutture e decorazioni eterogenee fra di loro, finiva o finisce con il perpetrare un falso. Il senso naturale del bello e della fantasia che animavano gli artigiani di una volta, in quanto individui che ragionavano con la loro testa con un bel patrimonio di estro e di abilità, sono identificabili solo attraverso questo primo e fondamentale tramite. 
 
Il gusto. È qualcosa di innato. C’è chi ne è provvisto e c’è chi non ce l’ha proprio. Non ha caso un mobile antico, se non è stato costruito con quattro assi, presenta un’armonia di linee, una eleganza di proporzioni, un rapporto di convivenza fra forma e funzione che un falsario difficilmente riesce a ripetere senza stonature. 
 
Con l’aiuto di un esperto, di un antiquario di valore, il "buongustaio" ci sia concessa la volgarizzazione, può rapidamente individuare le manipolazioni, le ricomposizioni che un mobile ha subito. Chi ha gusto non inciamperà in soverchi problemi. Chi non ne ha è meglio che rinunci a un mobile, a un arredamento antico e ricorra al più facile arredamento moderno. È fin troppo ovvio dire che l’affinamento del gusto va di pari passo con lo sviluppo di una cultura generale. 
 
L’umiltà o modestia. Visto che non esistono formule magiche per fare di un incompetente un esperto, diremo che un ottimo principio per farsi l’occhio sui diversi stili è quello di prendere confidenza con gli arredi esposti nei musei, palazzi storici, dimore patrizie aperte alla visione del pubblico. Frequentare le grandi esposizioni antiquarie, corredate da cataloghi illustrati da esperti e iconograficamente quasi perfetti grazie all’alto livello raggiunto ai tempi nostri dalle tecnologie tipografiche. Spesso il potenziale acquirente di un mobile antico suppone di saperne di più dell’antiquario o del mercante che glielo vende. Con discutibile furbizia mira a "combinare l’affare" e, per questo motivo, paga il prezzo della propria presunzione. I pentimenti tardivi sono, in evenienze siffatte, del tutto fuori luogo. Nell’incertezza è meglio affidarsi a un esperto di fiducia per evitare il più classico dei "bidoni". 
 
L'argomento, in effetti, non sarebbe esaurito. Interessante sarebbe che, da queste considerazioni, il riuscisse a capire che all'antiquariato, nella più vasta accezione del termine, e al mobile antico, compreso quello dell'800, non è mai il caso di avvicinarsi con ottusa faciloneria. L'arte di arrangiarsi da soli è una pessima consigliera alla quale, in qualunque caso, è preferibile il consiglio di chi se ne intende per evitare equivoci, malintesi, recriminazioni che inevitabilmente imboccano le strade della disillusione, del disgusto, dello scambio di "carte bollate", che difficilmente risolvono le questioni. E tutto questo accade, è accaduto e può succedere a causa della mancata applicazione dei codici più elementari del buonsenso. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
                               LA STORIA E I PERSONAGGI 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
Richelieu morì nel 1642 e Luigi XIII l'anno seguente, lasciando il trono al figlio di cinque anni, Luigi XIV. Il protetto e successore di Richelieu, il cardinale Giulio Mazzarino, continuò la politica del suo predecessore concludendo vittoriosamente la guerra con gli Asburgo e sconfiggendo all'interno il primo sforzo coordinato di nobili e borghesi di rovesciare la concentrazione di potere nelle mani del re operata da Richelieu. 
 
Dal 1648 al 1653 il paese fu sconvolto da due moti rivoluzionari, la Fronda parlamentare e quella dei principi; in seguito scoppiò una rivolta di nobili ribelli nel sud e, prima che la ribellione venisse sedata, altre zone della Francia furono nuovamente sconvolte dalla guerra civile. 
 
Dopo la morte del cardinale Mazzarino (1661), per i 54 anni che seguirono Luigi XIV governò la Francia senza intermediari, divenendo il modello del monarca assoluto per diritto divino .Egli istituì vari consigli che lo assistevano e ne attuavano le disposizioni, composti da uomini capaci e dipendenti dal sovrano; mise a tacere le pretese di un diritto di veto sui decreti regi avanzate dai parlamenti; la nobiltà, che rappresentava un potenziale pericolo, fu legata alla corte attraverso il conferimento di incarichi prestigiosi, ma di puro valore formale. La ricca borghesia trovò soddisfazione dal punto di vista politico nel mantenimento dell'ordine interno assicurato dallo stato, nel sostegno attivo al commercio e all'industria in patria e nelle colonie (grazie soprattutto al ministro delle Finanze Jean-Baptiste Colbert, massimo esponente del mercantilismo dell'epoca), e nelle opportunità di arricchirsi attraverso le spese dello stato. 
 
Il potere di nominare i vescovi assicurò a Luigi XIV un saldo controllo sulla gerarchia ecclesiastica. Il sovrano regnava in qualità di rappresentante di Dio in terra, ottenendo da un clero compiacente la giustificazione teologica del suo diritto divino: l'unica voce dissidente, quella dei giansenisti, venne duramente combattuta dal re. 
 
Nel 1685, con la revoca dell'editto di Nantes, il sovrano causò un serio danno all'economia nazionale; l'esodo di migliaia di protestanti, tra cui artigiani, intellettuali e ufficiali dell'esercito, rappresentò infatti una grave perdita per il paese. Sul versante della politica estera, Luigi impegnò il paese in quattro costose guerre, tutte intese a contenere e ridurre la potenza degli Asburgo, e a rafforzare la difesa della Francia estendendone i confini. Nel 1667, in virtù del suo matrimonio con Maria Teresa, figlia di Filippo IV di Spagna, rivendicò il dominio sui Paesi Bassi spagnoli, che riuscì a ottenere solo parzialmente (vedi Guerra di devoluzione). 
 
Nel 1672, spinto da considerazioni di ordine strategico ed economico, attaccò l'Olanda, che tuttavia resistette per sei anni, concedendo alla fine solo la Franca Contea al confine orientale e una dozzina di città fortificate nel sud dei Paesi Bassi (vedi Pace di Nimega, 1678). 
 
La politica espansionistica del sovrano fu in seguito avallata dalla formula delle cosiddette dipendenze: egli annetté Strasburgo e altre città e feudi dell'Alsazia e del Lussemburgo. Una coalizione di potenze europee, la lega di Augusta (vedi Grande Alleanza), mosse guerra alla Francia, con il sostegno di Inghilterra, principati tedeschi e ducato di Savoia. Luigi XIV, sconfitto, dovette accettare la pace di Rijswijk. 
 
Tre anni dopo la conclusione della guerra, altri conflitti dinastici si profilarono all'orizzonte: Carlo II, re di Spagna, già malato e senza eredi diretti, un mese prima di morire designò suo successore il nipote di Luigi XIV, Filippo d'Angiò, il futuro Filippo V. Gli altri stati europei, temendo le conseguenze di un'ulteriore espansione del potere dei Borbone, si allearono per scongiurare tale possibilità. La guerra di successione spagnola che seguì durò tredici anni e si concluse con la conferma del dominio di Filippo V sulla Spagna e sulle sue colonie. Il 1° settembre 1715, dopo 73 anni di regno, Luigi XIV, il "re Sole", moriva a Versailles, lasciando come unico erede il nipote di cinque anni.  
 
 
 
La Francia nel XVIII secolo  
 
 
 
Luigi XV e il nipote, Luigi XVI, non ebbero le capacità necessarie ad adattare le istituzioni del paese alle mutate condizioni del XVIII secolo. La Francia fu in quest'epoca la più ricca e potente nazione del continente e il suo gusto e stile nell'architettura e nelle arti vennero imitati in tutto l'Occidente. Le idee politiche e sociali dei pensatori francesi ebbero grande influenza sugli altri paesi d'Europa e in America, e il francese si diffuse ovunque come lingua delle classi colte (vedi Illuminismo). 
 
Il secolo rappresentò un'epoca di straordinaria crescita economica: la popolazione salì da 21 milioni di abitanti nel 1700 a 28 milioni nel 1790, il reddito prodotto dall'agricoltura aumentò del 60%. La Francia era la principale potenza manifatturiera del mondo, possedeva il miglior sistema stradale d'Europa e una fiorente marina mercantile. Il reddito dei ceti più bassi, tuttavia, riusciva a malapena a tenere il passo con l'inflazione; la maggior parte dei contadini continuava a condurre un'esistenza miserabile, su cui gravava il fardello delle tasse. Da queste erano invece esentate le terre della nobiltà e del clero (circa il 35% dei terreni coltivati), così che lo stato stesso era di fatto escluso dalla nuova prosperità. Vari ministri che si succedettero a partire dagli anni Cinquanta del secolo tentarono di istituire un sistema fiscale equilibrato, ma la nobiltà di toga, che aveva ottenuto i propri titoli acquistandoli dalla Corona, guidò nei parlamenti l'opposizione alle iniziative del re, rivendicando il diritto di approvare i decreti regi al fine di difendere le libertà pubbliche contro il dispotismo del sovrano; in realtà essa difendeva i propri privilegi e auspicava il ritorno a un governo dell'aristocrazia. 
 
Tra gli intellettuali, l'opposizione alla monarchia fu invece guidata dai philosophes, sostenitori dell'esistenza di diritti naturali (vita, libertà, proprietà e autogoverno) e dell'idea che gli stati esistessero per garantire tali diritti: tali tesi erano assecondate soprattutto dalla borghesia che stava crescendo in numero, ricchezza e ambizione, e che aspirava a partecipare al governo della cosa pubblica. 
 
I problemi finanziari dello stato si aggravarono dopo il 1740 con la ripresa di pesanti conflitti (la guerra di successione austriaca e la guerra dei Sette anni), al termine dei quali la Francia perse la quasi totalità del suo vasto impero coloniale in America, in Africa e in India. Nel 1778 la Francia intervenne contro la Gran Bretagna nella guerra d'indipendenza americana, sperando di riconquistare le colonie perdute. Questa speranza fu tuttavia delusa e la partecipazione alla guerra accrebbe il già oneroso debito nazionale. 
 
Il giovane e indeciso Luigi XVI si trovò ad affrontare una crisi finanziaria sempre più grave. Dopo che tutti i programmi di riforma adottati dai suoi ministri vennero bloccati dai parlamenti e da un'improvvisata assemblea di notabili, nel maggio del 1788 il re esautorò gli organi di opposizione. Ebbe inizio un lungo braccio di ferro che si concluse con l'assenso del sovrano a convocare gli Stati Generali, l'antico organo rappresentativo che non si riuniva dal 1615. La seduta di apertura fu fissata per il mese di maggio 1789: la Rivoluzione francese era alle porte.  
 
 
 
La rivoluzione del 1789  
 
 
 
  
 
Il 5 maggio 1789 i deputati eletti agli Stati Generali si riunirono a Versailles; il 17 giugno i membri del Terzo Stato si autoproclamarono Assemblea nazionale costituente e invitarono gli altri stati a non separarsi prima di aver dato alla Francia una costituzione. 
 
Quando, nel mese di luglio, il governo tentò di sciogliere l'assemblea con la forza, il popolo di Parigi insorse e occupò la Bastiglia: il re fu costretto ad accettare l'Assemblea nazionale che, allarmata dal diffondersi nelle campagne di una rivolta di contadini, abolì tutti i diritti e i privilegi feudali, la nobiltà ereditaria e i titoli. 
 
L'Assemblea nazionale, i cui lavori durarono dal 1789 al 1791, provvide a riorganizzare la centralizzata struttura istituzionale della Francia con una nuova amministrazione provinciale e un nuovo sistema giudiziario, che rimisero il potere nelle mani di funzionari e giudici eletti localmente. La Costituzione adottata nel 1791 istituì un governo parlamentare con un sovrano ereditario e un'assemblea eletta per via indiretta da quei cittadini che potevano pagare le tasse, ma la monarchia costituzionale durò solo un anno, osteggiata dai repubblicani determinati a istituire una repubblica. Sullo sfondo delle sconfitte riportate nella guerra contro l'Austria e la Prussia iniziata nell'aprile del 1792, il 10 agosto 1792 un'insurrezione popolare portò all'elezione di una nuova assemblea costituente, la Convenzione nazionale, che nel settembre del 1792 proclamò la Prima repubblica francese. 
 
In una situazione di estrema instabilità, aggravata da una insurrezione realista in Vandea che portò a una vera e propria guerra civile, e dal conflitto con la vasta coalizione di stati europei promossa dall'Inghilterra contro la Francia rivoluzionaria (vedi Guerre napoleoniche), la Convenzione lasciò che il potere esecutivo si concentrasse nelle mani del Comitato di salute pubblica di sua emanazione, il quale, dominato dai radicali giacobini guidati da Robespierre, inaugurò un regime di terrore verso i nemici veri o presunti. Il re venne processato e giustiziato nel gennaio del 1793 e migliaia di nobili, ecclesiastici e cittadini comuni ne condivisero la sorte. 
 
Il Comitato stabilì il controllo dei prezzi, ordinò requisizioni e razionamenti e decretò la coscrizione obbligatoria; vennero inoltre organizzati e armati i nuovi eserciti di cittadini che in breve tempo rovesciarono le sorti della guerra. Riportata sotto controllo la ribellione interna, la Convenzione adottò una nuova Costituzione che affidava il potere esecutivo a un Direttorio di cinque persone, cui toccò il compito di governare la Francia per quattro difficili anni, minacciato a destra dai realisti desiderosi di restaurare la monarchia e a sinistra dai continui scontri che miravano a imporre la democrazia. A sbloccare la situazione intervenne il colpo di stato del giovane generale Napoleone Bonaparte: nel novembre del 1799 questi rovesciò il Direttorio e il mese seguente istituì il Consolato. 
 
 
 
  
 
Il Consolato e l'impero  
 
 
 
Napoleone divenne ben presto capo assoluto dello stato e del paese. La nuova Costituzione, da lui delineata, assegnava tutti i poteri essenziali alla carica che egli rivestiva, quella di Primo Console. Forte delle vittorie militari in Italia e in Germania meridionale, che costrinsero alla resa prima l'Austria (pace di Lunéville, 1801) e poi la Gran Bretagna (pace di Amiens, 1802), Bonaparte cercò di pacificare la Francia, di sanare le ferite della Rivoluzione, di riconciliare i vecchi nemici, di creare e consolidare le istituzioni di un governo stabile e di chiudere il lungo conflitto con la Chiesa negoziando con papa Pio VII il Concordato del 1801. Il codice napoleonico, che stabiliva la struttura giuridico-amministrativa dello stato, esercitò una influenza decisiva sull'evoluzione di tutta l'Europa continentale, divenendo un modello da imitare. 
 
Nel 1804 Napoleone proclamò l'impero francese e si autoincoronò imperatore. Nel 1805 riprese la guerra e, sconfiggendo l'Austria, la Prussia e la Russia, impose il suo dominio su quasi tutta l'Europa; la sola a resistere, dopo avere sconfitto la flotta francese a Trafalgar, fu la Gran Bretagna. Il tentativo di farla capitolare con il blocco continentale condusse Napoleone a intraprendere azioni che si sarebbero rivelate fatali all'impero: la guerra in Spagna e l'invasione della Russia. 
 
Dopo la disfatta dell'esercito francese in Russia nel 1812, gli stati europei opposero una nuova coalizione (la sesta): nel giro di due anni e dopo ripetute sconfitte, Napoleone fu costretto ad abdicare (aprile 1814). A maggio il conte di Provenza, fratello di re Luigi XVI, tornò a Parigi col titolo di Luigi XVIII, ma ben presto il suo regime sollevò grande risentimento popolare in Francia, mentre le potenze vincitrici si trovarono in contrasto nel tentativo di ridisegnare la carta dell'Europa. Sfruttando questi sviluppi, nel marzo del 1815 Napoleone rientrò in Francia dal suo esilio nell'isola d'Elba e col sostegno dell'esercito si reinsediò al comando dell'impero. I regnanti europei riunirono i loro eserciti e il 18 giugno 1815, a Waterloo, sconfissero definitivamente l'esercito imperiale. Napoleone si arrese agli inglesi e fu deportato nell'isola di Sant'Elena, nell'Atlantico meridionale, dove morì nel 1821. Il re ritornò a Parigi e la monarchia borbonica venne nuovamente restaurata. Vedi anche Guerre napoleoniche. 
 
 
 
La monarchia costituzionale  
 
 
 
Luigi XVIII concesse una carta costituzionale (1814) che istituiva una monarchia parlamentare e riaffermava le riforme sociali contenute nei codici napoleonici. Il regime era rappresentativo, ma non democratico, essendo il diritto di voto limitato a meno di 100.000 grandi possidenti. 
 
Il paese aveva accettato il ritorno di Napoleone senza entusiasmo e, dopo la sua sconfitta a Waterloo, accettò Luigi XVIII senza proteste. Con la seconda Restaurazione si scatenò un'ondata di vendette sanguinarie contro bonapartisti e repubblicani. Le prime elezioni parlamentari del 1815 sancirono la vittoria di una maggioranza reazionaria ultrarealista alla Camera, che il re sciolse nel giro di un anno dietro pressione delle potenze alleate timorose di nuove insurrezioni. In una nuova consultazione gli elettori si espressero in favore dei realisti moderati. L'occupazione straniera terminò nel 1818 e la Francia fu riammessa nel concerto delle grandi potenze. Agli anni di governo dei moderati fece seguito, dopo l'assassinio dell'erede al trono nel 1820, un regime ultrarealista, rafforzato dall'ascesa al trono del fratello di Luigi XVIII, Carlo X, nel 1824.  
 
 
 
La monarchia di Luglio  
 
 
 
Problemi economici portarono alle elezioni generali che nel 1827 sancirono la vittoria di una maggioranza liberale. Nell'agosto del 1829 Carlo nominò un Gabinetto ultrarealista inviso ai deputati liberali e alla stampa. Quando la maggioranza della Camera dei deputati, nel marzo del 1830, chiese la sostituzione del Gabinetto, il re sciolse la Camera e indisse nuove elezioni: di fronte al loro risultato, che confermava la maggioranza, il 26 luglio 1830 il re emanò una serie di ordinanze con cui venivano indette nuove elezioni, si riduceva il numero degli elettori e la libertà di stampa subiva forti restrizioni. Giornalisti e deputati liberali denunciarono una violazione della Costituzione e i lavoratori parigini si schierarono al loro fianco: dopo tre giorni di scontri e disordini, il re fu costretto ad abdicare (vedi Rivoluzione di luglio). I deputati proclamarono re Luigi Filippo, duca di Orléans, capostipite del ramo più giovane della famiglia dei Borboni. La Costituzione subì una revisione in senso più liberale, eliminando il potere regio di emanare ordinanze ed estendendo leggermente il diritto di voto. 
 
La monarchia di Luglio, il regime di Luigi Filippo, fu dominata dai proprietari terrieri e da pochi ricchi banchieri e uomini d'affari. I primi cinque anni furono scossi da rivolte e insurrezioni di repubblicani delusi e lavoratori urbani impoveriti, ma entro il 1835 il regime si consolidò. La crescita della produzione industriale accelerò dopo il 1840, favorita anche dalla costruzione di una rete ferroviaria nazionale: in pochi decenni la Francia, da paese agrario, si trasformò in una nazione industriale. Nei cinque anni che seguirono il 1846 la popolazione rurale diminuì per la prima volta nel secolo, mentre crebbero le migrazioni verso le città.  
 
 
 
  
 
La rivoluzione del 1848  
 
 
 
Luigi Filippo e i suoi ministri si opposero alle richieste di una riforma radicale delle istituzioni politiche nazionali per adattarle all'evoluzione dell'economia e della società; in particolare ciò che si invocava era soprattutto un forte allargamento del diritto di voto. L'inflessibilità del governo e una grave crisi economica nel 1846 e nel 1847 minarono il consenso al regime. Nel febbraio del 1848 il tentativo del governo di impedire una dimostrazione dei repubblicani diede origine a una serie di scontri che sfociarono in una rivoluzione. Luigi Filippo abdicò il 24 febbraio, e un gruppo di capi repubblicani formò un governo provvisorio, proclamando la Seconda repubblica francese.  
 
 
 
La Seconda repubblica e il Secondo impero  
 
 
 
Nei primi quattro mesi della Seconda repubblica i repubblicani moderati, che miravano unicamente a un cambiamento politico, e i repubblicani radicali, che volevano anche le riforme sociali, si contesero il controllo del paese. In aprile le elezioni favorirono una maggioranza di moderati e conservatori all'Assemblea costituente, le cui misure contro i radicali scatenarono una nuova insurrezione in giugno, con altri tre giorni di scontri sanguinosi a Parigi: ciò creò nella borghesia un timore del radicalismo operaio che avrebbe condizionato la politica francese per il quarto di secolo seguente. 
 
La Costituzione adottata nel novembre del 1848 istituì una repubblica presidenziale con un'unica assemblea legislativa, con elezione a suffragio universale maschile sia del presidente sia dell'assemblea. Luigi Napoleone Bonaparte, nipote dell'ex imperatore, divenne presidente con un grande consenso elettorale. La forza crescente dei repubblicani radicali, che avevano ottenuto un terzo dei seggi, allarmò la piccola e grande borghesia. Luigi Napoleone, ponendosi come il difensore della nazione dal pericolo della rivoluzione radicale, concentrò il potere nelle sue mani con un colpo di stato il 2 dicembre 1851 e diede alla Francia una nuova Costituzione. Un anno dopo restaurò l'impero e assunse il titolo di Napoleone III (il figlio di Napoleone I, Napoleone II, non aveva mai regnato). 
 
Fino al 1860 Napoleone III governò la Francia come un sovrano assoluto, ma in seguito cominciò a trasferire il potere agli organi rappresentativi così che, nel 1870, il paese tornò a essere una monarchia parlamentare con un Gabinetto responsabile. 
 
Sotto il Secondo impero riprese lo sviluppo economico del paese, favorito dall'istituzione di nuove banche e di un sistema di credito nazionale, da accordi commerciali con la Gran Bretagna e con altri paesi che rivitalizzarono l'industria, e da un vasto programma di opere pubbliche. Il volto di Parigi fu trasformato con la realizzazione di ampi boulevards attraverso i quartieri centrali, la creazione di grandi parchi e la costruzione di edifici pubblici. 
 
Diversamente, in politica estera, gli unici successi del sovrano furono la vittoria contro la Russia nella guerra di Crimea e la convocazione della conferenza di pace di Parigi. Nel 1859 l'appoggio al Piemonte nella seconda guerra d'indipendenza italiana contro l'Austria rese possibile l'unificazione dell'Italia e valse alla Francia Nizza e la Savoia, ma al prezzo di un nuovo e più potente vicino lungo il confine sudorientale. Tra il 1862 e il 1866, il tentativo di fondare un impero in Messico sotto protettorato francese, sostenuto da una forza di spedizione di 30.000 uomini, si concluse in un disastro (vedi Massimiliano d'Asburgo). La vittoria decisiva della Prussia sull'Austria nel 1866 (vedi Guerra austro-prussiana) rovesciò l'equilibrio dei poteri europei a tutto svantaggio della Francia che non ottenne alcun compenso a fronte dell'espansione territoriale e della crescita del potere prussiano.  
 
 
 
La guerra franco-prussiana  
 
 
 
Nel luglio del 1870 il primo ministro prussiano Otto von Bismarck (appoggiando un Hohenzollern al trono di Spagna) fece in modo di provocare una dichiarazione di guerra da parte della Francia, sconfiggendo in breve tempo l'esercito di Napoleone a Sedan (vedi Guerra franco-prussiana). Quando la notizia giunse a Parigi il 4 settembre, gruppi di cittadini proclamarono la repubblica sotto un governo di difesa nazionale per continuare la guerra. Nel gennaio del 1871, quando Parigi ebbe quasi esaurito le scorte alimentari e la sconfitta militare sembrava ormai irreparabile, il governo francese capitolò. Bismarck concesse un armistizio di tre settimane per l'elezione di un'Assemblea nazionale con il potere di concludere la pace. Questa approvò un accordo con cui la Francia era tenuta a cedere alla Germania l'Alsazia e un terzo della Lorena, a pagare un'indennità di 5 miliardi di franchi e a sottomettersi all'occupazione militare fino al completo pagamento. 
 
 
 
  
 
La Terza repubblica  
 
 
 
  
 
L'esito disastroso della guerra e il timore di una restaurazione monarchica scatenarono una reazione popolare contro il governo. Nel marzo del 1871 scoppiò una rivolta di repubblicani radicali che istituirono un governo municipale indipendente socialista e rivoluzionario, la Comune di Parigi. Due mesi dopo truppe inviate dal governo riconquistarono la città in una settimana di scontri sanguinosi, la cui eredità avrebbe avvelenato la politica francese per un'intera generazione. 
 
La maggioranza realista all'Assemblea mirava a restaurare la monarchia, ma non riuscì a risolvere i dissidi sorti al suo interno tra i pretendenti al trono dei Borboni e degli Orléans; nel 1875 i repubblicani ottennero i voti sufficienti per far approvare una Costituzione repubblicana. Nei trent'anni seguenti la Francia dovette affrontare minacce ricorrenti contro la repubblica, quali il tentativo di colpo di stato di monarchici, bonapartisti e nazionalisti che si erano raccolti intorno al generale Georges Boulanger. 
 
Ma ancor più grave fu la crisi che si profilò nei tardi anni Novanta, quando il paese si divise in seguito alla condanna di un ufficiale ebreo, Alfred Dreyfus, dichiarato colpevole di spionaggio per la Germania. I sostenitori di Dreyfus, in maggior parte repubblicani, affermavano che era stata commessa un'ingiustizia, mentre secondo i suoi oppositori la difesa dell'ufficiale screditava l'esercito e metteva in pericolo la sicurezza nazionale. Intorno a questi ultimi si raccolsero le forze anti-repubblicane: monarchici, nazionalisti, antisemiti e cattolici oltranzisti. I deputati repubblicani si unirono nel 1899 per formare il governo di difesa repubblicana che assolse Dreyfus, destituendo o destinando ad altre cariche gli ufficiali dell'esercito coinvolti, e che nel 1901 riprese l'attacco contro l'ingerenza clericale, che doveva sfociare nella legge sulla separazione tra Chiesa e Stato del 1905 (vedi Affare Dreyfus). 
 
I quattro decenni che seguirono il 1871 furono anni di crescita economica e di prosperità per la borghesia e i contadini, mentre la classe operaia versava in condizioni di grande ristrettezza economica. Le associazioni di lavoratori furono legalizzate nel 1884 ed emerse un movimento operaio, il sindacalismo rivoluzionario, sviluppatosi dalle teorie di Georges Sorel, che rifiutava l'azione politica in favore dell'azione diretta, attraverso scioperi e sabotaggi, per rovesciare la repubblica e il capitalismo. 
 
Nei decenni che seguirono la guerra franco-prussiana, la sicurezza nazionale rappresentò una preoccupazione costante. La Germania unita superava per industria pesante e popolazione la Francia, ormai isolata sul piano diplomatico. Seguendo l'esempio di Bismarck, il governo francese intraprese l'espansione coloniale, fondando un nuovo impero in Africa e in Asia, secondo solo all'impero britannico. Un raffreddamento nelle relazioni russo-tedesche portò nel 1893 alla conclusione di un'alleanza difensiva tra Francia e Russia (Duplice Intesa), in funzione antitedesca e antiaustriaca. Dieci anni dopo il timore della Germania spinse la Francia e la Gran Bretagna a dirimere le reciproche controversie coloniali e ad avviare consultazioni per operazioni militari e navali congiunte in Europa (Entente cordiale, 1904). Nel 1907 Francia, Russia e Gran Bretagna si unirono nella Triplice Intesa per contrastare la Triplice Alleanza di Germania, Austria-Ungheria e Italia. 
 
Lo scoppio della guerra nel 1914 fu anticipato da crisi ricorrenti nel 1905, 1908, 1911 e 1913. L'assassinio dell'erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando per mano di nazionalisti serbi nel luglio del 1914 fu il pretesto che fece precipitare gli eventi. Nonostante non avesse interessi diretti nei Balcani, la Francia appoggiò l'alleato russo, spinta da considerazioni di sicurezza nazionale. La Germania, in appoggio all'Austria-Ungheria sua alleata, dichiarò guerra alla Russia il 1° agosto e, di fronte al rifiuto francese di rimanere neutrale, due giorni dopo dichiarò guerra anche alla Francia.  
 
 
 
La prima guerra mondiale  
 
 
 
Quando la Francia entrò in guerra nell'agosto del 1914 il popolo francese si unì nella difesa del paese, mettendo da parte gli aspri conflitti sociali e politici dei decenni precedenti. Le armate tedesche avanzarono fino a pochi chilometri da Parigi prima di essere respinte nella battaglia della Marna, all'inizio di settembre. 
 
Nei quattro anni che seguirono, le operazioni militari sul fronte occidentale, essenzialmente tentativi di sfondare le linee di trincea nemiche e riprendere una guerra di movimento, ebbero un impressionante costo in vite umane. Alla fine del 1914 la Francia contava 300.000 morti e oltre 600.000 tra feriti, prigionieri o dispersi. Dopo l'esito disastroso dell'offensiva della primavera del 1917, tra le divisioni francesi si diffuse la diserzione, mentre nel paese crescevano i disagi prodotti dalla guerra, gli scioperi e le richieste di una negoziazione della pace. Il generale Henri-Philippe Pétain e un nuovo Gabinetto guidato da Georges Clemenceau riuscirono a mettere a tacere il disfattismo e a continuare la guerra. 
 
Nel luglio del 1918 gli Alleati sferrarono un'offensiva che costrinse il governo tedesco a chiedere la pace. L'11 novembre 1918 la Repubblica tedesca, appena proclamata, negoziò l'armistizio e il 28 giugno 1919 firmò il trattato di Versailles, con il quale la Francia riottenne l'Alsazia e la Lorena. L'esercito tedesco fu ridotto a 100.000 uomini, una striscia di territorio ampia 50 km sulla riva orientale del Reno fu smilitarizzata e la Germania acconsentì a pagare onerose riparazioni di guerra alla Francia. Questa uscì dalla guerra come la grande vincitrice continentale, ma a un prezzo impressionante: circa 1.400.000 uomini, un quarto di tutti i francesi tra i 18 e i 30 anni, vi persero la vita, e le regioni nordorientali ne uscirono devastate (vedi Prima guerra mondiale). 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
                        LUIGI XIV 
 
                                
 
Luigi XIV il Re Sole (Saint-Germain-en-Laye 1638 - Versailles 1715), re di Francia (1643-1715). Figlio di Luigi XIII e di Anna d'Austria, salì al trono all'età di cinque anni. Come sovrano esercitò sul paese un potere assoluto (sintetizzato nella celebre frase "L'Etat c'est moi", lo Stato sono io, che gli fu attribuita) e combatté numerose guerre per il predominio in Europa. Il suo regno, il più lungo nella storia europea (72 anni), fu caratterizzato da una grande fioritura delle arti e della cultura. 
 
 
 
I primi anni  
 
 
 
Nel 1643, alla morte del padre, il giovane principe salì al trono, prima sotto la reggenza della madre, alla quale dovette la propria educazione cattolica, e in seguito del cardinale Mazzarino, che lo iniziò all'arte del governo. Gli episodi della Fronda (due ribellioni contro la Corona scoppiate fra il 1648 e il 1653) furono un chiaro monito, per il sovrano, della necessità di ripristinare l'ordine nel paese e dell'urgenza di varare nuove riforme e lo resero profondamente diffidente nei confronti della nobiltà. Dopo la pace dei Pirenei (1659), nel 1660 Luigi sposò l'infanta Maria Teresa, sua cugina, figlia di Filippo IV di Spagna. 
 
Alla morte di Mazzarino (1661), il sovrano si rifiutò di nominare un primo ministro: decise infatti di governare da solo e scelse Jean-Baptiste Colbert come consulente finanziario, il quale sviluppò le manifatture, promosse l'esportazione e riorganizzò la flotta francese. Nonostante la giovanissima età, Luigi si dimostrò un ottimo sovrano. Creò due nuovi strumenti di potere: un corpo di diplomatici molto preparato e un esercito permanente. Dopo il 1682 si trasferì quasi definitivamente nella splendida reggia di Versailles, nei pressi di Parigi, che divenne celebre per la lussuosa vita di corte. 
 
 
 
Anni di grandi guerre  
 
 
 
In politica estera il Re Sole ebbe un unico grande obiettivo: affermare la potenza francese, consolidando le frontiere e ostacolando il potere degli Asburgo, che in passato avevano minacciato la Francia su due fronti attraverso il controllo della Spagna e della Germania. Nelle quattro guerre che combatté, Luigi seppe essere anche un valido comandante militare. Nel 1667, rivendicando i diritti di sua moglie (jus devolutionis) sui Paesi Bassi, condusse la guerra di devoluzione. I successi riportati dai francesi spinsero Inghilterra, Olanda e Svezia a unirsi contro la Francia e a trovare un accordo con la pace di Aquisgrana (1668). Nel 1672 Luigi spedì un'armata contro l'Olanda: per sei anni olandesi, spagnoli e austriaci, uniti in una grande coalizione, resistettero agli attacchi francesi. Con i trattati firmati a Nimega (1678) Luigi ottenne dagli spagnoli la Franca Contea e si appropriò di numerose fortezze nelle Fiandre. 
 
Mentre le sue truppe combattevano contro i protestanti olandesi, vietò la libertà di culto agli ugonotti (i protestanti francesi) e rafforzò il controllo sul clero cattolico. Nel 1685, determinato nel voler costringere gli ugonotti alla conversione, revocò la carta delle libertà, l'editto di Nantes, esiliando oltre 200.000 persone e scatenando la rivolta dei camisards. Sebbene approvata dai sudditi cattolici, la revoca dell'editto di Nantes scatenò l'opposizione dei protestanti di tutta Europa. 
 
Dopo la morte della regina Maria Teresa, nel 1683, Luigi aveva sposato in segreto Françoise d'Aubigné, conosciuta come Madame de Maintenon, con l'accordo che i suoi figli non avrebbero avuto alcun diritto al trono. Nel 1688 spedì un'armata in Renania rivendicando il Palatinato per la cognata Elisabetta Carlotta di Baviera e dando così inizio alla guerra della Lega di Augusta (1688-1697), che portò alla luce la debolezza dell'esercito francese. Nonostante la vittoria in Renania, la pace di Rijswijk (1697) segnò l'inizio del tramonto della monarchia francese. 
 
L'ultima impresa militare di Luigi XIV fu la guerra di successione spagnola (1701-1714), scoppiata quando al trono di Spagna ascese il nipote di Luigi, Filippo. Le truppe francesi, contrastate da un'alleanza fra le potenze europee, persero gran parte delle battaglie più importanti, ma riuscirono a ottenere il controllo della Spagna. La pace di Utrecht (1713), con cui molti possedimenti francesi in America settentrionale passarono all'Inghilterra, riconobbe Filippo come re di Spagna. Luigi XIV continuò a regnare fino al 1715: "Io parto, ma la Francia resta" fu la sua ultima frase prima di morire. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
Un grande mecenate  
 
 
 
  
 
Oltre alle glorie militari, Luigi XIV volle acquistare alla Francia meriti anche nel campo delle arti. Commedie di Molière e Racine furono rappresentate a corte, quadri dei maestri francesi decoravano le pareti dei palazzi reali e la musica di Jean-Baptiste Lully intratteneva gli ospiti del sovrano. La reggia di Versailles fu il palcoscenico ideale per la sua corte sontuosa. 
 
Sotto il suo regno furono fondate l'Accademia di pittura e scultura (1655), l'Accademia delle scienze (1666), l'Accademia di architettura (1671) e nel 1680 la Comédie Française. Per volontà del sovrano Parigi fu teatro di grandi opere architettoniche e urbanistiche: le mura medievali furono abbattute, fu costruito l'Hôtel des Invalides per i veterani, fu progettato il grande viale degli Champs-Élysées e fu ristrutturata la cattedrale di Notre-Dame. 
 
Durante il lunghissimo regno del Re Sole la Francia si impose come modello politico e burocratico per l'Europa assolutista del XVIII secolo.  
 
 
 
  
 
                                LUIGI XV 
 
 
 
Luigi XV (Versailles 1710-1774), re di Francia (1715-1774), pronipote di Luigi XIV, a cui succedette all'età di cinque anni. Cominciò a governare nel 1723, quando, diventato maggiorenne, subentrò al reggente Filippo II duca d'Orléans. Nel 1725, su consiglio del primo ministro Luigi Enrico di Borbone, nominato dallo stesso sovrano, sposò Maria Leszczynska, figlia di Stanislao I di Polonia. L'anno seguente nominò un nuovo primo ministro: il suo ex tutore, il cardinale André-Hercule de Fleury, che amministrò validamente la Francia per diciassette anni, fino alla morte. In seguito fu lo stesso Luigi a occuparsi del governo del paese, ma, scarsamente interessato alle faccende politiche, finì per subire la pressante influenza delle sue numerose amanti, in particolare della marchesa di Pompadour. 
 
La Francia entrò allora in un periodo di profonda decadenza, protrattosi fino alla crisi che sfociò nella Rivoluzione francese. Durante il regno di Luigi XV il paese venne coinvolto in tre guerre. La prima, la guerra di successione polacca, portò alla Francia la provincia di Lorena; la seconda, la guerra di successione austriaca, segnò l'inizio dei conflitti con la Gran Bretagna per il dominio coloniale in Asia e in America; la terza, la guerra dei Sette anni, costrinse la Francia, indebolita dalla corruzione e dalla cattiva amministrazione, a cedere gran parte dei domini coloniali agli inglesi, senza ottenere vantaggi politici o territoriali in Europa. 
 
La situazione cominciò a migliorare nel decennio 1760-1770, quando il governo passò nelle mani di un nuovo ministro, il duca di Choiseul, che però, forse a causa dell'ostilità della nuova amante del re, Marie-Jeanne Bécu du Barry, fu destituito. Nell'ultimo periodo del suo regno, Luigi collaborò con il cancelliere René de Maupeou, cercando di riformare l'inefficiente sistema fiscale. Nel 1771, i "parlamenti" o corti supreme, che si erano opposti alla riforma, furono esautorati e riorganizzati. Si adottarono alcuni provvedimenti per tassare la nobiltà e il clero, sino a quel momento esentati dalle imposte, ma tali misure furono abrogate dopo la morte del re. 
 
 
 
                                 
 
 
 
  
 
  
 
                                       LUIGI XVI 
 
 
 
Luigi XVI ( Versailles 1754 - Parigi 1793), re di Francia (1774-1792), detronizzato e poi decapitatoDurante la Rivoluzione francese . Nipote di Luigi. XV, divenne delfino di Francia (1765) in seguitoalla morte del padre e dei fratelli maggiori. Nel 1770 sposò Maria Antonietta, figlia di Maria  
 
Teresa d’Austria .Alla sua ascesa al trono, la Francia era gravata da debiti e impoverita da una esosa politi- 
 
ca fiscale. II sovrano cercò di ridurre le tasse e di introdurre riforme economiche e giudiziarie, tuttavia la sua manifesta debolezza di carattere e I'incapacità di tener testa alla nobilta ‘, contraria alle riforme, lo fecero ce-dere alle pressioni dei ceti privilegiati: dapprima licenziò il ministro delleFinanze Turgat, che cercava dì attuare una politica nnovatrice e centralizzatrice, e in seguito esautorò dallo stesso incarico sia il banchiere ginevrino Necker sia il controllore Calonne, che tentavano di introdurre una riforma fiscale. 
 
La crisi nel paese peggiorò e nel 1788 Luigi fu costretto a convocare gli StatiGenerali che si riunirono nei  
 
1789. Subito si produsse una frattura tra il re e i bue ordini del clero e della nobiltà da una parte e i rappresentanti del Terzo Stato , dall'altra, che si costituirono in Assemblea nazionale. Il 14 luglio 1789 la fol- 
 
la parigina prese d'assalto la Bastiglia e poco dopo imprigionò il re con la famiglia nel Palazzo delle Tuileries. Nel 1791 il sovrano, Maria Antonietta e I'unico figlio sopravvissuto tentarono di fuggire in Austria, ma furono catturati a Varennes e ricondotti a Parigi. Luigi dovette giurare fedeita’ alla nuova Costituzione, anche se segretamente continuo’ a manovrare contro la rivoluzione, sostenendo la corrente dei girondini favorevole al- 
 
la guerra contro I'Austria; nei suoi progetti, infatti, una sconfitta militare avrebbe favorito la sua restaurazione sul trono. Nel 1792, quando la Convenzione nazionale e proclamoì la repubblica, Luigi venne processato e condannato a morte come raditore; fu ghigliottinato il 21 gennaio 1793. 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
                                
 
 
 
  
 
RIVOLUZIONE FRANCESE 
 
 
 
Rivoluzione francese Successione di avvenimenti politici e sociali svoltisi in Francia tra il 1789 e il 1799, che ebbero come conseguenze principali la caduta della monarchia, il crollo dell'Ancien régime e l'istituzione della repubblica. 
 
Cause storiche della rivoluzione  
 
 
 
  
 
Crisi e conflitti si manifestarono con intensità crescente negli anni che precedettero il 1789, riconducibili innanzitutto alla debolezza e all'incoerenza del sistema istituzionale e all'organizzazione fiscale dello stato, fonte di iniquità che un'opinione pubblica sempre più avvertita denunciava, ma che la monarchia non era in grado di riformare. Il re Luigi XVI, salito al trono nel 1774, non poté mettere in atto le misure di cambiamento che la situazione richiedeva, per incapacità personale, ma ancor più per la resistenza dei ceti privilegiati. In molti settori della società era cresciuta l'avversione al re, alla corte, al regime assolutistico, alimentata anche dagli illuministi, dalle cui riflessioni, incentrate sui temi della libertà, della rappresentanza, dei diritti individuali, era scaturita una forte critica all'Ancien régime
 
Decisiva fu anche la formazione di quella che viene definita con il termine "opinione pubblica": nelle logge massoniche, nelle accademie letterarie, nelle società scientifiche, nelle redazioni dei giornali crescevano le voci dell'opposizione. Intorno al 1780 la situazione economica manifestò gravi problemi, derivanti principalmente dalla crisi finanziaria in cui si dibatteva lo stato. Il banchiere ginevrino Jacques Necker, controllore generale delle finanze dal 1776 al 1781, rese pubblica la situazione finanziaria della monarchia, proponendo una serie di risparmi sulla spesa che doveva colpire i privilegi nobiliari. Tale presa di posizione gli costò la carica per l'opposizione dell'alta nobiltà, della corte e dei parlamenti. Intanto nelle campagne cresceva il malcontento dei contadini, sottoposti a pesante tassazione e a un complesso di oneri signorili divenuto sempre più gravoso. 
 
Alle difficoltà strutturali si aggiunse la crisi congiunturale esplosa nel 1787 per un insieme di disastri meteorologici che causarono un forte calo della produzione cerealicola: ne seguì un'impennata dei prezzi sui mercati urbani. L'intreccio di questi fattori scatenò un'autentica carestia. 
 
Le riforme fallite  
 
 
 
Alla metà degli anni Ottanta il problema finanziario apparve in tutta la sua gravità, al punto che il nuovo controllore generale delle finanze, Charles-Alexandre de Calonne, convocò nel 1787 un'Assemblea di notabili per risolvere la questione, ma dovette ripiegare in un nulla di fatto di fronte alla reazione scatenata dai ceti privilegiati. Anche il suo successore, l'arcivescovo di Tolosa Étienne-Charles Loménie de Brienne, propose una nuova imposta fondiaria, a cui sarebbero stati assoggettati anche l'aristocrazia e il clero; i notabili riuniti a Versailles rifiutarono l'imposta e chiesero la convocazione dell'Assemblea degli Stati Generali, come unico organo competente a stabilire nuove forme di tassazione. Prima di rassegnare le dimissioni (agosto 1788), Loménie de Brienne comunicò la convocazione degli Stati Generali per il 1° maggio dell'anno seguente. 
 
Gli Stati Generali (assemblea formata da rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo Stato) non si riunivano dal 1614. La loro convocazione fece da cassa di risonanza a un grande dibattito che coinvolse tutta la nazione francese, preparandone la politicizzazione. In un clima psicologico di generale mobilitazione vennero redatti i cahiers de doléances (quaderni di lagnanze), redatti nel corso delle assemblee elettorali, che dovevano riportare al re le critiche e le richieste della società. Durante le elezioni, la Francia fu invasa da opuscoli che diffondevano idee illuministe. Necker, nuovamente nominato controllore generale, chiese di attribuire al Terzo Stato, cioè alla borghesia, tanti rappresentanti agli Stati Generali quanti erano quelli attribuiti al primo e al secondo stato insieme. 
 
Gli Stati Generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1789. Le delegazioni delle classi privilegiate si opposero immediatamente alle proposte di procedura elettorale avanzate dal Terzo Stato, che, essendo il gruppo più numeroso, con il sistema del voto individuale si sarebbe assicurato la maggioranza. Dopo sei settimane di stallo i rappresentanti del Terzo Stato, guidati da Emmanuel-Joseph Sieyès (autore del famoso pamphlet Che cos'è il Terzo Stato?) e dal conte Honoré-Gabriel de Mirabeau, in aperta sfida alla monarchia che sosteneva clero e nobiltà, si proclamarono Assemblea nazionale costituente, attribuendosi il potere esclusivo di legiferare in materia fiscale. Privata dal re della sala di riunione, l'Assemblea per tutta risposta si trasferì nella sala attigua (20 giugno), giurando che non si sarebbe sciolta senza aver redatto una Costituzione (giuramento della pallacorda). Divisioni interne fecero sì che anche molti rappresentanti del clero inferiore e alcuni nobili liberali si unissero al nuovo organo, tra i quali il marchese di Lafayette, che aveva guidato il corpo di spedizione francese in appoggio ai coloni inglesi in rivolta contro Londra.  
 
 
 
La rivolta  
 
 
 
Di fronte alle continue sfide ai suoi decreti e alla sedizione serpeggiante nell'esercito, il re capitolò e il 27 giugno ordinò a nobiltà e clero di unirsi ai rivoluzionari, che si proclamarono Assemblea costituente. Allo stesso tempo, cedendo alle pressioni della regina e del conte di Artois (il futuro Carlo X), Luigi XVI radunò alcuni reggimenti stranieri, più affidabili di quelli francesi, attorno a Parigi e a Versailles e licenziò nuovamente Necker. Di fronte al pericolo di un colpo di mano del re, il popolo parigino reagì con l'insurrezione e, dopo due giorni di tumulti, prese d'assalto la Bastiglia, il carcere simbolo del dispotismo reale (14 luglio 1789). Luigi XVI, impaurito dagli avvenimenti, decise il ritiro delle divisioni straniere e richiamò Necker. 
 
Alle due rivoluzioni sin lì scoppiate (quella politica degli Stati Generali e quella cittadina di Parigi) nell'estate del 1789 si aggiunse la rivoluzione contadina. Una serie di sollevazioni, indotte da un'ondata di panico collettivo conosciuta come "Grande paura", percorse le campagne francesi: furono saccheggiati e distrutti i castelli, segno questo della spinta antifeudale presente nei contadini ribelli. Per arginare l'agitazione l'Assemblea nazionale decretò l'abolizione dei diritti feudali (4 agosto 1789); furono quindi proibite la vendita delle cariche pubbliche e l'esenzione dalle tasse, mentre alla Chiesa cattolica fu tolto il diritto di prelevare le decime. 
 
Spaventati dagli eventi, il conte di Artois e altri reazionari lasciarono il paese, dando inizio alla migrazione dei nobili (réfugiés). Per timore che il popolo approfittasse ulteriormente del crollo del vecchio apparato amministrativo e passasse nuovamente all'azione, la borghesia parigina si affrettò a istituire un governo locale provvisorio (la Comune) e una milizia popolare (Guardia nazionale), comandata dal marchese di La Fayette. Un tricolore rosso, bianco e blu sostituì lo stendardo bianco dei Borbone, mentre anche nelle province si formavano municipalità borghesi e rurali e unità della Guardia nazionale. Luigi XVI, non potendo contenere la crescente rivolta, ritirò le truppe, richiamò Necker e legittimò le misure prese dalle autorità provvisorie.  
 
 
 
La Costituzione  
 
 
 
Sin dai suoi primi giorni l'Assemblea si dedicò alla redazione della Costituzione, nel cui preambolo, noto come Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (26 agosto 1789), i delegati formularono gli ideali rivoluzionari condensati poi nell'espressione "liberté, égalité, fraternité". Era la solenne proclamazione delle libertà fondamentali dell'individuo (di pensiero, di parola e di stampa), dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di ceto e dei principi democratici (divisione dei poteri, sovranità popolare, diritto all'istruzione). 
 
Nel frattempo il popolo, affamato e in fermento per le voci di una cospirazione monarchica, assediò inferocito il palazzo di Versailles (5-6 ottobre), costringendo la famiglia reale a riparare a Parigi con l'aiuto di La Fayette. L'episodio spinse alcuni conservatori, membri della Costituente, a seguire il re e a dare le dimissioni. L'obiettivo iniziale di una monarchia costituzionale venne mantenuto, anche se tra i membri dell'Assemblea cominciò a prevalere un certo radicalismo. 
 
Lo stato venne riorganizzato all'inizio del 1790: le province furono abolite e sostituite da dipartimenti dotati di organi amministrativi elettivi locali; i titoli nobiliari furono soppressi; si istituì il processo davanti alla giuria per atti criminali e si prospettarono fondamentali modifiche alle leggi. Alla crisi finanziaria l'Assemblea fece fronte con la confisca dei beni della Chiesa e quindi con l'emissione degli assignats (assegnati), ossia buoni del tesoro utilizzabili per l'acquisto del patrimonio ecclesiastico. 
 
La questione religiosa, intrecciata con quella finanziaria, fu al centro del dibattito nell'Assemblea, concluso nel luglio del 1790 con la Costituzione civile del clero che limitò notevolmente il potere della Chiesa cattolica: preti e vescovi sarebbero stati eletti da particolari assemblee e retribuiti dallo stato, al quale essi dovevano giurare fedeltà, mentre quasi tutti gli ordini monastici dovevano essere soppressi. 
 
Nei quindici mesi tra l'accettazione della prima stesura della Costituzione e il suo completamento mutarono gli equilibri di forze all'interno del movimento rivoluzionario, soprattutto a causa del clima di scontento e di sospetto diffuso tra le classi prive del diritto di voto, sempre più portate a soluzioni radicali. Questa tendenza, stimolata in tutta la Francia dai giacobini e a Parigi dai cordiglieri, si acuì alla notizia dei contatti tra la regina Maria Antonietta e il fratello, l'imperatore Leopoldo II d'Asburgo, che, come quasi tutti i regnanti d'Europa, aveva accolto i réfugiés e non nascondeva la propria ostilità di fronte agli avvenimenti francesi. Il sospetto popolare sulle attività della regina e sulla complicità del re trovò conferma il 21 giugno, quando la famiglia reale tentò di lasciare la Francia e fu catturata a Varennes. 
 
 
 
La crescita del radicalismo  
 
 
 
Il 17 luglio 1791 i repubblicani di Parigi si riunirono al Campo di Marte chiedendo la deposizione del sovrano. All'ordine di La Fayette, politicamente affiliato ai foglianti (monarchici moderati), la Guardia nazionale aprì il fuoco disperdendo i dimostranti. Lo spargimento di sangue acuì la frattura tra repubblicani e borghesia. Dopo aver sospeso Luigi XVI dalle sue funzioni, la maggioranza moderata della Costituente, temendo ulteriori disordini, reintegrò il re nella speranza di contenere le spinte radicali ed evitare l'intervento straniero. Il 14 settembre Luigi XVI giurò di appoggiare la Costituzione emendata. Due settimane dopo, con l'elezione della nuova legislatura autorizzata dalla Costituzione, l'Assemblea costituente fu sciolta. Nel frattempo, Leopoldo II e Federico Guglielmo II, re di Prussia, avevano emanato una dichiarazione congiunta contenente minacce di intervento armato contro la rivoluzione (27 agosto 1791).  
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
L'Assemblea legislativa  
 
 
 
  
 
La carta costituzionale della Francia fu approvata dopo lunghe discussioni il 4 settembre 1791; il 14 settembre il re giurò di rispettarla. Basando il diritto di suffragio sulla proprietà, la Costituzione limitò l'elettorato alla borghesia e alle classi più elevate. Il potere legislativo fu conferito a un'Assemblea composta da 745 membri da eleggere a suffragio indiretto. Sebbene il re detenesse il potere esecutivo, gli furono imposte rigide limitazioni: il suo veto aveva esclusivamente effetto sospensivo e all'Assemblea spettava il controllo sulla sua condotta negli affari esteri. 
 
L'Assemblea legislativa, riunitasi il 1° ottobre, era composta da nuovi membri (poiché i costituenti si erano dichiarati ineleggibili alla legislatura successiva) ed era divisa in fazioni le cui idee politiche erano ampiamente divergenti. La più moderata era quella dei foglianti, sostenitori della monarchia costituzionale prevista nella Costituzione del 1791; al centro si collocava la maggioranza (detta "Pianura"), senza un programma preciso, ma compatta nell'opposizione ai repubblicani, seduti a sinistra, distinti in girondini, che chiedevano la trasformazione della monarchia costituzionale in repubblica federale, e montagnardi (giacobini e cordiglieri, che occupavano i seggi più in alto, quelli appunto della "Montagna"), che propugnavano una repubblica fortemente centralizzata. Prima che queste differenze provocassero una grave frattura interna allo schieramento, i repubblicani riuscirono a far approvare alcune leggi importanti e severe misure contro gli ecclesiastici che rifiutavano il giuramento di fedeltà. 
 
Il veto del re a tali proposte creò una crisi che portò al potere i girondini, guidati da figure di prestigio quali Jacques-Pierre Brissot e l'ex marchese di Condorcet. I nuovi ministri, nonostante l'opposizione di Maximilien de Robespierre, capo dei giacobini, adottarono un atteggiamento ostile verso Federico Guglielmo II e Francesco II d'Asburgo (succeduto al padre Leopoldo II sul trono imperiale il 1° marzo 1792), principali protettori dei réfugiés e sostenitori della ribellione dei signori feudali alsaziani contro il governo rivoluzionario. La volontà di guerra si diffuse rapidamente sia tra i monarchici, che speravano di restaurare l'Ancien régime, sia tra i girondini, che volevano un trionfo decisivo sulle forze reazionarie nazionali ed estere. Il 20 aprile 1792 l'Assemblea legislativa dichiarò guerra all'Austria, affidandone la direzione al ministro Charles-François Dumouriez. 
 
 
 
La lotta per la libertà  
 
 
 
A causa degli errori commessi dagli alti comandi francesi, perlopiù monarchici, l'Austria riportò numerose vittorie nei Paesi Bassi austriaci. La conseguente invasione della Francia fece cadere il ministero Roland il 13 giugno e nella capitale scoppiarono disordini culminati nell'attacco alle Tuileries (20 giugno), la residenza reale. L'11 luglio i regni di Sardegna e Prussia entrarono in guerra contro la Francia e scattò l'emergenza nazionale; furono inviati rinforzi agli eserciti e a Parigi si raccolsero volontari da tutto il paese, tra cui il contingente di Marsiglia che arrivò cantando la Marseillaise. 
 
Lo scontento popolare nei confronti dei girondini, raccoltisi intorno al monarca, aumentò la tensione, che degenerò in insurrezione aperta quando il duca di Brunswick, che comandava l'esercito austroprussiano, minacciò di distruggere la capitale in caso di attentati contro la famiglia reale. Gli insorti assaltarono le Tuileries, massacrando le guardie del re, che si rifugiò nella sala dell'Assemblea legislativa; il sovrano fu sospeso e imprigionato, il governo parigino deposto e sostituito da un Consiglio esecutivo provvisorio dominato dai montagnardi di Georges Danton, che ben presto assunsero il controllo dell'Assemblea legislativa e indissero elezioni a suffragio universale maschile per istituire una nuova Convenzione costituente. 
 
Tra il 2 e il 7 settembre oltre 1000 sospetti traditori furono processati sommariamente e giustiziati nei cosiddetti "massacri di settembre", dettati dalla paura di presunti complotti per rovesciare il governo rivoluzionario. Il 20 settembre l'avanzata prussiana fu bloccata a Valmy. Il giorno seguente si riunì la nuova Convenzione nazionale, che proclamò l'abolizione della monarchia e la nascita della Prima Repubblica. Sebbene le principali fazioni, montagnardi e girondini, non avessero altri programmi comuni, non si sviluppò alcuna opposizione al decreto della Gironda che prometteva l'aiuto francese a tutti i popoli oppressi d'Europa, principio che di fatto avrebbe dato luogo a future annessioni. 
 
Mentre le truppe conseguivano nuove vittorie, conquistando Magonza, Francoforte sul Meno, Nizza, la Savoia e i Paesi Bassi austriaci, cresceva il conflitto all'interno della Convenzione, con la Pianura che oscillava tra i girondini conservatori e i montagnardi radicali, capeggiati da Robespierre, Marat e Danton. Fu approvata infine la proposta della Montagna di processare Luigi XVI per tradimento: il 15 gennaio 1793 il re fu dichiarato colpevole e il 21 gennaio ghigliottinato, provocando la reazione immediata delle corti europee. 
 
La mancanza di unità dei girondini durante il processo al re danneggiò il loro prestigio, e la loro influenza in seno alla Convenzione diminuì, anche in conseguenza delle sconfitte francesi contro l'Inghilterra e le Province Unite olandesi (1° febbraio 1793) e contro la Spagna (7 marzo), quest'ultima entrata con alcuni stati minori nella coalizione controrivoluzionaria. All'inizio di marzo la Convenzione approvò la coscrizione di 300.000 uomini, arruolati nei vari dipartimenti. Sfruttando la resistenza opposta dai contadini della Vandea, i monarchici e il clero li spinsero alla rivolta, dando inizio alla guerra civile che si diffuse rapidamente nei dipartimenti vicini. La sconfitta francese a Neerwinden, la guerra civile e l'avanzata delle forze straniere in Francia portarono a una frattura tra i girondini e i montagnardi, che sostenevano la necessità di un'azione radicale in difesa della rivoluzione. 
 
 
 
Il Terrore  
 
 
 
Il 6 aprile la Convenzione istituì un nuovo organo esecutivo della Repubblica, il Comitato di salute pubblica, e riorganizzò il Comitato di sicurezza generale e il Tribunale rivoluzionario, inviando inoltre funzionari nei singoli dipartimenti per sorvegliare l'applicazione della legge e requisire uomini e armi. Il conflitto tra girondini e montagnardi si acuì; nuovi tumulti scoppiati a Parigi, organizzati da estremisti radicali, costrinsero la Convenzione a ordinare l'arresto di 29 delegati e di due ministri girondini, così che da quel momento prevalse la fazione radicale del governo parigino. Il 24 giugno l'Assemblea promulgò una nuova Costituzione ancora più democratica (detta Costituzione dell'anno I), che però non entrò mai in vigore perché il testo fu completamente riformulato dai giacobini, passati il 10 luglio alla direzione del Comitato di salute pubblica. 
 
Tre giorni dopo, il radicale giacobino Jean-Paul Marat fu assassinato da Carlotta Corday, simpatizzante girondina; l'indignazione pubblica accrebbe notevolmente l'influenza giacobina. Il 27 luglio Robespierre entrò nel Comitato e ben presto ne assunse la guida: coadiuvato da Louis de Saint-Just, Lazare Carnot, Georges Couthon e altri, ricorse a misure estreme per schiacciare qualunque tendenza controrivoluzionaria. I poteri del Comitato vennero rinnovati mensilmente dall'Assemblea nel periodo noto come "il Terrore" (aprile 1793 - luglio 1794). 
 
In campo militare, la Repubblica dovette affrontare le potenze nemiche che avevano ripreso l'offensiva su tutti i fronti: Magonza era stata riconquistata dai prussiani, numerose città francesi erano cadute o si trovavano sotto assedio, gli insorti cattolici o monarchici controllavano buona parte della Vandea e della Bretagna, mentre Caen, Lione, Marsiglia e Bordeaux erano nelle mani dei girondini. Una nuova coscrizione chiamò alle armi tutta la popolazione maschile abile, 750.000 uomini che vennero divisi in quattordici eserciti. All'interno, l'opposizione veniva repressa duramente dal Comitato: il 16 ottobre fu giustiziata la regina Maria Antonietta e, due settimane dopo, ventuno girondini; migliaia di monarchici, ecclesiastici, girondini e altri, accusati di attività o simpatie controrivoluzionarie, furono processati e mandati al patibolo, per un totale di 2639 esecuzioni, di cui più della metà tra giugno e luglio del 1794. 
 
Il tribunale di Nantes condannò a morte oltre 8000 persone in tre mesi e in tutta la Francia si eseguirono quasi 17.000 pene capitali che, sommate ai morti nelle prigioni sovraffollate e malsane e ai rivoltosi uccisi sul campo, portarono le vittime del Terrore a circa 50.000. Non si fecero distinzioni: nobili, ecclesiastici, borghesi e soprattutto contadini e operai furono condannati come renitenti alla leva, disertori, ribelli o responsabili di altri crimini. Fu avviata una campagna di scristianizzazione, culminata con l'abolizione del calendario gregoriano, sostituito dal calendario repubblicano, che fu istituito nel 1793 ma reso retroattivo a partire dal 22 settembre 1792. 
 
Il Comitato di salute pubblica di Robespierre tentò di riformare la Francia secondo i concetti di umanitarismo, idealismo sociale e patriottismo; nello sforzo di istituire una "repubblica della virtù", si enfatizzò la devozione alla nazione e alla vittoria, combattendo corruzione e ribellione. Il 23 novembre 1793 il governo municipale di Parigi (la prima Comune, detta anche Comune rivoluzionaria), presto seguito in tutta la Francia, chiuse le chiese, iniziando la predicazione della religione rivoluzionaria nota come "culto della Dea Ragione". Ciò accrebbe la divisione tra i giacobini, guidati da Robespierre, e i seguaci dell'estremista Jacques-René Hébert, che costituivano una forza notevole alla Convenzione e nel governo parigino. 
 
Frattanto, la campagna contro la coalizione antifrancese raccoglieva vittorie e respingeva gli invasori; contemporaneamente il Comitato di salute pubblica schiacciava le insurrezioni di monarchici e girondini.  
 
 
 
La caduta di Robespierre  
 
 
 
Il conflitto tra il Comitato e gli estremisti si risolse con l'esecuzione di Hébert e altri radicali (24 marzo 1794); pochi giorni dopo (6 aprile) Robespierre fece giustiziare Danton e i suoi seguaci (i cosiddetti "indulgenti"), che cominciavano a chiedere la pace e la fine del Terrore. A causa di tali rappresaglie Robespierre perse l'appoggio di molti giacobini; si diffuse il rifiuto delle eccessive misure di sicurezza imposte dal Comitato e lo scontento generale si trasformò presto in una vera cospirazione: Robespierre, Saint-Just, Couthon e altri 98 loro sostenitori furono arrestati il 27 luglio (corrispondente al 9 termidoro dell'anno II) e giustiziati il giorno seguente. 
 
Sino alla fine del 1794 l'Assemblea fu dominata dal gruppo che aveva rovesciato Robespierre ponendo fine al Terrore: i club giacobini furono chiusi in tutta la Francia, vennero aboliti i tribunali rivoluzionari e abrogati alcuni decreti, tra cui quello che fissava il tetto massimo di prezzi e salari. Richiamati i girondini e altri delegati di destra espulsi, i termidoriani divennero fortemente reazionari, sicché nella primavera del 1795 ripresero tumulti e manifestazioni di protesta, duramente represse e seguite da rappresaglie contro i montagnardi. 
 
Nell'inverno del 1794 l'esercito francese invase i Paesi Bassi austriaci e le Province Unite, poi riorganizzate nella Repubblica Batava. La coalizione antifrancese si sgretolò: con il trattato di Basilea (5 aprile 1795) la Prussia e altri stati tedeschi stipularono la pace con la Francia; il 22 luglio si ritirò la Spagna e quindi solo Gran Bretagna, Sardegna e Austria rimasero in guerra con la Francia. Per quasi un anno però si ebbe una situazione di tregua: la fase successiva fu aperta dalle guerre napoleoniche. 
 
 
 
Il Direttorio  
 
 
 
La Convenzione nazionale redasse rapidamente una nuova Costituzione (Costituzione dell'anno III) che, approvata il 22 agosto 1795, conferiva il potere esecutivo a un Direttorio composto di cinque membri e quello legislativo a due camere, il Consiglio degli Anziani (250 membri) e il Consiglio dei Cinquecento. Il mandato di un membro del Direttorio e di un terzo del corpo legislativo doveva essere rinnovato annualmente a partire dal maggio 1797 e il voto era limitato ai contribuenti residenti da almeno un anno nel proprio distretto elettorale. La nuova Costituzione si allontanava dalla democrazia giacobina e, non indicando mezzi per risolvere i conflitti tra potere esecutivo e legislativo, pose le premesse per rivalità interne, colpi di stato e un'inefficace gestione degli affari interni. 
 
La Convenzione, sempre anticlericale e antimonarchica nonostante l'opposizione ai giacobini, creò una serie di garanzie contro la restaurazione della monarchia; decretò infatti che il Direttorio e due terzi del corpo legislativo fossero scelti tra i propri membri, suscitando così la violenta insurrezione dei monarchici (5 ottobre 1795). I disordini furono sedati dai soldati guidati dal generale Napoleone Bonaparte (il futuro Napoleone I). Il 26 ottobre cessarono i poteri della Convenzione, sostituita il 2 novembre dal governo previsto nella nuova Costituzione. 
 
Nonostante il contributo di abili statisti quali Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord e Joseph Fouché, il Direttorio dovette fronteggiare subito numerose difficoltà: sul fronte interno, l'eredità di un'acuta crisi finanziaria aggravata da una disastrosa svalutazione (99% circa) degli assignats, lo spirito giacobino ancora vivo tra le classi più povere, il proliferare tra i benestanti di agitatori monarchici che propugnavano la restaurazione; sul fronte internazionale, la questione aperta con il Sacro romano impero e l'assolutismo, costante minaccia alla rivoluzione, che ancora dominava quasi tutta l'Europa. I raggruppamenti politici borghesi, decisi a conservare il potere conquistato, presto scoprirono i vantaggi derivanti dal distogliere le masse dirottandone le energie in questioni militari.  
 
 
 
  
 
L'ascesa di Napoleone  
 
 
 
A circa cinque mesi dall'insediamento, il Direttorio aprì la prima fase (marzo 1796 - ottobre 1797) delle guerre napoleoniche. Tre colpi di stato, sconfitte militari nell'estate del 1799, difficoltà economiche e fermento sociale misero in grave pericolo la supremazia politica borghese. Gli attacchi della sinistra culminarono in un complotto del riformatore radicale François-Noël Babeuf, che chiedeva la distribuzione di terre e ricchezze. Il tradimento di un complice fece fallire l'insurrezione e Babeuf fu giustiziato il 28 maggio 1797. Un colpo di stato rovesciò il Direttorio (9 novembre 1799, corrispondente al 18 brumaio dell'anno VIII nel calendario repubblicano) e Napoleone Bonaparte, idolo popolare grazie alle sue recenti vittoriose campagne militari, salì al potere come Primo console, chiudendo il periodo "rivoluzionario". Il parziale fallimento della rivoluzione fu compensato dal suo dilagare in quasi tutta l'Europa.  
 
Cambiamenti portati dalla rivoluzione  
 
Il risultato immediato della rivoluzione fu l'abolizione della monarchia assoluta e dei privilegi feudali (vedi Feudalesimo): la servitù, i tributi e le decime furono soppressi; i grandi possedimenti vennero frazionati e si introdusse un principio equo di tassazione. Con la redistribuzione delle ricchezze e dei terreni, la Francia divenne il paese europeo con il maggior numero di piccoli proprietari terrieri indipendenti. A livello sociale ed economico, furono aboliti l'incarceramento per debiti e il diritto di primogenitura nell'eredità terriera, e venne introdotto il sistema metrico decimale. 
 
Napoleone portò a compimento alcune riforme avviate durante la rivoluzione: istituì la Banca di Francia, che era banca nazionale semi-indipendente e agente governativo in materia di valuta, prestiti e depositi pubblici; instaurò l'attuale sistema scolastico, centralizzato e laico; riorganizzò l'università e fondò l'Institut de France; stabilì l'assegnazione delle cattedre in base a esami aperti a tutti, senza distinzioni di nascita o reddito. 
 
La riforma delle leggi provinciali e locali fu incorporata nel Codice napoleonico (1804), che rispecchiava molti principi introdotti dalla rivoluzione: uguaglianza dei cittadini davanti alla legge; proibizione della detenzione arbitraria oltre il terzo giorno dall'arresto; regolarità processuale, che prevedeva un consiglio di giudici e una giuria; la presunzione di innocenza dell'accusato fino a prova contraria e il diritto alla difesa. In tema di religione, i principi di libertà di culto e di stampa, enunciati nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo, portarono a una maggiore libertà di coscienza e al godimento dei diritti civili per protestanti ed ebrei. Furono inoltre gettate le basi per la separazione tra Stato e Chiesa. 
 
Gli esiti teorici della Rivoluzione francese si condensano nei principi di "liberté, égalité, fraternité", che diventarono il vessillo per le riforme liberali in Francia e in Europa nel XIX secolo e sono tuttora i fondamenti della democrazia. Storici revisionisti, tuttavia, attribuiscono alla Rivoluzione francese risvolti meno positivi, traducibili in un sistema fortemente centralizzato e spesso totalitario, e in un concetto di guerra applicata su larga scala per coinvolgere intere nazioni. Altri tendono a sminuire la lotta di classe come elemento motore della rivoluzione, e a sottolineare l'importanza di fattori politici, culturali e ideologici. 
 
Direttorio (francese Directoire), organo del governo repubblicano francese, istituito nell'ottobre del 1795 in virtù della costituzione promulgata dalla Convenzione nazionale, e durato fino al novembre 1799. Il Direttorio era costituito da cinque membri, con potere esecutivo, eletti dal Consiglio degli anziani su una lista presentata dal Consiglio dei cinquecento, organismi che detenevano entrambi il potere legislativo. Ciascun presidente rimaneva in carica tre mesi e uno veniva sostituito annualmente. Ne fecero parte, tra gli altri, Paul Barras, Lazare-Nicolas Carnot, Joseph Fouché ed Emmanuel-Joseph Sieyès. In seguito a episodi di corruzione e incompetenza dell'organo collegiale, il governo dovette dichiarare la bancarotta agli inizi del 1796. I responsabili del Direttorio tentarono di ripristinare la situazione finanziaria attraverso conquiste militari all'estero e nominarono Napoleone Bonaparte comandante dell'esercito francese in Italia (vedi Guerre napoleoniche). Egli ottenne una serie di vittorie che gli procurarono fama e prestigio e, di ritorno dalla spedizione in Egitto, sciolse senza fatica un Direttorio sempre più debole al proprio interno, con il colpo di stato del 18 brumaio dell'Anno VIII, secondo il calendario repubblicano corrispondente al 9-10 novembre 1799. Seguì il periodo del Consolato. 
 
Stile direttorio Stile neoclassico applicato al design d'interni, all'arredamento e all'abbigliamento francese nel periodo del Direttorio (1795-1799), che segnò un momento di transizione tra il delicato stile Luigi XVI e l'austero stile impero. Si caratterizzava per la linearità e la semplicità delle linee, riprese dalla statuaria greca e dagli oggetti romani da poco rinvenuti negli scavi di Pompei ed Ercolano. L'abbigliamento femminile si distingueva per le lunghe tuniche drappeggiate e scollate a "V" e per le acconciature arricciate; quello maschile univa elementi antichi e contemporanei: lunghi soprabiti aperti, grandi stivali e cappelli a cilindro. 
 
Design d'interni Arredamento e decorazione, basati su considerazioni sia pratiche sia estetiche, di ambienti domestici o lavorativi. 
 
 
 
                                        
 
NAPOLEONE I 
 
 
 
Napoleone I (Ajaccio 1769 - Sant'Elena 1821), imperatore dei francesi (1804-1814; 1815) e re d'Italia (1805-1814). 
 
La giovinezza  
 
Secondo figlio dell'avvocato còrso Carlo Maria Buonaparte (Napoleone muterà il cognome in Bonaparte durante la campagna d'Italia) e di Letizia Ramolino, proveniva dalla piccola nobiltà locale che aveva seguito Pasquale Paoli nella sua lotta per l'autonomia dell'isola. Frequentò il collegio militare di Brienne, nella Champagne, per poi passare alla scuola militare di Parigi, dove ottenne il grado di sottotenente d'artiglieria (1785). Condivise gli ideali di libertà e di eguaglianza della Rivoluzione francese, al cui scoppio rientrò in Corsica, ricoprendo la carica di tenente colonnello della Guardia nazionale còrsa. Quando nel 1793 la Corsica dichiarò la propria indipendenza, Napoleone, considerato patriota francese e repubblicano, dovette rifugiarsi in Francia. Nominato comandante dell'artiglieria nell'esercito incaricato di sedare la rivolta scoppiata a Tolone contro la repubblica, si distinse nell'intervento che portò alla caduta della città, ottenendo la promozione a generale di brigata. Nel 1795 partecipò alla repressione della rivolta parigina contro il Direttorio e nel 1796, anno in cui sposò Giuseppina di Beauharnais, vedova di un aristocratico ghigliottinato durante la Rivoluzione, ottenne la nomina a comandante dell'armata d'Italia; il corso degli eventi bellici gli avrebbe permesso di salire rapidamente alla ribalta. 
 
 
 
La campagna d'Italia  
 
 
 
Pur con un esercito mal equipaggiato, Napoleone seppe far leva sullo spirito rivoluzionario e patriottico dei soldati e portò a effetto un'azione fulminea contro gli austro-piemontesi, sconfiggendoli a Cairo Montenotte, Lodi, Arcore e Rivoli, e costringendo così il Piemonte all'armistizio di Cherasco (28 aprile 1796). Conquistate Modena, Reggio, Bologna e Ferrara, che riunì nella Repubblica Cispadana (15 ottobre 1796), e presa Mantova, ultima fortezza austriaca (febbraio 1797), nella primavera del 1797 puntò su Vienna, ma la precarietà della situazione nel Veneto, dove gli austriaci fomentavano sollevazioni antifrancesi, lo indusse all'armistizio di Leoben (aprile 1797), poi sfociato nel trattato di Campoformio (17 ottobre 1797). L'accordo prevedeva che l'Austria entrasse in possesso dei territori della Repubblica di Venezia, mentre la Lombardia, gran parte dell'Emilia e della Romagna e i territori della Repubblica Cispadana furono uniti nella Repubblica Cisalpina. In seguito le truppe francesi invasero il Lazio e occuparono Roma, fondando la Repubblica Romana (15 febbraio 1798). La Repubblica Partenopea, proclamata il 23 gennaio 1799 dai giacobini napoletani, durò soltanto pochi mesi. Il territorio fu presto riconquistato dal re Ferdinando di Borbone, aiutato dalla flotta inglese e dalle bande di contadini sanfedisti assoldate dal cardinale Fabrizio Ruffo. 
 
 
 
Dal Consolato all'impero  
 
 
 
Rientrato a Parigi, Napoleone sfruttò le divisioni interne al Direttorio e, con l'aiuto di Sieyès, Talleyrand e Fouché, il 9-10 novembre 1799 (18-19 brumaio) attuò un colpo di stato, che portò all'instaurazione del Consolato. In qualità di primo console, emanò la Costituzione dell'anno VIII, in vigore dal 25 dicembre (4 nevoso) 1799, con la quale gli venivano attribuiti pieni poteri. Per ottenere l'appoggio degli ambienti cattolici stipulò con la Santa Sede il concordato del 16 luglio 1801, in base al quale il cattolicesimo veniva dichiarato la religione della maggioranza dei francesi e con cui si pose fine alle dispute con la Chiesa cattolica, sorte in seguito alla Rivoluzione. Sostenuto dagli elementi più filomonarchici del suo apparato, Napoleone si fece nominare console a vita (8 maggio 1802), carica legittimata il 2 agosto dello stesso anno attraverso il voto popolare. Il 18 maggio 1804 venne dal Senato proclamato imperatore ereditario con il nome di Napoleone I: l'atto fu sancito da un plebiscito popolare e seguito dall'incoronazione a Parigi, nella cattedrale di Notre-Dame, da parte del papa Pio VII (2 dicembre 1804). Raggiunta una pacificazione interna, l'imperatore rinnovò profondamente le strutture statali della Francia, riprendendo la politica centralizzatrice dell'Ancien Régime: rafforzò la burocrazia sia a livello nazionale sia a livello dipartimentale, individuando nella figura del prefetto, posto a capo del dipartimento, l'elemento fondamentale a garanzia dell'accentramento; semplificò il sistema giudiziario e riorganizzò il sistema scolastico con particolare attenzione alla scuola secondaria (fondamentale fu la nascita del liceo, che doveva formare la futura classe dirigente) e all'università. Ma la sua opera più significativa e duratura fu il Codice napoleonico, o codic 
e civile, promulgato il 21 marzo 1804 ed esteso a tutti i paesi annessi o controllati dalla Francia, che confermava le maggiori conquiste della Rivoluzione: l'uguaglianza giuridica, la libertà religiosa, il diritto di proprietà privata e la laicità dello stato. 
 
 
 
Napoleone in Europa  
 
 
 
Per assicurare alla Francia il controllo del Mediterraneo, Napoleone aveva intrapreso una spedizione in Egitto, controllato dai turchi. Dopo la sua vittoria nella battaglia delle Piramidi (21 luglio 1798) e la sua sconfitta ad Abukir a opera dell'ammiraglio inglese Horatio Nelson (1° agosto 1798), la campagna si concluse con la disfatta dell'esercito francese. Napoleone affrontò la seconda coalizione di Austria, Russia e altre potenze minori con la Gran Bretagna, sconfiggendo gli austriaci nella battaglia di Marengo (14 giugno 1800) e firmando con gli austriaci la pace di Lunéville (9 febbraio 1801) e con gli inglesi la pace di Amiens (27 marzo 1802), in base alle quali veniva confermata la sua conquista di parte della Germania, del Belgio e dell'Olanda. Agli inizi del 1805 si costituì la terza coalizione tra Inghilterra, Austria e Russia. Gli inglesi sconfissero la flotta francese a Trafalgar, nei pressi di Gibilterra (21 ottobre 1805), mentre i francesi riuscirono a riportare una vittoria ad Austerlitz sugli austro-russi (2 dicembre 1805), che condusse alla pace di Presburgo (26 dicembre 1805). Nel 1806 Napoleone s'impadronì del Regno di Napoli, insediando sul trono prima il fratello Giuseppe, poi il cognato Gioacchino Murat; trasformò poi la repubblica olandese in Regno d'Olanda, che affidò al fratello Luigi, e fondò la Confederazione del Reno, che riuniva gran parte degli stati tedeschi, ponendo fine al Sacro romano impero. La Prussia e la Russia alleate furono sconfitte rispettivamente a Jena, ad Auerstädt (ottobre 1806) e a Friedland (l'odierna Pravdinsk, in Lituania). Quando già era nata una quarta coalizione, Napoleone firmò con la Russia la pace di Tilsit (luglio 1807), che prevedeva una riduzione del territorio prussiano. Procedette quindi ad annettere all'impero frances 
e nuovi stati, tra i quali il Regno di Vestfalia, affidato al fratello Gerolamo, e il Granducato di Varsavia. Con il cosiddetto blocco continentale, Napoleone mirò a distruggere il commercio britannico, proibendo l'attracco di navi inglesi in Europa. Nel 1807 conquistò il Portogallo; nel 1808 pose sul trono di Spagna il fratello Giuseppe; nel 1809, battendo la quinta e la sesta coalizione, occupò Vienna, sconfisse gli austriaci a Wagram e procedette all'annessione dell'Illiria; l'anno successivo, dopo il divorzio da Giuseppina, sposò Maria Luisa d'Austria, da cui ebbe un figlio. Nel 1810 le frontiere dell'impero si ampliarono con l'annessione di Brema, Lubecca e di territori a nord della Germania. 
 
Napoleone si trovò a capo di un impero che si estendeva per 750.000 km2, da Brest ad Amburgo, da Amsterdam a Roma, e che contava circa 70 milioni di abitanti, cui si aggiungevano gli stati satelliti della Confederazione del Reno, la Svizzera, il Regno d'Italia, costituito il 26 maggio 1805, la Spagna, il Granducato di Varsavia. 
 
 
 
  
 
La caduta  
 
 
 
Una formidabile reazione antinapoleonica prese allora corpo in Europa, affondando le radici in quel sentimento nazionale che proprio le imprese napoleoniche avevano contribuito a risvegliare, mentre anche all'interno dell'impero cresceva il malcontento per l'enorme sforzo bellico sempre meno giustificato dagli interessi nazionali. Dopo la campagna di Russia, che si concluse nell'inverno 1812 con una disastrosa ritirata dell'armata francese, annientata alla Beresina, gli eserciti della sesta coalizione batterono Napoleone a Lipsia (16-19 ottobre 1813). Privato dell'appoggio dei marescialli, che rifiutarono di continuare a combattere, e di quello del Senato, l'imperatore abdicò (6 aprile 1814), ritirandosi sull'isola d'Elba, ultimo residuo di sovranità concessogli. Nel marzo del 1815, approfittando della crescente opposizione al nuovo sovrano, Luigi XVIII, Napoleone, fuggito dall'Elba, marciò su Parigi, dove emanò una nuova costituzione che prevedeva il suffragio universale e la creazione di un Senato ereditario, e si avviò alla conquista del Belgio. La sconfitta subita a Waterloo da parte della settima coalizione il 18 giugno 1815 mise fine al cosiddetto periodo dei Cento giorni. Esiliato nell'isola di Sant'Elena, nell'oceano Atlantico meridionale, Napoleone morì per un cancro allo stomaco il 5 maggio 1821.Napoleone II Napoleone Francesco Carlo Giuseppe Bonaparte (Parigi 1811 - Schönbrunn, Vienna 1832), figlio dell'imperatrice Maria Luisa d'Austria e di Napoleone I, che lo nominò "re di Roma" e suo successore quando abdicò, nel 1814. All'età di tre anni la madre lo portò alla corte del nonno, l'imperatore Francesco I d'Austria. Il 28 giugno 1815, dieci giorni dopo la battaglia di Waterloo, i bonapartisti lo proclamarono imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone II, ma venne  
deposto ufficialmente in meno di una settimana. Il nonno materno gli conferì allora il titolo di duca di Reichstadt. Nel 1830, quando il re Carlo X fu destituito dal trono di Francia, al giovane Napoleone, gravemente ammalato di tubercolosi, fu interdetto un ritorno al governo. Morì in Austria il 22 luglio 1832.  
 
 
 
  
 
Congresso di Vienna Congresso che si tenne a Vienna (novembre 1814 - giugno 1815), per ripristinare l'assetto territoriale degli stati europei, al termine delle guerre napoleoniche. 
 
 
 
I protagonisti  
 
 
 
  
 
Vi parteciparono rappresentanti di tutti gli stati europei, con l'eccezione dell'impero ottomano. Tra i sovrani ebbe un ruolo preminente lo zar Alessandro I, che si fece promotore di cause impopolari come l'istituzione di una Polonia autonoma e l'unificazione degli stati tedeschi. Tra i diplomatici spiccò la personalità del principe Klemens von Metternich, ministro plenipotenziario asburgico e presidente del congresso. 
 
Le quattro potenze principali (Gran Bretagna, Russia, Prussia e impero asburgico) stabilirono di comune accordo che Spagna, Francia e le piccole potenze sconfitte fossero escluse dal partecipare alle decisioni più importanti; tuttavia, grazie all'abilità del suo rappresentante Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, la restaurata monarchia francese di Luigi XVIII venne riammessa a prender parte alle trattative. La Gran Bretagna era rappresentata dal ministro degli Esteri Robert Stewart Castlereagh e dal generale Arthur Wellesley, duca di Wellington, mentre il delegato prussiano era il principe Karl August von Hardenberg. 
 
 
 
Le decisioni principali  
 
 
 
Per assicurare la pace in Europa, il congresso di Vienna tentò di creare le condizioni di uno stabile equilibrio tra gli stati, riducendo, e poi mantenendo sotto controllo, la potenza francese. I confini della Francia tornarono a essere quelli del 1792 (ma con la cessione alla Gran Bretagna di Tobago, Santa Lucia e dell'Ile-de-France, comprese le dipendenze nell'oceano Indiano, e alla Spagna della parte orientale di Santo Domingo), mentre tutti gli stati confinanti furono rafforzati e dotati di contingenti militari stabili, forniti dalle maggiori potenze vincitrici. 
 
La repubblica olandese si fuse con i Paesi Bassi asburgici, formando un nuovo regno sotto la dinastia degli Orange-Nassau; la Prussia ottenne la Pomerania svedese, la Sassonia settentrionale e alcuni territori alla sinistra del Reno; il regno di Sardegna, tornato ai Savoia, inglobò l'ex Repubblica di Genova. L'impero asburgico compensò la perdita dei Paesi Bassi con l'acquisizione della Repubblica di Venezia (e i suoi possedimenti sull'Adriatico), che insieme alla Lombardia andò a formare il Regno Lombardo-Veneto, posto sotto il governo di un viceré austriaco. 
 
Lo zar riuscì ad avere il pieno controllo del restaurato regno di Polonia, per controbilanciare l'espansione russa verso ovest, mentre il regno di Svezia (allora sotto Carlo XIV) venne rafforzato con il possesso della Norvegia. Venne costituita una Confederazione germanica formata da 39 stati sovrani, che comprendeva parte della Prussia e dell'impero asburgico, al cui regnante fu affidata la presidenza dell'organo centrale della Confederazione, la Dieta di Francoforte. I cantoni svizzeri si riunirono in una confederazione, alla quale vennero garantite indipendenza e neutralità. 
 
In Italia, oltre al Lombardo-Veneto, l'Austria ottenne anche il controllo indiretto del Ducato di Parma assegnato a Maria Luisa d'Austria, moglie di Napoleone; del Granducato di Toscana di Ferdinando III di Lorena, fratello dell'imperatore; e del Ducato di Modena e Reggio, posto sotto Ferdinando IV di Asburgo-Este. Il Regno di Napoli tornò a Ferdinando IV di Borbone e nel 1817, con l'acquisizione della Sicilia, costituì il Regno delle Due Sicilie; lo Stato Pontificio fu restituito a papa Pio VII. 
 
La Gran Bretagna ottenne territori strategici dal punto di vista commerciale e per il controllo delle rotte marittime: l'isola di Helgoland, Malta, le isole Ionie, Maurizio, Ceylon (attuale Sri Lanka) e il capo di Buona Speranza. Il congresso di Vienna, che riuscì ad assicurare quasi un quarantennio di pace all'Europa, prese anche importanti decisioni riguardo l'abolizione della tratta degli schiavi e la tutela della libertà di navigazione sui fiumi che attraversavano più stati o costituivano il confine tra uno stato e l'altro. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
                                       LUIGI XVIII 
 
 
 
Luigi XVIII (Versailles 1755 - Parigi 1824), re di Francia (1814-1815, 1815-1824); ascese al trono con la restaurazione della monarchia dopo la caduta di Napoleone, governando come sovrano costituzionale. Fratello di Luigi XVI, dopo lo scoppio della Rivoluzione francese nel 1789 rimase a Parigi, ma scappò in Belgio due anni dopo. In seguito all'esecuzione del fratello nel 1793 si proclamò reggente e dopo la morte del nipote Luigi XVII (1795) assunse il titolo di re come Luigi XVIII. In esilio in vari paesi europei, quando Napoleone abdicò nel 1814 salì sul trono e, per conquistarsi il favore popolare, concesse una carta costituzionale che introduceva una legislatura bicamerale. I liberali criticarono duramente le nuove misure (riduzione della libertà di stampa e del suffragio, limitato per censo) e la tensione sfociò nel ritorno al potere di Napoleone (marzo-giugno 1815); il sovrano fuggì nuovamente in Belgio, dove rimase fino alla definitiva sconfitta napoleonica a Waterloo. Tornato nuovamente sul trono, influenzato dal ministro liberale Élie Decazes, provò ad allargare il diritto di voto e alleggerì la censura, ma dopo il 1820 si lasciò influenzare dalla corrente più reazionaria, guidata dal fratello, il duca d'Artois, che gli succedette poi sul trono come Carlo X. 
 
Restaurazione Ripristino delle condizioni politiche antecedenti a un rivolgimento sociale o a una rivoluzione. In particolare il termine definisce i seguenti momenti storici: 
 
1. Il ritorno, dopo la parentesi della guerra civile inglese, della dinastia degli Stuart in Inghilterra (1660). 
 
2. Il ripristino, nel 1814, della dinastia borbonica in Francia con Luigi XVIII, dopo l'esperienza della Rivoluzione francese e dell'impero di Napoleone I. 
 
3. L'epoca compresa tra il congresso di Vienna del 1815 e la rivoluzione di luglio del 1830 in Francia e le rivoluzioni del 1848 in Austria e in Germania, che fu caratterizzata dallo sforzo di annullare gli effetti della Rivoluzione francese. Strumento principale della restaurazione fu la politica perseguita dal cancelliere austriaco Metternich, il cui fulcro era costituito dalla Santa Alleanza, un patto tra le grandi potenze europee che mirava alla repressione di ogni movimento liberale e nazional-rivoluzionario.  
 
 
 
                                        
 
CARLO X 
 
 
 
Carlo X (Versailles 1757 - Gorizia 1836), conte di Artois e re di Francia (1824-1830), era nipote di Luigi XV e fratello minore dei re Luigi XVI e Luigi XVIII. Durante la Rivoluzione francese fu uno dei capi della nobiltà emigrata dal paese. Trascorse alcuni anni in Gran Bretagna (1795-1814), e dopo l'ascesa al trono francese di Luigi XVIII (1814) tornò in patria e si mise alla testa del partito realista. Salito al trono, la sua politica reazionaria favorevole alla Chiesa e all'alta aristocrazia diede adito a un forte movimento di opposizione che sfociò nella rivoluzione del 1830, nota come rivoluzione di luglio. Il re fu costretto ad abdicare e a ritirarsi in esilio prima in Gran Bretagna, poi in Boemia e infine a Gorizia.  
 
Rivoluzione di luglio Insurrezione scoppiata a Parigi nel luglio del 1830, che provocò l'abdicazione di re Carlo X e l'abolizione della monarchia assoluta, cui subentrò un regime liberal-costituzionale. Essa ispirò e favorì episodi rivoluzionari simili in Belgio, Germania, Italia e Polonia. Causa immediata della rivoluzione di luglio fu il regime sempre più reazionario del sovrano, il quale aveva adottato misure repressive che avevano azzerato le conquiste raggiunte in precedenza dal popolo francese: nobiltà e clero ottennero indennità per le terre loro confiscate durante la Rivoluzione, il sistema scolastico tornò sotto l'autorità del clero, la libertà di stampa fu drasticamente limitata e la legge elettorale fu modificata. In segno di protesta, nel marzo del 1830 la Camera dei deputati chiese le dimissioni del Gabinetto di Jules de Polignac e votò un documento in difesa della carta costituzionale. Il re in risposta sciolse il parlamento e indisse nuove elezioni; il loro esito dette vita però a un'Assemblea a maggioranza liberale. 
 
Il 26 luglio, pochi giorni prima dell'inaugurazione della nuova legislatura, il ministro degli Interni sospese le libertà di stampa e di riunione e annunciò l'annullamento dei risultati elettorali. Immediatamente il popolo parigino si ribellò e occupò la sede dell'amministrazione comunale; dopo tre giorni, l'intera città era in mano ai ribelli. Il re, pur revocando le ordinanze del suo ministro, fu costretto ad abdicare e riparò in Inghilterra. L'ala radicale del movimento rivoluzionario, favorevole all'instaurazione della repubblica, venne messa in minoranza dai liberali moderati guidati dal marchese di Lafayette, che instaurarono un regime monarchico-costituzionale insediando sul trono il 9 agosto 1830 Luigi Filippo, duca d'Orléans.  
 
 
 
  
 
  
 
                                       CARLO ALBERTO 
 
 
 
Carlo Alberto di Savoia Carignano (Torino 1798 - Porto 1849), re di Sardegna (1831-1849), figlio di Carlo Emanuele di Carignano e di Maria Cristina di Sassonia-Curlandia. Appartenente al ramo cadetto dei Savoia-Carignano, manifestò in gioventù simpatie per le idee liberali e cercò di assicurarsi la successione al trono di Sardegna, approfittando della mancanza di eredi maschi nel ramo principale della famiglia Savoia. 
 
Durante i moti del 1820-21 diede il proprio consenso al progetto insurrezionale maturato negli ambienti della Carboneria piemontese, sperando di svolgere un ruolo di mediazione. In qualità di reggente, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I concesse la Costituzione, ma quando il reazionario Carlo Felice salì al trono, dovette piegarsi alla sua volontà. Alla morte di Carlo Felice (1831) gli succedette sul trono; la sua politica seguì però una linea di intransigente legittimismo che lo portò a reprimere duramente i moti carbonari e mazziniani (1833-34), ma al tempo stesso il sovrano seppe avviare un'opera di modernizzazione dello stato. In seguito si riavvicinò agli ambienti liberali e aderì, sebbene con riluttanza, all'ideale di unificazione nazionale. Nel biennio rivoluzionario 1848-49 ebbe una parte di primo piano nelle vicende che portarono alla concessione dello Statuto albertino, emanato il 4 marzo 1848, e alla prima guerra d'indipendenza. Sconfitto a Novara, nel 1849, dopo avere abdicato a favore del figlio Vittorio Emanuele II, si ritirò in esilio a Porto, in Portogallo. 
 
Moti del 1820-1821 Ciclo di rivolte di carattere antiassolutistico e liberalcostituzionale che investirono la Spagna, il Portogallo, il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna e di cui furono protagonisti perlopiù ufficiali di formazione napoleonica e patrioti liberali organizzati nelle società segrete. 
 
 
 
Le premesse  
 
 
 
All'origine del breve ciclo rivoluzionario di dimensioni europee del biennio 1820-21, si ritrova innanzitutto il malessere diffuso nei quadri intermedi dell'esercito, nell'amministrazione statale e nei ceti di professionisti, ossia in quei settori che dall'esperienza napoleonica avevano ricavato prestigio sociale e che registravano con disagio il ripiegamento conservatore promosso dalla politica legittimista della Restaurazione. Anche dalla cultura di stampo democratico, nazionale e anticentralistico, che già si era manifestata come opposizione al regime napoleonico soprattutto in Spagna, si generarono sentimenti e idee rivoluzionarie. Si deve infine considerare che nei moti del 1820-21 il principio di "nazione" fu portato per la prima volta alla prova dei fatti, come critica dell'assolutismo restaurato in Italia e in Spagna e come aspirazione ideologica di ben più ampia dimensione geografica, destinata a destituire di legittimità i governi stranieri e a proporre l'unificazione statale di popoli e territori racchiusi nei confini delle nazioni. In Spagna una specifica ragione di crisi per la monarchia fu costituita dalla rivolte delle colonie dell'America latina (vedi Guerre d'indipendenza latinoamericane). 
 
Le insurrezioni  
 
 
 
Il 1° gennaio 1820 a Cadice le truppe spagnole del corpo di spedizione che doveva salpare per l'America si ammutinarono sotto il comando del colonnello Rafael Riego, membro della società segreta dei Comuneros. Seguirono altre insurrezioni nell'esercito e nelle principali città: politici e ufficiali in rivolta costrinsero il re Ferdinando VII a ripristinare la Costituzione del 1812 di impronta liberale e a indire le elezioni per ricostituire le Cortes (parlamento). Fu l'inizio di un governo di carattere liberaldemocratico, al quale il sovrano aderì perché costretto dalle circostanze. 
 
Dopo la Spagna furono i democratici di Napoli a ribellarsi al sovrano, per iniziativa di due giovani ufficiali carbonari, Michele Morelli e Giuseppe Silvati, che avevano avuto l'adesione di generali ex murattiani, come Guglielmo Pepe: il 1° luglio da Nola marciarono su Napoli alla testa dei loro reggimenti di cavalleria, costringendo il re Ferdinando I ad accettare una Costituzione simile a quella spagnola e a convocare le elezioni per il parlamento. In agosto conseguì un esito analogo la ribellione scaturita in Portogallo. 
 
Il successo della rivoluzione napoletana suscitò speranze nei liberali italiani e diede impulso alle società segrete. Nel Regno Lombardo-Veneto furono attivi un gruppo di patrioti organizzati nella Carboneria e in altre associazioni ad essa collegate, come la Federazione italiana, e raccolti intorno al giornale "Il Conciliatore": tra essi il conte Federico Confalonieri, Silvio Pellico e Piero Maroncelli sostennero la causa dell'indipendenza e aderirono alle istanze dei rivoluzionari napoletani, suscitando una dura repressione da parte della polizia austriaca. 
 
Mentre la rivoluzione napoletana si stava spegnendo, la ribellione scoppiò in Piemonte per iniziativa di un gruppo di membri delle alte sfere dell'esercito e degli ambienti di corte. I ribelli speravano di convincere il re a concedere una Costituzione sull'esempio spagnolo e, soprattutto, a muovere guerra all'Austria, per sottrarle la Lombardia e dare vita a un regno sabaudo dell'Alta Italia. Si attendevano l'appoggio del principe Carlo Alberto, esponente di un ramo cadetto dei Savoia-Carignano. La rivolta scoppiò con l'ammutinamento della guarnigione di Alessandria nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1821, e il 12 raggiunse Torino, dove venne proclamata la Costituzione. La risposta di Vittorio Emanuele I sconvolse i piani degli insorti, guidati da Santorre di Santarosa: il sovrano abdicò a favore del fratello Carlo Felice, temporaneamente assente, e nominò reggente Carlo Alberto; questi, incerto sul da farsi, concesse la Costituzione spagnola sotto la pressione dei rivoltosi, riservandosi però di farla approvare dal re. Ma l'esercito costituzionale venne battuto a Novara l'8 aprile dalle forze piemontesi fedeli al re appoggiate da truppe austriache. 
 
 
 
La repressione  
 
 
 
Sia in Spagna sia nel Regno delle Due Sicilie la rivoluzione fu contrastata dai sovrani, che si rivolsero alle potenze della Santa Alleanza, riunite in congresso a Lubiana, perché intervenissero a ripristinare l'assolutismo. Nel febbraio del 1821 un esercito austriaco scese nel Sud d'Italia e travolse le truppe fedeli alla Costituzione, scarse di numero e male armate. In Spagna l'assolutismo fu restaurato nel 1823 con l'intervento dell'esercito francese, deciso dal congresso della Santa Alleanza tenutosi a Verona l'anno precedente. 
 
In Italia il fallimento dei moti insurrezionali fu seguito da una serie di pesanti condanne contro i ribelli, alle quali molti patrioti si sottrassero esulando all'estero. Morelli e Silvati vennero giustiziati, Pepe riparò fuori dal regno, come fece il piemontese Santarosa, che dall'esilio a Parigi raggiungerà la Grecia per unirsi alla rivolta nazionale contro i turchi (vedi Guerra d'indipendenza greca); il capo dei Federati lombardi Federico Confalonieri, Silvio Pellico e Piero Maroncelli furono condannati a severe pene detentive, che scontarono nel famigerato carcere dello Spielberg, in Moravia. 
 
Santa Alleanza Patto firmato a Parigi il 26 settembre 1815, in nome dei principi della giustizia, della pace e della religione cristiana, dall'imperatore Alessandro I di Russia, da Francesco I, imperatore d'Austria e da Federico Guglielmo III, re di Prussia. L'alleanza fu proclamata al congresso di Vienna (1814-15) e venne sottoscritta da tutti i sovrani europei, con l'eccezione del principe reggente della Gran Bretagna, Giorgio IV, del papa e del sultano della Turchia. L'alleanza, che fu sostanzialmente inefficace, divenne tuttavia un simbolo delle politiche assolutistiche dei sovrani, che la usarono come strumento per il mantenimento dello statu quo in Europa e per reprimere i moti liberali e nazionalistici (vedi Moti del 1820-21). 
 
 
 
  
 
Rivoluzione industriale Espressione che designa il passaggio, in periodi e in paesi diversi, da un'economia tradizionale basata principalmente sull'agricoltura a un'economia basata sulla produzione automatizzata dei beni all'interno di strutture di grandi dimensioni. 
 
 
 
Il caso britannico  
 
 
 
La prima rivoluzione industriale si verificò in Gran Bretagna alla fine del XVIII secolo e modificò profondamente l'economia e la società. I cambiamenti più immediati furono quelli riguardanti la natura della produzione (che cosa, come e dove si produce). La manodopera venne trasferita dalla produzione di materie prime a quella di manufatti e servizi. Le quantità prodotte aumentarono considerevolmente e l'efficienza tecnologica fece registrare progressi eccezionali, sia pure tra grandi contraddizioni sociali. La crescita della produttività si ottenne in parte attraverso l'applicazione sistematica delle conoscenze scientifiche e tecniche ai processi produttivi. L'efficienza crebbe anche grazie al fatto che grandi agglomerati di fabbriche vennero concentrati all'interno di determinate aree. In questo modo la rivoluzione industriale innescò anche i processi di urbanizzazione, ovvero il processo di migrazione della forza lavoro dalle comunità rurali a quelle urbane. 
 
I cambiamenti più importanti avvennero probabilmente all'interno dell'organizzazione del lavoro. Le piccole imprese si espansero e acquisirono nuove caratteristiche. Inoltre, la produzione si svolgeva all'interno delle fabbriche anziché presso il domicilio dei lavoratori o nei borghi rurali, come avveniva un tempo. Il lavoro diventava sempre più meccanizzato e specializzato. La produzione industriale dipendeva dalle possibilità di utilizzo intensivo del capitale, di impianti e attrezzature costruiti espressamente per aumentare l'efficienza. La familiarizzazione con gli strumenti e i macchinari utilizzati permetteva ai singoli lavoratori di produrre più di prima, e la possibilità di acquisire esperienza di un particolare ruolo, strumento o attrezzatura incrementava la tendenza alla specializzazione. 
 
L'aumento della specializzazione e l'applicazione del capitale alla produzione industriale determinarono la formazione della classe sociale dei capitalisti, che possedeva o controllava i mezzi di produzione. 
 
La Gran Bretagna fu la culla della rivoluzione industriale: dall'ultimo quarto del XVIII secolo a tutto il XIX Londra fu al centro di una complessa rete commerciale mondiale che diventò la base per il crescente mercato di esportazione associato ai processi di industrializzazione. L'esportazione fornì un fondamentale sbocco ai prodotti dell'industria tessile e di altre industrie, sbocco reso necessario dalla rapida espansione della produzione indotta dall'introduzione di nuove tecniche. I dati disponibili indicano una palese e forte accelerazione delle esportazioni britanniche a partire dal 1780. L'orientamento all'esportazione favorì ulteriormente la crescita dell'economia britannica in quanto i produttori inglesi potevano investire i ricavi delle esportazioni nell'importazione di materie prime utilizzate nei vari processi produttivi. 
 
 
 
  
 
La diffusione dell'industrializzazione  
 
 
 
  
 
I tentativi di datare con precisione l'inizio della rivoluzione industriale negli altri paesi sono controversi. Ciò nonostante, gli studiosi concordano sul fatto che la rivoluzione industriale si verificò in Francia, Belgio, Olanda, Germania e Stati Uniti verso la metà del XIX secolo, in Svezia e Giappone verso la fine del secolo; in Russia e Canada subito dopo l'inizio del XX secolo; e in alcune zone dell'America latina, Medio Oriente, Asia centrale e meridionale e Africa, attorno o subito dopo la metà del XX secolo. In Italia, dove non si ebbe una vera rivoluzione industriale, s'assistette a un fenomeno analogo, ma di dimensioni molto minori, verso la fine dell'Ottocento. 
 
Ogni rivoluzione industriale si è sviluppata secondo processi differenti in relazione al periodo e al paese in cui si è verificata. Agli inizi l'industria britannica non aveva concorrenti che utilizzassero gli stessi metodi ed esportassero su larga scala. Quando le altre nazioni avviarono il processo di industrializzazione dovettero confrontarsi con il vantaggio della Gran Bretagna, ma poterono d'altro canto imparare dal suo esempio. L'intervento dello stato per promuovere l'industrializzazione fu praticamente nullo nel caso britannico, ma fu invece considerevole in Germania, Russia, Giappone e in quasi tutte le altre nazioni industrializzatesi nel XX secolo. 
 
Per definizione l'industrializzazione porta a una crescita del reddito pro capite, nonché a cambiamenti nella distribuzione del reddito, nelle condizioni di vita e di lavoro e nei rapporti sociali. 
 
La rivoluzione industriale fu spesso causa di disoccupazione, provocata dalla meccanizzazione dei processi produttivi, poi, a tratti, di caduta del potere d'acquisto del salario dei lavoratori e di peggioramento del loro tenore di vita. Oggi, però, la tesi secondo la quale la rivoluzione industriale sarebbe stata invariabilmente all'origine di processi di deterioramento delle condizioni di vita degli operai è considerata con cautela e i singoli aspetti sociali del fenomeno sono oggetto di ricerca e di ampi dibattiti. 
 
 
 
                                
 
       LUIGI FILIPPO 
 
 
 
  
 
Luigi Filippo d'Orléans (Parigi 1773 - Claremont, Surrey 1850), soprannominato il "re cittadino", re di Francia (1830-1848), figlio di Luigi Filippo Giuseppe duca d'Orléans (detto Filippo Egalité). Luigi Filippo ereditò i titoli di duca di Valois, duca di Chartres dal 1785 e duca d'Orléans dal 1793. Nel 1789 aderì alla Rivoluzione francese e nel 1790 si unì ai giacobini. Entrato nell'esercito, gli fu assegnato il comando di un reparto dell'esercito rivoluzionario e, con il grado di luogotenente generale, combatté nelle battaglie di Valmy e Jemappes (1792). Nel 1793, dopo che l'esercito francese fu sconfitto dagli austriaci nella battaglia di Neerwinden (Olanda), riparò presso gli austriaci con il suo superiore, il generale Charles-François Dumouriez. 
 
Alla morte del padre, giustiziato per ordine del tribunale rivoluzionario, Luigi Filippo trascorse alcuni anni in esilio negli Stati Uniti e in vari stati europei, stabilendosi infine in Sicilia in seguito al matrimonio (1809) con la principessa Maria Amelia, figlia di Ferdinando I, re delle Due Sicilie. Dopo la caduta di Napoleone (1814), ritornò in Francia, dove fu accolto da re Luigi XVIII che gli restituì i possedimenti confiscatigli in precedenza. Con la rivoluzione di luglio del 1830 e la caduta di Carlo X, ultimo sovrano della dinastia borbonica, Luigi Filippo venne eletto luogotenente del regno e il 9 agosto salì al trono. Per sottolineare la distanza dal tradizionale diritto di successione rifiutò il titolo di re di Francia e il nome di Filippo VII. 
 
Luigi Filippo cercò di conservarsi il favore dei repubblicani, che lo avevano aiutato a prendere il potere, e abolì molti privilegi reali. Tuttavia, il carattere costituzionale della nuova monarchia lasciò aperta la possibilità a Luigi Filippo di instaurare un governo di tipo autoritario ed egli, per consolidare la propria posizione fra i sovrani d'Europa, combinò il matrimonio della figlia Luisa con Leopoldo I, re del Belgio. In politica interna sostenne una linea conservatrice, favorendo la classe borghese; affidò gli incarichi di governo a persone di fiducia, tra cui François Guizot, che dominò la scena politica dal 1840 al 1848. In politica estera cercò di non intraprendere azioni che nuocessero alla prosperità economica della nazione, mettendo un freno alla conquista dell'Algeria. Allo scoppio della rivoluzione del 1848, il re fu deposto e costretto a riparare in Inghilterra.  
 
 
 
  
 
Rivoluzioni del 1848 Ciclo storico segnato da insurrezioni, rivolte e rivoluzioni di straordinaria intensità che coinvolsero pressoché simultaneamente l'intera Europa, con l'esclusione della Gran Bretagna e della Russia. All'origine vi fu la crisi economica che aveva colpito l'Europa a partire dal 1845, ma le ragioni di fondo vanno individuate nell'intreccio tra problemi sociali, sollevati dalle organizzazioni operaie, e problemi politici, scaturiti dalle aspirazioni alla libertà e all'indipendenza.  
 
 
 
Gli epicentri delle rivolte  
 
 
 
In Italia si ebbero le prime insurrezioni a Palermo (12 gennaio 1848, a carattere autonomistico) e pochi giorni dopo a Napoli; la protesta convinse il re Ferdinando II di Borbone ad annunciare una Costituzione per il Regno delle Due Sicilie. Richieste analoghe trovarono ascolto in Piemonte, nel Granducato di Toscana e nello Stato Pontificio: il re di Sardegna Carlo Alberto e il granduca di Toscana Leopoldo II, e il papa Pio IX, si affrettarono a loro volta a concedere la Costituzione, che nel Regno di Sardegna ebbe il nome di Statuto albertino, legge fondamentale del futuro Regno d'Italia fino al 1948. 
 
Tra febbraio e marzo la rivoluzione si estese alla Francia con l'insurrezione antimonarchica del popolo di Parigi (22 febbraio), che portò all'abdicazione di Luigi Filippo e alla proclamazione della Seconda Repubblica. Il governo repubblicano introdusse misure di contenuto democratico e sociale: suffragio universale maschile, libertà di stampa, riduzione a dieci ore della giornata lavorativa, creazione degli opifici nazionali (ateliers nationaux), voluti dai socialisti di Louis Blanc per combattere la disoccupazione. Nel giugno una nuova insurrezione popolare, scatenata dalla chiusura degli ateliers, fu repressa con la forza dal governo, in cui avevano preso il sopravvento i settori moderati. 
 
Nella primavera, a Vienna (13 marzo) un episodio insurrezionale costrinse l'imperatore a concedere la Costituzione e a licenziare il cancelliere Metternich, l'alfiere della Restaurazione. Sulla spinta dei fatti viennesi scoppiarono rivolte nazionali in tutte le principali aree dell'impero asburgico: insorsero gli ungheresi, i boemi, i croati, gli italiani del Regno Lombardo-Veneto, tutti chiedendo l'indipendenza da Vienna. 
 
In Italia la questione nazionale e le rivendicazioni indipendentistiche animarono la sollevazione di Milano, guidata da Carlo Cattaneo (le Cinque giornate dal 18 al 22 marzo), prodromo della prima guerra d'indipendenza. Negli stessi giorni l'insurrezione di Berlino costrinse il re prussiano Federico Guglielmo IV a convocare una Dieta, che si riunì a Francoforte, che avrebbe dovuto rappresentare l'Assemblea costituente dell'unificazione nazionale della Germania. In quella sede si scontrarono due ipotesi: l'una propugnava un'unione degli stati tedeschi sotto la Corona imperiale austriaca; l'altra, maggioritaria, sosteneva il ruolo della Prussia come centro di aggregazione dello stato nazionale. Ma a causa dell'opposizione del re prussiano, avverso ad accettare qualsiasi sovranità proveniente da un organismo democratico, la Costituente fallì il suo scopo. 
 
In Ungheria e in Boemia si formarono governi provvisori con l'obiettivo di costituire regimi politici nazionali e costituzionali. Per l'impero fu prevista la convocazione di un parlamento eletto a suffragio universale. 
 
 
 
Il ripristino dell'ordine  
 
 
 
Ben presto l'ondata insurrezionale si placò e tra le stesse forze sociali che ne erano state protagoniste insorsero perplessità e divisioni: si formò un'ala moderata, ovunque intimidita dalle agitazioni operaie che si stavano verificando, che finì per appoggiare le forze della reazione. La svolta partì dall'impero austriaco, dove l'imperatore abdicò in favore del nipote, il diciottenne Francesco Giuseppe. Nella primavera del 1849 il nuovo imperatore cominciò a contrastare le richieste dei liberali, incarcerando gli uomini che si erano battuti per la Costituzione e sciogliendo il parlamento tedesco. Nel giugno del 1848 ordinò che Praga, capitale della Boemia insorta, fosse riconquistata dall'esercito. Più arduo si rivelò sconfiggere la resistenza ungherese, perché i patrioti guidati da Lajos Kossuth tennero testa agli austriaci, appoggiati dai russi, fino all'agosto del 1849. Anche in Prussia il re poté riacquistare l'assoluto controllo dei suoi territori sciogliendo il parlamento che si era riunito a Francoforte. 
 
Solo in Italia i moti rivoluzionari ripresero nuovo slancio tra la fine del 1848 e l'estate del 1849: in Toscana si formò un governo popolare; a Venezia e a Roma fu proclamata la repubblica (vedi Repubblica di San Marco; Repubblica Romana). Ma il quadro europeo non favoriva il successo dei democratici, tanto più che la seconda sconfitta subita dall'esercito sardo a opera degli austriaci (battaglia di Novara, 1849) apriva la strada alla restaurazione. A Roma, nel luglio, dopo l'attacco delle truppe francesi inviate da Luigi Napoleone (il futuro Napoleone III) su richiesta di papa Pio IX, i volontari repubblicani comandati da Giuseppe Garibaldi si arresero. A Venezia, assediata dagli austriaci, il capo dell'insurrezione, Daniele Manin, accettò la capitolazione il 23 agosto 1849.  
 
 
 
  
 
  
 
NAPOLEONE III 
 
 
 
  
 
Napoleone III (Parigi 1808 - Chislehurst, Kent 1873), imperatore dei francesi (1852-1870). Terzogenito di Luigi Napoleone Bonaparte, re d'Olanda, e di Ortensia di Beauharnais, era nipote dell'imperatore Napoleone I. Alla caduta dello zio, tutta la famiglia Bonaparte venne bandita dalla Francia e Napoleone III ricevette un'educazione privata in Svizzera e in Baviera. Nel 1830, poco dopo la rivoluzione di luglio che costrinse Carlo X ad abdicare in favore di Luigi Filippo e partecipò alle insurrezioni carbonare nello Stato Pontificio (vedi Moti del 1831); in seguito, aderì ai complotti che per due volte tentarono di rovesciare il nuovo sovrano francese (1836 e 1840). Il fallimento della seconda cospirazione gli valse una condanna al carcere a vita, ma nel 1846 riuscì a evadere, fuggendo in Inghilterra e divenendo punto di riferimento del movimento bonapartista. 
 
Dopo la rivoluzione del 1848 che detronizzò Luigi Filippo, Napoleone propose, con successo, la sua candidatura alla presidenza della nuova Repubblica francese. Tuttavia il suo trionfo fu offuscato dalla vittoria dei conservatori alle elezioni legislative del 1849, oltre che dall'approvazione di una costituzione che limitava il mandato alla durata di quattro anni e impediva la rielezione. Napoleone III seppe conquistarsi il favore dei conservatori, dei cattolici e degli apparati militari con un'azione di forza contro la Repubblica romana (luglio 1849) e la popolarità gli spianò la strada per promulgare una nuova costituzione (2 dicembre 1851) grazie alla quale assunse pieni poteri ed estese la durata del mandato presidenziale a dieci anni. La nuova costituzione fu sancita da un plebiscito popolare. 
 
L'anno seguente trasformò la Seconda Repubblica nel Secondo Impero; poiché il figlio di Napoleone I era stato proclamato imperatore dai suoi sostenitori con il nome di Napoleone II, egli decise di denominarsi Napoleone III e si autoconcesse il diritto di trasmettere il titolo imperiale ai propri eredi. Il primo decennio del suo regno fu caratterizzato da una politica autoritaria e accentratrice e dal tentativo di ostentare la potenza della corte sia attraverso l'esibizione di fasto e ricchezze, sia attraverso la realizzazione di monumentali lavori pubblici che trasformarono radicalmente la capitale Parigi. Dopo il 1860, Napoleone III cominciò ad attuare una serie di riforme liberali che consentirono la rinascita dei partiti d'opposizione e promosse lo sviluppo dell'industria. 
 
La politica estera, all'insegna del prestigio della Francia, fu inizialmente confortata da successi quali la vittoriosa guerra di Crimea e l'intervento a fianco del Piemonte contro l'Austria nella seconda guerra d'indipendenza italiana, che fruttò alla Francia l'annessione di Nizza e della Savoia. L'obiettivo di indebolire il crescente potere della Russia e di veder nascere un'Europa composta di stati nazionali lo spinse ad appoggiare la Polonia in alcuni falliti tentativi di insurrezione contro la Russia. Nel 1870, senza aver valutato in giusta misura la gravità della minaccia prussiana, trascinò la Francia in una guerra contro la Prussia (vedi Guerra franco-prussiana) risoltasi nella repentina sconfitta francese e nella cattura dello stesso Napoleone durante la battaglia di Sedan. Il 4 settembre 1870 il regime da lui instaurato venne rovesciato. Scarcerato nel marzo del 1871, si ritirò a vita privata in Inghilterra.  
 
 
 
  
 
                                       VITTORIO EMANUELE II 
 
 
 
  
 
Vittorio Emanuele II di Savoia (Torino 1820 - Roma 1878), ultimo re di Sardegna (1849-1861) e primo re d'Italia (1861-1878). 
 
Salì al trono del Regno di Sardegna nel 1849, in seguito all'abdicazione del padre Carlo Alberto, avvenuta dopo la sconfitta piemontese, a Novara, nel corso della prima guerra d'indipendenza contro gli austriaci. Mantenne in vigore e difese lo Statuto albertino del 1848, rispettando i poteri concessi al Parlamento dalla carta costituzionale. Sincero cattolico, appoggiò tuttavia le scelte antiecclesiastiche del governo piemontese, che, attraverso le leggi Siccardi (dal nome del guardasigilli che le presentò) del 1850, portarono all'abolizione dei tribunali ecclesiastici e delle immunità del clero. Chiamato alla presidenza del Consiglio Camillo Benso, conte di Cavour (1852), ne sostenne la politica interna ed estera, e non impedì la fondazione della Società nazionale italiana, nata nel 1857 nell'intento di dar vita a un organismo politico volto a conseguire l'unità d'Italia con la partecipazione sia dei democratici moderati sia dei liberali. 
 
Considerando la guerra contro l'Austria il risultato inevitabile della politica piemontese, acconsentì agli accordi di Plombières, stipulati nel 1858 da Cavour con l'imperatore francese Napoleone III in funzione antiaustriaca, che gli garantivano la Corona di un Regno dell'Alta Italia in cambio della cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, e in base ai quali si impegnava a dare in sposa sua figlia, la principessa Maria Clotilde, al cugino di Napoleone III, Giuseppe Napoleone, detto Girolamo. Nel gennaio del 1859, rendendo operativi gli accordi di Plombières, sottoscrisse con Napoleone III un'alleanza militare contro l'Austria. Respingendo l'ultimatum dell'imperatore austriaco Francesco Giuseppe, che intimava ai piemontesi di bloccare i preparativi militari, provocò l'inizio della seconda guerra d'indipendenza (27 aprile 1859). 
 
Piemontesi e francesi sconfissero gli austriaci a Montebello, Palestro e Magenta e liberarono la Lombardia, mentre le insurrezioni, fomentate e sostenute dalla Società nazionale, scoppiavano negli stati dell'Italia centrale, che chiedevano l'annessione al Regno sabaudo. Dopo le vittorie di Solferino e San Martino (24 giugno 1859), il re dovette rassegnarsi all'armistizio di Villafranca (11 luglio), deciso dall'imperatore francese per timore di un intervento della Prussia e per gli imprevisti esiti rivoluzionari nell'Italia centrale. 
 
La volontà di annessione al Piemonte da parte di Parma, Modena, Toscana e Legazioni pontificie metteva il re in una difficile posizione di fronte alle diplomazie europee. L'annessione fu così rimandata, ma negli stati centrali vennero inviati governatori straordinari con il compito di mantenere i collegamenti con Torino. Mentre Giuseppe Garibaldi si accingeva nel 1860 all'impresa della spedizione dei Mille, il sovrano, al comando dell'esercito piemontese, anche per timore che la progettata marcia di Garibaldi su Roma innescasse un conflitto europeo, invase l'Umbria e le Marche, proseguendo fin nei pressi di Caserta (secondo la tradizione, a Teano), dove avvenne lo storico incontro con Garibaldi. 
 
Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele fu proclamato re d'Italia dal nuovo parlamento italiano. Nel 1866 combatté la terza guerra d'indipendenza contro l'Austria, che si concluse con l'annessione del Veneto all'Italia, e nel 1870, dopo aver tentato senza successo di risolvere pacificamente la questione di Roma, appoggiò, seppur senza fervore, l'azione delle truppe nell'assalto a Porta Pia. Dopo la fine dello Stato Pontificio, si trasferì con la corte da Firenze a Roma, nuova capitale, insediandosi nel Palazzo del Quirinale.  
 
 
 
                                 
 
UMBERTO I 
 
 
 
Umberto I di Savoia (Torino 1844 - Monza 1900), re d'Italia (1878-1900), figlio del primo re d'Italia Vittorio Emanuele II. Nel 1858 entrò nell'esercito con il grado di capitano e si distinse per il grande coraggio dimostrato in numerose battaglie, prima fra tutte quella di Custoza, combattute contro gli austriaci per l'unificazione dell'Italia (vedi Guerre d'indipendenza italiane). Nel 1868 sposò la cugina Margherita di Savoia. Durante il suo regno, nel 1882, l'Italia si unì all'Austria-Ungheria e alla Germania in un patto di difesa militare noto come Triplice Alleanza, che segnò l'inizio della divisione dell'Europa in due schieramenti contrapposti, ciò che in seguito avrebbe provocato lo scoppio della prima guerra mondiale. 
 
Nonostante le critiche degli irredentisti, Umberto perseguì una politica di espansione coloniale in Africa, dove gli scali commerciali italiani sulla costa del Mar Rosso divennero la colonia di Eritrea. Ciò comportò un notevole impegno militare e una crescente tensione con il regno d'Etiopia. La politica del governo di Francesco Crispi, pur fra incertezze e contraddizioni, favorì uno scontro aperto con il re etiope Menelik e la popolarità di Umberto I tra le classi popolari scemò in seguito alla disfatta subita dall'esercito, mal condotto e sopraffatto dalle truppe etiopi, nella battaglia di Adua del 1896 (vedi Guerra di Eritrea). 
 
Nel 1898 Umberto accentuò i tratti conservatori del suo regno, conferendo un alto riconoscimento al generale Bava Beccaris che aveva represso un moto popolare a Milano sparando sulla folla disarmata; due anni dopo il re venne assassinato a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci, che dichiarò esplicitamente di aver voluto vendicare quei morti.  
 
 
 
  
 
                                VITTORIO EMANUELE III 
 
 
 
Vittorio Emanuele III di Savoia (Napoli 1869 - Alessandria d'Egitto 1947), re d'Italia (1900-1946), imperatore d'Etiopia (1936-1944) e re d'Albania (1939-1944). Divenne re d'Italia dopo l'assassinio del padre, Umberto I; quando, nel 1915, l'Italia entrò in guerra a fianco dell'Intesa, Vittorio Emanuele III si recò personalmente nella zona delle operazioni sul fronte settentrionale (vedi Prima guerra mondiale). Nel 1922, dopo la caduta del governo liberale, per evitare una guerra civile assecondò l'instaurazione del regime fascista, senza opporsi in seguito ad alcuna decisione di politica interna o estera adottata da Mussolini. 
 
Con la conquista dell'Etiopia (Guerra d'Etiopia, 1935-36) e dell'Albania (1939), Vittorio Emanuele acquisì nuovi titoli. Nei primi mesi del 1943, in piena seconda guerra mondiale, maturò l'idea di destituire il duce e di fare uscire l'Italia dal conflitto. Il 25 luglio del 1943 fece arrestare Mussolini e aprì le trattative con gli Alleati. Nel 1946, su pressione degli antifascisti italiani e degli Alleati, abdicò in favore del figlio, che divenne re per un mese con il nome di Umberto II. Vittorio Emanuele visse in esilio in Egitto fino alla morte.  
 
 
 
                                
 
 
 
                         L’ITALIA 
 
 
 
All'inizio del Settecento finì l'egemonia spagnola in Italia, che datava dal 1559. Si avviarono mutamenti dinastici e territoriali che fissarono nel 1748 una nuova carta dei poteri nella quale si potevano identificare i seguenti raggruppamenti: lo stato sabaudo, a nord-ovest, che aveva ampliato i suoi confini attestandosi alla linea del Ticino e aveva ottenuto la Sardegna nel 1720; l'area di dominio asburgico con i ducati di Milano e di Mantova e per un breve periodo con i regni di Napoli e di Sicilia, ai quali va aggiunto il Granducato di Toscana, dal 1737 passato ai Lorena imparentati con gli Asburgo; lo Stato della Chiesa; le repubbliche di Genova e Venezia e la piccola repubblica di Lucca; l'area di dominio borbonico, con il Ducato di Parma e Piacenza e i regni di Napoli e di Sicilia. 
 
I nuovi assetti territoriali furono rafforzati da consolidamenti istituzionali, frutto di una politica di ampie riforme, nell'ambito dell'assolutismo illuminato. Fu una svolta storica a cui vanno ascritte le origini di un risveglio civile nei diversi stati della penisola, nel corso del quale ripresero i contatti con i centri più vitali della civiltà europea. Firenze e Milano furono al centro del movimento riformatore, che coinvolse con minore intensità le altre capitali della penisola, da Torino a Venezia, da Parma a Genova, segnando l'avvio di una ripresa generale dell'Italia, favorita anche dalla diffusione dell'illuminismo. Le riforme attuate da Maria Teresa in Lombardia (catasto delle proprietà terriere, perequazione fiscale, riduzione della presenza ecclesiastica, rinnovamento dell'istruzione) e poi proseguite con maggiore intensità dal figlio Giuseppe II esercitarono una spinta alla modernizzazione che trovò corrispondenza nelle attitudini civili ed economiche della società locale. Altrettanto si può dire per l'opera svolta in Toscana da un altro figlio di Maria Teresa, Leopoldo (granduca dal 1765 al 1790), che privatizzò le terre demaniali, liberalizzò il commercio dei cereali e soprattutto riformò i codici in funzione di una giustizia svincolata dall'eredità feudale. In Piemonte si avvertì una politica di carattere assolutista che fondò un efficiente stato burocratico, nel quale mancava, però, un ruolo autonomo da parte della società civile. 
 
 
 
Italia giacobina e napoleonica  
 
 
 
In Italia, come in altri paesi europei, la stagione delle riforme era già tramontata al momento in cui giunsero dalla Francia gli echi del sovvertimento che stava spazzando via l'antico regime per preparare le moderne forme della democrazia politica. Gli avvenimenti della Rivoluzione francese accesero speranze di rigenerazione generale: nei diversi stati italiani si formarono gruppi di giacobini che, condividendo le idee dei rivoluzionari di Parigi, progettavano di eliminare l'assolutismo per fondare stati democratici. 
 
Nella primavera del 1796, la rivoluzione sopraggiunse con le armate del generale Napoleone Bonaparte, che in breve tempo travolsero piemontesi e austriaci e predisposero le condizioni per nuove forme di libertà politica: ne furono espressione la serie di repubbliche che si costituirono ispirandosi agli ideali rivoluzionari. Nel 1797 Napoleone firmò con gli austriaci il trattato di Campoformio, con il quale il Veneto venne ceduto all'Austria, mentre le province di Crema, Bergamo e Brescia, quelle lombarde a nord del Po e la Valtellina furono unite nella Repubblica Cisalpina; a essa furono annessi i territori della Repubblica Cispadana (ex legazioni pontificie di Bologna e Ferrara, e ducati di Parma e Reggio), creata nel 1796. In rapida successione, e grazie all'accordo tra giacobini italiani e esercito napoleonico, si costituì la Repubblica ligure, seguita dalla Repubblica Romana (1798) che sorse nei territori dello stato pontificio, dalla Repubblica Partenopea (1799) e dai governi repubblicani in Piemonte e in Toscana (1798-99). 
 
Dopo una breve parentesi aperta dall'arrivo delle armate austro-russe, il ritorno in forze di Napoleone successivo alla vittoria nella battaglia di Marengo (1800) fece rinascere la Repubblica Cisalpina. Essa fu trasformata nel 1802 in Repubblica italiana con l'unione dei territori veneti, presieduta dallo stesso Napoleone e con la vicepresidenza di Francesco Melzi d'Eril. Napoleone, nel 1805, la proclamò regno (Regno d'Italia) facendosi incoronare dal papa. Il Granducato di Toscana, trasformato in Regno d'Etruria (1801-1807), fu quindi annesso alla Francia insieme con lo Stato della Chiesa, come già era accaduto al Piemonte, alla Liguria e al Ducato di Parma; nuovamente trasformato in ducato nel 1809 fu attribuito a Elisa Bonaparte, già principessa di Lucca, Massa e Carrara. Giuseppe Bonaparte, incoronato re di Napoli (1806), intraprese una serie di grandi riforme, tra cui l'eliminazione della feudalità, che furono completate dal successore Gioacchino Murat. Solo la Sardegna (dei Savoia) e la Sicilia (dei Borbone) rimasero al di fuori del dominio francese in virtù della protezione navale garantita dalla Gran Bretagna.  
 
 
 
  
 
  
 
La restaurazione  
 
 
 
Le potenze europee – Gran Bretagna, Austria, Prussia, Russia – uscite vincitrici dal ventennio di guerre contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica (vedi Guerre napoleoniche), ridisegnando la carta politica dell'Europa al congresso di Vienna (1814-15) stabilirono che in Italia venissero restaurati gli assetti prerivoluzionari: in base al principio della legittimità tornarono al potere i sovrani spodestati da Napoleone o i loro eredi. L'impero austriaco si installò nell'Italia centrosettentrionale riacquisendo la Lombardia, ottenendo il Veneto, imponendo sovrani legati alla corona asburgica in Toscana, a Parma e a Modena. Divenne definitiva la scomparsa delle antiche repubbliche di Genova e di Venezia: la prima fu annessa dal Regno di Sardegna, la seconda formò una provincia nel Regno asburgico del Lombardo-Veneto. Nel centro della penisola lo Stato Pontificio non subì mutamenti territoriali. A sud, nel Regno delle Due Sicilie, con capitali Napoli e Palermo, furono riportati al trono i sovrani della dinastia dei Borbone. Nel territorio italiano solo il Regno di Sardegna, comprendente il Piemonte, la Liguria, la Sardegna, la Savoia e Nizza, poteva svolgere una politica di relativa autonomia. 
 
 
 
  
 
Il Risorgimento  
 
 
 
L'equilibrio, stabilito al congresso di Vienna, fu all'insegna del ripristino degli stati assoluti; su questo versante politico esso mostrò le sue debolezze, nel momento in cui le opposizioni liberali e democratiche, eredi dei valori della Rivoluzione francese e attive in Italia come in tutta Europa, riuscirono a organizzarsi nelle società segrete, la principale delle quali fu la carboneria. All'azione delle società segrete devono essere ricondotti i moti che nel 1820-21 scoppiarono a Napoli e a Torino, coinvolgendo principalmente i quadri intermedi dell'esercito: la richiesta di una monarchia costituzionale, che garantisse i diritti politici ai notabili borghesi e ai funzionari di alto grado dello stato e che tutelasse la proprietà e la libertà di stampa, tornò quindi al centro della lotta politica. 
 
Nello stesso tempo presero corpo le aspirazioni all'unificazione politica dell'Italia, ora assurta nella coscienza patriottica a nazione, degna perciò di essere governata da una sola autorità statale non straniera. L'idea di nazione, uno dei più potenti fattori propulsivi della storia italiana almeno fino al 1861, ancora debole nelle associazioni segrete sorte negli anni della restaurazione, durante il Risorgimento fu raccolta e propugnata sia dai patrioti repubblicani, che avevano il loro leader in Giuseppe Mazzini, sia dai liberali moderati, che guardavano con interesse al ruolo del Regno di Sardegna e del suo re Carlo Alberto. 
 
Nelle rivoluzioni del 1848-49 la questione nazionale venne allo scoperto con le insurrezioni di Milano (Cinque giornate, marzo 1848) e di Venezia, conclusesi con la cacciata delle truppe austriache. La prima guerra d'indipendenza vide scendere in campo Carlo Alberto, il quale, però, si ritirò non appena fu sconfitto dagli austriaci nella battaglia di Custoza (1848), abbandonando al loro destino i patrioti italiani insorti un po' ovunque e privandoli di una guida nazionale. A Venezia gli insorti proclamarono la repubblica cominciando a organizzare la difesa militare contro il temuto intervento degli austriaci, mentre a Roma, fuggito Pio IX a Gaeta, la repubblica veniva proclamata il 9 febbraio 1849 da un'assemblea costituente. 
 
Incoraggiato dalle rivoluzioni di Venezia e di Roma, Carlo Alberto ritornò sul campo di battaglia muovendo nuovamente il suo esercito contro l'Austria; ma per la seconda volta venne sconfitto nella battaglia di Novara. L'esito negativo dello scontro militare aprì la strada alla repressione nel Nord e nel Centro d'Italia, condotta dagli eserciti austriaci. 
 
Al termine del biennio rivoluzionario le truppe austriache garantirono il ripristino delle dinastie regnanti prima del 1848. Solo nel Regno di Sardegna non fu restaurato il regime assolutistico, perché il nuovo sovrano Vittorio Emanuele II mantenne lo Statuto concesso da Carlo Alberto. Su questa piattaforma liberale e costituzionalista fu possibile adottare una linea politica che rilanciava la questione nazionale, cui il primo ministro, Cavour, diede una dimensione praticabile imperniata sul consenso internazionale, assicurando il favore della Francia e della Gran Bretagna a un progetto di unificazione italiana controllato dal re di Sardegna. Decisivo fu l'intervento francese, che portò alla seconda guerra d'indipendenza, nel corso della quale le truppe franco-piemontesi sconfissero ripetutamente gli austriaci in Piemonte e in Lombardia e le popolazioni dell'Emilia, della Romagna e della Toscana insorsero chiedendo con i plebisciti l'adesione al nuovo stato che si stava formando. Alla guerra condotta dalla dinastia piemontese e interrotta bruscamente per il ritiro dei francesi (armistizio di Villafranca, 1859), diede un'accelerazione l'iniziativa patriottica dei democratici guidati da Giuseppe Garibaldi, culminata nella spedizione dei Mille, che liberò il Sud dal governo borbonico. Con i plebisciti le popolazioni meridionali chiesero, insieme con quelle dei territori pontifici delle Marche e dell'Umbria, di essere annesse al Regno di Sardegna: il 17 marzo del 1861 il parlamento subalpino, nel quale ormai erano entrati deputati di tutta la penisola, proclamarono Vittorio Emanuele II re d'Italia.  
 
 
 
Il Regno d'Italia  
 
 
 
A fondamento del nuovo Regno d'Italia venne mantenuto lo Statuto albertino del 1848. Tale prudenza fu giustificata dal timore di ritorsioni internazionali, a conferma della fragilità che connotava lo stato unitario, le cui sorti erano strettamente legate agli equilibri europei. Cavour, che dell'unità era stato uno degli artefici, morì nel giugno di quello stesso anno: il successore Bettino Ricasoli ne proseguì la linea politica all'insegna del liberalismo moderato. 
 
Uno dei principali problemi del nuovo Regno derivava dalla questione romana: essa si traduceva nell'ostruzionismo praticato dal papa Pio IX, che non riconobbe l'esistenza del nuovo Regno e si rifiutò di aprire trattative che avessero come obiettivo l'acquisizione di Roma all'Italia. Mentre il governo sceglieva le vie diplomatiche, mazziniani e garibaldini premevano per una soluzione di forza. La tentò una prima volta Garibaldi, che mosse dalla Calabria con un gruppo di volontari, ma fu fermato dall'esercito piemontese (Aspromonte, 1862). Per aggirare l'ostacolo rappresentato soprattutto dalla Francia, le cui truppe difendevano lo Stato Pontificio, nel 1864 il governo stipulò un accordo: la Francia si impegnava a ritirare entro due anni i soldati, in cambio dell'impegno italiano a non violare militarmente lo Stato Pontificio. Una clausola dell'accordo prevedeva il trasferimento della capitale da Torino a Firenze (1865). Il governo italiano negli anni successivi prese drastici provvedimenti per la riduzione del potere temporale della Chiesa. 
 
Nel 1866 l'Italia partecipò alla guerra austro-prussiana, alleandosi con la Prussia (vedi Terza guerra d'indipendenza). Grazie ai successi dell'alleato, che fecero passare in secondo piano le sconfitte subite dall'esercito italiano, l'Italia acquisì il Veneto. 
 
La via per Roma si aprì invece nel 1870, in seguito alla disfatta della Francia nel conflitto con la Prussia: lo Stato Pontificio non aveva più la protezione francese. A quel punto l'Italia fu libera di muovere l'esercito, fatto che avvenne il 20 settembre 1870. Roma fu annessa al Regno e ne divenne la capitale. I rapporti Stato-Chiesa si fecero ancora più tesi dopo il trasferimento della capitale. Il governo italiano emanò nel 1871 la Legge delle guarentigie: al pontefice fu riconosciuta la posizione di sovrano straniero e assegnato un territorio (attuale stato del Vaticano). 
 
 
 
  
 
  
 
La fondazione dello stato unitario  
 
 
 
  
 
Nel 1861 il Regno d'Italia si configurava come una delle maggiori nazioni d'Europa, almeno a livello di popolazione e di superficie (22 milioni su una superficie di 259.320 km2), ma non poteva considerarsi una grande potenza, a causa soprattutto della sua debolezza economica e politica. Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato ostacolavano la costruzione di uno stato unitario. Accanto ad aree coinvolte in processi di rapida modernizzazione, esistevano situazioni statiche ed arcaiche, presenti soprattutto nell'economia agricola del Mezzogiorno. Ristrette erano le basi sociali su cui poggiava lo stato. Nelle campagne la gran massa dei contadini era rimasta quasi del tutto estranea, in certi casi ostile, al Risorgimento. Nel Sud l'ostilità esplose in una grande ribellione durata dal 1861 al 1865, che venne sfruttata dal partito borbonico e che spinse il governo a una durissima repressione militare (vedi Brigantaggio). 
 
Il nuovo stato nacque su un'impronta centralistica, nella quale alla corona vennero lasciati ampi poteri in politica interna ed estera. Il ruolo del sovrano si esplicò ampiamente nel primo decennio, quando tutte le crisi di governo furono risolte dal re, scavalcando le prerogative del Parlamento. Nelle mani della corona si concentravano alcune leve fondamentali del potere: l'esercito, la burocrazia, la giustizia, la corte e il Senato, i cui membri, a differenza dei deputati della Camera, non erano eletti ma di nomina regia.  
 
 
 
  
 
  
 
  
 
I governi della Destra e della Sinistra  
 
 
 
Dal 1861 al 1876 al governo furono nominati uomini della cosiddetta Destra storica, moderati e conservatori che si consideravano eredi politici di Cavour e che avviarono il processo di unificazione istituzionale del paese. Il fiorentino Bettino Ricasoli, il bolognese Marco Minghetti e il piemontese Quintino Sella ne furono gli esponenti di maggiore spessore politico e intellettuale. In campo economico l'obiettivo principale della Destra fu di pareggiare il bilancio dello stato. Il ministro delle Finanze, Sella, vi riuscì con una severa azione fiscale, che comportò il ripristino dell'impopolare tassa sul macinato, tanto odiata da causare malcontento e rivolte; essa era infatti stata introdotta per la prima volta nel XVI secolo e sembrava definitivamente scomparsa. Ma vari ministeri, oltre al Sella, ne avevano chiesto la reintroduzione, approvata definitivamente nel 1869. In campo economico si attuarono misure per il libero scambio e fu dato avvio alla costruzione della rete ferroviaria nazionale. 
 
Un parziale ricambio nella classe dirigente si verificò a seguito delle elezioni del 1876, vinte dai candidati che appartenevano alla cosiddetta Sinistra storica. Si trattava di uno schieramento di notabilato borghese meno conservatore della Destra, perché sosteneva la necessità di moderate riforme e di un intervento dello stato nell'economia a difesa dei ceti più deboli. I primi governi della Sinistra, guidati da Agostino Depretis, introdussero l'istruzione elementare obbligatoria dai sei ai nove anni. Con la riforma elettorale del 1882 la Sinistra riuscì a ottenere anche un parziale allargamento del corpo elettorale, che fece salire da 600.000 a due milioni circa il numero degli italiani aventi diritto al voto: in questo modo i diritti politici furono estesi alla piccola borghesia, agli operai, ai contadini benestanti e ai piccoli proprietari terrieri. 
 
Dal 1887 al 1896, salvo un'interruzione di due anni, fu presidente del Consiglio Francesco Crispi, il quale avviò un'opera di adeguamento dello stato alle nuove realtà sociali ed economiche, con il varo del codice sanitario, della riforma degli enti locali e del codice penale (che dal suo estensore prese il nome di codice Zanardelli, 1890). Crispi praticò una politica estera che, imitando le scelte imperialistiche delle grandi potenze, si tradusse nella conquista dell'Eritrea. Ma la sconfitta subita dall'esercito italiano ad Adua nel 1896 (vedi Guerra d'Eritrea) bloccò l'espansionismo coloniale italiano e provocò le dimissioni di Crispi.  
 
 
 
L'industrializzazione  
 
 
 
Negli ultimi anni dell'Ottocento l'Italia fu afflitta da un'emigrazione di massa, nel corso della quale milioni di contadini si trasferirono nelle Americhe e in altri stati europei. In quel periodo, però, l'Italia fece anche un decisivo passo in avanti, avvicinandosi ai paesi più moderni. Ebbe inizio un ciclo di rapida industrializzazione; si affermò il movimento operaio; l'economia progredì, favorita dall'adozione di misure protezionistiche e dai finanziamenti concessi dallo stato e da alcune importanti banche (Banca commerciale italiana, Credito italiano). L'industrializzazione ebbe i suoi punti di forza nella siderurgia (gli operai del settore tra il 1902 e il 1914 aumentarono da 15.000 a 50.000) e nella nuova industria idroelettrica. Quest'ultima sembrava risolvere una delle debolezze dell'Italia, paese privo di materie prime essenziali come il carbone e il ferro. Utilizzando l'acqua dei laghi alpini e dei fiumi fu possibile ottenere energia senza dipendere dall'estero per l'acquisto del carbone: la produzione di energia idroelettrica, tra il 1900 e il 1914, salì da 100 a 4.000 milioni di kwh. L'industria tessile mantenne una posizione di rilievo con prodotti venduti sia sul mercato interno sia su quello internazionale. Anche l'industria meccanica cominciò ad affermarsi nel settore dei trasporti (auto, treni) e delle macchine utensili. Ciononostante l'economia conservava forti squilibri tra il Nord del paese, industrializzato e moderno, e il Sud, arretrato e prevalentemente agricolo. 
 
La modernizzazione si manifestò anche nelle forme della vita politica e del conflitto sociale. Nel 1892 fu fondato a Milano da Filippo Turati il Partito socialista italiano, principale referente del movimento operaio fino all'avvento del fascismo. Una grande esplosione di protesta popolare si registrò in Sicilia dopo il 1890 e vide migliaia di contadini, spinti dalla crisi che impoveriva l'economia dell'isola, battersi per una riforma agraria. Il governo, presieduto da Francesco Crispi, decretò l'occupazione militare della Sicilia e la condanna dei capi sindacali (vedi Fasci siciliani). 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
La crisi di fine secolo  
 
 
 
Negli ultimi anni del secolo a una nuova ondata di scioperi il governo rispose con una dura repressione, il cui culmine si ebbe nel maggio del 1898 a Milano, dove il generale Bava Beccaris fece aprire il fuoco sulla folla che reclamava pane e lavoro. Si contarono alcune centinaia di morti. Subito dopo il massacro, la polizia arrestò i dirigenti socialisti, chiuse i giornali di opposizione e le sedi dei partiti operai. 
 
La situazione italiana si trovò allora a un passaggio difficile. C'era il rischio che prevalesse un governo reazionario. L'attentato in cui morì il re Umberto I, compiuto a Monza nel 1900 da un anarchico, rese più tesa la situazione. D'altra parte diversi uomini della borghesia industriale e i partiti di sinistra (socialisti, repubblicani e radicali) puntavano invece a una svolta democratica. Questa si presentò nel 1901, quando il nuovo re Vittorio Emanuele III affidò la carica di primo ministro a Giuseppe Zanardelli, un liberale che si era pronunciato contro la repressione. Ma l'uomo di maggiore prestigio di quel governo era il ministro degli Interni, Giovanni Giolitti. Egli divenne primo ministro nel 1903 e mantenne la massima carica politica fino al 1913, salvo brevi interruzioni.  
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
Età giolittiana  
 
 
 
Il periodo compreso tra il 1901 e il 1913 fu dominato dalla figura dello statista Giovanni Giolitti: la modernizzazione dello stato liberale, insieme con le prime riforme di carattere sociale, nate in un clima di positivo rapporto tra governo e settori moderati del socialismo, ne fu il tratto caratterizzante. Importanti furono le posizioni riformistiche prevalse tra le fila del partito socialista, che posero in minoranza l'ala massimalista, fautrice di uno scontro sociale e politico senza mediazioni. La svolta nel partito socialista trovò giustificazione nella linea politica tenuta da Giolitti, che si caratterizzò per un nuovo atteggiamento di neutralità governativa nei conflitti di lavoro, lasciando che fossero risolti dalle parti in causa: industriali e operai. Ai governi presieduti da Giolitti risalgono le prime leggi speciali per lo sviluppo del Mezzogiorno, imperniate sul principio del credito agevolato alle imprese e riguardanti la Basilicata, la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e Napoli: in quest'ultimo caso fu possibile ultimare rapidamente il centro siderurgico di Bagnoli. 
 
Un altro importante progetto portò alla statalizzazione delle ferrovie approvata dal parlamento nel 1905, che metteva l'Italia al passo con gli altri paesi europei in un settore essenziale allo sviluppo. Nel 1912 una legge per finanziare le pensioni di invalidità e di vecchiaia per i lavoratori inaugurava la moderna legislazione sociale in Italia. 
 
L'età giolittiana fu contrassegnata da una forte crescita economica che fece registrare notevoli tassi di sviluppo nel settore industriale, con conseguente aumento del reddito di molti italiani. Tuttavia, gli indici altrettanto elevati dell'emigrazione all'estero (circa 8 milioni di italiani lasciarono il paese in dieci anni) confermavano i radicati squilibri tra nord e sud e tra città e campagna.  
 
 
 
L'allargamento del suffragio  
 
 
 
Un'importante trasformazione politica fu sancita dalla legge elettorale approvata dal parlamento nel 1912, che introdusse il suffragio maschile quasi universale: tutti i maschi sopra i trent'anni potevano votare; sotto i trent'anni occorreva avere prestato il servizio militare, oppure disporre di un determinato reddito, oppure svolgere una professione statale. Gli italiani con diritto al voto passarono così dal 9,5% al 24,5%. Si trattava di una significativa estensione della base sociale dello stato liberale. La legge prevedeva il sistema uninominale a doppio turno. In quella occasione si stipulò un accordo tra Giolitti e i cattolici, conosciuto come patto Gentiloni, dal nome del deputato che lo propose. In base a esso i cattolici assicuravano il loro voto ai candidati liberali che si fossero impegnati su due questioni che stavano a cuore alla Chiesa: l'opposizione a ogni legge sul divorzio e l'introduzione dell'insegnamento della religione nelle scuole elementari. 
 
In politica estera l'Italia, pur non rinnegando la Triplice Alleanza, patto difensivo siglato nel 1882 con l'Austria e la Germania, si riavvicinò alla Francia, con cui venne firmato un accordo coloniale (1902): l'Italia riconosceva ai francesi libertà di intervento in Marocco, in cambio di un analogo atteggiamento francese verso le pretese italiane sulla Libia, una grande area non ancora colonizzata dagli europei. Allorché l'Austria procedette all'annessione della Bosnia-Erzegovina (1908) ci fu una ripresa in Italia dello spirito antiaustriaco che aveva animato il Risorgimento e che ora propugnava l'acquisizione del Trentino e della Venezia Giulia, territori a maggioranza italiana, ma appartenenti all'impero austriaco (vedi Irredentismo). Al tempo stesso crescevano le attese per una presenza italiana nella spartizione coloniale, alimentate da una crescente cultura nazionalistica. Alle pressioni dei nazionalisti Giolitti offrì una risposta inviando una spedizione militare in Libia (1911): ne scaturì la guerra italo-turca che si concluse nel 1912 con la vittoria dell'Italia. Nel trattato di pace fu riconosciuta la sovranità italiana sulla Libia, su Rodi e altre isole del Dodecaneso, occupate nel corso del conflitto. 
 
Le elezioni del 1913, che videro l'avanzata delle opposizioni, sia dei socialisti sia dei clerico-moderati, e la crisi economica che cominciò a farsi sentire privarono Giolitti della base parlamentare e sociale. Per questo si dimise dal governo e fu sostituito dal conservatore Antonio Salandra. Il nuovo gabinetto represse le agitazioni antimilitaristiche del giugno di quell'anno, che presero una dimensione insurrezionale nelle Marche e in Romagna (la cosiddetta "settimana rossa", 7-14 giugno 1914). Al diffuso sentimento neutralista il governo rispose con l'organizzazione di manifestazioni favorevoli all'intervento militare contro l'Austria, le "radiose giornate di maggio", preludio di quel clima bellico nel quale l'Italia fu trascinata insieme con l'Europa dopo l'attentato di Sarajevo (28 giugno 1914), causa scatenante della prima guerra mondiale. 
 
 
 
  
 
  
 
                                       L’AUSTRIA 
 
 
 
Da allora la storia dell'Austria si legò indissolubilmente a quella della casa d'Asburgo e del Sacro romano impero che i suoi esponenti ressero (con brevissime interruzioni) sino allo scioglimento nel 1806. 
 
L'impero asburgico assurse a grande potenza sotto il regno di Massimiliano I che, con un'accorta politica di alleanze matrimoniali (a partire dalla sua unione con Maria di Borgogna), ampliò considerevolmente i confini del regno giungendo a comprendervi la Spagna con i suoi possedimenti italiani e americani, nonché la Boemia e l'Ungheria. Gli succedette Carlo V il quale abdicò nel 1556 lasciando il governo dei possedimenti austro-tedeschi al fratello Ferdinando I, già re di Boemia. 
 
Nonostante il tentativo di Carlo V di preservare l'unità dell'impero sotto il profilo sia politico sia religioso, in Austria vi fu una rapida diffusione della Riforma. Il regime di parziale tolleranza religiosa introdotto dalla pace di Augusta del 1555 venne interrotto dalla salita al potere del controriformista Rodolfo II, il cui tentativo di restaurazione cattolica fu perseguito anche dal fratello, Mattia, che gli succedette alla guida del paese. Mattia non riuscì tuttavia a risolvere le tensioni di carattere religioso che, nel 1618, sfociarono nella ribellione dei protestanti boemi. L'episodio della "defenestrazione di Praga" dei rappresentanti dell'imperatore fu all'origine della guerra dei Trent'anni, che rafforzò il potere dei signori locali e privò l'impero di un'effettiva struttura di governo centralizzata. 
 
Un altro aspro conflitto oppose gli Asburgo ai turchi ottomani, sostenuti dai ribelli nazionalisti ungheresi, ed ebbe il suo momento culminante nell'assedio posto alla capitale Vienna. La città fu soccorsa nel 1683 da un esercito di polacchi e tedeschi sotto la guida del re polacco Giovanni Sobieski; seguì la controffensiva degli Asburgo, che nel 1687 strapparono al sultano il controllo di Ungheria e Transilvania. 
 
Quando nel 1700 Carlo II di Spagna morì senza lasciare eredi diretti, l'imperatore Leopoldo I ne rivendicò i possedimenti esterni alla penisola iberica per il figlio Giuseppe I, sottraendoli alle mire francesi; al termine della guerra di successione spagnola che seguì, l'Austria guadagnò il controllo dei Paesi Bassi spagnoli e, in Italia, di Milano, Napoli e Sardegna. 
 
Nel 1713 l'imperatore Carlo VI promulgò la Prammatica sanzione, che dichiarava i possedimenti degli Asburgo indivisibili per garantire l'impero intatto alla figlia Maria Teresa. 
 
 
 
Dispotismo illuminato  
 
 
 
I tentativi dei rivali di contestare l'autorità o ridurre il potere della sovrana sfociarono nella guerra di successione austriaca e culminarono nella guerra dei Sette anni. 
 
Maria Teresa avviò un'opera di profonda riorganizzazione e modernizzazione dei domini della casa, riformando l'amministrazione imperiale, il sistema scolastico e i codici legislativi; il figlio e successore Giuseppe II continuò l'opera di centralizzazione delle strutture di governo (attirandosi per questo l'opposizione dei nazionalisti ungheresi, belgi e boemi), coniugandola con l'acquisto di nuove terre in Polonia che spartì con la Russia e la Prussia. 
 
 
 
Guerra con la Francia  
 
 
 
Dal 1792 al 1815 l'impero asburgico fu profondamente coinvolto nelle vicende della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche. Le azioni militari austriache cominciarono con la vittoriosa invasione della Francia in alleanza con la Prussia, cui però seguì una lunga serie di sconfitte che provocarono la perdita dei Paesi Bassi (1794-1795) e di buona parte della Confederazione tedesca, tanto che nel 1806 Francesco I sciolse il Sacro romano impero. Il congresso di Vienna (1814-1815) restituì all'imperatore i suoi antichi possedimenti, aggiungendovi Lombardo-Veneto, Istria e Dalmazia, mentre l'abilità diplomatica del cancelliere austriaco Klemens von Metternich fece dell'impero asburgico il centro del nuovo assetto europeo (vedi Impero austroungarico). 
 
 
 
Rivoluzione del 1848  
 
 
 
Dal 1815 al 1848 la direttiva principale della politica asburgica fu la conservazione dello status quo territoriale e istituzionale stabilito a Vienna dalle potenze vincitrici, resa sempre più difficile dai mutamenti socio-economici legati al processo di industrializzazione che interessò anche l'impero austriaco, al quale si aggiunse lo sviluppo di una coscienza nazionale da parte delle sue diverse componenti etniche. Nel marzo 1848 un vasto movimento rivoluzionario investì l'impero costringendo Metternich alle dimissioni e successivamente all'abdicazione di Ferdinando I in favore del nipote diciottenne, Francesco Giuseppe I (che avrebbe regnato sino al 1916). 
 
Il nuovo imperatore promulgò una Costituzione che istituiva per l'Austria un sistema di governo parlamentare e liberava i contadini da ogni carico feudale, avviando inoltre lo studio di una riorganizzazione complessiva dell'impero su base nazionale. Nel frattempo le divisioni interne ai diversi movimenti rivoluzionari minarono le vittorie sin lì da essi ottenute: sia i ribelli italiani nel Lombardo-Veneto sia quelli ungheresi vennero schiacciati dalla reazione asburgica, sostenuta dalle truppe dello zar di Russia. Francesco Giuseppe abbandonò ogni prospettiva liberalizzante e, abolito il governo costituzionale austriaco, congelò il piano di riorganizzazione imperiale. 
 
Durante la guerra di Crimea (1853-1856) l'Austria intervenne a fianco di Inghilterra e Francia dopo l'occupazione russa dei principati di Moldavia e Valacchia. Oltre a deteriorare i rapporti con la Russia, il conflitto rovinò le finanze austriache, costrette di lì a cinque anni ad affrontare il peso di un nuovo conflitto con il Regno di Sardegna, in seguito al quale l'Austria perse la Lombardia. 
 
L'Austria perse anche il confronto con la Prussia nella lotta per la supremazia in Europa centrale, con un esito reso definitivo dalla battaglia di Sadowa (1866): in seguito a essa l'Italia (alleata della Prussia) ottenne Venezia, la Confederazione germanica fu sciolta e la Prussia si mise alla guida della creazione dello stato tedesco unitario. 
 
 
 
L'impero austroungarico  
 
 
 
Dopo la guerra, nel 1867 Francesco Giuseppe si vide obbligato ad accettare un compromesso (Ausgleich) con la nazione ungherese, che da tempo reclamava l'indipendenza; esso consistette nella creazione di una duplice monarchia, entro la quale Austria e Ungheria erano due stati separati, ognuno con costituzione, governo e parlamento propri, ma uniti nella persona del sovrano, imperatore d'Austria e re d'Ungheria, e dalla comunanza dei ministeri degli Affari esteri, della Guerra e delle Finanze. 
 
Il compromesso del 1867 sollevò la reazione di altre componenti etniche dell'impero. Contemporaneamente a un periodo di rapida crescita economica, si acuirono i conflitti sociali, si rafforzarono i movimenti nazionalisti, si assistette alla nascita di partiti politici di massa e di un diffuso antisemitismo. 
 
Alleanza con la Germania  
 
Il costituirsi dell'impero tedesco nel 1871 spostò forzatamente a oriente, verso la penisola balcanica, il centro di equilibrio della politica estera degli Asburgo, ponendola in conflitto con gli interessi russi nella medesima area. Dopo la sconfitta degli ottomani contro la Russia (1875), il congresso di Berlino del 1878 ridimensionò drasticamente le acquisizioni territoriali russe, assegnando nel contempo a Vienna l'amministrazione di Bosnia ed Erzegovina. Nel 1879 Germania e Austria-Ungheria formalizzarono in una alleanza l'asse preferenziale creatosi tra loro; con l'aggiunta dell'Italia nel 1882, essa venne conosciuta come Triplice Alleanza. 
 
Nel 1908 l'annessione della Bosnia-Erzegovina all'impero provocò le dure reazioni russe e serbe. L'inasprimento dei rapporti tra serbi e tedeschi e le successive guerre balcaniche sfociarono nell'attentato all'erede al trono austroungarico e alla prima guerra mondiale.  
 
 
 
  
 
  
 
  
 
Prima guerra mondiale  
 
 
 
Il 28 giugno 1914 l'erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando e sua moglie furono assassinati nella capitale bosniaca di Sarajevo dal nazionalista serbo Gavrilo Princip (vedi Attentato di Sarajevo). Un mese dopo, assicuratosi l'appoggio tedesco, il governo asburgico dichiarò guerra alla Serbia, provocando l'intervento di Germania, Russia, Francia e Gran Bretagna (vedi Prima guerra mondiale). 
 
Nella primavera del 1915 l'attività militare austroungarica, concentratasi durante la prima fase del conflitto contro Russia e Serbia, fu condizionata dal mutamento di alleanze dell'Italia che, dichiaratasi neutrale nel 1914, annunciò il suo intervento a fianco dell'Intesa. Le difficoltà della guerra e la morte di Francesco Giuseppe nel 1916 (la cui persona era rimasta uno degli ultimi elementi coesivi dell'impero) accelerarono la crisi delle strutture imperiali. L'anno successivo il nuovo sovrano Carlo I vide fallire i tentativi di ottenere una pace separata con le potenze avversarie, mentre il moltiplicarsi dei moti di protesta nazionalisti rese ingovernabili i suoi domini. 
 
Dopo che nella primavera-estate del 1918 la sconfitta militare apparve inevitabile ed evidente, una nuova ondata di scioperi e moti secessionisti aprirono la crisi finale. I rappresentanti delle minoranze slave del sud, riunitisi a Zagabria il 7 ottobre, sostennero l'unione con la Serbia, mentre il 28 ottobre i cechi proclamarono una repubblica indipendente a Praga. Il 3 novembre fu il governo ungherese ad annunciare la separazione dall'Austria, che lo stesso giorno firmò l'armistizio con le forze dell'Intesa. Il 12 novembre Carlo abbandonò ogni ruolo nell'amministrazione dello stato e lasciò l'Austria; pochi giorni dopo, tanto in Austria che in Ungheria, venne proclamata la repubblica.  
 
 
 
La prima repubblica austriaca  
 
 
 
La repubblica austriaca nacque come un piccolo stato, disorganizzato e impoverito, con circa sette milioni di abitanti. Perdute le regioni industriali di Boemia e Moravia, si poneva quale naturale appendice della Germania, l'unione con la quale, pur auspicata dalla maggioranza dei suoi abitanti, fu esplicitamente proibita dal trattato di pace di Saint-Germain. La nuova Costituzione del 1920 creò uno stato federale, con un Parlamento bicamerale eletto a suffragio universale maschile. 
 
La ricostruzione economica ebbe luogo grazie anche ad aiuti esterni, concessi con finalità stabilizzatrici in particolare da Stati Uniti, Gran Bretagna e Svezia. La situazione politica interna rimase comunque difficile, a causa del forte antagonismo venutosi a creare tra la capitale dominata dai socialisti e le province periferiche fortemente conservatrici.  
 
 
 
Fascismo e Anschluss  
 
 
 
Una successione di governi guidati dal Partito conservatore cristiano sociale affrontò con fatica gli effetti della Grande Depressione, mentre l'ascesa anche in Austria del movimento nazionalsocialista rappresentò un ulteriore fattore destabilizzante. Preso in mezzo da due opposizioni che progressivamente radicalizzavano le proprie posizioni, il cancelliere Engelbert Dollfuss nel 1933 sciolse il Parlamento e iniziò a governare per decreti. Sostenuto dall'esercito e dalla Heimwehr (Lega di difesa interna, un'organizzazione paramilitare fascista), il suo regime schiacciò inizialmente l'opposizione socialista, per poi mettere fuorilegge tutti i partiti politici (1934); una nuova Costituzione, che cancellava le istituzioni parlamentari, era stata appena introdotta quando Dollfuss fu assassinato nel corso di un fallito tentativo nazista di Putsch inteso ad aprire le porte all'Anschluss ("annessione") con la Germania. Nel 1938 il nuovo cancelliere Kurt von Schuschnigg indisse un plebiscito popolare per riaffermare l'indipendenza dell'Austria; Hitler chiese e ottenne le sue dimissioni, quindi invase il paese, promuovendo la formazione di un governo collaborazionista guidato da Arthur Seyss-Inquart. L'Austria fu rinominata Ostmark (Marca Orientale) e posta sotto la diretta autorità del Terzo Reich tedesco. 
 
l secolo XVIII segnò il trionfo del razionalismo e del pensiero scientifico, in reazione ai fermenti religiosi dei due secoli precedenti. Le teorie illuministiche del governo rappresentativo, unite all'esaltazione romantica della libertà e dell'identità nazionale, ispirarono anche ai tedeschi il desiderio di unità e di riforme liberali, alimentato anche dalle conquiste di Napoleone. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
LA GERMANIA 
 
 
 
Nel corso di diciotto anni gli stati tedeschi furono impegnati in cinque guerre difensive contro le armate della Francia rivoluzionaria e napoleonica; nelle prime due, gli invasori riuscirono ad attestarsi sulla riva sinistra del Reno, mentre nella terza Napoleone conquistò Vienna e Berlino. Il processo di riunificazione tedesca, appoggiato dallo stesso Napoleone, faceva un ulteriore passo avanti: nel 1806 la Germania si ricostituì nella Confederazione del Reno, dalla quale furono escluse Austria e Prussia, private inoltre di molti territori. Nel 1809 l'Austria condusse una quarta guerra contro la Francia, che si concluse con mutilazioni territoriali. 
 
Nel 1812 la disastrosa ritirata di Napoleone da Mosca incoraggiò i sovrani tedeschi a compiere un nuovo tentativo per rovesciare la situazione. Federico Guglielmo III di Prussia, seguito da Austria e Russia, si pose alla testa della guerra di liberazione, che vide Napoleone sconfitto nella battaglia di Lipsia (1813) e Parigi cadere nelle mani degli alleati nel 1814. 
 
Al Congresso di Vienna, che ridisegnò la carta geografica europea, l'Austria rinunciò ai Paesi Bassi austriaci e alle sue terre sveve per essere compensata a sud e a est con l'acquisizione di Salisburgo, del Tirolo, della Lombardia e di Venezia in Italia, dell'Illiria e della Dalmazia. La Prussia perse la maggior parte del territorio polacco in suo possesso, ma acquisì Sassonia e Pomerania svedese, oltre a diversi territori sul Reno e in Vestfalia, compresi quelli contenenti i giacimenti di ferro e carbone, ancora intatti, della Ruhr e della Saar.  
 
 
 
La Confederazione germanica  
 
 
 
Il Congresso sancì anche l'unione dei 240 stati del Sacro romano impero in una Confederazione germanica di 39 stati rappresentata da un'assemblea o Dieta, con sede a Francoforte, priva di poteri di governo effettivi, che molti videro come il nucleo di un potenziale stato nazionale unitario e liberale. 
 
Al liberalismo e al nazionalismo si opponevano tuttavia fortemente i sovrani di Prussia e Austria, nonché quelli di Baviera, Hannover, Württemberg e Sassonia, timorosi di vedere minacciata la propria autonomia; a una intransigente difesa dei confini stabiliti a Vienna (affidata all'azione della Quadruplice Alleanza), i maggiori sovrani tedeschi affiancarono l'appoggio alla repressione di ogni opposizione interna o moto rivoluzionario, promossa e propugnata dal ministro degli esteri austriaco, principe Klemens von Metternich. Gli effetti della rivoluzione di luglio scoppiata a Parigi nel 1830 poterono così essere tenuti sotto controllo, ma la nuova ondata rivoluzionaria liberal-nazionalista del 1848 (vedi Rivoluzioni del 1848) investì in pieno il centro Europa, interessando Ungheria, Boemia, Moravia, Galizia e Lombardia; Metternich rassegnò l'incarico e l'imperatore Ferdinando I abdicò in favore del giovane nipote Francesco Giuseppe I. Nuove insurrezioni scoppiarono in Baviera, Prussia e nella Germania sudoccidentale, tuttavia presto represse. In Austria l'assemblea liberale fu sciolta, e una nuova Costituzione stabilì un sistema di governo ancor più centralizzato del precedente; l'Ungheria, che si era autoproclamata repubblica, fu soggiogata con la forza e l'aiuto russo. In Prussia, Federico Guglielmo IV impose una Costituzione autoritaria, rifiutando sdegnosamente la proposta avanzatagli dai rappresentanti del parlamento di Francoforte di porsi a capo di uno stato nazionale tedesco ("piccola Germania") che escludesse l'Austria e i territori da essa controllati. L'assemblea si sciolse nel fallimento totale: l'unità sarebbe stata raggiunta grazie alla potenza militare prussiana. 
 
 
 
  
 
L'impero tedesco  
 
 
 
Nel 1861, salendo al trono di Prussia, Guglielmo I era più che mai determinato a fare in modo che né l'Austria né un rinnovato espansionismo francese dovessero ostacolare le ambizioni prussiane; con il suo cancelliere Otto von Bismarck perseguì l'obiettivo di rendere la Prussia inattaccabile e l'unificazione tedesca venne così considerata un importante passaggio nella realizzazione di questo progetto.  
 
L'unificazione  
 
La Realpolitik di Bismarck combinò astutamente diplomazia e militarismo per eliminare l'influenza austriaca e approdare a una unificazione tedesca nei termini desiderati dalla Prussia. Come azione preliminare, si assicurò la neutralità di Russia, Italia e Francia con trattati di amicizia. Il primo passo fu poi invitare l'Austria nel 1864 a partecipare all'invasione dei ducati danesi dello Schleswig-Holstein; le forze austro-prussiane ebbero facilmente il sopravvento sugli avversari, ma i due governi si divisero subito dopo sul problema del controllo dei ducati acquisiti. 
 
Cogliendo questo pretesto (in effetti ricercato ad arte), Bismarck dichiarò guerra all'Austria (vedi Guerra austro-prussiana); le armate del generale Helmuth von Moltke sconfissero in breve tempo gli austriaci che a Sadowa, nel 1866, andarono incontro alla disfatta. Con la pace di Praga, l'Austria dovette cedere Venezia all'Italia (alleatasi in precedenza con Berlino), mentre la Prussia si annetté lo Schleswig-Holstein e l'Hannover e dette vita a una Confederazione della Germania del Nord (1867) che escludeva l'Austria. A questo punto Bismarck realizzò la terza fase del suo ambizioso progetto, muovendo guerra alla Francia dell'imperatore Napoleone III (vedi Guerra franco-prussiana) nel 1870. Gli stati della Germania meridionale unirono le proprie forze a quelle prussiane e, sconfitti i francesi nella battaglia di Sedan, dopo un lungo assedio presero Parigi (1871). Poco dopo, a Versailles, Guglielmo I assumeva il nuovo titolo di imperatore del Secondo Reich tedesco. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
L'epoca di Bismarck  
 
 
 
Raggiunto l'obiettivo di creare uno stato nazionale tedesco unitario e vasto, Bismarck iniziò a lavorare per la pace, costruendo un sistema di alleanze tese a proteggere la Germania da eventuali aggressioni; al Congresso di Berlino (1878) si adoperò per stabilizzare l'inquieta regione dei Balcani, mentre fu solo per conquistarsi il favore della classe mercantile che acconsentì all'acquisizione di colonie tedesche in Africa e nel Pacifico. 
 
Sul piano interno, il cosiddetto "cancelliere di ferro" incoraggiò la rivoluzione industriale, sviluppatasi rapidamente dopo il 1850, grazie all'applicazione delle più avanzate tecnologie per l'estrazione di ferro e carbone che permisero il pieno sfruttamento dei ricchi giacimenti della Ruhr e della Saar; la popolazione aumentò di un terzo, sorsero nuove fabbriche, i consumi privati e le forti commesse statali in infrastrutture e armamenti favorirono notevolmente l'economia. 
 
L'impero non era certo concepito secondo criteri democratici; il cancelliere era responsabile solo di fronte all'imperatore, unica effettiva autorità dello stato che Bismarck intese preservare, scoraggiando l'attività dei partiti politici e scatenando una vera e propria crociata contro la Chiesa cattolica dopo il 1870 (Kulturkampf), cui fece seguire un'ugualmente dura campagna repressiva contro il movimento socialista. Per prevenire le rivendicazioni dei lavoratori egli introdusse nel contempo misure molto avanzate sul piano della previdenza sociale per gli infortuni e le malattie, nonché delle pensioni di anzianità. L'azione politica di Bismarck si interruppe bruscamente con la salita al trono nel 1890 del nuovo imperatore Guglielmo II, deciso a prendere egli stesso in mano le redini del governo.  
 
 
 
Le guerre mondiali e il crollo  
 
 
 
La stessa spinta nazionalistica che aveva portato all'unificazione della Germania nel XIX secolo produsse due guerre disastrose e la conseguente spartizione del paese nel XX secolo.  
 
Prima guerra mondiale  
 
 
 
I timori nei confronti della nuova Germania (unificata di recente, di gran lunga la più popolosa e industrializzata nazione del continente europeo, imperialista in politica estera) fecero da sfondo agli avvenimenti che sfociarono nella prima guerra mondiale; del resto ognuna delle altre potenze avanzava rivendicazioni nei confronti dello stato tedesco: la Francia voleva riconquistare l'Alsazia-Lorena; l'Inghilterra si sentiva minacciata dall'espansionismo coloniale tedesco in Africa e dalla possibile rivalità con una forte marina militare voluta da Guglielmo II; l'Austria e la Russia ne temevano le intromissioni nella loro instabile situazione interna. Peraltro, la stessa Germania viveva sotto l'incubo di una guerra su due fronti. 
 
Il delicato sistema di alleanze contrapposte, ideato da Bismarck, si rivelò troppo difficile da mantenere; egli rifiutò così di rinnovare il trattato di controassicurazione firmato con la Russia nel 1887, reiterando invece gli accordi della Triplice Alleanza (stipulata nel 1882) con Austria e Italia. Per tutta risposta la Russia strinse un'alleanza con la Francia (1894), che ebbe l'effetto di porre la Germania tra due fuochi, proprio nel momento in cui anche l'Inghilterra abbandonava la sua neutralità per dar vita prima all'Entente cordiale (1904) con la Francia, poi alla Triplice Intesa (1907) con Francia e Russia. 
 
L'intervento tedesco in Marocco (1905 e 1911) a difesa degli interessi della Germania in Africa e l'annessione delle province turche della Bosnia ed Erzegovina da parte dell'Austria a scapito della Serbia costituirono i prodromi del futuro conflitto, ad accendere il quale intervenne l'attentato all'arciduca austriaco Francesco Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914. 
 
I piani tedeschi di guerra prevedevano una rapida conquista della Francia, così da poter concentrare gli sforzi sul difficile fronte orientale; le armate imperiali trovarono però una resistenza maggiore del previsto nel Belgio neutrale, invaso con una violazione del diritto internazionale, che spinse l'Inghilterra a intervenire immediatamente nel conflitto e che alienò ogni simpatia agli imperi centrali. 
 
Giunta alle porte di Parigi, l'offensiva tedesca si spense sulla Marna (vedi Battaglia della Marna), seguita da quattro anni di terribile guerra di posizione. Nel frattempo, i russi avevano attaccato a est, determinando la situazione tanto temuta dalla Germania di due fronti di guerra contemporaneamente aperti. 
 
Il blocco degli Alleati attorno alla Germania portò alla decisione da parte dei comandi tedeschi di lanciare una guerra sottomarina indiscriminata, che ebbe l'effetto di trascinare nella guerra anche la potenza statunitense (1917). L'anno successivo la Germania concludeva con la Russia bolscevica la pace di Brest-Litovsk, disimpegnando così il fronte orientale, ma la grande offensiva finale, subito dopo lanciata a occidente, non dette i risultati sperati. Riconoscendo la gravità della situazione, il comando supremo tedesco chiese all'imperatore di avviare trattative di pace, per le quali il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson era tuttavia disponibile solo a condizione di avere come interlocutore un governo eletto democraticamente. Mentre i combattimenti proseguivano in un crescendo di atti di insubordinazione nella marina e nell'esercito tedeschi, di scioperi indetti dalle organizzazioni socialiste, mentre si formavano Soviet di lavoratori e soldati, di tumulti sfociati in Baviera in una vera e propria rivoluzione, Guglielmo II finì per abdicare. Dalle ceneri del secondo Reich nasceva la nuova Repubblica di Weimar. 
 
 
 
Il trattato di Versailles e il difficile dopoguerra  
 
 
 
Le durissime condizioni di pace imposte ai tedeschi dal trattato di Versailles del 1919 non facilitarono il processo di pacificazione, preparando anzi il clima per il futuro riarmo della Germania. Oltre all'obbligo di pagare ingentissime riparazioni di guerra, la Germania dovette cedere l'Alsazia-Lorena alla Francia e la Prussia occidentale alla Polonia; perse inoltre tutte le colonie, buona parte delle riserve di carbone, dei treni, delle navi mercantili e di quelle militari. 
 
Il diffuso malcontento per le clausole della pace minò alla radice i rapporti del nuovo regime di Weimar con la comunità internazionale e con i vicini stati europei in particolare, mentre sul piano interno screditò in partenza il nuovo governo socialdemocratico agli occhi di una buona parte della popolazione, attratta dalla propaganda comunista e nazionalsocialista. 
 
 
 
  
 
  
 
INGHILTERRA 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
  
 
CATTERISTICHE GENERALI DEGLI STILI 
 
 
 
  
 
  
 
Il Luigi XVI - Neoclassico 
 
Lo stile Luigi XVI coincide all'incirca con la durata del regno del re che portava questo nome: 1774-1792. Esso rappresenta la prima reazione all'abuso delle linee curve e dell'asimmetria, che fu caratteristica dell'ultimo Barocco. Riappaiono le linee diritte, 1'equilibrio e la simmetria, e cominciano a tornare in auge ornamentazioni classiche, derivate dall'antichità greco-romana (si diffonde, in pratica, il Neoclassico). 
 
 
 
Il Direttorio 
 
Lo stile Direttorio e Consolato sviluppano il Luigi XVI e si protraggono per tutta 1'epoca storica della Convenzione, del Direttorio e del Consolato: 1792-1804. Questo stile prosegue ed evolve i temi del Neoclassico e ha una maggiore severità del Luigi XVI, che conservava ancora qualche grazia del Barocco. 
 
 
 
L’impero 
 
L'Impero si proflla dall'epoca del Direttorio e si sviluppa non solo durante il periodo di Napoleone I (1804-1815) ma anche successivamente, almeno fino al 1840. Lo stile Impero ha una sua autonomia attingendo dichiaratamente gli elementi compositivi dall'antichità classica, etrusca, romana, greca e orientale. L'ornamentazione egizia, assieme agli ornati dell'arte classica, ha parte dominante in questo stile, attraverso il quale il Neoclassico raggiunge talora la sua massima espressione. 
 
 
 
La Restaurazione 
 
La Restaurazione si intreccia con lo stile Impero, dal 1815 in poi, e si prolunga con esso sino all'epoca dell'avvento di Luigi Filippo (1830), per proseguire poi fin quasi alla metà del secolo. Lo stile Restaurazione smorza le caratteristiche dell'Impero, del quale cerca di attenuare il gusto epico. Nell'ultimo periodo fungerà anche da premessa e poi si mescolerà alle pesantezze borghesi dello stile Luigi Filippo. 
 
 
 
Il Luigi Filippo 
 
Il Luigi Filippo si sviluppa durante il regno di questo re (1830-1848). In Italia corrisponde quasi esattamente al regno di Carlo Alberto (1831-18q8), per cui lo stile è detto anche Albertino. 
 
Lo stile Luigi Filippo, che vanta in Italia importanti esempi nel mobilio che Carlo Alberto ordinò per le sue residenze, è uno stile Impero mescolato con la Restaurazione e corrotto dalla voglia di imitare il Barocco. Questo ritorno è preceduto da una improvvisa impennata dello stile Gotico, interpretato in modo romantico e teatrale. 
 
 
 
Il II Impero 
 
Il II Impero (o Impero di Napoleone III, 1852-1870) si ricollega al periodo Luigi Filippo, con un accentuato trasformismo, tipicamente ottocentesco, che diventerà ancora più marcato nell'ultimo trentennio del secolo. 
 
Lo stile del II Impero è la piena imitazione del Barocco, tanto da sfiorare il plagio. Altre volte si esprime in forme fortemente contaminate, ma decisamente più libere. In questo senso si può già parlare di Eclettismo data la quantità degli stili imitati. 
 
 
 
L'Eclettico 
 
Con 1'Eclettico si distingue per lo più 1'ultlmo terzo del XIX secolo, che va cioè dal 1870 in avanti, ma con notevoli anticipazioni che ne datano 1'inizio al 1850. Esso si chiamerà anche Umbertino, dal re Umberto I, salito al trono nel 1878, dove rimase fino al 1900. 
 
Questo stile si dice Eclettico e durante il suo sviluppo non c'è soltanto 1'imitazione del Barocco, in infinite trasformazioni e contaminazioni, ma anche un ulteriore sviluppo del Gotico. Ritroviamo altresì 1'imitazione neoclassica e dell'Egizio, dell'Assiro-Babilonese, del Moresco, del Cinese. Le tensioni verso ll Neorococò sono ragguardevoli. 
 
Oltremodo pesante risulterà poi l'imitazione del Rinascimento. 
 
 
 
Il Floreale e il Liberty 
 
 
 
Il periodo Floreale e Liberty si intreccia, cronologicamente; con gli ultimi anni dell'Eclettico e la sua durata sarà per tutti gli anni del '900 che precedono la Prima guerra mondiale. 
 
Lo stile Floreale, che diventerà presto Liberty, dal nome della ditta Liberty   Co. che lo sviluppò in Inghilterra per diffonderlo in Europa, si ricollega al movimento preraffaellita. 
 
Ha il suo apogeo con 1'Esposizione di Parigi del 1900 e quella di Torino del 1902. 
 
 
 
  
 
  
 
 
 
 
 
                                IL BAROCCO 
 
 
 
Definizione  
 
 
 
Le origini della parola "barocco" sono poco chiare. Potrebbe derivare dal portoghese barocco o dallo spagnolo barrueco, termine che designava un genere di perla dalla forma irregolare. Verso la fine del XVIII secolo, tuttavia, il termine barocco, usato nell'accezione di "bizzarro", "stravagante" e "grottesco", era ormai entrato nel vocabolario della critica per definire lo stile artistico del Seicento, in seguito considerato da molti studiosi come eccessivamente stravagante ed esotico per meritare seria considerazione. Nel XIX secolo lo storico svizzero Jacob Burckhardt, ad esempio, lo considerò l'epigono decadente del Rinascimento; il suo allievo, Heinrich Wölfflin, fu il primo a individuare, nel libro Concetti fondamentali della storia dell'arte (1915), i tratti fondamentali che distinguevano l'arte dei secoli XVI e XVII, affermando che "il barocco non rappresenta né un'ascesa né un declino del classico, ma un'arte totalmente diversa". 
 
 
 
Caratteristiche dello stile barocco  
 
 
 
Movimento, energia e tensione sono fra le caratteristiche principali dell'arte barocca; i forti contrasti di luce e ombra accentuano l'effetto drammatico di molti dipinti, sculture e opere architettoniche. Nei dipinti e nelle sculture barocche vi è sempre un riferimento all'infinità dello spazio ed emerge nei pittori la ricerca costante di una maggiore spazialità e di una raffigurazione il più possibile realistica della prospettiva. Il naturalismo è un'altra caratteristica fondamentale dell'arte barocca; le figure ritratte non sono stereotipi, bensì individui, ognuno con la propria personalità. Gli artisti di questo periodo erano affascinati dagli intimi meccanismi della mente e dal ritrarre nelle caratteristiche fisiognomiche dei loro soggetti le passioni dell'anima. Un senso di intensa spiritualità è sempre presente, soprattutto nelle scene di estasi, di martirio o nelle apparizioni miracolose, soprattutto in artisti di paesi cattolici come l'Italia, la Spagna e la Francia. L'intensità, l'immediatezza, l'individualismo e la cura per il dettaglio dell'arte barocca, osservati nella resa della trama dell'abito e della fisionomia dei personaggi, ne fanno uno degli stili più coinvolgenti dell'arte occidentale.  
 
 
 
  
 
Arte barocca in Italia  
 
 
 
Le radici del barocco risalgono all'arte italiana del tardo XVI secolo. Come reazione al manierismo, caratterizzato dall'imitazione di temi e soggetti ripresi dalla tradizione e dall'inquieto tentativo del loro superamento attraverso l'enfatizzazione, spesso bizzarra, del difforme, dell'asimmetrico e dei contrasti cromatici, molti artisti furono animati da un desiderio di ritorno al naturalismo. La scuola che si sviluppò intorno ai Carracci, ad esempio, tentò di liberare l'arte dalle sue complicazioni manieristiche tornando ai principi di chiarezza, monumentalità ed equilibrio propri dall'alto Rinascimento. Annibale Carracci, affrescando il soffitto della galleria di palazzo Farnese (1597-1600) segnò un punto fondamentale nello sviluppo della maniera classica, o ideale, del barocco. 
 
Lo stile venne adottato da artisti come Guido Reni, Domenichino, Francesco Albani e lo scultore Alessandro Algardi, formatisi nella bottega dei Carracci e trasferitisi in seguito nella città dei papi. A Roma giunse anche Caravaggio, che divenne in breve tempo il principale antagonista di Annibale Carracci e lo spirito guida di un'intera scuola di naturalisti barocchi. Partendo da temi e motivi della pittura lombarda del XV e XVI secolo, Caravaggio espresse una personale e drammatica visione della vita costruendo lo spazio del dipinto attraverso l'impiego di contrasti di luce e ombre che conferiscono importanza alle figure o le annientano. Roma divenne il centro della pittura barocca internazionale e molti artisti come i francesi Nicolas Poussin e Claude Lorrain, elessero la città dei papi a sede della propria attività. 
 
Da Roma, il naturalismo si diffuse in Italia nel primo ventennio del XVII secolo a opera di pittori come Orazio Gentileschi e la figlia Artemisia, Bartolomeo Manfredi e Battistello e, in seguito, di artisti stranieri che operavano in Italia, fra cui il pittore francese Valentin de Boulogne, l'olandese Gerrit van Honthorst e lo spagnolo Jusepe de Ribera. Sebbene dopo il 1630 il naturalismo barocco avesse perso smalto in Italia, esso continuò a esercitare un enorme impatto in tutto il resto d'Europa fino alla fine del secolo. 
 
Sempre intorno agli anni Trenta del secolo molti artisti tentarono di creare l'impressione di spazi infiniti, come nell'Assunzione della Vergine (1625-1627) che Giovanni Lanfranco dipinse nella chiesa di Sant'Andrea della Valle a Roma. L'affresco del soffitto, caratterizzato da convincenti effetti ottici, fu uno strumento di particolare importanza per i pittori dell'alto barocco. Pietro Berrettini, detto Pietro da Cortona, ad esempio, ne fece un uso straordinario in opere come l'affresco della volta del salone del palazzo Barberini a Roma (1633-1639). 
 
Per quanto riguarda la scultura, primo esempio di "ritorno alla natura" è la Santa Cecilia di Stefano Maderno (1600, Santa Cecilia in Trastevere, Roma). Fu Gian Lorenzo Bernini, tuttavia, a dominare la scultura barocca a Roma: fra le sue prime sculture di gruppo, Il ratto di Proserpina (1621-1622) e Apollo e Dafne (1622-1624), entrambe nella Galleria Borghese di Roma, mostrano il virtuosismo dell'artista, capace di estrarre dal marmo effetti di realistica tensione drammatica, forti contrasti di chiaroscuro e illusione coloristica. La sua Estasi di santa Teresa (1645-1652, Cappella Cornaro, Santa Maria della Vittoria, Roma) è pervasa di profonda teatralità, segno distintivo del barocco. Artista prediletto dall'autorità papale, Bernini eseguì opere estremamente ambiziose in Vaticano. L'imponente baldacchino bronzeo (1624-1633) sorretto da quattro pilastri sull'altare maggiore della basilica di San Pietro e la Cattedra di San Pietro (1657-1666) danno prova, attraverso le straordinarie dimensioni e i materiali utilizzati, dello sfarzo e splendore artistico di cui la Chiesa cattolica si servì per contrastare le esigenze di rinnovamento religioso avanzate dalla Riforma. 
 
 
 
Architettura barocca italiana  
 
 
 
Autore della Fontana dei fiumi (1648-1651), in piazza Navona a Roma, Bernini fu anche un importante e autorevole architetto. Oltre al colonnato (iniziato nel 1656) che abbraccia la piazza San Pietro, progettò alcune chiese tra cui Sant'Andrea al Quirinale (1658-1670). 
 
Fra i maggiori interpreti del primo barocco vi fu Carlo Maderno, conosciuto principalmente per l'opera eseguita a San Pietro. Tra il 1606 e il 1612 costruì infatti il prolungamento della navata e la facciata della chiesa che Donato Bramante aveva cominciato circa un secolo prima. Altri architetti della Roma barocca furono Francesco Borromini e, in misura minore, Carlo Rainaldi. La facciata elegantemente mossa di San Carlo alle Quattro Fontane a Roma di Borromini (costruita tra il 1638 e il 1641), con il suo andamento concavo e convesso ripreso all'interno della chiesa dalla pianta ovale, è un perfetto esempio di barocco italiano. 
 
Francesco Maria Richini a Milano, e Baldassarre Longhena a Venezia progettarono chiese a pianta centrale. Al primo si deve la chiesa di San Giuseppe (iniziata nel 1607), mentre Santa Maria della Salute di Longhena (iniziata nel 1631) è notevole per le ricche decorazioni e il superbo ingresso che si affaccia sul Canal Grande. Particolarmente spettacolare è l'opera di Guarino Guarini a Torino: la sua Cappella della Santa Sindone (1667-1694, parzialmente danneggiata da un incendio nel 1997) si distingue per l'ardita e intricata geometria delle forme. 
 
Anche a Napoli, Lecce e in Sicilia l'architettura barocca ebbe un notevole sviluppo. Le opere più pregevoli presenti a Napoli sono la facciata di Santa Maria della Sapienza (iniziata nel 1638), il chiostro della certosa di San Martino (1623-1631) e la guglia di San Gennaro (iniziata nel 1631); di Lecce si ricordano la cattedrale (iniziata nel 1659) e la chiesa di Santa Croce (iniziata nel tardo Cinquecento), mentre tra i capolavori del tardo barocco siciliano vi sono la chiesa di San Francesco, detta dell'Immacolata, il convento del Santissimo Salvatore e la Cattedrale di Noto (gravemente danneggiata da un crollo nel 1996). 
 
 
 
Arte barocca in Spagna  
 
 
 
In Spagna, i primi segnali della presenza di uno stile barocco si dovettero all'influsso esercitato dalla tradizione della pittura italiana, in particolare di Tiziano, di Tintoretto, di Federico e Taddeo Zuccari, e, soprattutto, di Caravaggio. 
 
A Valencia, un certo gusto barocco e naturalistico è visibile nell'opera di Francisco Ribalta, influenzato da Jusepe de Ribera protagonista del barocco napoletano. Siviglia e Madrid divennero i due centri principali dell'arte barocca spagnola. Agli inizi del XVII secolo le caratteristiche barocche emersero, ad esempio, nei dipinti di Juan de las Roelas, Francisco Pacheco e Francisco de Herrera il Vecchio. Nelle opere di Francisco de Zurbarán, stabilitosi a Siviglia nel 1629, le composizioni barocche più impressionanti e profondamente toccanti sono quelle caratterizzate da una rappresentazione realistica del soggetto religioso. Zurbarán operò quasi esclusivamente su commissione per conventi e monasteri. Il suo stile, negli anni della maturità, fu influenzato dal gusto più pacato di Bartolomé Estéban Murillo. 
 
Le opere di Caravaggio erano note a Siviglia già nel 1603; la loro popolarità si deve in parte alla forte influenza realistica che esercitarono sull'opera del più grande pittore barocco spagnolo, Diego Velázquez, chiamato a Madrid nel 1623 come ritrattista alla corte di Filippo IV, incarico che conservò per tutta la vita. Velázquez fu inoltre apprezzato per le composizioni di carattere storico e mitologico, e per la sua opera di architetto e decoratore. 
 
Altro importante artista della generazione di Velázquez, anch'esso andaluso, fu Alonso Cano, noto per le sue delicate rappresentazioni del corpo umano. Il tardo barocco di Siviglia è meglio rappresentato da Juan de Valdés Leal, le cui due Vanitas (1672), conservate nell'Hospital de la Caridad di Siviglia, presentano una raffigurazione realistica e quasi morbosa di scheletri e cadaveri in via di decomposizione. A Madrid fra le ultime generazioni di pittori barocchi si ricordano Francisco Rizi, Juan Carreño de Miranda e Claudio Coello, artisti chiaramente influenzati dallo stile barocco italiano. 
 
La scultura barocca derivò invece dalle tradizionali opere su legno e gli artisti si concentrarono in particolare sulla creazione di retablos (pale d'altare). Gregorio Fernández, che operò principalmente a Valladolid, fu il più importante scultore della Spagna centrale, mentre la scuola meridionale è meglio rappresentata da Juan Martínez Montañés e Juan de Mesa, a Siviglia, da Pedro de Mena e Alonso Cano, a Granada. 
 
L'architettura spagnola del primo barocco riprende lo stile del palazzo-monastero dell'Escorial (1563-1582), presso Madrid. La facciata della cattedrale di Granada, progettata e realizzata da Cano, presenta alcuni elementi classici, ma nelle decoratissime superfici introduce lo stile rococò. I palazzi barocchi più significativi si trovano in Andalusia; è tipico l'ospedale di Siviglia de Los Venerables Sacerdotes (1687-1697), progettato da Leonardo de Figueroa. Nel resto del paese il churriguerismo – una tendenza di intensa esuberanza decorativa che prende il nome dalla famiglia di architetti Churriguera – è evidente negli edifici dalle fastose decorazioni di Barcellona, Madrid e soprattutto Salamanca. 
 
Al seguito della colonizzazione, il barocco spagnolo (e lo stile portoghese in Brasile) si diffuse molto nelle colonie dell'America centrale e meridionale. Tra i centri più importanti per il fiorire dello stile vi furono il Messico, Antigua in Guatemala, Cuzco e Lima in Perù.  
 
Arte barocca nell'Europa del Nord  
 
Dall'Italia, scuola dove i maggiori artisti del periodo si recavano per studio, lo stile barocco si diffuse rapidamente verso l'Europa settentrionale. Ciascuna nazione, tuttavia, a seconda delle particolari condizioni economiche, politiche e religiose, ne sviluppò una versione propria.  
 
 
 
  
 
  
 
Barocco fiammingo  
 
 
 
Il barocco fiammingo è dominato dalla brillante personalità di Pieter Paul Rubens il cui stile pittorico degli anni giovanili si formò sull'esempio di Caravaggio, Carracci e Michelangelo. Lo stile maturo dell'artista, caratterizzato dalla grande ricchezza cromatica, dalle composizioni dinamiche e dalle voluttuose figure femminili, segnò l'apogeo della pittura barocca del Nord, di cui il celebre ciclo di 21 tele della Vita di Maria de' Medici (1621-1625, Louvre, Parigi) può essere considerato il compendio. Fra gli allievi di Rubens, quello di maggior talento fu Antonie van Dyck, autorevole pittore di corte e dell'aristocrazia, fra le cui opere si annovera il Ritratto di Carlo I in abito da caccia (1635 ca., museo del Louvre, Parigi). Jacob Jordaens e Adriaen Brouwer sono particolarmente noti per le realistiche scene di vita campestre, soggetto trattato anche da altri artisti fiamminghi, quali David Teniers e l'olandese Adriaen van Ostade. 
 
Gli scultori del barocco fiammingo traevano spesso ispirazione dall'arte italiana: così fu per lo stile di Artus Quellinus, il quale risente comunque della lezione di Rubens, mentre François Duquesnoy collaborò addirittura con Bernini a Roma. Il gusto italiano è altresì visibile nell'architettura fiamminga, di cui un esempio è l'ex chiesa gesuita di San Carlo Borromeo (1615-1621, ora museo) ad Anversa.  
 
 
 
  
 
Barocco olandese  
 
 
 
  
 
Paesaggi, nature morte, animali e scorci architettonici erano soggetti ampiamente rappresentati nella pittura barocca olandese. Fra il XVII e l'inizio del XVIII secolo molti artisti olandesi, fra cui Hendrick Goltzius, adottavano ancora il linguaggio manierista. Lo stile caravaggesco giunse qualche tempo dopo al seguito di artisti, fra cui Gerrit van Honthorst e Hendrik Terbrugghen, tornati in patria dopo aver lavorato in Italia. Negli anni Venti del XVII secolo il naturalismo si era ormai affermato tra i pittori di Utrecht e il secolo del barocco fu il periodo aureo dell'arte olandese. In quegli anni e nei successivi, Frans Hals produsse ritratti notevoli, spesso commissionati dalle milizie locali, secondo un genere iniziato da Rembrandt nella famosa Ronda di notte (1642, Rijksmuseum, Amsterdam). L'uso della luce vivida che si staglia sullo sfondo scuro, la pennellata efficace e vibrante, la raffigurazione dei soggetti realistica e al tempo stesso emotivamente coinvolgente sono peculiari dell'arte di Rembrandt. La convincente riproduzione di un'atmosfera psicologica e la magistrale padronanza degli effetti di luce diffusa sono i tratti distintivi dell'opera di Jan Vermeer. 
 
Fino al 1650 la scultura olandese rimase manierista; l'esuberanza barocca fu infine introdotta dagli scultori fiamminghi e, in particolare, da Quellinus nel suo ampliamento al municipio di Amsterdam, ora Palazzo Reale. L'edificio, iniziato nel 1648 in base a un progetto di Jacob van Campen, rivela la costante inclinazione dell'epoca verso un classicismo obbediente ai canoni introdotti da Andrea Palladio. 
 
 
 
  
 
Barocco inglese  
 
 
 
La pittura barocca in Inghilterra fu dominata dall'influenza di Rubens e Van Dyck, che ispirarono un'intera generazione di ritrattisti. La scultura inglese fu ugualmente influenzata dallo stile italiano e fiammingo. All'architetto Inigo Jones, che studiò in Italia il classicismo di Andrea Palladio, si deve infine l'introduzione, nel XVII secolo, dello stile palladiano in Inghilterra. Ne è un chiaro esempio la Banqueting House (1619-1622, Londra), dove si trova lo splendido affresco, Allegoria della pace e della guerra (1629), di Rubens. Anche Christopher Wren, che influenzò l'architettura in Inghilterra e nelle colonie americane per oltre un secolo, soggiornò a lungo in Italia: i suoi progetti per la cattedrale di Saint Paul (iniziata nel 1675), a Londra, rivelano lo studio dell'opera di Bramante, Borromini e altri architetti italiani.  
 
 
 
  
 
Barocco francese  
 
 
 
  
 
All'inizio del XVII secolo, in Francia, la scuola manierista di Fontainebleau era ancora attiva. Le scene a lume di candela di Georges de La Tour, tuttavia, suggeriscono l'influenza del Caravaggio. Il naturalismo barocco si sviluppò nelle opere di Valentin de Boulogne, che aveva vissuto in Italia, e di coloro che vennero in contatto con il realismo fiammingo, come i fratelli Le Nain e Philippe de Champaigne. Di estrema importanza per la storia della pittura barocca francese è il classicismo di Nicolas Poussin; sebbene l'artista avesse trascorso gran parte della sua carriera a Roma, il suo influsso – e quello del compatriota Claude Lorrain – fu determinante per gli sviluppi della pittura francese. Tra gli scultori, si ricordano Pierre Puget, François Girardon e Antoine Coysevox, i cui ritratti esprimevano un marcato classicismo. Verso la fine del secolo il classicismo si combinava al gusto del primo barocco, come appare negli affreschi di Charles Le Brun, nelle architetture di Louis Le Veau e nel disegno dei giardini di André Le Notre che ornano il castello di Vaux-le-Vicomte (1661) e l'immensa reggia di Versailles. Un progetto altrettanto grandioso, di grande raffinatezza ed equilibrio, fu l'ampliamento (1667-1673) del Louvre a opera di Louis Le Vau, Lebrun, Claude Perrault e altri.  
 
Barocco austriaco e tedesco  
 
Due maestri della pittura barocca tedesca furono Adam Elsheimer, che, trasferitosi a Roma nel 1600, lavorò seguendo i canoni classici e fu fortemente influenzato dai pittori italiani, e Johann Liss, che operò a Venezia e a Roma. 
 
La scultura del XVII secolo nei paesi di lingua tedesca conservava ancora un aspetto tardo-gotico e manierista. In Germania l'altare Überlingen (1613-1619) di Jörg Zürn rappresenta la continuità della tradizione scultorea su legno dei paesi alpini. Il bavarese Balthasar Permoser assimilò l'arte del primo barocco in Italia, portandola poi a Dresda, dove si impose come il maggiore scultore in questo stile. Le sue sculture celebrative per lo Zwinger Pavilion (iniziato nel 1711) e il grandioso ampliamento del palazzo di Dresda, realizzato da Matthäus Pöppelman, sono oggi considerate le parti più interessanti dell'edificio. A Vienna, come a Dresda, l'architettura barocca trovò ampio favore alla corte reale. Uno dei maggiori architetti barocchi austriaci, Johann Bernhard Fischer von Erlach, diede prova di aver assimilato le forme italiane nel suo capolavoro, l'opulenta chiesa di San Carlo (1716-1737) di Vienna. I principi del design d'interni  
 
 
 
Il design d'interni riguarda sia ambienti di uso privato, quali case e appartamenti, sia spazi pubblici quali sale da concerti, banche, uffici, teatri, ristoranti e luoghi di culto. 
 
Sebbene a volte la figura dell'architetto coincida con quella del designer, è più frequente che i due professionisti collaborino al medesimo progetto per creare un tutto omogeneo. Il designer d'interni lavora poi anche in maniera autonoma, basandosi su strutture già esistenti e ideando uno schema decorativo che completi l'architettura dell'edificio. 
 
Il designer ha solitamente a disposizione un disegno in scala, raffigurante un ambiente che non può subire modifiche se non di minima entità, quali la disposizione di porte, pareti, prese di corrente e impianti di illuminazione. Suo compito è quello di creare effetti decorativi servendosi di una vasta gamma di componenti che deve amalgamare in un progetto coerente e dall'effetto piacevole. Tra tali componenti vi sono l'illuminazione, i colori, i tessuti, le rifiniture di pavimenti e pareti, gli elementi decorativi e i mobili. Un ruolo altrettanto importante svolgono senza dubbio anche i gusti e la disponibilità economica del cliente, nonché lo scopo cui è destinato lo spazio in questione. 
 
L'illuminazione, che può essere naturale, artificiale o una combinazione dei due tipi, contribuisce notevolmente all'atmosfera della stanza e viene studiata in base alla gamma di colori scelta. L'aspetto dell'ambiente è infatti determinato dal tipo di tonalità usate, che possono essere fredde (blu, verde e grigio), calde (rosso, giallo, arancione e marrone), forti (rosso, marrone, porpora e nero) o tenui (beige e rosa). Mentre alcune tinte (tra cui il bianco e i colori freddi e chiari) danno l'illusione di uno spazio più grande, altre (il nero e i colori caldi e scuri) producono l'effetto contrario. Variando il tono e l'intensità è inoltre possibile mettere in particolare evidenza certe sfumature o confonderle con altre. Si può infine dare risalto a oggetti di piccole dimensioni se il loro colore è in contrasto con le tinte di sfondo. 
 
Il materiale degli arredi è un altro elemento che determina l'impressione generale trasmessa dalla stanza. L'ardesia, i mattoni, il vetro, il gesso, il legno lucidato, il linoleum, le piastrelle, il chintz, il damasco, il lino, la seta e la lana presentano infatti caratteristiche diverse e diverso è l'effetto che possono creare. 
 
Il design d'interni in genere si conforma a determinate regole: le dimensioni di ciascun mobile devono commisurarsi alle dimensioni dell'ambiente e degli altri mobili e dell'ambiente. Occorre collocare lampade e lampadari nei luoghi riservati alla lettura e aumentarne o diminuirne il numero a seconda che venga richiesta un'illuminazione diffusa o particolarmente intensa in determinati punti. Le decorazioni delle pareti devono trovarsi nel campo visivo del visitatore, e non possono essere del tutto isolate rispetto agli altri oggetti. Un'ulteriore regola riguarda la disposizione di mobili e complementi, che deve evitare che l'ambiente sembri più pieno da una parte e meno dall'altra, pur rispondendo a criteri di funzionalità e praticità. 
 
 
 
  
 
  
 
Neoclassicismo 
 
 
 
Neoclassicismo (arte e architettura) Stile caratterizzato dal recupero delle antiche forme dell'arte greca e dell'arte romana; coinvolse le arti figurative e decorative nonché l'architettura, in Europa e in America del Nord, dalla metà del XVIII secolo all'inizio del XIX. Gli artisti neoclassici cercarono dapprima di ovviare all'eccesso di sensualità del barocco e del rococò, che essi consideravano triviale, attraverso uno stile che fosse il più possibile geometrico, solenne nei toni, moralizzante nel carattere. 
 
Lo stile neoclassico ebbe un grande impulso in seguito agli scavi che in Italia riportarono alla luce le rovine delle antiche città romane di Ercolano (1738) e Pompei (1748), alla pubblicazione di alcuni libri, come Le antichità di Atene (1762) degli archeologi inglesi James Stuart e Nicholas Revett, nonché al recupero dei marmi di Elgin, traslati a Londra nel 1806. Esaltando la "nobile semplicità e serena grandezza" dell'arte greco-romana, lo storico dell'arte tedesco Johann Winckelmann spronò gli artisti a studiarne e imitarne le forme ideali ed eterne. Le sue idee trovarono un'entusiastica accoglienza nei circoli internazionali di artisti che si raccolsero intorno a lui a Roma verso il 1760. Nacque una polemica tesa a stabilire una superiorità fra la tradizione greca e quella romana: Winckelmann prediligeva l'arte greca, mentre la romanità trovava la sua esaltazione, ad esempio, nelle incisioni di Giovanni Battista Piranesi. 
 
Quando i movimenti rivoluzionari in Francia e in America instaurarono un regime repubblicano, i nuovi governi scelsero lo stile neoclassico come arte ufficiale in virtù della loro aspirazione a rispecchiarsi nella democrazia dell'antica Grecia e nella Roma repubblicana. In seguito, quando Napoleone I salì al potere in Francia, lo stile si adattò al nuovo regime e il periodo di riferimento divenne quello della Roma imperiale. Con l'emergere del movimento romantico, il gusto per le espressioni più soggettive e originali andò gradualmente sostituendo un'arte basata su canoni rigorosi e valori ideali.  
 
 
 
  
 
  
 
  
 
  
 
Architettura  
 
 
 
L'architetto e designer scozzese Robert Adam, che nella seconda metà del XVIII secolo riprogettò alcune tipiche residenze inglesi di campagna (tra cui Sion House, 1762-1769, e Osterley Park, 1761-1780), introdusse il neoclassico in Gran Bretagna, pur mantenendo caratteristiche rococò nella sontuosità ornamentale delle facciate e nella raffinatezza delle proporzioni. Un'architettura ispirata ai modelli greci è testimoniata in Inghilterra da molte costruzioni – soprattutto a Londra – come la rotonda della Banca d'Inghilterra (1796), di John Soane, e il portico del British Museum (1823-1847), di Robert Smirke. Il revival delle forme classiche fu modificato dallo stile Regency, un notevole esempio del quale sono le facciate di Regent Street, a Londra, iniziate nel 1812, e il padiglione reale di Brighton (1815-1823), entrambi disegnati da John Nash. 
 
In Germania il neoclassicismo si espresse nei lavori dell'architetto tedesco Karl Friedrich Schinkel, tra cui il Teatro reale di Berlino (1819-1821), e di Leo von Klenze. 
 
In Francia, Jacques-Germain Soufflot si ispirò al Pantheon romano per il progetto della chiesa di Sainte Geneviève (1757) a Parigi; Etienne-Louis Boullée esercitò un'influente attività teorica; Claude-Nicholas Ledoux disegnò, nel 1771, un padiglione per la contessa Du Barry a Louveciennes e alcune porte per la città di Parigi (1785-1789); i suoi ultimi lavori consistono nei progetti, mai attuati, per una sorta di città ideale in cui i disegni degli edifici sono frequentemente ridotti a essenziali forme geometriche. Gli architetti ufficiali di Napoleone, Charles Percier e Pierre-François Fontaine, lavorarono per trasformare Parigi nella principale capitale europea adottando come modello la sobria monumentalità dell'architettura romana imperiale; realizzarono opere pubbliche quali l'arco di trionfo al Carrousel du Louvre, progettato da Percier e Fontaine, e gli Champs Elysées, disegnati da Fontaine, tutti progetti totalmente estranei alle concezioni visionarie di Ledoux. 
 
Negli Stati Uniti si sviluppò, tra il 1780 e il 1820, una corrente del neoclassicismo chiamata "stile federale". Ispirato al lavoro di Robert Adam, esso è esemplificato dall'opera di Charles Bulfinch (Massachusetts State House, Boston, terminata nel 1798). La Maison Carrée – un tempio romano di Nîmes risalente al I secolo d.C. – fu utilizzata come modello da Thomas Jefferson per il Campidoglio di Richmond, Virginia (1785-1789). 
 
In Italia un precursore dell'architettura neoclassica fu Luigi Vanvitelli, mentre i nomi più rappresentativi dello stile furono quelli di Giuseppe Piermarini, che progettò fra l'altro il Teatro alla Scala di Milano (1776-1778), di Luigi Cagnola e di Luigi Canonica, rappresentanti dell'arte di ispirazione napoleonica e operanti perciò soprattutto a Milano.  
 
 
 
  
 
Pittura  
 
 
 
Il centro propulsivo della pittura neoclassica fu Roma, dove molti artisti provenienti da tutta Europa si raccolsero intorno a Johann Winckelmann. Tale gruppo comprendeva il tedesco Anton Raphael Mengs, lo scozzese Scot Gavin Hamilton e l'americano Benjamin West. A Roma operarono anche Pompeo Batoni e Vincenzo Camuccini, che predilessero temi storici e mitologici. Il Parnaso di Mengs (1761), un soffitto affrescato per villa Albani a Roma, fu espressamente realizzato su consiglio di Winckelmann. Diversamente dalle composizioni barocche o rococò, quest'opera si presenta semplice e lineare, comprendendo solo poche figure in pose plastiche ispirate alle forme delle statue antiche. Tra il 1760 e il 1765 Hamilton, che era anche archeologo e mercante d'arte, completò una serie di cinque quadri, tratti dall'Iliade omerica, in cui inserì figure derivate dai modelli della scultura classica. West lavorò a Roma tra il 1760 e il 1763: dipinti come Agrippina con le ceneri di Germanico sbarca a Brindisi (1768, Yale University Art Gallery, New Haven, Connecticut) sono appunto influenzati dal suo soggiorno romano; solenni e austeri nel soggetto e nello stile, appaiono anche corretti, nei dettagli, dal punto di vista archeologico. 
 
Le stesse tendenze sembrano evidenti anche nella prima fase pittorica del francese Jacques-Louis David, esponente di massimo rilievo della pittura neoclassica. Nel suo Giuramento degli Orazi (1784-85, Louvre, Parigi) lo spazio architettonico geometricamente organizzato e la composizione delle figure, ispirata agli antichi fregi, riflettono la predisposizione neoclassica per le strutture sobrie e chiare. Le linee ferme e le luci taglienti conferiscono a queste figure un carattere quasi scultoreo. Diverse, invece, le sue ultime opere, commissionate da Napoleone – come l'Incoronazione di Napoleone (1805-1807, Louvre) – che celebrano il lusso e lo splendore del potere imperiale. 
 
Nell'ultimo decennio del Settecento, i pittori iniziarono a imitare le piatte e stilizzate figure che ornavano i vasi dipinti greci. Il più famoso esponente di questo stile fu l'artista inglese John Flaxman le cui incisioni, realizzate per l'edizione dell'Iliade e dell'Odissea omeriche del 1793, illuminate e modellate attraverso un segno asciutto, piatto e lineare, sostituirono la prospettiva tradizionale. Uno dei maggiori allievi di David, erede del suo ruolo di interprete della tradizione classica, fu Jean-Auguste-Dominique Ingres, che si rifece all'approccio bidimensionale inaugurato da Flaxman, come nella sua prima opera famosa, Achille e gli inviati di Agamennone (1801, Ecole des Beaux-Arts, Parigi).  
 
 
 
  
 
Scultura  
 
 
 
Poiché la scultura era già stata profondamente influenzata dalle forme classiche fin dal Rinascimento, il neoclassicismo ebbe un impatto meno rivoluzionario su quest'arte che non sulle altre. In generale, gli scultori neoclassici cercarono di evitare le pose contorte e drammatiche e l'impiego di marmi colorati che avevano caratterizzato la tarda scultura barocca e rococò, realizzando quindi le loro opere in marmo bianco e optando per una linea decisa e nobilmente quieta e per forme e soggetti idealizzati. 
 
I primi esempi di scultura neoclassica vennero prodotti da artisti gravitanti intorno al circolo di Winckelmann, a Roma. Tra loro furono John Tobias Sergel, che al suo ritorno nella nativa Svezia diffuse le forme neoclassiche in Europa Settentrionale, e gli inglesi Thomas Banks e Joseph Nollekens, che a loro volta introdussero questo stile di scultura in Gran Bretagna. Tuttavia, la figura principale nella scultura neoclassica fu l'italiano Antonio Canova, che divenne membro del circolo di Roma nel 1780. Lasciandosi alle spalle i condizionamenti barocchi delle prime opere, egli intese cogliere attraverso il neoclassico l'essenza della severa e ideale purezza dell'arte antica; l'opera Teseo sul Minotauro (1781-82), ad esempio, il suo primo lavoro in stile neoclassico, più che la tensione della lotta rappresenta la suprema calma della vittoria. 
 
Dopo la morte di Canova, l'artista danese Bertel Thorvaldsen ereditò il ruolo di maggiore scultore europeo. Le sue numerose commissioni internazionali garantirono al severo stile neoclassico la supremazia nell'attività scultorea fino alla prima metà dell'Ottocento. Alle sue opere si affiancano quelle di Johann Gottfried Schadow, autore della quadriga posta sulla Porta di Brandeburgo (1792-93) a Berlino.  
 
Arti decorative  
 
 
 
Lo stile neoclassico influenzò profondamente anche le arti decorative. Verso la seconda metà del XVIII secolo, Robert Adam iniziò a inserire nei mobili motivi ornamentali classici; introdotto in Francia, il suo stile classico e semplice divenne noto come style étrusque ("stile etrusco") e si diffuse alla corte di Luigi XV. Attraverso ulteriori adattamenti – desunti dalle recenti scoperte archeologiche – verso una verosimiglianza classica, l'"etrusco" si evolse nel raffinato stile Luigi XVI, favorito dalla famiglia reale negli anni che precedettero la Rivoluzione. Per quanto riguarda le ceramiche, lo stile neoclassico eccelse in Francia nelle porcellane di Sèvres, mentre in Gran Bretagna furono celebri le ceramiche di Josiah Wedgwood. Durante il periodo napoleonico, fu ridecorato il castello di Fontainebleau, che era stato la residenza reale e che, seguendo un progetto condiviso da Parcier e Fontaine, fu arredato con mobili, porcellane, tappezzerie ricchi di motivi classici. Molti interni vennero adattati al gusto neoclassico, che si diffuse rapidamente in tutta l'Europa. 
 
 
 
lluminismo Movimento culturale, di matrice filosofica, diffusosi in Europa dall'inizio del XVIII secolo fino alla Rivoluzione francese. Il termine Illuminismo Movimento culturale, di matrice filosofica, diffusosi in Europa dall'inizio del XVIII secolo fino alla Rivoluzione francese. Il termine "illuminismo" veniva usato frequentemente dagli scrittori del tempo, convinti di provenire da un'epoca di oscurità e ignoranza e di dirigersi verso una nuova età, segnata dalla emancipazione dell'uomo e dai progressi della scienza sotto la guida dei "lumi" della ragione.  
 
 
 
Precedenti  
 
 
 
L'illuminismo ebbe diramazioni in tutti i paesi europei e investì in parte il Nuovo Continente. Inizialmente però esso ebbe come principali centri di diffusione l'Inghilterra e la Francia. L'Inghilterra era stato il paese dove aveva più solide radici la corrente filosofica dell'empirismo; dalla filosofia di Locke i pensatori illuministi riprendevano un atteggiamento di fondo di tipo antimetafisico e finalizzato all'analisi dell'esperienza; dalla "filosofia sperimentale" dello scienziato inglese Newton essi ricavavano una concezione del pensiero scientifico per cui la ragione umana, attenendosi all'esame dei fenomeni, è in grado di procedere verso i principi, fino a pervenire, come stava a dimostrare la scoperta della legge della gravitazione universale, a un quadro unitario del mondo fisico. 
 
Ma l'illuminismo riconobbe come suoi precursori anche altri pensatori, di tradizione razionalistica, come il francese Descartes. Se di quest'ultimo i filosofi del XVIII secolo rifiutavano lo "spirito di sistema", la pretesa cioè di una conoscenza deduttiva che procedesse da un patrimonio di idee innate e di principi noti a priori, ne riprendevano tuttavia l'esigenza di "chiarezza e distinzione" delle idee, estendendo il criterio dell'evidenza a tutte le materie del conoscere ed entrando in collisione con il vecchio principio d'autorità. Sebbene gli illuministi non condividessero il sistema metafisico di Spinoza, tuttavia alcuni di essi ne rivalutavano la critica della concezione personale della divinità, e ne leggevano l'opera cercando la conferma di una visione naturalistica e atea della realtà. Non meno importante per la genesi dell'illuminismo in Francia fu il pensiero d'impronta scettica di Pierre Bayle, in particolare la sua difesa della tolleranza e la polemica contro le superstizioni e i pregiudizi. 
 
 
 
  
 
  
 
L’IMPERO  
 
 
 
 
 
 
 
È consuetudine invalsa che alla mezzanotte dell'ultimo giorno dell'anno si festeggi il momento "magico" con la filastrocca: "L'anno vecchio se ne va e mai più ritornerà...", come se si trattasse di un incubo finalmente esorcizzato. 
 
Le consuetudini popolari recitano: "Anno nuovo vita nuova" e invece, guarda caso, dietro 1'angolo, proprio l'anno nuovo ghigna per tutto quello che lui già sa a proposito dei sospirati e agognati 365 giorni successivi che ne costituiscono la spina dorsale: 1'ignoranza umana vivrà, giorno dopo giorno, in una continua altalena fra gioie e dolori. 
 
Se così si svolgono i riti del passaggio da un anno a quello che gli segue, figuriamoci i festeggiamenti in occasione dell'ultimo giorno di un secolo, che cede il passo all'avvento del primo giorno del secolo nuovo. Per la verità fra il 31 dicembre del 1799 e il 1° gennaio del 1800 non ci risulta sia accaduto niente d particolare (intendiamoci, noi non c'eravamo). Ma subito dopo questa data Napoleone Bonaparte, ormai Primo Console in Francia, capo del governo e dell’esercito, impartisce agli Austriaci una autentica lezione di strategia militare nella battaglia di Marengo. 
 
Soffocati gli Asburgo, il gioco militare non gli riuscirà né con la Gran Bretagna né con la Russia. 
 
Da stratega, però, Napoleone si trasforma in raffinato diplomatico. Nel 1802 diventa Console a vita e, avendo stabilito la pace con 1'Austria e con 1'Inghilterra, si riavvicina a Papa Pio VII. Un riavvicinamento che gli consente di assumere 1'incarico di Presidente della Repubblica Italiana, che tornerà ben presto a essere una monarchia (il re è sempre Napoleone), premessa di quella consacrazione a Imperatore di quasi tutto il Continente europeo che avvenne con la partecipazione diretta di Gregorio Luigi Barnaba Chiaromonti, eletto Sommo Pontefice alla fine di un Conclave che si tenne a Venezia, alla cui conclusione, salendo al soglio di Pietro, prese il nome appunto di Pio VII. Fra alterne vicende Napoleone Bonaparte, vincitore e perdente in diverse circostanze, rimase comunque in sella fino al 1815, malgrado un primo soggiorno forzato all'Isola d'Elba a Portoferraio. Nel 1815, definitivamente destituito, è consegnato al confino nell'Isola di Sant'Elena, dove morirà, esule, nel 1821. 
 
Ancora una volta la storia fornisce un contributo essenziale ai profili di sviluppo delle arti. 
 
Il Neoclassico, negli ambienti e negli arredi, conferma pienamente la propria validità e si consolida con 1'Impero. Gli albi di invenzione ormai non si contano. 
 
A Parigi, C. Percier e PL. La Fontaine nella loro Raccolta della decorazione degli interni (interni sta per ambiente), affermano il predominio degli antichi con tesi illuministe del tipo: "Il mondo antico è dominato dalla ragione. La ragione è la componente essenziale dell'architettura degli ornamenti e degli addobbi". 
 
In Italia, con un certo anticipo, erano uscite, fra Roma e Milano, diverse pubblicazioni: quella del Piranesi, per prima, fra il 1768 e il 1778, quella di Domenico Moglia, Collezione di soggetti ornamentali, nel 1837, 1'ultima che si conosce. Si consolida in questo arco di tempo nelle Accademie del nostro Paese 1'insegnamento delle arti decorative e applicate (arti minori), accanto alle arti maggiori che rimangono la pittura, la scultura e 1'architettura. 
 
Lo stile Impero, insomma, anche da noi, sancisce la definitiva consacrazione della rivoluzione neoclassica. L'intarsio nei mobili (salvo alcuni casi sporadici: a Milano Maggiolini, il figlio Francesco e Cherubino Mezzanzanica; a Cremona 1'intagliatore Giuseppe Maffezzoli) si avvia a una temporanea estinzione. 
 
Sull'onda dello strapotere napoleonico, architetti, artisti. ed ebanisti francesi varcano le Alpi e si trasferiscono in Italia. 
 
Fra i primi ci sarà Jean Baptiste Youf che, per volontà di Elisa Bonaparte Baciocchi, duchessa di Lucca e poi di Firenze (1805-1814), si insediò in Toscana dove fondò e diresse una manifattura di mobili. 
 
Non è dato sapere se tutto questo abbia avuto origine da una specie di tendenza della corte bonapartista di garantirsi della mobilia con marchio d'origine controllata. Certo è invece che la presenza dello Youf influenzò fortemente 1'arte del fabbricare mobili dei migliori artigiani fiorentini: da Pietro Massagli a Luigi Manetti, da Giovanni Socci (autore di cose ben curiose: si veda il tavolino per Maria Luisa di Borbone; uno molto simile si ritrova nelle illustrazioni di questo libro) a Jacopo Ciacchi. 
 
In questo modo la Toscana (con Lucca e Firenze) contese alla Campania e a Napoli il ruolo di capitale dello stile Impero italiano. 
 
Questo contenzioso, dai contorni giuridici inespressi, ha delle precise ragioni: a Napoli infatti 1'espansione dello stile del quale stiamo scrivendo raggiunse punte elevatissime di quantità e di qualità sotto il regno di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat (18(Xr1815), mantenendo, in moltissime occasioni, un intimo rapporto con le laccature bianche e le dorature tipiche del mobilio locale dell'ultimo '700. 
 
Distinzione particolare dell'imperiale napoletano fu peraltro la ridondanza dei simboli militari che intaccarono pesantemente, ma non sempre o necessariamente, gli aspetti strutturali della mobilia. 
 
Risalendo lungo lo stivale verso il nord è il veneziano Giuseppe Borsato, insegnante all'Accademia di Belle Arti, autore di un volume tanto famoso quanto introvabile sul mercato (Opera ornamentale è il titolo), ad assumere il ruolo di gran maestro ufficiale sia del Neoclassico che delle sue derivazioni. Sotto il suo diretto controllo furono eseguiti i mobili e gli arredi delle dimore milanesi di Eugenio Beauharnais, figliastro di Napoleone, nominato viceré d'Italia nel 1805, e proseguì materialmente la sua opera per Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie. 
 
In Lombardia non gli fu da meno 1'architetto Luigi Canonica, che disegnò e fece realizzare il trono per 1'incoronazione di Napoleone. 
 
Il dominio bonapartista in tutto il Settentrione non pone dubbi sul grande spazio che lo stile imperiale conquistò in questa zona; basti citare il caso di Domenico Moglia, docente di ornato all'Accademia di Brera, le cui opere rimangono un monumento di esaltazione del Neoclassico e dell'Impero. Uno stile che scivolò spesso nelle sabbie mobili della retorica militarista ed eroica, atteggiamento che venne del tutto ridimensionato (non molto dopo il 1821) dal quasi centenario Giocondo Albertolli, predecessore del Moglia a Brera, che avviò il mobile impero, semplificato rispetto alle concezioni originali, verso lidi più tranquilli e rassicuranti di semplicità borghese. Se qualcuno ancor oggi sostiene che 1'Impero appartiene alla categoria delle massime espressioni del Neoclassico è difficile dargli torto, sempre che, contemporaneamente, venga accettato il fatto che esso sacrificò e fuorviò il Neoclassico dalla purezza e dalla essenzialità formale che ne erano i motivi di fondo e altresì gli obiettivi primari. Quanto al successo che ebbe, non esiste dubbio alcuno, tant'è che sopravvisse, e a lungo, alle fortune di Napoleone e, si guardi il caso, in Italia più che altrove. 
 
Tuttavia poche cose al mondo come il successo si possono assumere come testimonianza non mediata (senza intermediari) dell'effimero. Chi ha voluto identificare 1'Impero come lo "stile degli stili" dell'800 ha commesso un grossolano errore di valutazione sia storica sia artistica. Per meglio intenderci, in assenza del 
 
Neoclassico, che non si è fermato a recuperare le immagini (i simboli e le iconografie) della potenza di Roma antica, ma ha attinto forme e modelli da civiltà precedenti (a scalare: etrusca, greca, egizia ecc., come abbiamo già scritto), lo stile Impero avrebbe dovuto avviare un autonomo processo culturale del quale, sul piano di un rinnovamento, di innovazioni radicali, in definitiva, non è stato capace. 
 
Malgrado 1'impronta che ha lasciato, ha completamente fallito nella qualità del possesso assoluto, nella capacità di imporre un'arte di Stato unica e uguale per tutti, vivo o morto che fosse Napoleone. Per fortuna dello sviluppo artistico, malgrado il mecenatismo che arricchiva gli architetti e gli ebanisti, gli intagliatori e gli stipettai, che si uniformavano alle imposizioni della o delle diverse corti, la genialità di gruppi di dissidenti è da ascrivere, in questa come in altre circostanze, a una almeno parziale autonomia dell'arte, a guisa di autentico successo. L'ambiente o la fabbricazione degli ambienti era dominio indiscusso dei napoleonidi, senza rappresentare malgrado ciò quel tutto omogeneo che 1'epoca imperiale, con la sua potenza, avrebbe voluto controllare, secondo una logica di potere che, alla fin fine, ha sempre dovuto fare i conti (uscendone sconfitta) con l’individualità o la personalità propria di taluni artisti. 
 
E allora considerato per ciò che è stato, nei diversi passaggi dal Neoclassico attraverso il Direttorio e il Consolato, ed è rimasto durante la Restaurazione, il Carlo X e il Luigi Filippo, 1'Impero, nel mobile, altro non è che 1'apogeo (il punto, il grado più alto) del Neoclassicismo. 
 
Fatte queste considerazioni vediamone allora alcune caratteristiche, con una avvertenza: sul mercato, mobili dell'epoca si trovano ancora presso antiquari, restauratori, case d'aste e in quella miriade di mostse-mercato dell'antiquariato che annualmente attraversano tutta la nostra penisola e si tengono indifferentemente sia in grandi città che in piccoli centri. 
 
Rarissimo è invece trovare il pezzo di provenienza dagli arredi di castelli, dimore regali e principesche, che si possono invece ammirare solo nei musei, al Castello Sforzesco di Milano, nel Palazzo Reale di Torino, a Palazzo Pitti a Firenze, nella Real Casa di Capodimonte a Napoli ecc. 
 
Orbene, quanto ai caratteri stilistici si può annotare che, per esaltarne 1'importanza e il prestigio (buona parte dei mobili era destinata a dimore principesche), spesso il mobile impero risulta dorato e laccato (o dipinto) in bianco. Più in generale, per la sua realizzazione, veniva usato il mogano tirato a lucido (un legno duro e compatto, tratto da varie piante tropicali); all occorrenza, in Italia, il palissandro (legno pregiato, anch'esso duro e compatto, di colore molto scuro; ricavato da alberi che crescevano in grande quantità nell'America meridionale e nell'India orientale), e il noce (molto diffuso da noi, pesante, duro, compatto, con belle venature). Prevalentemente, lo scheletro della mobilia era costruito con legni meno pregiati e il mogano, il palissandro o il noce, venivano adoperati per le impiallacciature, cioè come rivestimento esteriore a foglio sottile di uno spessore inferiore ai quattro millimetri. Le decorazioni potevano essere indifferentemente in legno scolpito e dorato o in bronzo dorato a fuoco, piuttosto pesanti, e raffiguravano sfingi, palmette e cariatidi (sostegni a figure di donne erette o ricurve con acconciatura egizia), chimere (animali mostruosi della mitologia), scene etrusche, elmi greci e gladi (spade) romani, vittorie alate, tridenti, foglie d'alloro e d'acanto, serpenti orientali, cigni e tartarughe. Infine, non di rado, la lettera N e il numero uno romano (I) all'interno di corone di lauro. 
 
Molto rari sono gli intarsi, a filetti sottili in legno di contrasto rispetto all'insieme del manufatto. I mobili poggiano o su uno zoccolo chiuso o su elementi zoomorfi (a forma di piedi di animale). Tenendo presente la distinzione fra mobili d'appoggio (addossati a una parete), che venivano lasciati grezzi sul retro, e i mobili da centro, eccoci al cassettone (o commode), che non sempre aveva il piano in legno, al quale veniva preferito il piano in marmo a spigoli vivi che, a scelta, poteva avere tonalità del grigio o del nero, in alternativa arrosso e al bianco. 
 
Questo mobile era, per lo più, di forma squadrata, con cassetti e una coppia di lesene (colonne o pilastri incassati) di natura verticale che fungevano da appoggio al cassetto superiore, nella maggioranza dei casi un po' sporgente a formare una trabeazione (struttura orizzontale di coronamento disposta fra due pilastri o due colonne). 
 
La parte alta delle lesene reca immagini di cariatidi o altre già citate oppure il tutto si riduce a pilastrini dai capitelli dorati. L'ornamento è affidato alle bocchette per le chiavi e alle .maniglie, non di rado circolari, con uno stretto intreccio di foglie. I piedi sono a dado o a boccia o ancora affidati a elementi zoomorfi, in prevalenza zampe leonine. II letto, quell’adorato strumento di riposo e, da quando esiste il mondo, scenario di gradevoli battaglie amorose che ancor meglio conciliano un sonno rigeneratore, durante 1'Impero non rifiuta definitivamente il baldacchino, nemmeno nella conformazione turca, in auge prima della Rivoluzione francese. 
 
Tuttavia il baldacchino preferito sarà quello tipo padiglione militare, con sostegni a forma di lance, la cui scomodità verrà presto ripudiata. "Lit en bateau" (letto a barca e poi a gondola) diventeranno i modelli preferiti dell'epoca. La sua collocazione, non di rado, è di traverso contro la parete in modo tale che la decorazione sia solo di lato, sulla traversa (elemento di collegamento, sostegno o rinforzo, collocato trasversalmente rispetto a due o più elementi verticali che fanno parte di un'unica struttura) e sulle facce laterali del montante verticale delle spalliere. Non è, si intenda bene, una regola generale e generalmente accettata, perché il letto, con lo schienale appoggiato al muro, pur non modificando la forma prediletta, molto in uso in Italia a quel tempo, doveva, per forza di cose, comportare una adeguata decorazione .sulla testata e sul fronte, verso il centro della camera. 
 
In ogni caso il letto a barca, strutturato con un profilo fortemente incurvato, per dimensioni, opulenza e comodità, fu un elemento molto significativo del periodo imperiale con variazioni sul modello delle quattro colonnette d'angolo, cimate (significa tagliate o troncate) da figure intagliate: teste di leone, sfingi alate. 
 
Da questo modello originale si svilupparono, in seguito, quasi tutti 1 letti, senza baldacchino, con le spalliere curvate all'infuori, che vengono normalmente indicati di fabbricazione ottocentesca. Nelle camere da letto, durante 1'Impero, 1'armadio non compare ancora e non fa quindi parte di quell'arredo e in generale si può aggiungere che esso non faceva parte, ufficialmente, di quello stile. Tuttavia ne esistono alcuni esemplari di dimensioni assai ridotte, costruiti per riporre documenti, oggetti preziosi e collezioni di diversa natura. Lo schema che veniva seguito per la loro costruzione è quello caratteristico dello stile dell'epoca, con due sportelli affiancati da colonnette e lesene. 
 
Diverso è il discorso delle librerie, di varie dimensioni, talora concepite con una ribalta adatta a essere adoperata per la scrittura. La struttura di queste librerie è decisamente architettonica, squadrata, quasi monumentale e molto solenne. La parte frontale (ovviamente si tratta di un mobile a muro), è ornata da colonnine o piccoli pilastri, comunque sempre con elementi verticali. Partendo dall'alto, la cimasa (cornice aggettante - sporgente in fuori) è un frontone classico con vari ornamenti. Gli scaffali sono chiusi da portelle in vetro con sottili griglie protettive in metallo. La parte bassa è a portelli oppure a cassetti. Le decorazioni, comprese le bocchette per le chiavi, sono costituite da applicazioni in bronzo dorato a fuoco. La base o i piedi sono a zoccolo. La console (mensola) nella tradizione ha forma rettangolare oppure a mezzaluna (semicircolare). 
 
La caratteristica più diffusa della console è rigidamente architettonica. Mobile anche questo posto a muro, ha elementi di sostegno verticali, ancora colonnette, obelischi, cariatidi, sfingi, che sull'alto. sostengono la trabeazione (struttura orizzontale o semiricurva, sostenuta appunto da colonne e pilastri; si definisce anche fascia), che in questo caso sostiene il piano. Le decorazioni, che siano in bronzo dorato o in legno dorato, si trovano lungo i supporti e sulla fascia. L'abbellimento è sempre di pregevole fattura: ricche sono infatti sia le applicazioni in bronzo che gli intagli in legno che hanno una coreografia di particolare esuberanza. Piedi a zoccolo massiccio, ma talora, anche a forma ferina. 
 
Frequentemente la console è sormontata da una specchiera rettangolare, variamente decorata con applicazioni dorate lungo le fasce laterali. La specchiera è domiata, nella parte alta, da un ornamento di una certa importanza, per esempio un bassorilievo (opera figurativamente plastica in cui le figure sono realizzate con rilievo molto leggero rispetto al piano di fondo) realizzato sempre all'interno della cornice. Non è raro trovare, in questo periodo, sui montanti verticali delle specchiere, un paio di appliques (candelabri di ridotta misura) in bronzo. 
 
La tendenza al monumentale domina anche il divano, talvolta elegantissimo perché considerato letto da riposo sul modello del triclinio dell'antica Roma (praticamente un letto che i Romani disponevano, nel numero di tre pezzi, separati ma molto vicini tra loro, intorno alla tavola imbandita per cene di alto lignaggio e sui quali i convitati pranzavano distesi). A parte questa civetteria che molti ricorderanno per via della scultura, ben nota, di Paolina Borghese, adagiata appunto su un divano di questo tipo, 1'Impero impose, come struttura ideale, costruzioni molto tradizionali, con dorsale rettangolare, dominato sulla parte alta da un frontone a forma di triangolo o di semicerchio appoggiato su una fascia dritta con sostegni laterali molto scolpiti. I braccioli sono elaborati, a volute, lievemente incurvate, che precedono gli appoggi a forma di testa di animale. La traversa inferiore richiama i motivi ornamentali del frontone, o. presenta intrecci di foglie d'alloro e d'acanto. Altra caratteristica di alcuni divani dell'epoca è la forma del frontale curvilineo, si guardi il caso, a barca. Le imbottiture sono in tessuti pregiati, decorati in modo da evidenziare la struttura del mobile, che è prevalentemente in mogano o in legno scuro. 
 
Lo scrittoio Impero presenta due soluzioni. Quella a tavolo e quella a stipo, con piano di scrittura, ricavato da un'anta a calatoia (v la descrizione delle librerie). 
 
Lo scrittoio-tavolo è compatto, con il piano appoggiato su due corpi a cassettiera che terminano direttamente a terra su traverse e zoccoli uniformi. Diversa la situazione per gli stipi che hanno il piano ribaltabile e cassetti che non arrivano fino a terra. In francese si chiamano secrétaire. Hanno supporti o gambe d'angolo diverse: colonne, cariatidi, leoni ecc. innestati preferibilmente su uno zoccolo. 
 
Il tavolo (mobile da centro) di questo periodo è in prevalenza rotondo. Le varianti sono rettangolari o poligonali e il piano può essere in legno, non sempre intarsiato, oppure in marmo o in commisso (composizione in marmo e materiali diversi). 
 
La fascia di sostegno al piano, spessa e liscia (tirata a lucido), ha in genere applicazioni in bronzo dorato. Per il sostegno due le soluzioni: tre o quattro gambe che possono essere a colonna, pilastro, erme (opera statuaria a pilastro di sezione rettangolare con testa e parte del busto di una figura umana), sfingi ecc., e soltanto un elemento centrale a colonna o anfora che si innesta su uno zoccolo a forma di triangolo o circolare. Oltretutto i tavoli di dimensioni assai ridotte ebbero una ragguardevole diffusione. Tavolini da lavoro, derivati dal tripode (sostegno a tre piedi, di origine babilonese, greca, romana), sostegni in metallo, bronzo e anche argento, piccole fioriere e toilettes (tavolino con specchiera davanti al quale si imbellettavano le dame). La loro forma era mutevole. Avevano infatti i piedi a forma di colonnette o cariatidi rastremate in uno zoccolo. Più di qualche volta i sostegni erano incrociati a coppia, a forma di una X. Il piano non era necessariamente squadrato; per la sua sagomatura si ricorreva alle forme più diverse. 
 
Applicando 1'estto e la fantasia tipicamente italiani, Giovanni Socci (già citato) costruì una piccola scrivania, impiallacciata in radica e mogano, per Maria Luisa di Borbone, con accorgimenti davvero singolari. Il mobile presenta infatti un meccanismo che consente di estrarre dal suo corpo una sedia, allargare il piano con una alzata che consente la scrittura. È un mobile straordinario che si può ammirare a Palazzo Pitti a Firenze. Un autentico gioiello, è fuori discussione, che fu ripetuto dagli allievi del Socci, in maniera forse più grezza ma non meno affascinante. Solo una fortunata coincidenza ci permette di presentare la fotografia di ' un mobile molto somigliante, di fabbricazione fiorentina, ricomparso sul mercato intorno al 1989. 
 
Rispetto agli stili precedenti le sedie subiscono una specie di rivoluzione. Gambe anteriori diritte e quelle posteriori a sciabola, incurvate all'indietro, rappresentano le caratteristiche più evidenti della sedia Impero, una più marcata composizione che si era già notata in alcuni esemplari del primo Neoclassico. Lo schienale ha forma prevalentemente rettangolare o quadrata ed è imbottito allo stesso modo del sedile. La traversa superiore si incurva leggermente, in taluni modelli, su se stessa. Molto in uso la sedia a barca, o, per definirla meglio, a gondola, con montanti laterali che si innestano quasi direttamente sulle gambe anteriori, in questo caso anch'esse lievemente a sciabola. Lo schienale di questo modello è privo di imbottitura e ha un semplice sostegno centrale in legno. Imbottitura invece sul sedile; fascia superiore con intarsi a contrasto o con leggere applicazioni 3n bronzo o legno dorato. 
 
Più complessa, e in apparenza più sofisticata, la poltrona dell'epoca. Se nel '700 i prototipi avevano i braccioli arretrati a due terzi della profondità del sedile, durante l'Impero i braccioli si innestano sul prolungamento delle gambe anteriori che sovrastano il sedile, con soluzioni a cariatide, colonna o pilastrino, teste di leone monopodo (privo di zampe). . gambe anteriori sono appoggiate a piedi prevalentemente ad artiglio; quelle posteriori, come per le sedie, sono a sciabola. Lo schienale, spesso imbottito, è incurvato, di solito, all'indietro. 
 
Infine lo sgabello, molto diffuso, si rifà a modelli greci e romani. I1 mobile è quasi sempre imbottito, mentre la struttura lignea è a forma di una X verticale sulla parte anteriore e su quella posteriore, riunite da un perno. In questo caso non è raro imbatterci in queste X forgiate a cavalli marini, leoni distesi (pur sempre monopodi), vittorie alate ecc. Molto bello è lo sgabello in legno dipinto e dorato, con gambe a spade incrociate che si conserva nel Palazzo Reale di Napoli. Esso appartiene chiaramente al periodo imperiale bonapartista e fu realizzato, in Italia, dal mobiliere francese Georges Jacob. 
 
Si dice che le vie del Signore siano infinite. Per parte sua 1'arte non è da meno. Non si potrebbe spiegare altrimenti la sopravvivenza dello stile Impero che, in quanto partogenesi (creazione che implica particolari facoltà intellettuali e artistiche) del Neoclassico, è la naturale prosecuzione dello stile originario. 
 
Guai pertanto a coloro che volessero identificare la caduta dello stile imperiale con 1'abbattimento del bonapartismo. Si tratta di uno stile che indubbiamente piacque al suo tempo, quando simboleggiava palesemente 1'ufficialità. Ma proseguì il suo cammino, imperterrito, intersecandosi con gli stili propri della Restaurazione, del Carlo X e del Luigi Filippo. Solo nella seconda metà dell'800 venne in qualche modo ripudiato in Francia, dove 1'Amministrazione statale, dopo il 1870, eseguì una vendita a Fontainebleau (castello dei reali di Francia, nella regione parigina, alla sinistra della Senna) di gran parte del "mobilier national" (mobilia di Stato) costituito in prevalenza da mobili imperiali. Un aperto atteggiamento di intolleranza che non avrà 1'eguale in Europa e tanto meno in Italia. Con gli ornamenti militari, oppure senza (dopo il tracollo napoleonico), lo stile Impero ebbe ovunque, per diversi lustri (spazio temporale fra i cinque e i dieci anni), degli estimatori di primissimo piano. Ricorda al riguardo lo storico dell'arte Valentino Brosio che il critico e saggista Mario Praz, appassionato di questo stile, nella sua Filosofia dell'arredamento, del 1945, non nega che esso si possa offrire a facili caricature, ma gli riconosce un alone di enigmatico e di sinistro, che insieme ne rappresentano la parte più inquietante e affascinante. Marcel Proust (1871-1922), scrittore che tutti conoscono (I piaceri e i giorni, Jean Santeuil, fra le opere più conosciute; Alla ricerca del tempo perduto, sviluppato in sette parti, è il suo capolavoro), a proposito dell'Impero scrive: "... un riflusso della spedizione in Egitto, il ritorno dell'antichità ai nostri giorni... le sfingi ai piedi dei divani, i serpenti che si arrotolano, le lampade pompeiane, i piccoli letti a barca che hanno 
1'aria di essere stati appena ritrovati sulle sponde del Nilo, dalle quali chiunque si attenderebbe di vedere emergere, all'improvviso, la figura di Mosè". Infine, con grande enfasi; "Le quadrighe antiche che galoppano lungo le fasce dei nostri tavoli, e in particolare dei nostri tavolini da notte. Basterebbero queste testimonianze per mettere a tacere, definitivamente, i detrattori dell'Impero. E giustamente il Brosio insiste e sottolinea che Lina Cavalieri (1874-1044), diventata cantante lirica, da canzonettista che era (famosi i moli in Manon, Erodiade, Fedora e Tosca, che il grande pubblico conosce grazie a un film dedicato alla sua vita, interpretato da Gina Lollobrigida), amava avere intorno a sé, nelle sue abitazioni romane, fiorentine e di Neuilly, mobili dell'Impero. 
 
Un vecchio detto recita: "Il tempo fa passare 1'amore, 1'amore fa passare il tempo". 
 
Per 1'odio si può applicare la stessa regola: infatti amore e odio, sentimenti contrapposti, ma entrambi validi e giustificati, possono lasciare tracce, ma è il tempo, in definitiva, che li domina e rende loro giustizia. E il tempo, come si suol dire, è "galantuomo". È stato in questo modo che 1'odiosa macchinazione messa in atto dai governanti francesi (volta a rinnegare uno stile, compresa quella parte che nella mobilia si era già distaccata dai fregi militareschi, cari all'ufficialità del periodo napoleonico) innescò, inconsapevolmente, una prima fase di vero e proprio collezionismo, nel settore che stiamo trattando, che ne avrebbe proposto un’ampia commercializzazione. Accadde infatti proprio a Fontainebleau che, per la prima volta, i beni acquistati da mercanti e da privati, al di fuori del collezionismo amatoriale, dessero 1'impressione di avere come scopo una acquisizione patrimoniale, con buone possibilità di una non improbabile riquotazione o rivalutazione economica successiva; quello che oggi si definisce investimento. In pratica 1'Impero, nelle sue diverse formulazioni, ne uscì tutt’altro che sconfitto, bensì enfatizzato. E nei mercati di questi anni Novanta del '900 continua a fare, per dirla con il Brosio, prezzo, purtroppo senza una precisa distinzione fra originali, copie del tardo '800 o fabbricazioni recentissime, in taluni casi ancora più belle, più perfette dell'Impero d'origine. 
 
E un tema che svilupperemo più avanti. Per adesso ci limitiamo a proporre un interrogativo: quanti dei lettori che hanno o avranno la benevolenza di prendere in mano questo libro si sono imbattuti in alberghi (la Compagnia Italiana Grandi Alberghi, Ciga, ne ha fatto grande incetta), in camere o suites (in gergo piccoli appartamenti), in unici pubblici di rappresentanza, arredati con mobili vuoi neoclassici, vuoi imperiali? Immaginiamo, senza timore di essere smentiti, che siano tanti. E questa è la qualità della sopravvivenza di uno stile che fra amore e odio ha segnato, lo riaffermiamo, attraverso ripetizioni, reinterpretazioni, modifiche di vario tipo, la storia dell'arte del mobile. 
 
D'altro canto, fra molti stili 1'Impero è sicuramente il più identificabile, proprio per le sue caratteristiche, sulle quali è difficile che si possano formulare equivoci. Una qualità che dà sicurezza, malgrado le tardive ripetizioni che tutti gli stili hanno subito nel nostro tempo, con operazioni, fra imprenditori e mercanti, sovente discutibili. 
 
Il Maggiolini 
 
Un altro mito che ci pare di dover sfatare è che all'epoca solo i francesi e gli inglesi fossero mobilieri d'altro rango, capaci di interpretare adeguatamente lo stile imperiale voluto da Napoleone, secondo rigide disposizioni iconografiche. È decisamente una idea, che, se pur sposata da molti, pare essere del tutto priva di fondamento. Prova ne sia che, per 1'arredo della sua corte, il Bonaparte commissionò mobili ad artisti italiani, spagnoli e perfino tedeschi. 
 
Ambiente e individualismo, abbiamo scritto all'inizio. La ragione è presto spiegata. Rispetto all'ambiente imperiale ci furono ebanisti italiani che non si piegarono mai, (salvo approcci e ammiccamenti) nel settore del mobile, alla trasformazione bonapartista del Neoclassico. Fra questi vi è quel Giuseppe Maggiollni di Parabiago (che abbiamo già citato) che operò fino al 1814 e non abbandonò, se non in rarissime occasioni, a favore degli ornamenti in bronzo il gusto dell'intarsio affidato a circa 86 legni ed essenze diverse, dando grande risalto a trofei floreali, a trofei musicali, cornucopie (corno ricolmo di ogni ben di Dio, considerato nella Grecia e nella Roma antica e pagana simbolo divino della fertilità e della prosperità), volute di foglie d'acanto, nastri, edere, elementi architettonici. È opinione corrente che il Maggiolini mancasse, sostanzialmente di inventiva. Opinione molto discutibile,. perché la bravura di intarsiatore, 1'enorme capacità di comporre in legno, adoperandone quantità e qualità infinite per armonizzare un disegno, è fissata, non per caso, nella storia dell'arte ebanistica di ogni tempo. Si dirà di lui che era stucchevole, monotono e ripetitivo. 
 
Francamente non ci sentiamo d'accordo.(che cosa vuol dire i1 perenne sostegno dell'inventiva, Per quanto inserita in una vita dedicata per intero all'attività artistica?), e pensiamo non saranno d'accordo quanti si sono presi la briga di andare ad ammirare, nelle civiche raccolte d'arte del Castello Sforzesco a Milano, un cassettone con alzata, con intarsi realizzati su disegni di Andrea Appiani, oppure i due cassettoni (di Villa Sola Brusca), di qualità inventiva, si guardi il caso, eccezionale. 
 
Concomitanza abbastanza straordinaria o inusuale, è che lo "stile" Maggiolini (che lavorò per la corte sabauda, per i regnanti di Germania e Austria) è identificabile alla pari delle migliori opere in stile Impero pur discostandosene notevolmente. Dopo la morte del maestro la bottega (lo abbiamo stradetto) rimase in mano al figlio Carlo Francesco, che vi lavorò fin al 1834, senza però mai raggiungere le capacità narrative, in legno, ovviamente, del padre. A Carlo Francesco subentrò poi Cherubino Mezzanzanica, che viene identifica o come il più eccelso dei Maggioliniani. Va però tenuto conto che Giuseppe Maggiolini ebbe più di qualche seguace e fra di loro ci sono da ricordare i già citati (almeno in parte) Giovanni Maffezzoli, Vincenzo Cagliati e Gaspare Bassani. 
 
La "firma" del mobile in Italia e all'estero 
 
C'è in9ne da annotare che con il Maggiolini si affermò, in pratica, anche nel nostro Paese, 1'abitudine dei mobilieri di firmare almeno alcune delle loro opere. 
 
Un fatto importante, che servirà a togliere dall'imbarazzo non soltanto chi intende acquistare un mobile d'epoca, ma anche gli esperti e gli antiquari, riguardo all'identificazione precisa del periodo in cui esso è stato fabbricato, dell'autore o della bottega che ne sono stati gli artefici, è 1'apposizione della firma dell'autore del lavoro. 
 
I1 discorso vale soprattutto per la falegnameria italiana dei secoli passati, che, salvo eccezioni assai rare, è sempre rimasta prevalentemente avvolta da un velo di anonimia. 
 
Tale circostanza potrà sorprendere ai tempi nostri, dominati dal generalizzato rito consumistico che, per essere completo, presuppone 1'esistenza della firma, per esempio, dello stilista sui capi di abbigliamento e, quanto meno, del marchio di fabbrica su qualsiasi tipo di oggetto, sia esso d'uso o d'arredamento. 
 
II fenomeno della firma, che per alcuni aspetti si può considerare un vezzo, peraltro giustificato dall'esigenza di garantire 1'originalità di qualsiasi prodotto, ponendolo al riparo da possibili manipolazioni, imitazioni e contraffazioni, nell'ebanisteria è una moda che si è sviluppata in Francia dal '600 in poi ed ebbe immediatamente fasce di proseliti nei Paesi Bassi, in Germania e in Gran Bretagna. 
 
In Italia, dove già nel periodo indicato (e in precedenza), in altri comparti delle arti minori, come la lavorazione delle maioliche e delle ceramiche, delle porcellane e degli argenti, ogni singolo pezzo veniva firmato, punzonato o contrassegnato da simboli convenzionali per consentire 1'inequivocabile identificazione dell’artigiano, della o delle manifatture che 1'avevano realizzato, per i mobili accadeva tutto il contrario: nessuna firma, nessun segno di riconoscimento, almeno fino al secondo quarto del XIX secolo, quando cioè il Funzionalismo cominciò a rivaleggiare e a unirsi agli stili in auge, ripetitivi di quelli appartenenti a epoche più vicine, in funzione anti-Neoclassica. (Il Funzionalismo, vale la pena di ricordarlo, è lo stile che riassume le teorie estetiche e gli indirizzi artistici tendenti a identificare la bellezza di qualsiasi "manufatto" – edificio, mobile, oggetto ecc. - con la sua destinazione pratica. Vale a dire la capacità intrinseca di esprimere e corrispondere efficacemente alla funzione per la quale è stato creato. Il Funzionalismo, va ancora notato, finiva sul piano teorico una sua prima espressione durante 1'Illuminismo, nella prima metà del '700, in filosofia e letteratura, ma avrà concretezza, specie in architettura e nelle arti applicate e decorative, solo alle soglie del '900, ponendosi alla base della rivoluzione messa in atto, in seguito, dal Modernismo e successivamente dall'Industrial design). 
 
Fatta questa premessa, al lettore curioso interesserà però saperne di più sulle ragioni per le quali due scuole ebanistiche di prestigio, quali sono state quella francese e quella italiana, ebbero, quanto alla firma della produzione dei mobili, posizioni totalmente divergenti, almeno fino alla fine del '700. 
 
A tale proposito 1'opinione che meglio riteniamo di poter accreditare è che dal XVII secolo nacque in Francia, segnatamente a Parigi, una corporazione detta dei "Menuisiers et Ebénistes" (falegnami ed ebanisti) con delle regole assai rigide. Infatti, 1'artigiano che voleva ottenere il diploma di maestro doveva presentare a una commissione di questa associazione un proprio lavoro e sostenere un esame teorico pratico per dimostrare le proprie capacità. Ottenuta la patente, cioè la "Maîtrise", che fosse a capo di una bottega o lavorasse autonomamente, acquisiva ff diritto di firmare e datare i propri lavori, cosa che fra il 1751 e il 1791 diventò un obbligo, per difendere la categoria dalle imitazioni che potevano essere realizzate indifferentemente in patria, oppure in altri paesi europei, dove gli stili transalpini avevano largo seguito e una notevole influenza. A prescindere dalla corporazione, la "Maîtrise" poteva essere concessa con decreto reale agli artigiani di corte, da un re naturalmente o da un principe ereditario (si vedano i casi di E Delorme, L. Boudin, G. Jacob, R. Dubois, N. Petit, J.E Oeben, C.J. Boulle, M.E. Carel). Ovviamente il decreto reale comportava l'ingresso automatico del "Maestro" nella corporazione, che per statuto prevedeva, fra 1'altro (caso assai curioso), la concessione alle vedove dei soci scomparsi, purché disposte a far proseguire 1'attività della bottega artigiana, dell'uso dell’"Estampille" (marchio o bollo) del marito, da applicare su ogni opera postuma creata dal suo laboratorio. La corporazione dei Menuisiers et Ebénistes si sciolse ufficialmente nel 1791 ma 1'uso della firma e della datazione dei mobili sopravvisse, come consuetudine invalsa durante il I e il II Impero (Napoleone I e Napoleone III), dunque ben oltre la metà dell'800. 
 
Contrariamente a quanto accadeva in Francia i fabbricanti di mobili italiani non fecero quasi mai riferimento ad associazioni di categoria, o, almeno, non c'è traccia di situazioni siffatte, salvo il caso della Serenissima Repubblica di Venezia, durata fino al 1797, che ordinò la creazione di una società dei "Marangoni" (falegnami) distinti in quattro categorie: Marangoni de case (carpentieri che lavoravano sulle strutture degli edifici), Marangoni da soaze (facevano soaze, cioè comici), Marangoni da noghera (fabbricatori di mobili non impiallacciati), Marangoni da rimessi (falegnami intarsiatori che si occupavano anche di impiallacciature di mobili). Ogni settore era presieduto da un colonnello che rendeva conto delle diverse attività al Gran Consiglio della Repubblica. 
 
Caso insolito i marangoni da rimessi, che nel '700 furono protagonisti, con i laccatori, della produzione di mobili laccati e dipinti tipicamente veneziani e veneti, che non hanno eguali a1 mondo, non furono, all'epoca loro, del tutto restii a firmare o contrassegnare, con segni distintivi, le loro opere ma la circostanza si verificò raramente, 1'anonimia era quindi quasi un codice di comportamento. Un altro caso è forse quello di un censimento, dei mobilieri fiorentini che operarono nel '700 a Firenze censimento del quale sembra sparita ogni traccia. 
 
Citato 1'esempio dell’anonimo veneziano , che tale è rimasto, in larga misura, anche all'interno di una struttura associativa (voluta con decreto dogale nel lontano 1335), non rimane che concludere che il mantenimento dell'anonimato generalizzato, da parte degli ebanisti italiani non aveva, palesemente, una ragione specifica. Era alla fin fine un modus operandi, un modo di fare, che, per tacita intesa, ogni singolo artigiano applicava diligentemente già nel periodo contraddistinto in antiquariato come Alta Epoca (fino al Rinasci mento pieno, 1490-1550/1600 circa), quando gli stili dominanti in Europa erano quelli dettati, nello specifico settore, dall'estro e dalla fantasia dei nostri "maestri del legno". Modo di fare, abbiamo detto, che si accentuò in consuetudine consolidata nel '700 (fu quindi abbandonata come già notato nella prima metà del secolo scorso). Un abbondante secolo e mezzo, durante il quale lo scettro del comando nella fabbricazione della mobilia fu, tutto sommato, saldamente tenuto in pugno dalla scuola transalpina, con gli stili, per ricordarlo, Luigi XIV, Reggenza, Luigi XV Neoclassico, Luigi XVI, Direttorio, Consolato, Impero, II Impero e chi più ne ha più ne metta; stili e periodi, ovviamente mescolati insieme. 
 
Beninteso che ogni regola o consuetudine ha le sue eccezioni; escludendo i marangoni veneziani e veneti cui abbiamo già accennato, diremo a grandi linee che contro la tradizionale riservatezza italiana si pose. per cominciare, Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), incisore, acquafortista e architetto, vissuto a Roma, ma nato a Mogliano Veneto, suddito della Serenissima Repubblica, che a dire il vero non firmò mai personalmente dei mobili. Fornì però ai falegnami-mobilieri romani disegni di intarsi e impiallacciature che vennero riprodotti in legno con tale perfezione da rendere indubbia la paternità del genio architettonico che era alla base di autentiche opere d'Arte, passate poi giustamente alla storia appunto come "mobili Piranesi". 
 
Altro esempio da ricordare, sempre per il XVIII secolo, e quello di Pietro Pifetti, ebanista piemontese vissuto fra il 1700 e il 1777, cresciuto nel mestiere alla scuola romana, che per alcuni anni, dopo il 1732, lavorò a Torino esclusivamente per la corte sabauda. Costruì allora mobili, in parte firmati, che si distinguevano per le sontuose incrostazioni policrome in madreperla, osso e avorio, legni rari impreziositi da intagli e da bronzi dorati, ora conservati nell'ex Palazzo Reale dei Savoia (segnalato in precedenza). E quindi si arriva, ancora una volta, a Giuseppe Maggiolini, tralasciando altri artisti che pure firmarono alcuni dei loro lavori (si veda il Brustolon), le cui opere realizzate su disegni di G. Levati, A. Appiani, L. Comerio, con l'impiego degli ormai famosi 86 tipi di legni diversi, risultano per buona parte armate, con 1'iscrizione J. Maggilini fecit e 1'indicazione della data. 
 
 
 
  
 
  
 
 LA RESTAURAZIONE 
 
 
 
Nell'Arte c'è una analogia: le nuove mode possono, in qualche maniera, "mangiare" o decapitare lo stile precedente, con la crudeltà e il cinismo di una operazione determinata e inflessibile nella sua determinazione. Tuttavia costumi e stili rinascono, addirittura rifioriscono, ritornano di moda, alla maniera dell'Araba Fenice (uccello leggendario dell'Arabia, ritenuto immortale, capace di rinascere dalle proprie ceneri, dopo ogni quarto di millennio). 
 
Sembra che la storia abbia addirittura fretta e le aquile imperiali cadano schiantate, ma l’Impero con i suoi mobili rimane, sebbene la ventata napoleonica sia ormai alle spalle e l’Illuminismo si possa considerare superato. La storia vuole che per Restaurazione si intenda il ritorno dei regnanti spodestati dalle conquiste napoleoniche e il ripristino delle strutture governative precedenti la grande Rivoluzione francese: il Veneto e la Lombardia in mani austriache; i Savoia con il possesso del Piemonte, di Genova e della Sardegna; in Francia il reinsediamento di Luigi XVIII; i Borboni nel Regno di Napoli. Si va, in pratica, con una certa approssimazione, dal 1810-15 al 1830, anno della seconda Rivoluzione francese, segno che francesi, nel bene e nel male, si davano un gran da fare ad animare le sorti sia dei paesi vicini che di tutta l’Europa. 
 
Fra gli stati nei quali avvennero i più importanti ritorni delle famiglie regnanti del passato nasce un compromesso con il papato che darà luogo alla Santa Alleanza, fra trono e altare, con il compito specifico di stabilizzazione e di repressione antirivoluzionaria e antiliberale. 
 
L’Impero domina ancora la scena, tant'è che la corte borbonica napoletana ordinò, nel 1827, ben 200 sedie con le gambe a sciabola, ora conservate nel Museo di Capodimonte, dove si ritrovano altresì vari tavoli da muro, stipi, con fregi in bronzo dorato che la real casa napoletana aveva commissionato anni dopo che la gloria di Napoleone era sparita dalle cronache dell'epoca. Verrebbe da dire con dispetto che con l'Impero non è davvero mai finita. Il problema è invece che la Restaurazione è alla ricerca, sia nell'arte che in letteratura, di nuovi modelli espressivi e di nuove tendenze stilistiche, avendo trovato in filosofia un potente zoccolo d'appoggio: il pensiero romantico. In Arte la questione si complica proprio perché il nuovo movimento tenne in maggior conto la musica e la pittura, intese come dono divino e spiegabile solo come mistero di Dio, portatrici del sentimento religioso. 
 
Dapprincipio ogni altra applicazione artistica viene esclusa fino a quando, dopo una lunga e penosa anticamera, finalmente l’architettura entra a far parte dell'Olimpo romantico, in particolare in Germania e in Inghilterra con il ritorno al Neogotico. 
 
 
 
Il Romanticismo è in realtà il veicolo più idoneo all'affermazione culturale e politica della borghesia, che supera definitivamente la restaurazione di modelli di potere che la maggioranza dei cittadini ritiene ormai destinata al declino. Inoltre esso si colloca in antitesi con l'accademismo classicistico affermando il prevalere del sentimento e della fantasia individuali sul freddo schematismo della ragione. Basta insomma con l’assolutismo monarchico e via libera all'espansione nella vita civile dei ceti borghesi contro la vecchia e decadente (se non del tutto decaduta) aristocrazia. 
 
Il Risorgimento italiano è storicamente uno dei terreni più fertili per la radicalizzazione dello stile romantico, fra il 1848 e il 1849, con i presupposti politici dell'unità del Paese, della monarchia costituzionale (anziché la repubblica), del liberalismo moderato invece della democrazia radicale. 
 
La sospirata libertà dalla dominazione straniera. Camillo Benso conte di Cavour fu l'artefice della accennata unità politica nazionale, via via scandita, come sapiamo da una serie di convegni; incontri, conflitti ecc. Bloccato Garibaldi nell'avanzata verso Roma, subito dopo la proclamazione dell'unità d'Italia sotto il regno sabaudo, Cavour morì nel 1861. 
 
È questo all'incirca l’affresco storico all'interno del quale si colloca il nostro bravo mobile italiano post-imperiale o, per meglio dire, del periodo della rivoluzione liberale i cui protagonisti, a livello socio-politico, furono Cavour, Vittorio Emanuele, Mazzini e Garibaldi. 
 
I regnanti reintegrati fra il 1815 e il 1830 non avvertirono nessuna urgenza di modificare i caratteri stilistici dell'Impero che contraddistinguevano le loro dimore; tuttavia i mobili che venivano fabbricati andavano mano a mano perdendo quella pesantezza e quella solennità imperiale tanto cara alla corte del Bonaparte. Almeno in parte si ritorna al Neoclassico. Viene parzialmente abbandonato il mogano, al quale vengono preferiti legni più chiari, quali l’acero, il cedro, l’olmo e altre radiche. Scompaiono le applicazioni dorate, o si riducono comunque moltissimo, a tutto vantaggio degli intarsi in legno contrastante: l’amaranto, il palissandro; si fa anche uso dell'avorio e di metalli diversi per leggeri disegni a motivi preferibilmente vegetali. Si attenua molto l’intaglio, con forme discrete, e riappaiono le modanature (motivi ornamentali plastici, costituiti da uno o più elementi rettilinei - listelli, fasce, dentelli o curvilinei). Si riaffacciano le torniture morbide, talora scanalate per raggiungere effetti più raffinati. 
 
Non sono pochi i critici che accusano la Restaurazione di una mal celata voglia di frivolezza: ma vi è, in questa particolare circostanza, un piccolo equivoco nell'aggettivazione, poiché si tratta di uno stile leggero e garbato. 
 
Che poi di autentico stile, in senso stretto, si tratti, è un dubbio irrisolubile, perché fu un periodo di transizione dominato da numerose incertezze. 
 
Nemmeno molto chiaro è se la sua durata dovesse comprendere, oltre al Carlo X, lo stile Luigi Filippo, in Italia Carlo Alberto, caso in cui si andrebbe fino al 1850. È bene avvertire però che lo stile Luigi Filippo, o Carlo Alberto, ebbe caratteri ragguardevolmente diversi, ma non è ancora il momento di parlarne. 
 
Difatti entro il 1830 accadono altre cose: la borghesia, in particolare nel comparto dei mobili, aguzza i denti. Intuisce il momento adatto al passaggio dalla bottega artigiana alle officine organizzate. 
 
Le nuove macchine sono perfezionate, oltre al resto, per la punzonatura (una operazione che all'epoca è l’impressione del marchio di fabbrica; dice il vocabolario, imprimere o incidere, marcare o contrassegnare). In questo modo Peters firmò tutti i suoi mobili al fine di una precisa identificazione. Riflettendoci bene la Restaurazione, sia in quanto periodo sia in quanto stile, concluse il suo arco di gloria forse intorno al 1840. Periodo brevissimo, appena 25 anni, per porre, in maniera dignitosa, la parola "fine" al Neoclassicismo, che assumerà d'ora in avanti le sembianze del tardo Classicismo e del tardo Impero. 
 
A questo punto, sull'onda delle mode francesi e inglesi, in Italia come altrove, un po' tutto s'ingarbuglia. Non è tanto questione, all'inizio, di un traumatico mutamento nella forma della mobilia, quanto che i mobili devono piuttosto suggerire semplicità e senso di comodità accentuatamente borghese. Situazioni che l’avanzamento delle nuove tecnologie favorisce. L'uso dei legni chiari s'impone in Lombardia grazie al cremonese Paolino Moschini che sa lavorare l’olmo e l’acero a tartaruga, nell'area piemontese, Gabriele Capello detto Moncalvo intarsia delicatamente con legni scuri i mobili fabbricati in legni chiari.  
 
Il lasso di tempo che stiamo considerando è irto di difficoltà e la cronologia si presenta problematica. 
 
Siamo appena dopo la Restaurazione, eppure sopravvivono le produzioni classicheggianti: si individua una corsa all'arredamento fatto con mobili solidi e ben costruiti che devono corrispondere vuoi a esigenze di rappresentanza, vuoi a quelle di una tranquilla vita familiare. 
 
Nella fattispecie, durante la Restaurazione, i cassettoni hanno sì una linea squadrata, più leggera nell'insieme rispetto al passato, ma con spigoli appena un poco arrotondati. Il ripiano superiore è indifferentemente in legno o in marmo e la decorazione su fondo chiaro è eseguita a intarsi di legni scuri, per sottolineare nel modo migliore i contrasto. I piedi di appoggio sono a boccia o con torniture diverse. Le sedie o le poltroncine mantengono le caratteristiche neoclassiche. Gli schienali sono imbottiti o a giorno con intagli di tipo classico (losanghe intrecciate, lire o cetre). 
 
Sono semmai l'eventuale tornitura e le scanalature sulle gambe anteriori che fanno la differenza con un richiamo al passato che precede l’Impero, mentre le gambe posteriori restano a sciabola. La poltrona e anche il divanetto accentuano invece una certa evoluzione. Nulla di straordinario, sia ben chiaro, perché il Neoclassico mantiene pur sempre una sua prevalenza, razionalmente squadrata. Il dorsale, rettangolare, presenta qualche accennata linea curva, sormontata da un frontoncino che ne alleggerisce la sobrietà. 
 
La forma a barca è di gran lunga la preferita per i divani: disegno lineare, superfici decorate da leggeri intarsi. E lo stesso discorso vale per i letti, di chiara derivazione imperiale, affiancati però dalle roboanti applicazioni bronzee, preferite ad ogni altro tipo di decoro dell’istintiva tensione alla magnificenza del periodo bonapartista e post-bonapartista. 
 
I tavoli, a forma in genere rotonda, sono di un Impero semplificato al massimo: spesso, sotto il piano, hanno una fascia piuttosto alta priva di qualsiasi decorazione. Non di rado poggiano su un basamento a tre colonne inserite su un sottopiano, a terra, anch'esso molto semplice. In alternativa la base può essere ad anfora o a pilastro inserito su zoccoli triangolari, lievemente sagomati che terminano con piedi a cipolla o zampe animali. 
 
Lo scrittoio a tavolo è massiccio, con corpi laterali a cassettiera appoggiati a uno zoccolo chiuso o a piedi a boccia o cipolla. Il piano di scrittura è liscio e ornato da leggeri intarsi. 
 
La console è variamente elegante. Questo mobile da parete, accantonata la rigidezza dell'Impero, ha il piano rettangolare con gli angoli smussati o arrotondati. La fascia liscia accenna appena a qualche lieve modanatura (ricordiamo, profilo rettilineo o curvilineo). I supporti sono a mensola incurvata, fortemente stilizzata, a forma di delfino oppure di cigno. Lo zoccolo è chiuso, incurvato al centro. I piedi a boccia o a cipolla. 
 
Le librerie, durante la Restaurazione, sono state di diversi tipi, di grandi e di piccole dimensioni. Prevale, nondimeno, la libreria piccola, a due ante, con vetri incisi e una protezione in metallo a griglia. Angoli e spigoli sono arrotondati e il mobile presenta, nella generalità dei casi, intagli e torniture applicate. La base è a zoccolo chiuso. I piedi a boccia con la variante a fuso (forma circolare o impropriamente cilindrica, allunata, grossa al centro e più sottile alle estremità). 
 
Armadi e credenze, durante la Restaurazione, sono poco apprezzati. Presentano dimensioni ridotte, con due portelle e un cassetto nella parte inferiore. La decorazione è costituita da leggeri intagli. Le superfici sono lisce con modanature appena accennate. 
 
 
 
  
 
IL CARLO X 
 
Quanto sia difficile dare una data di inizio e una data di fine ad un determinato stile si potrà cogliere nelle prossime pagine. Carlo X, che regnò appena 6 anni (1824-1830), diede il suo nome a uno stile strutturalmente in bilico fra Neoclassico e Restaurazione. Mobili in legno chiaro (l'olmo, il frassino, l'acero biondo, il limone), intarsiati in legni scuri, a palmette stilizzate all'interno di due volute (l'amaranto, il palissandro, il mogano) dalle linee assai morbide; volute attorcigliate (si vedano i bracciali di alcuni divani) e fregi a cigni e delfini. Che si sia trattato di un modo diverso di interpretare lo stile Restaurazione, pur conservandone gli stessi connotati, appare indubbio. Chi invece propende per l'ipotesi di un ulteriore alleggerimento dello stile è indispensabile conoscere la storia, eppure quel che ci interessa maggiormente è la storia dell'Arte, come essa si è sviluppata, ingarbugliata, per dipanarsi e subito dopo ricomplicarsi, in un '800 che, tra ricorsi del passato e spinte verso un futuro che nessuno all'epoca poteva ancora definire, aveva quale massima il richiamo, ufficialmente inespresso, alla cautela. 
 
 
 
                                       IL BIEDERMEIER 
 
 
 
Stile del quale l'Imperatore Francesco I, uomo politicamente durissimo - odiava il lusso e lo spreco e amava le cose semplici dal prezzo modesto - fu un grande fautore. In effetti lo stile di cui parliamo (1815 1848) ebbe il suo bravo nome circa un decennio dopo quando, in Germania, apparvero, nel 1855, su un giornale satirico di Monaco, delle composizioni in rima di Adolf Kaussman e I.udwig Eichrodt: una serie di poesie ironico sarcastiche sul modo di vivere e di pensare dei decenni precedenti. Poesie, in prevalenza, aneddoti e racconti rivoluzionari, ll cui protagonista era il signor "Biedermeier", un tal dei tali qualsiasi. Erano quelli degli scritti mordaci sulla borghesia che cochettava con le monarchie restaurate per aumentare il proprio potere e, nell'eventualità, imporre alle teste coronate, ormai al nocciolo delle riserve economiche, il gusto e le mode. Allora un battesimo postumo per uno stile che non potevamo ignorare, sebbene di natura strettamente austro-tedesca, con espressioni molto discontinue nel settentrione del nostro Paese e solo in quelle zone dominate dall'Impero austriaco. Del Biedermeier italiano non ci sono molti esemplari e, diciamolo, ciò riguarda gli originali che, in epoca tardiva, vennero frequentemente ripetuti e ricopiati. Ciò va detto perché porta in sé una profonda contraddizione. Da una parte Francesco I che a Vienna lo esalta per la rifondazione del mobilio di corte avvalendosi dell'opera di ben 314 artigiani (1807) guidati da Josef Danhauser; dall'altra perché proprio alla borghesia forniva, nella casa, quel clima di comoda agiatezza, quel privato sicuro e confortevole che metteva al riparo da un impegno troppo gravoso, fatto di ossequio e di continue intimidazioni, con il potere costituito e contemporaneamente teneva lontane le "dissennat 
ezze" dei suoi figli. 
 
Per il nostro Biedermeier diremo che è uno stile confortevole e funzionale alle esigenze della società borghese del tempo. Esso è caratterizzato da superfici lisce, proporzioni massicce e linee sobrie, esattamente il contrario del trionfalismo dell'Impero al quale decisamente si contrappone pur traendone qualche elemento. I legni con cui si costruivano questi mobili erano chiari e non di gran pregio: faggio, ciliegio, acero, pero, betulla, con la tecnica dell'impiallacciatura, non di rado accostati a legni scuri. Presentavano grande semplicità decorativa, che prevedeva il ricorso a pilastrini, colonnette, palmette. Tra le tipologie più diffuse, il mobile a vetrina (servante), il secrétaire, il diavano ricco di imbottiture, i tavoli rotondi o ovali appoggiati su un unico piede centrale sostenuto dà una base stellata, sedie con schienali a stecche o a ventaglio, dalle gambe diritte. 
 
Dal 1830 il Biedermeier subì sempre di più l'influenza del Neogotico, del Barocco e del Neorococò; intorno al 1850 venne abbandonato, avviato in soffitta. Il Biedermeier 
 
Francesco I, suocero di Napoleone Bonaparte, cui dette in sposa la figlia Maria Luisa in seguito all'ennesima pace (Vienna 1809), firmata dopo 1'ennesima sconfitta subita da parte dell'esercito bonapartista, fu con lo Zar di Russia Alessandro I, nell'ambito della Santa Alleanza, il custode storico della Restaurazione in Europa, avendo come braccio destro, per la repressione dei moti rivoluzionari (in Italia, in Spagna ecc.) il cancelliere Klemens Metternich-Winnenburg, che fino al 1846 sarà il grande protagonista della diplomazia europea. Sappiamo dalla storia che le cose andarono bene alle repressioni ordinate da Sua Maestà fino alla Rivoluzione francese del 1830. 
 
 
 
IL LUIGI FILIPPO O CARLO ALBERTO 
 
Se il Carlo X e il Biedermeier per ragioni diverse appaiono due parentesi nella narrazione che gravita’ intorno alla evoluzione dei diversi stili del mobile italiano del secolo scorso, di diverso spessore appare l'inffuenza del Luigi Filippo, che da noi vivrà per oltre un ventennio e verrà indicato come stile Carlo Alberto o da alcuni detto anche Carlo Felice. Il perché di questo piccolo bisticcio è dovuto al fatto che pur essendo entrambi della famiglia Savoia, ma di rami diversi, tutti e due regnarono sul Piemonte e in Sardegna (Carlo Felice fino al 1831 e Carlo Alberto dal 1831 al 1849, anno in cui abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II, passato poi alla storia come il Padre della Patria e sotto il cui regno avvenne l'unità d'Italia). 
 
Anni in cui all'incirca lo stile Luigi Filippo era balzato saldamente in sella e veniva facilmente esportato, in particolare nell'Italia nord-occidentale. 
 
Capita spesso di trovarsi in inghippi di questo genere, ma al momento di scegliere noi propendiamo in questo caso per lo stile Carlo Alberto anziché Carlo Felice, non foss'altro che per una più corretta interpretazione delle date. Oltre al resto, ci pare la tesi più affascinante, giacché fu proprio Carlo Alberto, ad affrontare i primi tentativi dell'unità italiana, le guerre con l'Austria per la liberazione della Lombardia, che gli costarono il trono e l’esilio in Portogallo....". 
 
Carlo Alberto fu e rimane un regnante illuminato, che ha vissuto in prima persona le contraddizioni implicite della trasformazione dello Stato assoluto in Stato costituzionale e di una società arretrata e chiusa in una società dinamica e percorsa da fermenti di rinnovamento. 
 
Lo stile .Luigi Filippo lo affascinò a tal punto che in qualche modo se ne impadronì e con lui se ne impossessò quel ceto imprenditoriale e commerciale di origini nobiliari e borghesi, più aperto alla cultura e alle idee scientifiche e politiche dell'Occidente, compreso Vincenzo Gioberti, torinese, esiliato a Parigi e a Bruxelles fino al 18118, che per un certo periodo guidò il Parlamento piemontese. 
 
Il grande fascino dello stile Luigi Filippo è oggi largamente ridimensionato, dal momento che altro non è se non un ulteriore processo di imborghesimento dell'Impero già spogliato in precedenza, lo abbiamo visto, di tutta la sua simbologia trionfale eroica durante la Restaurazione e il Carlo X. Anzi, proprio del Carlo X è la naturale prosecuzione, con il rafforzamento dell'uso di legni chiari e dell'intarsio e, verso la fine del primo cinquantennio, le prime sperimentazioni di mobili neogotici che apriranno le porte di ingresso in scena all'Eclettismo. 
 
Il soggettivismo e sentimentalismo romantico, in antitesi al razionalismo illuminista, è definitivamente padrone della situazione e tale rimarrà fino ai primi anni del '900. 
 
Altre particolarità del Luigi Filippo sono l'uso del noce, del mogano e dell'ebano, che si tende a imitare all'occorrenza scurendo altri legni. Dalla pittura a tinte scure si passa ben presto alla laccatura nero, senza applicazioni in bronzo o intagli dorati, bensì ricorrendo alla pittura di fiori dai colori vivaci, incrostazioni in madreperla, paesaggi dichiaratamente romantici. Vanno peraltro molto di moda gli arredi in ottone e bronzo, per fabbricare divani, tavoli, letti. C'è anche un ritorno delle linee curve, delle sagomature a forma di "S" delle gambe di sedie e tavolini. Accanto a mobili relativamente semplici ne verranno costruiti altri di pesante e altezzosa opulenza. Non di rado i cassettoni hanno la parte anteriore a grembiale, tipica del '700. I vari stili del passato tornano di moda, dal Barocco (Neobarocco) al Rococò (Neorococò), mescolati, fusi insieme, anche pasticciati. 
 
In Liguria, nel periodo che stiamo descrivendo, l'ebanista inglese Peters insedia a Genova la prima fabbrica di mobilia a produzione semi industriale. Diventerà uno dei grandi del Neogotico. 
 
Di particolare importanza sono i mobili che produsse per il Palazzo Reale genovese dei Savoia e per le dimore sabaude in Sardegna. Tutti i pezzi risultano firmati Peters Maker Genoa. In tutto questo fervore solo il Veneto si defila. Il Luigi Filippo non interessa. Solo la parte neogotica di questo stile susciterà qualche attenzione, testimoniata dal libro di disegni per l'arredamento dello scultore in legno Giovanni Moretti (1850). 
 
A forza di anticipazioni il Neogotico prende sempre più piede. Sono infatti sempre più frequenti gli arredi ispirati a elementi architettonici con archi rampanti, curvature a sesto acuto, rosoni (a forma delle finestre delle cattedrali medievali e rinascimentali, generalmente circolari, suddivise da intelaiature di disegno e materiale diverso), guglie (elemento ornamentale di campanili e altre strutture verticali, tipico dello stile Gotico, costituito da una piramide sottile e slanciata). 
 
In Neogotico vengono arredate intere stanze con sgabelli, sedie, poltroncine, che danno una sensazione cupa, monumentale e austera. il Neogotico in Italia è un recupero che giunge sulle nostre sponde, in pratica a rimorchio dello stile Luigi Filippo, che curiosamente, per quanto già detto, è un po' il contrario delle più pure aspirazioni romantiche. A mo' di esempio vediamo le sedie Luigi Filippo dalle linee sinuose, con le gambe anteriori incurvate, la traversa superiore dello schienale mossa e con un discreto intaglio, e la rigidità delle sedie a motivi neogotici. Discorso analogo vale per le poltrone che nel Luigi Filippo sono sagomate, con lo sviluppo delle incurvature e abbondantemente imbottite nel sedile e nello schienale, con appoggi di cuscini cilindrici laterali, in netta opposizione ai travetti neogotici, con il dorsale finemente intagliato che riproduce, nella forma, una vetrata di cattedrale. 
 
Ancora il divano da riposo per il quale il Luigi Filippo prevede l'arricchimento con intagli di stile Rococò, braccioli ad altezze diverse e schienale obliquo, mentre il Neogotico ha un dorsale rigido in multiplo (ripetuto più volte), composto da colonnine, archetti a sesto acuto, rosoni, e guglie. 
 
È bene precisare che il Neogotico, malgrado la sua ampia diffusione, non si prestava all'esecuzione di tutta una serie di mobili. Del resto chi poteva concepire un tavolo in questo stile Oppure una console o una commode È, vero che qualche sperimentazione fu fatta, in virtù delle più singolari stranezze, ma con risultati talmente scadenti da indurre gli architetti progettisti, i falegnami, gli intagliatori, i tarsiatori ecc. ad abbandonare eventuali nuovi tentativi. 
 
Al contrario, il Luigi Filippo finì con l'essere, senza grandi meriti, l'ultimo stile in sé compiuto dell'800, italianizzante in Carlo Alberto, perché il nostro, alla pari di altri Paesi, fin dal '700 aveva sempre subito la prepotente influenza degli ebanisti francesi e, in alcuni casi, di quelli inglesi. Fenomeno assai strano e singolare, considerato che anche in casa nostra i talenti non mancavano, né nella progettazione né nell'esecuzione. 
 
Siamo così giunti a cavallo del 1850, anno in cui il Corriere delle dame, autorevole foglio rappresentativo del gusto e degli stili della nobiltà e del ceto altoborghese, confessa: "Noi non sapremmo indicare oggi quale sia lo stile di moda di un appartamento, per il motivo che tutti i generi sono di moda...", e precisa, "l’importante non è la novità della foggia, bensì la perfezione dei lavori". 
 
 
 
 
 
IL II IMPERO E L’ECCLETISMO 
 
 
 
E’ proprio in questi anni che si passa da uno stile specifico a quello Eclettico, in pratica un affastellamento di stili recuperati da tutti i secoli precedenti. La perizia degli artigiani del legno, con l'ausilio delle macchine, crea miracoli di perfezione mai visto in precedenza: che sia in legno chiaro, in legno scuro o in legno tinto oppure laccato, la grande e più apprezzata qualità di un mobile, dalla foggia più eterogenea, consta nell'accuratissima esecuzione non solo esteriore, ma anche della struttura interna, con incastri di elevata precisione e con serrature senza difetti. 
 
La storia corre: sul trono succede a Carlo Alberto il figlio Vittorio Emanuele II e l'Italia si avvia al suo pieno Risorgimento la cui durata noi ricondurremo alla proclamazione del Savoia a primo re dell'Italia riunificata (1861). Il Risorgimento non incomincia dopo il congresso di Vienna (1814-1815), ma prende decisamente corpo fra il '48 e il '49. Si consolida poi Ga il '59 e il '61. 
 
Si conclude, di fatto, con la presa di Roma (20 settembre 1870). Ed è poco dopo che Roma torna a essere capitale di uno Stato nazionale unitario, retto da una monarchia costituzionale anziché da una Repubblica, alla quale avevano puntato Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, affidata al liberalismo moderato anziché alla democrazia radicale. Completamente fallita l'idea mazziniana di una nuova Italia collegata a una terza Roma, dopo quella imperiale e quella cattolico-papale, fu chiaro da subito che la vicenda risorgimentale avrebbe portato il marchio della borghesia, compresa quella di origini aristocratiche, culturalmente aperta alle novità economiche e ideologiche dell'Europa occidentale, sotto la direzione di Camillo Benso conte di Cavour. All'interno del nuovo territorio nazionale egli estese le trasformazioni politiche e amministrative che erano state collaudate in Piemonte nell'arco di un decennio, . fra il 1849 e il 1859. Da qualsiasi punto di vista lo si voglia vedere, il Risorgimento non arrivò mai a essere quel nuovo Rinascimento, con il quale per ragioni di comodità è stato spesso frainteso, e nemmeno una profonda, autentica rivoluzione sociale. Il trionfo fu invece quello di una rivoluzione pilotata dagli aristocratico borghesi che misero a tacere in tal modo le istanze dei democratici e dei primi socialisti. 
 
Un altro personaggio storico dell'epoca, che intersecò le vicende del suo impero con quelle del Risorgimento italiano, è Napoleone III di Francia, battezzato Carlo Luigi Napoleone, terzogenito del fratello di Napoleone Bonaparte, Luigi re d'Olanda. Dopo le dimissioni dal trono di Luigi Filippo d'Orléans, in seguito alla rivoluzione del 1848, il 2 dicembre del 1851, in qualità di presidente del parlamento, Carlo Luigi compì un colpo di Stato autoeleggendosi principe-presidente. 
 
Più tardi, il 2 dicembre del 1852, grazie a un plebiscito, fu acclamato Imperatore di Francia con il nome di Napoleone III. 
 
Uomo di grandi mire espansionistiche, malgrado i suoi stretti legami con potenti ambienti finanziari, non riuscì mai a emulare le gesta del Bonaparte. Affiancò inoltre l’esercito di Vittorio Emanuele II, nella seconda guerra d'Indipendenza, ma fermò il suo esercito prima della cacciata dell'Austria dal Veneto (armistizio di Villafranca, luglio 1859), per timore che i "cugini italiani" creassero un regno di rilevante potenza politico-militare. Trasformato l'impero in regime costituzionale nel 1870, nello stesso anno subì una grave sconfitta, da parte dei prussiani, nella battaglia di Sedan, che lo portò alla prigionia e all'esilio in Inghilterra, dove morì dopo pochi mesi. 
 
Ci si puo’ chiedere, a questo punto, il perché di questa "tappa" che in apparenza non ha niente a che vedere con il problema dello stile del mobile italiano del secondo '800. 
 
Il problema è che nel 1857 Vittorio Emanuele II, dopo aver sostituito Pelagio Pelagi, decide di affidare al cavalier Domenico Ferri la direzione artistica dei palazzi reali e ordina l'aggiornamento Eclettico degli appartamenti reali, specie quelli di Torino, dove ospiterà la marina di Russia, vedova di Nicola I. A questa prima spiegazione se ne deve aggiungere un'altra. Il potere monarchico liberale non agì mai, né sul piano pratico né sul piano teorico, nella direzione che avrebbe forse potuto consentire al Risorgimento di trasformarsi in un secondo Rinascimento, un equivoco caro agli idealisti, ma del tutto contrario alla realtà e alla verità storica. Quest'illusione indusse a quel tempo artigiani e fabbriche a proporre mobili prodotti in stile rinascimentale, che ebbero un ragguardevole successo, comprese le grandi esposizioni internazionali di arredamento (Vienna, 1865, e, oltre l'Atlantico, nel 1875, a Filadelfia), dove la produzione italiana ottenne premi e consensi. Da parte sua, Napoleone III fu l'ispiratore di quel II Impero che, stando alle indicazioni dell'Esposizione dei prodotti dell'industria francese (Parigi 1844), venne qualificato da una parte quale naturale prosecuzione dello stile Luigi Filippo, dall'altra quale antesignano dei gusti che sarebbero prevalsi almeno per un ventennio. 
 
Si ha voglia di eclettismo nel II Impero. Cè di tutto: Rinascimento, Barocco, Rococò, lo stile moresco, quello egizio, quello greco, quello bizantino e addirittura l'assiro-babilonese. I mobili che vanno per la maggiore sono più opera dei tappezzieri che dei falegnami, poiché in legno c'è solo lo scheletro dominato, circondato, soffocato da pesanti imbottiture; c'è il mogano lucido e il mogano scolpito; si fanno cose in ebano e in noce; la pittura e la laccatura di qualsiasi tipo di legno sono di una greve pesantezza, e non meno pesanti, quasi a sfidare il ridicolo, sono le incrostazioni in madreperla e gli intarsi. Si aggiunga l'imitazione dei mobili Boulle, intarsiati di tartaruga, di essenze pregiate, di metalli di pregio, in modo paradossale e iniquo (André Charles Boulle - Parigi 1642-1732 - lavorò esclusivamente per Luigi XIV e nel suo laboratorio al Louvre realizzò una serie di mobili impreziositi da intarsi in bronzo, ottone e rame su tartaruga, che vennero imitati in tutta Europa e parzialmente ripresi anche nello stile Luigi Filippo). Gli artigiani e le industrie transalpino e del legno rinunciano a qualsiasi tipo di competizione inventiva e qualitativa. Si battono, invece, strenuamente sul piano dell'audacia, delle invenzioni apparentemente più eclatanti che superano addirittura il confine del buon gusto, questa sindrome non riguardava esclusivamente i fabbricanti di mobilia ma i committenti stessi. L’Imperatrice Eugenia riempì le Tuileries di Parigi (residenza reale che subì diverse trasformazioni fino a Luigi XVI, che la fece collegare direttamente con le Gallerie del Louvre), di falsi mobili Luigi XVI, facendo trasformare dei bellissimi esemplari in stile Impero autentico (quello bonapartista, per intenderci), in ibridi di fatto irriconoscibili. Tutto è pertanto ammesso 
: il finto bambù, nero e dorato, le gambe di sedie lavorate modo da apparire come corde irrigidite ricoperti di pittura dorata, i finti mobili moreschi, che trasudano incrostazioni in madreperla. 
 
Non mancano però, in mezzo al guazzabuglio, le forme nuove: il divano a forma di "S" non è una scoperta, tuttavia la sua sinuosità risulta accentuata e gli viene dato il nome confident che si può tradurre in "confidenziale". Del tutto nuovo il divano a tre posti separati, a forma di trinacria, cioè a tre corpi (Trinacria era la denominazione greca della Sicilia, che ha appunto una forma a tre punte), cui verrà dato il nome di indiscreto. Le sedie leggere, i mobili in legno incurvato a caldo, immessi sul mercato all'epoca di Napoleone III, hanno precedenti illustri, in Italia le prime e in Austria i secondi. Il nostro Paese, impegnato nelle vicende del Risorgimento, non dedicò grande attenzione allo stile del II Impero. Niente rifacimenti di palazzi reali, sul modello francese, ma qualche piccolo sfizio o vezzo borghese che non ha lasciato tracce particolari se non a livello di un certo snobismo, distintivo di un vago accenno cosmopolita che, per i borghesi di "qualità", era d'obbligo. 
 
 
 
Nell'Eclettico va altresì considerato non uno stile bensì un periodo, quello del regno di Umberto I, salito al trono nel 1878 e assassinato a Monza il 29 luglio del 1900 dall'anarchico Gaetano Bresci. All'avvento di questo Re, che deve la sua sfortuna al fatto di avere voluto consolidare la corona contro il parlamento, il restauro del regio Palazzo del Quirinale a Roma, capitale d'Italia, era quasi ultimato. Fu proprio in quegli anni che grandi e piccoli borghesi guardarono, per un po' di tempo, con rinnovato interesse al II Impero le cui mode presero, nel nostro paese il nome Umbertino. Ma gli stipettai, i falegnami e gli intagliatori lavoravano ormai soltanto per le case patrizie. Per le esigenze della borghesia, aumentavano in continuazione le fabbriche, le segherie a vapore, le premiate ditte. La produzione dei mobili era in prevalenza ispirata al Rinascimento, variamente interpretato, per fare scaffali, comodini da notte, salotti, intere camere da letto ecc. Nessun altro stile veniva però tralasciato, ed è questa la ragione per la quale vale la pena di dare all'Eclettico uno sguardo d'assieme. Questo insieme di stili, che non si può definire "uno stile", è dominato dal Neogotico, sul quale ci siamo già soffermati, dal Neobarocco e Neobarocchetto, dal Neorococò e quindi dal Neorinascimento. Ora per capire bene bisogna rifarsi alle caratteristiche originali di questi stili. Il Neobarocco proviene dal Barocco, detto anche seicentismo, movimento o corrente d'Arte che dalla Roma papalina si sviluppò, nel XVII secolo, in Italia e in tutta Europa : Esso è caratterizzato, in antitesi al Rinascimento, dalla tendenza alla grandiosità e alla sovrabbondanza, al virtuosismo formale, agli effetti esteriori destinati a colpire l'immaginazione. Sarà, anche oltre il '600, espressione tipica di  
tutte le arti: dall'architettura all'arredamento, dal disegno alla pittura, dalla musica alla letteratura. Vittima di numerose contaminazioni il Barocco, nelle sue forme più opulente e fastose, andò incontro alle esigenze di prestigio e di ostentazione della società aristocratica del tempo e soprattutto agli ideali spirituali e materiali della corte dei papi. Fra i grandi interpreti del Barocco ritroviamo il Bernini e il Borromini (già citati) e Pietro da Cortona, le cui opere di grandiosa maestosità furono condannate in epoca neoclassica da Francesco Milizia, che arrivò a contestare lo stesso Michelangelo. Questo stile rimarrà comunque in auge fino alla metà del '700, come arte impreziosita dal gusto per la decorazione. 
 
 
 
  
 
  
 
                                IL NEOBAROCHETTO 
 
 
 
II Neobarocchetto deriva dal Barocchetto, che fra il 1700 e il 1775 definisce in Italia l'esigenza di un alleggerimento ornamentale del Barocco. Le linee leggere e le delicate ornamentazioni del Barocchetto ebbero grande espansione nella fabbricazione dei mobili d'epoca, nell'Italia settentrionale e specialmente a Venezia nell'ambito dei mobili laccati. 
 
Il Neorococò nasce dal Rococò; secondo numerosi critici di epoca neoclassica fu, né più né meno, una tarda degenerazione del Barocco in Francia. Oltralpe venne spesso definito "rocaille e dai contemporanei Style nouveau", nuovo stile. 
 
Dopo Luigi XIV, Filippo d'Orléans, che assunse la reggenza del Regno di Francia in nome dell'erede Luigi XV, ancora giovanissimo, il Rococò si diffuse in tutta Europa, compresa l’Italia. La fase finale del Rococò Francese, che si contrapponeva in certo senso al Barocchetto italiano, fu lo stile Pompadour, da Madame de Pompadour, la favorita del re. Oltre ad affermarsi come tendenza artistica, il Rococò fu un vero e proprio stile di vita, basato sul piacere raffinato dei sensi, sull'intelligenza nei suoi aspetti più scettici e pungenti, mirando a fare dell'esistenza un continuo compiacimento estetico. Senza influenzare l'architettura ufficiale o quella religiosa, legata alle forme classicheggianti o tardo barocco e alle loro esigenze di solenne rappresentanza, il Rococò modificherà soprattutto gli interni dei palazzi aristocratici e dei casini di delizie, nei parchi. Qui compaiono salotti e salottini, sale da conversazione, gabinetti di studio e anticamere arredati con estrema leggerezza. Nei mobili si cerca il massimo della comodità e dell'eleganza, attraverso infinite variazioni, con forme dolcemente curve, intarsi in legni rari, decorazioni con bronzi dorati e pannelli di lacca orientale, rivestimenti in seta e broccati. 
 
Il periodo del Rococò si concluderà, all'incirca, intorno al 1760. 
 
Cronologicamente avremmo dovuto porre il Rinascimento in testa agli stili qui descritti. Abbiamo invece preferito, in questa succinta descrizione, trattarli secondo l'ordine in cui essi riapparvero durante l’Eclettismo, nel secondo '800. 
 
 
 
  
 
  
 
                               IL NEORINASCIMENTO 
 
 
 
Il Neorinascimento origina dunque dal Rinascimento, che si colloca prevalentemente fra il XIV e il XVI secolo ma avrà una frangia anche nel '600 ed è ancor oggi largamente discusso. 
 
Pertanto la ricerca storica non è tuttora esaurita e la contrapposizione fra Rinascimento italiano e Renaissance francese, la prevalenza dell'uno sull'altra, è materia di dibattito nel tempo attuale. Il pieno Rinascimento si ha nel primo '400 fiorentino, attingendo il massimo equilibrio fra visione naturalistica e sistematico ossequio al classicismo romano, che consente all'arte di svincolarsi dai modelli imposti dal Gotico. 
 
Rinascimento e Umanesimo fondano quindi la loro ragione d'essere in antitesi al Medioevo. La fase umanistica è quella di riflessione e approfondimento filologico (da filologia, scienza e disciplina che indaga a definire una cultura e una civiltà letteraria) sui testi classici e quella più propriamente rinascimentale del tardo (Quattrocento Fiorentino, neoplatonico (da Platone, filosofo dell'antica Grecia, Atene 427-347 a.C.); mediceo (dalla famiglia dei Medici, signori, principi e granduchi di Firenze dal 1400), quindi del primo '500 romano, creativo e rivaleggiante con i "classici", fino alla crisi della Riforma (movimento di rinnovamento della Chiesa nel XVI secolo, che comportò il distacco da Roma dei protestanti), alla quale si deve la diffusione degli ideali rinascimentali al di là delle Alpi. Nelle arti visuali la definitiva sistemazione del Rinascimento ci è offerta da Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574), pittore, architetto e scrittore d'arte italiano. 
 
Questo autore si affida sostanzialmente al concetto dell'imitazione del naturale e alla proposta dei modelli classici della statuaria e dell'architettura romana. Il principio della "rinascita" risiede nella ribellione all'innaturalismo greco. La riscoperta di questi e altri valori approfondisce il concetto laico della libera dignità sociale dell'artista, del rapporto fra arte e scienza affermato da Leonardo da Vinci, del superamento, da parte di Michelangelo, dei modelli classici e insieme della rigida imitazione della natura che comporta 1"evasione dalle regole" in quanto espressione della fantasia creativa; infine l’idea come libera scelta creativa fra le varie fenomenologie (lo studio dell'insieme dei fenomeni, delle loro manifestazioni spontanee o provocate artificialmente, che comporta modificazioni differenziate e può essere osservata, registrata studiata) dovuta a Raffaello. 
 
Nella storia del mobile italiano il Rinascimento e il tardo Rinascimento si suddividono generalmente in, tre periodi, compreso il periodo di transizione al Barocco: il primo Rinascimento (1450-1490), pieno Rinascimento (1490-1550), tardo Rinascimento (1550-1600). Si va cioè dalla metà del XV ad una certa parte del XVII secolo. Le modificazioni quattrocentesche, rispetto al mobile gotico, molto diffuso nell'Italia settentrionale e nelle sue valli, furono moltissime: il perfezionamento delle tecniche di fabbricazione, l'accostamento all'intaglio della tarsia (arte e tecnica consistente nel mettere insieme frammenti di marmo o di legno, tagliati a forme geometriche, disponendoli in modo da comporre figurazioni e ornati sulla base di disegni prestabiliti, da non confondere con l’intarsio), la doratura e la decorazione a pastiglia (stucco dorato o colorato usato per decorare artisticamente mobili, porte e cornici) sulla parte frontale dei cassettoni. La mobilia era sempre la stessa del periodo precedente (gotica), quindi cassoni, armadi, letti e tavoli, accanto alla quale fu introdotta la credenza, sulla cui parte superiore si potevano appoggiare oggetti, piatti e vassoi. Nel '500 le cose non cambiarono di molto, salvo una marcata accentuazione della struttura architettonica dei mobili. La tecnica dell'intaglio è diffusissima: si costituivano tavoli monumentali e sedie a "X", recupero del modello delle selle dei cavalieri romani. Siamo al '600 e i mobili assumono forme a volute (motivo ornamentale a spirale), superfici convesse, curve e sporgenti, ondulate con i motivi del cartoccio (elemento architettonico a forma di rotolo di carta) e della conchiglia. 
 
La ricerca del fasto, aggiunta al bisogno di fare sfoggio di prestigio e di potenza, indicò la via ad applicazioni assai eterogenee sulla mobilia in metallo, avorio e pietre dure. 
 
La diversione che abbiamo proposto si ricongiunge, a questo punto, al Barocco, durante il quale nascono fra gli altri lo stipo (mobile adatto a riporre biancheria, indumenti, oggetti d'uso vari) toscano a due corpi, lo studiolo ligure a due corpi, i seggioloni veneti fortemente intagliati. Il Barocco fu l’ultimo stile italiano ad avere una vigorosa influenza nell'ebanisteria europea. 
 
Questa specie di "gioco dell'oca" potrebbe durare all'infinito, ma sarebbe irragionevole e pretestuoso, convinti come siamo che il lettore abbia capito di che si tratta. Cioè, il meccanismo è semplice: dal 1850 tutti gli stili erano ammessi, specialmente quelli che abbiamo indicato, e questa autentica Babele filologica fornisce la misura di una fantasia, di una inventiva che si smarrisce, in attesa di un chiarimento del rapporto fra produzione industriale e arte. In sostanza si hanno mobili con caratteristiche di struttura e di decorazione molto fedeli e raffinte e altre riproduzioni di fabbricazione grossolana e della più insolente pacchianeria. Dove l’imitazione è fedele la si può facilmente confondere con gli originali; a essa si affiancano inoltre prodotti che non aspirano a nessun tipo di genuinità, nascendo da quella fusione di elementi diversi che darà luogo all'Eclettico più limpido. Gli ambienti sono sovraccarichi e decorati in modo esorbitante: si fanno tavolini da gioco, da scrittura, mobiletti, scaffaletti, e sgabelli, panchette, vetrinette e bacheche; molto in uso sono le pelli, vuoi di rettili, vuoi di grosse bestie feroci come la tigre o il giaguaro. L'accentuazione del decoro impone le volute del Neobarocco e le creste del Neorococò di vaste dimensioni. Le composizioni architettoniche neorinascimentali sono pesantissime: gli intagli zoomorfi sono esasperatamente sporgenti, come del resto le cornici, le lesene, i cornicioni, i timpani o frontoni. Maniglie e bocchette delle serrature sono in rame stampato o fuso, le serrature in ferro o acciaio, tutte di produzione industriale. Per il rivestimento dei sedili neorinascimentali si ritorna all'uso della pelle, e i tessuti per rivestire le imbottiture provengono dalle fabbriche e non dall'artigianato tessile. Si usa di  
nuovo il bambù "canna d'India" (pianta tropicale e subtropicale originaria della Cina oltre che dell'India). Come accennato, la perfezione degli incastri e dei piani, delle rifiniture e delle parti meno visibili del mobile, degli accorgimenti meccanici che mascherano i cassetti dei secrétaires (scrittoi) e delle scrivanie da signora, consente di far combaciare senza sbavature gli sportelli e garantisce il funzionamento di serrature ermetiche. Mentre a Napoli Salvatore Coco riprende il Neogotico con credenze e seggioloni con bassorilievi di gusto tipicamente normanno, altrove riappare l’intarsio del '700, tipico dello stile Luigi XV Accade a Livorno per merito di Pasquale Carridi e Giuseppe Odifredi, e contemporaneamente a Sorrento gli artigiani locali eseguono, con grande successo, intarsi di legni colorati e paglia disposti in modo geometrico o a fregi di gusto Neorococò. A Roma prevale la tarsia in materiali preziosi. Molto avorio, madreperla, argento, tartaruga. In questa tecnica, che piaceva anche in Lombardia, eccelse il milanese Giuseppe Speluzzi, creatore di mobili lussuosi per Palazzo Poldi, oggi Museo Poldi Pezzoli, in Milano. "Le sedie di canna (il riferimento è al bambù e alle sue imitazioni) - consigliava il Corriere delle Dame - vanno preferite per la loro leggerezza e disposte nella sala da pranzo". C'è da dire infine che la grossa parte degli elementi decorativi qui descritti veniva applicata di frequente a mobili strutturalmente diversi dallo stile cui si ispirava. 
 
Entrando nel merito della questione vediamo come "bolliva" la pentola del periodo Eclettico italiano. Si deve premettere, al riguardo, che l’industria indirizzò il vasto pubblico di acquirenti a una nuova concezione unitaria di ogni singolo ambiente. Di qui la nascita della "camera da letto", la "sala da pranzo", "lo studio" i cui mobili dovevano avere una omogeneità ornamentale, essere cioè strettamente legati nello stile e, contemporaneamente, complementari nelle funzioni. Il letto è nello stile che si vuole, anche in ferro.(ma non ferro battuto), dipinto. C'è il letto trapuntato nelle spalliere, Neorococò, quello del '400, squadrato e spigoloso, quello rinascimentale, ornato di putti e angloletti, con bassorilievi ispirati a temi mistici, con colonnette e frontoni. Tornano di moda pesanti baldacchini sostenuti da colonne che sono intagliate o tornite. La camera da letto, meglio definita nella completezza dell'arredamento, presuppone l’esistenza dei comodini da notte, il comò o cassettone con specchiera, il tavolo da toletta e l’armadio. Tutti questi elementi sono di una predominante unità stilistica. 
 
L'armadio in genere è nello stile che si preferisce, sempre ripescato dai modelli d'epoche passate, deve .tuttavia essere in perfetta sincronia con l’arredamento generale della camera da letto. Esso ha per lo più due ante e nelle dimensioni più piccole ha un solo sportello, piuttosto largo. Nella parte inferiore uno o più cassetti. I piedi sono torniti, ma nei modelli neorinascimentali questo mobile poggia su zampe leonine. 
 
La credenza, in genere a due corpi, è di composizione assai complessa. Fra la parte superiore e quella inferiore ha un piano di servizio a "buffet" rientrante. Sul basso è a due, quattro o sei sportelli (questi ultimi nelle opere più monumentali) e la stessa regola vale per la dimensione dei cassetti. Gli appoggi sono torniti oppure affidati a zampe ferine, nello stile Neorinascimentale. La parte superiore comprende lesene verticali ed è sormontata da ornamenti lignei molto mossi, con al centro un ovale che riproduce peraltro un fittizio stemma araldico (nobiliare). 
 
Totalmente rinascimentale, nel formalismo ottocentesco, è la libreria. Gli scaffali sono affiancati da pilastri e lesene. Un cornicione sporgente delimita la parte alta del mobile. Gli sportelli che chiudono la scaffalatura sono in legno o in vetro realizzati con pesanti griglie in ferro battuto o mascherine in piombo. 
 
La scrivania a tavolo pesca la sua solennità e la serietà sempre nel Rinascimento. È perciò neorinascimentale con caratteri enfatici, con pilastrini, trabeazioni, archetti ciechi, medaglioni e abbondanti bassorilievi e sculture. Può essere da centro o da muro, e quest'ultima soluzione appare decisamente più leggera. Da muro o da centro che siano, questi scrittoi hanno un corpo superiore basso, arretrato per far posto al piano di scrittura, delimitato verticalmente da cassetti e scomparti. Solo alcuni tipi o esemplari hanno chiusura del vano superiore, con una copertura flessibile a doghe (asticelle) scorrevoli. 
 
Il tavolo Eclettico ha inevitabilmente fogge e dimensioni abbondantemente differenziate. Sono indifferentemente circolari, quadrati, rettangolari, poligonali. Il grande tavolo del periodo ha sostegni di diversa composizione: accosta mensole ricurve a pilastri scanalati e torniture assai diverse. Il disegno è un insieme disinvolto di Neobarocco, Neorococò, Neorinascimento. Passando dal grande tavolo ai tavolini da lavoro o da gioco, per esempio, essi sono costruiti con graziosa ed estrosa leggerezza. La console (mobile da muro), orfana ormai della leggerezza tardo '700 e primo '800, è di un Neorococò trionfale, giustapposta a una specchiera sproporzionata. Esiste altresì la console neorinascisntale che ha, com'è d'uso, forme squadrate, architettoniche. 
 
Il cassettone della seconda meta’ dell’ ‘800 e’ squadrato e massiccio , in stile Neorinascimentale, arricchito da intagli zoomorfi, con ai lati pilastrini o lesene. La tornitura dei piedi rappresenta ormai un classico, c non meno usuali sono gli appoggi su zampe ferine. È un mobile da "camera da letto" che, in circostanze particolari, viene accompagnato da una specchiera. 
 
Negli esemplari più tardi il cassettone porta dei cassetti nella parte inferiore. Quanto ai modelli neorococò essi sono di fattura mossa e di linea alquanto panciuta. 
 
Il divano è più lavoro da tappezziere che non da fabbricante di mobili. È gonfio, abbondantemente trapuntato e si ritrovano, nell'Eclettico, i divani circolari da centro che rassomigliano alle torte di meringhe, meglio conosciute come meringate. I modelli neobarocchetti presentano dorsali ripartiti in tre medaglioni con pesanti imbottiture ricoperte da tessuti pregiati. Il divano neorlnascimentale, dal carattere originario rigido e monumentale, é piegato a criteri di comodità, che nulla hanno a che fare con il rigore cinquecentesco. 
 
Quanto alle sedie, i modelli sono molto promiscui. L'interpretazione si riconduce al Neorococò, di ragguardevole frivolezza, con dorsale imbottito o a giorno, le gambe anteriori fedeli ai diversi stili (Neorococò, Neobarocco, Neobarocchetto o Neorinascimentale), quelle posteriori, lisce con una leggera incurvatura all'indietro, di fatto a sciabola. Sono di gran moda, altresì, seggioloni e sedie a forbice che appartengono alle diverse riedizioni rinascimentali e non mancano quelle di ispirazione neogotica. 
 
La poltrona ha un carattere opulento, completamente rivestita e trapuntata com'è nel gusto neobarocchetto. Oggi la si definisce, con scarso rispetto, "la poltrona della nonna". In stile neorinascimentale sono troni e tronetti, poltrone e seggioloni, di una notevole pesantezza, perfettamente in linea con i modelli del Rinascimento, ovviamente rivisitato e adattato alle comodità richieste dalla borghesia. 
 
Con lo stile Eclettico l’unità d'Italia entra, in definitiva, anche nel comparto dei mobili. In tutte le città e in tutte le regioni si fabbricano mobili nello stesso stile composito, senza distinzioni. L'unica variante è quella del maggiore o minor pregio e, in questo senso, si distinse la maestria degli intagliatori fiorentini, molto apprezzata all'estero: in Francia, Russia e Inghilterra. 
 
Non a caso Firenze rifornì le regge e i .palazzi di Londra, Parigi, Mosca, Pietroburgo di armadi, tavoli e credenze lavorati con finissime ornature. 
 
Ci avviamo verso la fine del secolo con il Neorinascimento che prevale su tutti gli altri stili. Ed è a questo punto che si prende coscienza del fatto che il nostro Paese, rispetto all'Europa, dove non mancano i fermenti e la ricerca di nuove forme espressive, originali, per meglio conciliare l’arte con la produzione industriale, è rimasto fatalmente indietro. Prova ne sia che all'Esposizione Internazionale di Parigi del 1900 i nostri mobilieri vengono praticamente ignorati, eccezion fatta per alcuni casi, quale quello di Carlo Bugatti, del quale parleremo in seguito. 
 
Gli eccessi e spesso gli abusi stilistici e decorativi perpetrati nella seconda metà dell'800, il progressivo decadimento estetico, impongono dei mutamenti. L'Eclettico si trascina stancamente e stucchevolmente verso il tramonto e con l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Torino del 1900, il suo destino, che qualcuno aveva già preconizzato fra ff 1884 e il 1896, si compie. 
 
D'altro canto, già nell'ultimo decennio del XIX secolo ,incominciò ad apparire sporadicamente lo stile Floreale che all'alba del '900 confluirà nel più ampio e innovativo movimento Liberty. 
 
 
 
        
 
 
 
  
 
IL DESIGN D’INTERNI IN ANTICHITA’ 
 
 
 
Nell'antico Egitto, le case più povere, costruite con il fango, erano arredate in modo essenziale e la loro unica decorazione erano le pareti imbiancate a calce, una consuetudine che sopravvive ancora oggi. Le abitazioni dei ceti più benestanti si distinguevano invece per l'abbondanza di colori e per i motivi dipinti sui muri. Case più ricche e sontuose, di solito articolate attorno a un cortile, erano abitate dalle classi aristocratiche. In questo caso le stanze erano ornate da pannelli raffiguranti motivi tipici dell'Egitto quali la palma e il papiro. Le pareti erano spesso coperte da stuoie di canne intrecciate e i mobili raggiungevano elevati livelli di raffinatezza grazie a intarsi di avorio, gemme, oro e argento. Le decorazioni dei palazzi ritraevano perlopiù i membri della famiglia, particolare che documenta il valore attribuito alla vita domestica. La tinta preferita per i pavimenti era il blu, che creava l'illusione di una tranquilla distesa d'acqua. 
 
Nell'antica Grecia l'architettura si ispirava ai principi della simmetria, dell'unità e della semplicità, lasciando poco spazio agli eventuali miglioramenti apportati dal design. I palazzi di Creta e Micene presentano tuttavia ricche decorazioni (soprattutto affreschi dai colori vivaci) e numerosi esempi di lavorazione dell'avorio, della ceramica e dei metalli. 
 
Il gusto greco-romano è ben illustrato dai resti di case ritrovati a Pompei ed Ercolano. Molto diffuso era il ricorso ai mosaici murali e pavimentali e agli effetti trompe-l'oeil generati da paesaggi dipinti sulle pareti. Grande importanza era inoltre attribuita al comfort, come dimostrato dallo schema della sala da pranzo, arredata con divani (triclinium) dotati di cuscini su cui i commensali potevano adagiarsi durante il pasto. Fino al IV secolo d.C., lo stile d'interni romano fu influenzato dal gusto per il lusso e lo sfarzo. Le abitazioni si riempirono così di mobili pregiati e di raffinate tappezzerie in lino, seta e lana. Particolare attenzione era riservata alla progettazione di decorazioni e oggetti per la casa, che venivano perlopiù realizzati in bronzo, vetro, oro, argento e ceramica. 
 
 
 
Il design d'interni in Oriente  
 
 
 
L'influenza dell'arte islamica fu profonda e determinante per il design orientale. Pur traendo spunto da molte culture, lo stile islamico conserva le sue peculiarità, riconoscibili nelle costruzioni di molti paesi. Poiché il Corano vieta la riproduzione di figure umane e animali, si affermarono decorazioni musive con elaborati motivi geometrici e calligrafici. Oltre ai disegni ispirati a giardini reali o immaginari, che vennero adottati per pareti, tessuti, tappeti e ceramiche, vanno menzionati gli arabeschi, i reticolati e le raffigurazioni floreali e vegetali. I materiali preferiti per i mobili e le tappezzerie erano la seta e il velluto. L'influsso dello stile islamico è ravvisabile in alcuni edifici della Spagna meridionale e in particolare nel palazzo dell'Alhambra a Granada. Le stanze, che si snodano attorno a cortili, sono abbellite da una sapiente combinazione di piastrelle, stucchi e pannelli filigranati, cui in origine si aggiungevano tappeti e tappezzerie di grande splendore. 
 
Lo stile islamico si diffuse in India raggiungendo i risultati più notevoli tra la metà del XVI e la metà del XVII secolo. Il marmo fu tra i materiali più apprezzati per le costruzioni monumentali quali il Taj Mahal e non tramontò nemmeno il gusto per giardini e fontane. Le tecniche locali si combinarono con i metodi importati dando luogo a mosaici eseguiti con lapislazzuli, specchi e vetri colorati. 
 
In India, soltanto attorno al I secolo d.C. entrarono in voga intagli e affreschi; i motivi più popolari furono il loto, la ninfea e lo stramonio, simboli della vita, della creazione e della morte, e ricorrenti anche su tappeti, tessuti e ceramiche. Questi soggetti tradizionali caratterizzano tuttora gli arredi indiani e testimoniano l'abilità degli artigiani nella lavorazione del legno e dei metalli. 
 
La semplicità e la misura sono i cardini attorno a cui ruota il design d'interni in Cina. Lo spazio era suddiviso da graticci coperti con carta traslucida, accessori in uso sin dall'antichità e molto pratici perché danno un'impressione di leggerezza, proteggono l'intimità degli abitanti e possono essere spostati a piacere. A seconda del ceto sociale del padrone di casa i pavimenti erano in terra battuta, pietra o marmo e le travi a vista venivano riccamente intagliate con dragoni o tigri. A partire dal III-II secolo a.C. si diffusero i mobili in legno scuro, mentre cassettoni e stipi divennero le tipologie preferite per riporre gli oggetti domestici. Dopo il X secolo il design si fece più elaborato con abbondante uso di intagli in avorio, madreperla, giada, argento e oro. La seta multicolore fu usata sia nell'arredamento sia per la produzione di carte da parati, tappezzerie e ricami. 
 
Il design giapponese è ancor maggiormente orientato a canoni di sobrietà, rivelando spesso l'influenza cinese, evidente soprattutto nelle tinte vivaci delle superfici interne ed esterne del VI e del IX secolo. Da allora prevalgono le tonalità naturali, segno della volontà nipponica di non abbandonare l'antico rigore. Gli ambienti sono separati per mezzo di paraventi coperti di carta e talvolta decorati con paesaggi e scene pastorali. L'area principale dell'abitazione è occupata da alcove, mensole e pochi oggetti, mentre i pavimenti sono coperti da stuoie di paglia di riso dette tatami. Il mobilio è ridotto al minimo ed è composto perlopiù da cuscini e paraventi scorrevoli. Come le popolazioni islamiche, i giapponesi hanno sempre avuto la passione dei giardini e dell'acqua; per questo dedicano grande attenzione anche alla cura dell'esterno. 
 
 
 
Il design d'interni in Occidente  
 
 
 
Il Medioevo: gli interni romanici e gotici  
 
 
 
In epoca medievale la gente comune viveva in tuguri e capanne che offrivano a malapena un riparo; i nobili con seguito e servi abitavano nei castelli, il cui ambiente principale era un ampio salone adibito a cucina, sala da pranzo e camera da letto. Fino all'avvento delle camere da letto separate i servitori dormivano infatti nel salone, dove uno spazio nascosto da tende era riservato alle donne. Questa stanza poteva raggiungere i 18 metri di lunghezza e i 6 metri di larghezza ed era coperta da un tetto sostenuto da travi di legno, che nel tardo Medioevo venivano intagliate o dipinte. Il pavimento, di pietra, terra, mattoni o piastrelle era di solito coperto da giunchi, paglia e foglie; solo in seguito alle crociate entrarono in voga tappeti e stuoie importati dal Medio Oriente. I normanni furono tra i primi ad appendere tappezzerie alle pareti e la necessità di proteggersi dal freddo e dal caldo diffuse la consuetudine di intonacare i muri di pietra. Parallelamente a tale tecnica divenne popolare anche la decorazione ad affresco delle pareti. I mobili considerati più utili erano tavoli, panche, sgabelli e spaziosi cassettoni. Questi ultimi, in ferro battuto o legno rinforzato da ferro battuto, contenevano gli averi del signore e dei servitori e potevano essere trasportati senza difficoltà in caso di incendi o attacchi nemici. 
 
Dopo l'invenzione trecentesca dei cannoni e della polvere da sparo, il castello divenne sempre meno inespugnabile. Questo fattore, unito alle condizioni di relativa stabilità che si vennero a creare in Europa e allo sviluppo della classe media, determinò una forte richiesta di residenze più confortevoli dei castelli e più adatte alle esigenze della tranquilla vita quotidiana. Nacquero così lo château e il maniero gotico. Nel Duecento fecero la loro comparsa in Italia, Inghilterra e Francia case di città e di campagna dotate di salone, cucina, camere da letto e dispensa. Le decorazioni rimasero scarse fino al 1400, quando nell'Europa settentrionale si diffuse l'uso di tappezzerie per coprire le pareti, suddividere gli ambienti più spaziosi, nascondere porte. Nello stesso periodo le tradizionali imposte di legno, che fino ad allora avevano riparato le finestre, cedettero il passo alle tende. 
 
 
 
Gli interni rinascimentali  
 
 
 
Le case rinascimentali italiane erano caratterizzate da ampie stanze e alti soffitti ornati da pitture e modanature in gesso, di solito ispirate ai modelli greco-romani. L'intenzione dei decoratori e degli arredatori era quella di creare un'impressione di fasto e magnificenza. In Francia e in Italia, paesi in cui operarono artisti del calibro di Raffaello e Benvenuto Cellini, il pregio degli ambienti dipendeva dalle decorazioni di pareti e soffitti. Il numero dei mobili era limitato a pezzi quali credenze, cassettoni e armadi che dovevano adattarsi all'architettura simmetrica della stanza. 
 
Nell'Inghilterra del primo Rinascimento prevalse lo stile Tudor, con case per metà in legno e per metà in pietra e mattoni. Ampia diffusione conobbero i pannelli lignei, le finestre a colonnine, i camini, i caminetti e le mensole. Gli ambienti erano semplici e sobri, occupati solo in parte da mobili e accessori. I soffitti e le pareti erano abbelliti da modanature in gesso o coperti da tappezzerie, mentre le finestre, le porte e i letti a baldacchino videro l'uso di pesanti drappi in velluto, damasco e broccato. 
 
 
 
Gli interni barocchi  
 
 
 
Tra il XVII e il XIX secolo la Francia impose il proprio gusto a tutta l'Europa. Nel Seicento si assistette allo sviluppo di due stili che presero il nome dai re Luigi XIII e Luigi XIV. Il primo prevalse fino alla metà del secolo e rappresentò l'evoluzione dello stile rinascimentale francese, ancora ricco di elementi gotici quali i mobili angolari e quadrati. Nella seconda parte del Seicento e durante i primi vent'anni del secolo successivo si affermò lo stile Luigi XIV, caratterizzato da solidità, austerità e dall'abbondanza di decorazioni in bronzo dorato. Pur possedendo il tratto classico della simmetria, il nuovo design era improntato alle caratteristiche tipicamente barocche dello sfarzo e dell'ostentazione. La reggia di Versailles fu il principale esempio di questo stile, con le decorazioni eseguite da Jules Hardouin-Mansart e Charles Le Brun, direttore della manifattura Gobelins, da cui provenivano tutti i mobili reali. In questo periodo gli arazzi Gobelins riscossero grande successo in Francia e in altri paesi europei. 
 
Una particolare attenzione fu riservata alla decorazione delle pareti. Al posto dei pannelli lignei entrarono nell'uso eleganti intagli, detti boiserie, spesso dorati o ispirati ai disegni orientali. Dal XVIII secolo in avanti le pareti furono talvolta incorniciate da listelli di legno. 
 
All'inizio del Seicento l'Inghilterra vide la diffusione del cosiddetto stile giacobiano, che abbracciava molti elementi classici. Durante il protettorato di Oliver Cromwell, periodo in cui fiorirono le idee puritane, il design d'interni e la decorazione degli ambienti si orientarono verso una sempre maggiore semplicità. La restaurazione del 1660 diede tuttavia nuova vita all'ostentazione e allo sfarzo, che vennero però nuovamente abbandonati dopo l'incoronazione di Guglielmo III d'Orange-Nassau e Maria II Stuart (1689), quando l'influsso olandese riportò il gusto per la semplicità. Le stanze inglesi di fine secolo furono progettate per garantire intimità e comfort. Se il legno divenne il materiale preferito per pareti e pavimenti, questi ultimi erano spesso coperti da tappeti orientali e la carta da parati cominciò ad assomigliare sempre più alla tappezzeria tessuta. 
 
 
 
Gli interni rococò  
 
 
 
In Francia lo stile barocco in voga durante il regno di Luigi XIV cedette il passo, sotto Luigi XV allo stile rococò, caratterizzato da curve e riccioli allo stesso tempo elaborati e delicati, con pareti spesso rivestite da pannelli lignei dipinti con colori pastello e abbelliti da stilizzati motivi naturalistici o da disegni di sapore orientale. La particolarità più interessante delle stanze rococò era la presenza di un ripiano in marmo intagliato dalla forma arrotondata, detto console, sovrastato da una specchiera detta trumeau. Anche i tessuti e le tappezzerie si distinguevano per la loro raffinatezza e per i motivi ornamentali, che perlopiù raffiguravano arabeschi, nastri e fiori. I lampadari, gli accessori per il caminetto e gli utensili erano frutto di un'abile lavorazione dei metalli, che spesso ricorreva alla cesellatura e alla doratura. I pavimenti erano di solito in legno decorato a intarsio o in parquet e venivano coperti da tappeti intessuti nelle manifatture di Aubusson e della Savonnerie. Tipica del rococò fu inoltre la ricerca di soluzioni confortevoli con la creazione di mobili quali la chaise-longue (una poltrona con spalliera molto inclinata), la bergère (una sedia imbottita) e piccoli scrittoi detti éscritoires
 
Sul finire del Settecento si assistette al tramonto dello stile Luigi XV e all'affermarsi dello stile Luigi XVI, che predilesse la semplicità e fu strettamente legato al neoclassicismo. I mobili e gli ornamenti si arricchirono di linee diritte e angoli retti; le stanze si rimpicciolirono e si articolarono in modo più razionale: la camera da letto, il salottino, la sala da pranzo e la biblioteca diventarono infatti elementi autonomi l'uno dall'altro. Mentre si riduceva il numero di decorazioni a intarsio sui pannelli di legno, le pareti si coprivano di dipinti che alle scene naturalistiche preferivano i temi classici. Porte, finestre e ripiani in marmo si adeguarono alle nuove forme rettangolari e in molti casi i soffitti erano privi di decorazioni, salvo quando si mirava a raggiungere particolari risultati estetici ricorrendo alla pittura per dare l'illusione del cielo e delle nuvole. 
 
Lo stile Adam e i primi esempi di design d'interni in America  
 
 
 
All'inizio del Settecento il design d'interni inglese fu dominato dal gusto barocco, cui seguì lo stile giorgiano, sviluppatosi contemporaneamente allo stile Luigi XVI e, come quest'ultimo, caratterizzato dal ritorno all'epoca classica. Nell'ambito della decorazione d'interni si imposero le figure di Robert Adam e del fratello James, due architetti scozzesi che si rifecero ai principi dell'architettura greca e romana influenzando anche i principali fabbricanti di mobili dell'epoca, tra cui Thomas Chippendale. 
 
Nelle prime case americane i valori di estetica e comfort svolgevano solo un ruolo secondario. Gli interni realizzati agli inizi del Seicento nel New England presentano per esempio soffitti bassi, ampi caminetti, finestre strette e mobili ridotti al minimo. Una maggiore attenzione ai dettagli si ebbe solo sul finire del secolo, quando le pareti si coprirono di pannelli lignei e apparvero i primi soffitti travati. Con l'importazione di libri inglesi sull'architettura e sull'arredamento, nelle colonie americane si assistette allo sviluppo dello stile coloniale, una variante del gusto giorgiano. Gli interni americani del Settecento si arricchirono di particolari in legno dipinto, pilastri, cornicioni, mensole intagliate e pavimenti in legno. Grande diffusione conobbero anche le carte da parati, che vennero impiegate insieme a tendaggi di damasco e raso per abbellire gli ambienti. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
Lo stile impero e lo stile vittoriano  
 
 
 
Nei primi anni dell'Ottocento il design d'interni europeo e statunitense fu improntato allo stile impero sviluppatosi in Francia durante l'epoca napoleonica e ispirato ai canoni classici ed egizi. I tratti principali della nuova corrente furono le linee allungate e ricurve e l'impiego di elementi in avorio, ottone e bronzo dorato. Sui medesimi principi si fondò anche la variante americana, che prese il nome di stile federale e il cui maggior esponente fu Duncan Phyfe. 
 
Nella seconda metà del secolo in Inghilterra e in America entrò invece in voga lo stile vittoriano, che prediligeva le stanze piene di mobili, ninnoli e superfici coperte da tessuti frangiati. In entrambi i paesi la produzione su larga scala diede inoltre il via alla diffusione di imitazioni nei diversi stili artistici, fenomeno che determinò una sorta di smodato eclettismo, durato fino all'inizio del Novecento. Con il XX secolo l'obiettivo principale del design d'interni fu quello della praticità e tale tendenza, sostenuta anche dal movimento Arts and Crafts fondato da William Morris, portò a privilegiare la semplicità e la lavorazione artigianale ai pesanti ornamenti del passato. Da tali idee prese spunto anche l'architetto scozzese Charles Rennie Mackintosh, che nei primi anni del Novecento seppe unire la solidità degli interni Arts and Crafts all'eleganza dell'Art Nouveau. Quest'ultima corrente, fiorita tra il XIX e il XX secolo, amava le linee curve (dette "a colpo di frusta"), le superfici ondulate e i tratti esotici, tutte caratteristiche ravvisabili negli edifici progettati da Victor Horta a Bruxelles e da Hector Guimard a Parigi. 
 
 
 
Il design d'interni nel Novecento  
 
 
 
Dopo la prima guerra mondiale il contrasto tra i tradizionalisti, che arredavano gli ambienti con mobili antichi o loro riproduzioni, e i modernisti, che invece sostenevano la nascita di stili più idonei alla nuova realtà, si inasprì ulteriormente. Gli stessi modernisti erano suddivisi in numerose scuole, una delle quali, legata all'Art Déco, modificò gli stili storici tradizionali adattandoli alle esigenze della vita contemporanea. Gli interni progettati da designer di tale tendenza presentano un'abbondanza di colori pastello e di tendaggi o tappezzerie. Il gruppo olandese De Stijl ricorse a tonalità forti e si rifece alle idee cubiste rivalutando le forme rettangolari. 
 
Una terza cerchia di modernisti, guidata dalla scuola tedesca del Bauhaus, si orientò soprattutto verso la funzionalità tipica dell'architettura moderna. I mobili furono improntati a un criterio di praticità grazie all'impiego di materiali innovativi quali l'acciaio, l'alluminio e il compensato. I principali rappresentanti di questo stile furono gli architetti Ludwig Mies van der Rohe, Marcel Breuer e Walter Gropius. Nei paesi scandinavi i designer preferirono curve, colori brillanti e linee semplici. Tra gli altri merita di essere menzionato il finlandese Alvar Aalto, noto per la rigorosa semplicità dei suoi mobili in legno. 
 
Negli Stati Uniti il design d'interni divenne una delle professioni più prestigiose; fra i suoi maggiori esponenti si contano gli architetti Charles Eames ed Eero Saarinen e artisti quali gli scultori Harry Bertoia e Isamu Noguchi, tutti collaboratori di uno dei marchi più prestigiosi del design moderno, la Knoll International. Anche correnti artistiche più recenti come la op art e la pop art hanno profondamente influenzato il design d'interni, soprattutto nella scelta di forme geometriche colorate. Altra importante innovazione in tempi più recenti è rappresentata dal cosiddetto stile High Tech (dall'inglese high technology, "alta tecnologia"), che ricorre ad attrezzature tecniche e industriali per completare l'interno degli ambienti. 
 
 
 
  
 
Il design italiano  
 
 
 
In Italia il design divenne una realtà solo dopo la seconda guerra mondiale, quando validi professionisti come Gio Ponti, Franco Albini, Ignazio Gardella e Carlo Mollino cominciarono a disegnare mobili e le aziende si avvalsero per la prima volta dell'opera di architetti e designer. Alla fine degli anni Cinquanta, nei confronti di un design i cui ideali di rinnovamento rischiavano di venire assorbiti dall'aspetto economico e produttivo, si sviluppò il fenomeno del neoliberty che portò alla ribalta i nomi di Vittorio Gregotti e Gae Aulenti, Lodovico Meneghetti e Aimaro Isola, Giotto Stoppino e Aldo Rossi. Al centro della loro ricerca stava l'idea di progetti pensati e realizzati attraverso il confronto formale e tipologico con i modelli classici. Esemplare di questo indirizzo è la poltrona a dondolo Locus solus (1965) realizzata da Gae Aulenti per Zanotta. 
 
La tendenza a fare dell'arte un continuo punto di riferimento e di confronto avvicinò il design italiano alle ricerche dei movimenti d'avanguardia, tra cui l'arte povera: ne risultarono oggetti come la poltrona Joe (1970), a forma di guanto di baseball, prodotta per Poltronova da Jonathan De Pas, Donato D'Urbino e Paolo Lomazzi. 
 
Nel 1972 a New York, in occasione della mostra "Italy, the New Domestic Landscape", Ettore Sottsass si presentò al Museum of Modern Art con un progetto di controdesign prodotto dalla Kartell, l'azienda che scelse di utilizzare per i suoi prodotti soprattutto materie plastiche. Lo stretto rapporto che si venne a creare tra la progettazione e le diverse suggestioni culturali, i materiali più insoliti e le forme più estreme e originali, diede vita agli arredi creati dai designer di Alchimia, tra cui vanni citati la lampada Spaziale (1980) di Michele De Lucchi e il tavolino Strutture che tremano di Ettore Sottsass (1979). Anche Gaetano Pesce, rappresentante del radical design, privilegiò la plastica, come nella poltroncina Dalila e nel tavolo Sansone per Cassina (1980). Orientato come Sottsass verso l'antifunzionalismo, Alessandro Mendini ha invece inventato un arredo d'ispirazione simbolica che intende instaurare un rapporto intimo e "naturale" tra l'oggetto e il suo fruitore, come nel divano Kandissi (1980) realizzato con lacche multicolori, radica, tartaruga e gobelin. 
 
Oggi l'interesse per il design d'interni, che continua la sua ricerca legata all'attualità artistica, tecnica e culturale, coinvolge un numero sempre maggiore di persone. Molte di esse per arredare case e uffici hanno bisogno di prezzi accessibili e di semplicità. In questo senso l'azienda svedese Ikea, con le sue linee pulite e tradizionali, con i suoi mobili in legno di pino o di betulla, dai colori chiari e naturali e dalle molteplici funzioni, rappresenta un nuovo concetto di arredo. Con 150 negozi sparsi in tutto il mondo, l'Ikea ha una filosofia molto chiara: offre al cliente tutto quello che gli può servire per riempire una casa, dagli oggetti d'uso ai mobili. E per tenere bassi i prezzi vende il prodotto dentro una scatola, con i pezzi smontati. L'ultima novità sono i mobili per bambini: colorati e atossici, badano particolarmente alla praticità e alla sicurezza. 
 
 
 
  
 
  
 
                                I MOBILI 
 
 
 
  
 
Mobilio Elementi amovibili dell'arredamento di abitazioni e luoghi di lavoro: letti, sedie, tavoli, armadi, cassettiere, a seconda della forma e delle dimensioni, conferiscono spesso all'ambiente in cui sono collocati una funzione specifica (cucina, camera da letto, sala da pranzo ecc.). 
 
 
 
Materiali e tipologie  
 
 
 
Nei secoli passati il materiale più usato per la fabbricazione di mobili è sempre stato il legno; ma anche la pietra e i metalli sono talvolta stati impiegati a questo scopo. Dall'antichità a oggi gli arredi hanno rispecchiato il gusto tipico dell'epoca in cui sono stati costruiti: solo in questi ultimi anni si è affermata invece una tendenza molto eclettica nell'arredamento, un'estrema libertà di stili e preferenze, per cui l'antico è alternato al moderno, il rustico all'elegante, con largo uso dei materiali più diversi. I mobili d'antiquariato sono sempre molto apprezzati, mentre, accanto a pezzi dalle forme inedite modernissime si possono trovare nuove interpretazioni dei modelli passati e fedeli riproduzioni di esemplari d'epoca. 
 
La progettazione dei mobili ha sempre tenuto conto sia dell'aspetto esteriore sia della funzione, e spesso anche dell'interno architettonico cui sono destinati. Alcuni stili sono stati attinti direttamente all'architettura (si pensi alle gambe di tavoli a foggia di colonne), altri si sono ispirati alla natura, inserendo dettagli zoomorfi nella struttura (ad esempio, sostegni a zampa di animale). Documenti antichi ritrovati in Mesopotamia descrivono interni abbelliti da ricchi mobili dorati e stoffe intessute d'oro. Benché alcuni mobili egizi giunti fino a noi mostrino abbondanti decorazioni e siano stati un tempo anch'essi rivestiti d'oro, nell'antico Egitto erano largamente diffusi, anche presso i nobili, pezzi semplici ed essenziali. Poiché solitamente i mobili di lusso ci sono pervenuti in condizioni migliori di quelli di destinazione popolare, la storia dell'arte ha obbligatoriamente privilegiato l'arredamento aristocratico, quello tra l'altro in cui il gusto dell'epoca ha potuto esprimersi con maggiore varietà di mezzi e ornamenti. Invece, gli arredi più disadorni destinati ai ceti sociali meno abbienti, avendo una finalità esclusivamente pratica, possono presentare tra loro forti analogie anche a distanza di anni e secoli, presso culture diverse e popoli geograficamente lontani.  
 
 
 
Notizie storiche  
 
 
 
Anche se purtroppo non esistono reperti, si ritiene che i mobili esistessero già nel Neolitico (7000-2000a.C.); tuttavia, gli studi storico-artistici possono partire solo dall'Antico Regno egiziano (2680 ca. - 2255a.C.), periodo cui appartengono i primi esemplari mai rinvenuti. 
 
 
 
I mobili egizi  
 
 
 
Il clima secco dell'Egitto e l'uso di allestire sepolture ricche come dimore di viventi hanno contribuito alla conservazione di molti oggetti di arredamento (vedi Arte e architettura egizia). I dipinti e i bassorilievi riportati alla luce dagli archeologi illustrano le forme e le funzioni dei mobili nelle abitazioni aristocratiche, e dimostrano come questa civiltà fu la prima a sviluppare un concetto di arredamento simile al nostro, per il quale i mobili sono sì destinati a una funzione pratica, ma anche ad arricchire esteticamente e impreziosire gli interni. La policromia era un elemento preponderante negli ambienti delle case egiziane: tende, tappeti, arredi e pitture murarie mostrano spesso colori brillanti, così come la decorazione a stucco. Sorprendentemente, i metodi di fabbricazione non erano molto diversi da quelli di oggi. 
 
Grazie ai resti del loro rivestimento originale in oro, gli archeologi sono riusciti a ricostruire la sedia, il tavolo, il divano e il baldacchino (2600ca.a.C., Museo Egizio) rinvenuti a Giza nella tomba di una regina della IV dinastia. La sedia ha gambe zoomorfe, schienale massiccio e braccioli lavorati a traforo con motivo ricorrente a papiro. Il letto, più alto nel punto in cui la regina posava il capo, è provvisto di poggiatesta e spalliera. Le decorazioni a rilievo che abbelliscono alcuni pezzi egiziani mostrano raffigurazioni simboliche di dei e scene religiose. Tavoli e sgabelli riportati alla luce in altri scavi presentano forme più semplici ma comunque raffinate. 
 
Tutti i pezzi di mobilio rinvenuti negli scavi archeologici in Egitto dimostrano la cura e la fantasia di questo antico popolo nell'allestimento degli arredi: alle gambe di tavoli e sedie venivano applicate foglie d'oro, mentre le superfici di cassettoni e i piani d'appoggio venivano decorati con intarsi in avorio e pietre preziose. A differenza dei popoli orientali, che usavano sedersi sul pavimento, gli egizi avevano l'abitudine di accomodarsi su sedie, poltrone, sgabelli e divani, spesso muniti di braccioli e resi più confortevoli dalla presenza di cuscini. L'arredamento era completato da tavoli, mensole, cassapanche, scrigni e letti. Nelle abitazioni più signorili gli ambienti erano infine abbelliti da stoffe, ricami, vetri colorati, smalti, oggetti di oreficeria e accessori da toeletta.  
 
 
 
I mobili mesopotamici  
 
 
 
Le grandi civiltà mesopotamiche ci hanno lasciato pochi esempi di mobili, perlopiù di lusso. I rari pezzi riportati alla luce e quelli raffigurati in bassorilievi e pitture tra il 3500 e l'800a.C. rivelano una ricerca di grandiosità e imponenza più che di eleganza e raffinatezza. I tavoli hanno gambe robuste, i letti sono di grandi dimensioni e i sedili alti e rigidi, muniti di poggiapiedi. I mobili in legno di cedro erano inoltre impreziositi da intarsi in ebano e avorio, intagli e applicazioni in metallo cesellato. Nonostante tra le popolazioni dell'antico Oriente fosse forte l'influenza egiziana, in Persia vennero raggiunti risultati originali nella tessitura e decorazione multicolore di stoffe e tappeti. Un oggetto sumero, una scatola collocata sull'apposito sostegno (ca. 3500-3200a.C., Museo Iracheno, Baghdad), presenta intarsi di conchiglie raffiguranti sedie e troni dallo stile molto essenziale. Un rilievo del IX secolo a.C. (British Museum, Londra) mostra l'arredamento destinato al re assiro Assurnasirpal II e alla sua consorte: tra altri pezzi molto eleborati, spiccano tavoli e troni sostenuti da gambe zoomorfe o a forma di tromba con decorazioni a rilievo. Vedi Arte e architettura mesopotamica. 
 
 
 
I mobili cretesi e micenei  
 
 
 
Quasi nulla ci è rimasto a testimonianza dei mobili cretesi e micenei, a parte qualche descrizione in testi letterari e le informazioni che possiamo ricavare dai rilievi di alcuni anelli minoici e di piccoli frammenti in bronzo e terracotta. Il mobilio dei grandi palazzi, come quelli di Festo e Cnosso, doveva essere sfarzoso e dalle forme più svariate: arredi in marmo, legno, metallo e alabastro erano accompagnati da stoffe policrome, pelli di animali, cuscini e tappeti. Le dimore di Creta, Micene e Cnosso erano fornite di ricchi accessori e suppellettili da tavola, realizzate con grande raffinatezza e senso artistico in terracotta, argento e oro sbalzato o cesellato. Uno dei pochi mobili a noi pervenuti è il bellissimo trono in gesso del Palazzo di Cnosso (circa 1600-1400a.C.). Gli altri pezzi giunti fino a noi (sgabelli, sedie, divani, panche e cassapanche) fanno pensare che non erano frequenti decorazioni troppo elaborate. Ma questa conclusione è smentita d'altra parte da alcune tavolette, sulle quali sono rappresentati mobili intarsiati e impreziositi da rivestimenti in oro; inoltre, a Tebe è stata rinvenuta una gamba in avorio riccamente decorata, parte di un pezzo d'arredamento certamente molto raffinato. 
 
 
 
I mobili del mondo greco  
 
 
 
Pochi esempi di mobilio greco ci sono pervenuti integri; fonte di informazioni sull'arredamento sono quindi la pittura (in particolare vascolare), le decorazioni delle steli funerarie e i bassorilievi (come quelli del fregio del Partenone). I troni in marmo rimasti e i frammenti di mobili in legno rinvenuti negli scavi dimostrano che gli artigiani ellenici si rifacevano soprattutto ai modelli egiziani, negli ornamenti di ispirazione architettonica e nelle decorazioni simmetriche e regolari. L'arredamento greco ebbe tuttavia un'impronta del tutto originale per il ruolo particolare del letto: l'abitudine di utilizzarlo non solo per il riposo, ma anche come sedile per mangiare, leggere e scrivere, lo rese il mobile più importante della casa, con ripercussioni su tutto l'arredo, ad esempio sulle dimensioni dei tavolini, che furono sempre piuttosto bassi. Il poggiatesta del letto era solitamente mobile e le gambe elegantemente intarsiate e di forma semplice, anche se talvolta scolpite a foggia di colonne o con caratteri zoomorfi. Oltre al letto, privo di spalliera e reso più confortevole da cuscini, erano largamente diffusi sedili di ogni genere, da sgabelli leggeri e pieghevoli con le gambe incrociate a X (VI-IV secolo a.C.), a troni alti e imponenti muniti di schienale diritto e braccioli. 
 
Il repertorio di sedie comprendeva varie tipologie, dalle versioni più semplici a quelle più elaborate. Fu ad esempio introdotto dai greci il modello detto klismos, una sedia leggera con schienale che divenne così popolare da rimanere in uso per tutto il periodo arcaico e classico. Il klismos era solitamente di stile essenziale, con gambe ricurve verso l'esterno e schienale formato da un sobrio pannello rettangolare con i lati sagomati. 
 
L'iconografia ci illustra inoltre tavolini di piccole proporzioni, perlopiù provvisti di piano d'appoggio rettangolare e sostenuti da tre gambe. Poiché dovevano essere rimossi dopo il pasto per lasciare spazio a danzatori e musicisti, questi mobili erano molto leggeri e facili da trasportare. Durante il periodo ellenistico fecero la loro comparsa alcuni tavoli con piano d'appoggio rotondo.  
 
 
 
I mobili romani  
 
 
 
Tra i vari stili importati dalle province e dalle terre con cui i romani avevano scambi commerciali, fu senza dubbio predominante, soprattutto nel I secolo d.C., quello greco, reinterpretato con l'aggiunta di sfarzose decorazioni. Gli scavi di Pompei ed Ercolano hanno riportato alla luce pezzi in buono stato dell'arredamento dell'epoca, di forme e funzioni varie. I mobili, costruiti in ebano, cedro, rosa, noce indiano, venivano generalmente intagliati, intarsiati o incrostati con metalli preziosi. Accanto al letto per dormire, piuttosto modesto, si trovano numerosi esempi di letto tricliniare, molto più curato perché destinato a feste e banchetti. Il tablinum, la stanza dove il padrone riceveva gli ospiti, era arredato con sedie, sgabelli e banchi di vario tipo. 
 
Oltre al legno i romani ricorsero per i loro mobili anche al marmo e al bronzo: tavoli in marmo erano presenti in tutta la casa. Oltre ai tavolini classici si diffusero versioni rettangolari e rotonde di dimensioni maggiori, tavoli che potevano essere divisi in più parti o provvisti di sostegni pieghevoli. I reperti giunti fino a noi testimoniano la ricchezza degli intagli in bronzo, legno, avorio e marmo.  
 
 
 
I mobili dell'epoca bizantina e dell'Alto Medioevo  
 
 
 
Nonostante disponiamo di numerose testimonianze di manufatti paleocristiani e bizantini, non ci sono pervenuti molti mobili. La tanto ammirata magnificenza dell'arte bizantina, cui si devono le splendide chiese di Istanbul e Ravenna, lascia tuttavia intuire che un'analoga tendenza allo sfarzo e all'ostentazione dovesse essere emersa anche nel campo dell'arredamento. I mosaici dell'epoca provano che, anche se in versione più stilizzata, gli ornamenti di ispirazione classica rimasero in uso tra il 400 e il 1000. Ne è un esempio la Cattedra di Massimiano, che risale al 550 ca. ed è oggi conservata a Ravenna, nel Museo Arcivescovile: un capolavoro costituito da una intelaiatura di legno interamente rivestita in avorio scolpito a rilievo. 
 
Nell'Alto Medioevo gli arredi divennero poveri e austeri; il mobilio si ridusse a letti, sedili e cassapanche per abiti e corredi nuziali. Furono impiegati metalli (bronzo e ferro) e legni robusti e massicci, a volte dipinti o arricchiti da intagli e applicazioni metalliche. Come dimostrano i mosaici dei secoli V-IX, l'influenza romana continuò comunque a farsi sentire; ne è un esempio la cosiddetta Cattedra di Dagoberto I (600 ca., Bibliothèque Nationale, Parigi), uno sgabello pieghevole con gambe zoomorfe che ricorda i modelli romani. 
 
Dell'epoca romanica (1000-1200) sono rimasti rari esempi di mobili. In alcuni bassorilievi francesi del XII secolo compaiono mobili che riproducono, in un'interpretazione semplificata e schematica, lo stile greco-romano. Analoga impronta stilistica si ritrova anche nelle sedie girevoli prodotte in quel periodo in Scandinavia e nelle cassapanche in legno di poco posteriori. 
 
 
 
I mobili gotici  
 
 
 
Il nuovo concetto di spazio e gli inediti elementi architettonici introdotti dal gotico ebbero scarsissima ripercussione sugli arredi, dal XII secolo a tutto il XIV. Se le cattedrali dovevano testimoniare la ricchezza della Chiesa a gloria di Dio, i loro interni apparivano al contrario sobri e spogli, con mobili in quercia semplici e funzionali, coperti da tappezzerie. Gli archetipi ornamentali dell'epoca, tra cui l'arco a ogiva, furono adottati nella decorazione dei pezzi d'arredamento solo nel Quattrocento, quando fecero la loro comparsa sedie, cassapanche e tavoli abbelliti da pannelli traforati o ad arco. 
 
Nel XV secolo nacque una sorta di piccolo buffet dotato di gambe molto alte e di due ripiani su cui appoggiare oggetti. Si diffusero in questo secolo anche le credenze con due scaffali chiuse da antine e gli armoires, molto capaci. Oltre ai motivi dell'arco, della colonna e dei festoni vegetali, comparvero intagli che imitavano i drappeggi delle stoffe. A questo tipo di decorazioni vanno aggiunti i fregi che adornavano le serrature, il cuoio lavorato e i tessuti (in particolare il velluto) che ricoprivano i sedili.  
 
 
 
I mobili rinascimentali  
 
 
 
In contrasto con la ricchezza inventiva e formale raggiunta dalla pittura, dalla scultura e dall'archittettura italiana nel Rinascimento, i mobili rinascimentali in Italia si distinsero per lo stile sobrio e funzionale. 
 
Italia  
 
Nel nostro paese, la principale novità nel settore dell'arredamento fu lo sviluppo del cassone in una grande varietà di forme e decorazioni: dal tipo classico rettangolare, liscio sui lati, grezzo nella parte posteriore e ornato solo sul davanti, al baule con il coperchio bombato e talvolta rivestito di velluto; alcuni pezzi erano decorati con scene tratte dal Roman de la Rose, opera letteraria medievale di larghissima diffusione. Un'idea della sobrietà degli arredi italiani fino al Quattrocento ci è data anche dagli interni che compaiono in dipinti come il Sogno di sant'Orsola (1490-1495, Gallerie dell'Accademia, Venezia) di Vittore Carpaccio e la Nascita della Vergine (1485-1494, Santa Maria Novella, Firenze) di Domenico Ghirlandaio. 
 
Nelle case dell'epoca occupavano un ruolo importante il letto, che divenne una vera e propria struttura architettonica con colonne, zoccolo e baldacchino, e il tavolino per scrivere, che andò ad aggiungersi agli altri tavoli dalle fogge più svariate. L'arredamento era completato da sgabelli, sedie con schienale e braccioli, nonché sedili pieghevoli soprannominati "savonarola". Ben presto comparve un pezzo d'arredamento assolutamente nuovo: l'inginocchiatoio. Di pari passo con il rinnovamento dei modelli base dei mobili si ebbero anche notevoli progressi nelle tecniche di rifinitura, con la radicatura (ovvero il rivestimento di alcune parti del mobile in radica di noce) e la tarsìa (che consiste nel ritagliare elementi in legno o pietra e nel connetterli in modo da creare un motivo ornamentale), che conobbe grande successo sia per gli arredi profani sia per quelli liturgici.  
 
 
 
Francia  
 
 
 
L'arredamento francese del Cinquecento risentì dell'influsso del Rinascimento grazie alla presenza di artisti italiani alla corte di Francesco I e del figlio Enrico II. Durante il regno di quest'ultimo si distinse particolarmente la figura di Jacques du Cerceau, architetto e decoratore famoso per le sue creazioni sulle quali si affastellano ornamenti pesanti ed eccessivi: finestre, puttini, colonne, arabeschi, pilastri, nicchie e motivi fantastici di gusto già barocco. 
 
Lo stile del XVI secolo non mutò sostanzialmente nel Seicento, quando trovò espressione in tavoli dotati di gambe simili a colonne sottili e sedie con schienali rivestiti da pannelli. Durante il regno (1610-1643) di Luigi XIII le forme e le decorazioni dei mobili si alleggerirono e si raffinarono: all'intaglio si preferirono impiallacciature in legno e tartaruga.  
 
 
 
Inghilterra  
 
 
 
In piena Riforma, l'Inghilterra non subì in un primo tempo l'influenza stilistica italiana. Affermatisi anche in questo paese i canoni e i modelli artistici rinascimentali, lo stile inglese fu comunque più sobrio e spoglio di quello francese. I suoi tratti distintivi furono intagli semplici, decorazioni lineari sulle parti ricurve e motivi vegetali stilizzati. A differenza di quanto avvenne in Italia, il legno di quercia continuò a essere usato fino alla fine del Cinquecento. Come in Francia, anche in Inghilterra l'interesse per il Rinascimento italiano non si spense fino alla metà del XVII secolo.  
 
I Paesi Bassi  
 
Sempre a causa del clima austero della Riforma, lo stile italiano non si affermò facilmente neanche in terra olandese. Qui gli ebanisti trassero ispirazione più dalle tendenze stilistiche britanniche che da quelle francesi o italiane ed essendo piuttosto conservatori si attennero a tali modelli fino a dopo il 1650. Tipico di questa regione fu l'armoire sormontato da una pesante cornice sporgente e arricchito da profonde modanature, un modello poi esportato dai coloni nel Nordamerica.  
 
 
 
  
 
  
 
Spagna  
 
 
 
L'arte dell'arredo in Spagna risentì di una serie di influssi stranieri concomitanti: se da una parte si aprì al Rinascimento italiano, dall'altra non dimenticò la tradizione moresca locale. I delicati motivi che adornano cuoio e piastrelle di rivestimento contenevano chiare tracce della cultura islamica, così come le ardite combinazioni di legno, ferro e oro (o dorature) che rimasero in voga per tutto il Cinquecento e il Seicento.  
 
Il Seicento e il Settecento  
 
 
 
I mobili cinesi della dinastia Ming  
 
 
 
Il Seicento fu un'epoca di grandi esplorazioni e contatti commerciali: attraverso le vie dei traffici aperte nel secolo precedente si trasmisero da un paese all'altro anche idee e tecniche del tutto innovative. L'Occidente conobbe per la prima volta l'arredamento cinese, al massimo splendore durante il regno della dinastia Ming (1368-1644). Gli artigiani cinesi divennero famosi per gli alti armadietti, i tavoli dalle forme aggraziate, le panche, le sedie e i tavoli con gambe diritte rifinite da bordi curvilinei. Nuovi elementi ornamentali interessarono anche i supporti e i rinforzi, mettendo in risalto la bellezza naturale del legno. Nel XVII secolo le decorazioni orientali furono largamente imitate nella produzione di mobili in Europa: ne sono un esempio le cassapanche laccate, talvolta munite di sostegni dorati. 
 
 
 
I mobili barocchi  
 
 
 
Se nel Cinquecento Firenze era stata il centro di diffusione dell'arte rinascimentale, nel Seicento fu Roma la città guida in campo artistico, grazie al grande impulso dato al barocco dai due architetti più importanti dell'epoca: Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. Il nuovo gusto conferì al repertorio figurativo, architettonico e decorativo dell'epoca precedente una nuova grandiosità e ridondanza, un'enfasi calcata. Nell'arredamento, si imposero grandi letti sorretti da colonne scolpite o scanalate; armadi appesantiti da cariatidi, mascheroni, zampe leonine e teste d'animale; mobili con gambe a trottola, a spirale e a fuso. 
 
Sul finire del secolo divennero di moda arredi (soprattutto armadi e cassettoni) con la parte anteriore bombata, a imitazione delle strutture architettoniche. Le sedie, con altissimi schienali e sedili di pannelli di bambù al posto del consueto cuscino imbottito, si arricchirono di intagli e di elementi ricurvi. 
 
 
 
Il Barocco francese  
 
 
 
La Francia fu il paese in cui l'arte del mobile conobbe la maggiore fioritura barocca. Nato durante il regno di Luigi XIII, il Barocco conobbe grande successo sotto Luigi XIV, alla cui corte operava l'ebanista André-Charles Boulle. Lo stile "Boulle" si espresse in eleganti cassettoni, armadi monumentali, casse per orologi, scrivanie e consoles: nuova fu anche la tecnica basata sull'intarsio del metallo nel legno. Conobbe infine larga diffusione la doratura integrale, adottata soprattutto per i mobili scolpiti a motivi floreali. 
 
 
 
Il Barocco in Inghilterra e nell'America coloniale  
 
 
 
Al di là della Manica i canoni barocchi del continente furono recepiti e rielaborati con minore eccentricità. Il culmine del Barocco inglese si ebbe durante il regno di Guglielmo III d'Orange-Nassau e Maria II Stuart, durante il quale si assistette a un particolare sviluppo dell'arte dell'intarsio. 
 
Sul finire del Seicento l'America del Nord risentiva ancora dell'arte rinascimentale; mobili in quercia macchiata a imitazione del noce volevano rappresentare uno "stile dei padri pellegrini" basato sul gusto elisabettiano e Tudor. 
 
 
 
I mobili rococò  
 
 
 
Il Barocco rimase lo stile maggiormente in voga fino al 1730 circa, quando nuove tendenze iniziarono a imporsi, prima a Parigi, poi nel resto dell'Europa. Furono improntati al delicato Rococò arredi e suppellettili leziosi, che dovevano rispecchiare lo stile di vita dei committenti. Come si nota in molti interni parigini, le decorazioni di tipo architettonico persero poco a poco d'importanza. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
Il Rococò francese  
 
 
 
I raffinati mobili francesi rappresentarono un insuperato modello per la produzione di arredi in tutto il continente. Lo stile rococò raggiunse la massima espansione durante il regno di Luigi XV, quando vennero ideate forme sorprendenti, da realizzarsi con materiali preziosi e attraverso lavorazioni impegnative. Ogni pezzo dell'arredamento si arricchì di curve sinuose; fantasiosi motivi ornamentali vennero intarsiati su strati di impiallacciatura, in strutture bordate in similoro (bronzo dorato) lungo le gambe, sugli spigoli e sulla parte anteriore dei cassetti. Le gambe di tavoli, sedie e poltrone persero la foggia a colonna per assumere forme zoomorfe e arricciate.  
 
 
 
Il Rococò inglese  
 
 
 
La nuova moda si diffuse anche in Inghilterra, sebbene in toni attenuati e conservatori. La tecnica dell'intarsio trovò rare applicazioni perché gli artigiani inglesi preferivano non distogliere l'attenzione dalle venature naturali di noce e mogano. Furono ebanisti britannici inoltre a ideare le gambe à cabriole (a forma di S), con piedi a zampa di leone, che ben si adattavano a tavoli, sedie e cassapanche. Il corrispondente britannico del Rococò francese fu lo stile che prese il nome dall'ebanista londinese Thomas Chippendale, cui va il merito di aver trasferito all'arredamento delle case borghesi le tipologie del mobile di corte. Chippendale propose nuovi motivi ornamentali che rispecchiavano il gusto per l'esotico di quegli anni: il suo stile fu intelligentemente eclettico, coniugando con i moduli Luigi XV elementi gotici e soprattutto cinesi (si vedano le sedie con gambe e piedi intagliati, i letti laccati con baldacchino a forma di pagoda e draghi agli angoli, ecc.). 
 
Tra gli artigiani inglesi dell'epoca (1740-1760 ca.) si distinsero coloro che proponevano, con lo stile cosiddetto palladiano, una sorta di adattamento settecentesco delle forme rinascimentali dell'architetto italiano Andrea Palladio (1508-1580). Questo stile si diffuse anche nelle colonie americane insieme al Rococò vero e proprio tra il 1740 e il 1780. 
 
 
 
Il Rococò a Venezia  
 
 
 
Nel frattempo in Italia stavano riscuotendo grande successo i mobili laccati, cioè dipinti a colori vivaci su preparazione a stucco e poi verniciati a imitazione della lacca orientale. Il maggiore centro di produzione artigianale in cui veniva praticato tale metodo (detto sandracca) fu Venezia, dove alla decorazione degli arredi lavoravano spesso pittori specializzati. 
 
 
 
I mobili neoclassici  
 
 
 
Il Neoclassicismo si sviluppò sul finire del Settecento in reazione all'ostentazione e allo sfarzo del Rococò: proponeva un ritorno ai modelli greco-romani, reinterpretati sapientemente senza tradirne l'intima ispirazione. 
 
In Francia la prima fase del Neoclassicismo coincise con il cosiddetto stile Luigi XVI, nonostante questo sovrano sia salito al trono solo nel 1774, quando la nuova tendenza si era già imposta da una ventina d'anni. Nell'arredamento prevalsero le linee semplici, squadrate, con decorazioni di gusto classico: medaglioni, ghirlande, modanature in stile dorico, ionico o corinzio. Il materiale più apprezzato fu il legno naturale, a volte impreziosito da piccoli motivi in bronzo dorato o leggere laccature dalle tinte tenui. Le tipologie più diffuse furono le consoles, i sécretaires (scansie a tiretti con piano ribaltabile che fungeva da scrittoio) e i comò a mezzaluna, mentre le gambe di sedie e poltrone acquistarono la forma di colonnette con scanalature verticali o a spirale. 
 
In Inghilterra il gusto neoclassico prese piede più precocemente, con un'interpretazione ancora più sobria e austera. L'architetto Robert Adam completò la prima delle sue creazioni neoclassiche prima del 1760. In questo paese entrò in voga il mobile dipinto, del tutto trascurato durante il Rococò, e riguadagnò interesse la tecnica dell'incrostazione. George Hepplewhite e Thomas Sheraton furono i due maggiori rappresentanti del Neoclassicismo inglese. 
 
 
 
Lo stile Impero  
 
 
 
L'interesse archeologico, già forte a metà Settecento, si accrebbe sul finire del secolo, quando cominciò la seconda fase del Neoclassicismo, designata con il nome di Direttorio: le forme e i motivi neoclassici vennero ora affiancati da nuove tipologie decorative ispirate agli eventi contemporanei, come la caratteristica linearità egizia, divenuta di moda in seguito alle campagne napoleoniche. Apogeo del Neoclassicismo, lo stile Impero, sostenuto e incoraggiato da Napoleone I, può essere definito come un'evoluzione del Direttorio in direzione più solenne e pomposa. Al servizio dell'imperatore lavorarono gli architetti Charles Percier e Pierre-François-Léonard Fontaine: la pubblicazione dei loro modelli, a partire dal 1796, favorì la nascita di un gusto internazionale. I canoni dello stile Impero divennero popolari in tutt'Europa: decori come sfingi e grifoni, motivi marziali e una monumentalità che doveva rimandare alla "grandeur" dell'impero. 
 
Il Neoclassico fu interpretato in modo differente nei vari paesi. In Inghilterra si tradusse ad esempio nello stile Reggenza: il maggiore esponente fu Henry Holland, architetto del principe di Galles a partire dagli anni Ottanta del Settecento. 
 
In Austria e in Germania si affermò lo stile Biedermeier, in cui sopravvivevano le forme neoclassiche, ma la monumentalità dell'Impero lasciava spazio al gusto borghese del comfort. Elemento centrale del salotto divenne il divano; soffitti e pareti non furono più decorati da stucchi e affreschi, bensì da dipinti di paesaggi e quadri di famiglia; i legni scuri cedettero il posto a mobili più chiari e luminosi. 
 
Lo stile Impero continuò a esercitare la sua influenza fino alla metà del XIX secolo, affermandosi anche negli Stati Uniti, dove ne fu interprete il newyorkese Duncan Phyfe. 
 
L'eclettismo dell'epoca vittoriana  
 
Contemporaneamente alle diverse versioni del Neoclassico europeo, nella prima metà dell'Ottocento prese piede anche una tendenza eclettica, caratterizzata dal revival di correnti passate. 
 
 
 
Il revival gotico  
 
 
 
L'attenzione al Gotico nacque attorno agli anni Trenta del XIX secolo, e si diffuse sia in Europa sia in America. Se alcuni si rivolgevano a quello stile medievale in reazione all'orientamento classico imperante, altri lo valorizzavano in quanto espressione artistica di matrice cristiana da preferire all'arte pagana. Contribuì a questo revival anche l'entusiasmo romantico per l'elevazione spirituale espressa dal Gotico, e per le forme artistiche improntate alla religione.  
 
Il revival del Rococò  
 
 
 
Una strada completamente diversa scelsero gli artisti che, a partire dagli anni Venti del XIX secolo, promossero un ritorno all'eleganza del Rococò parigino. Tale tendenza si diffuse presto in tutt'Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove tra il 1840 e il 1860 diede vita a pregevoli risultati artistici nella produzione di mobili. Dal laboratorio del newyorkese John Henry Belter uscirono pezzi riccamente intagliati, nei quali era portato all'estremo il gusto delle linee curve (grazie anche alle potenzialità tecniche del laminato). 
 
 
 
Il revival del Rinascimento  
 
 
 
Attorno agli anni Sessanta del XIX secolo la simpatia per il Rococò scemò a favore di una ripresa dello stile rinascimentale. Il nuovo orientamento si tradusse in forme imponenti, abbellite da intarsi, bassorilievi e incisioni. 
 
 
 
La reazione alla produzione di massa  
 
Il movimento Arts and Crafts  
 
Il movimento Arts and Crafts, fondato nel 1861 dall'artista e poeta inglese William Morris, voleva esprimere una forte reazione alla mancanza di originalità e alla decadenza dello stile nella produzione industriale. Insieme ai suoi seguaci, tra i quali l'architetto Philip Webb e i pittori preraffaelliti Ford Madox Brown e Edward Burne-Jones, Morris promosse il ritorno alla tradizione artigianale del Medioevo. Gli sforzi dei vari membri del gruppo sfociarono nell'ideazione di pezzi e motivi da proporre in tutte le arti decorative, secondo il fondatore del movimento da considerarsi al livello delle arti maggiori. Tali creazioni, tra cui figurano anche numerosi arredi, riscossero grande successo in tutt'Europa e nell'America del Nord. 
 
 
 
I mobili Art Nouveau  
 
 
 
Fortemente debitrice del movimento Arts and Crafts, l'Art Nouveau fiorì tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e il primo decennio nel Novecento, portando una ventata di novità nel campo dell'arte e del design. Nell'ambito dell'arredamento emersero le figure degli architetti belgi Henri Van de Velde e Victor Horta: i loro mobili miravano a riprendere e richiamare gli ambienti architettonici in cui andavano collocati. In Francia Hector Guimard, creatore nel 1900 delle stazioni della metropolitana parigina, propose arredi dalle fogge asimmetriche e libere, ispirate alle forme naturali. Sempre in Francia furono attivi il vetraio Emile Gallé, che predilesse i motivi vegetali e floreali, e Louis Majorelle, che dopo la prima guerra mondiale divenne uno dei più celebri esponenti dell'Art Déco. Altra personalità di rilievo fu lo scozzese Charles Rennie Mackintosh, a sua volta autore di progetti per esterni e interni: nella sua interpretazione personale dell'Art Nouveau, inventò mobili di straordinaria purezza di linee e sobrietà decorativa. 
 
Le caratteristiche dell'Art Nouveau si traducevano spesso in mobili in legno di quercia, verniciati di bianco e arricchiti da eleganti intarsi o da particolari in vetro colorato e metallo, in forme astratte o vegetali.  
 
 
 
La produzione europea del Novecento  
 
 
 
Il passaggio dal XIX al XX secolo fu segnato da una rivoluzione artistica che interessò anche la progettazione di mobili. Uno dei promotori di tale svolta fu l'architetto e designer austriaco Josef Hoffmann, che insieme ad altri fondò la Secessione viennese nel 1897 e le Wiener Werkstätte nel 1903. Si trattava di laboratori di progettazione e produzione artigianale, che si occupavano in particolare delle arti decorative. Per i mobili furono adottate forme squadrate, per contrastare le linee curve dell'Art Nouveau. Gli arredi delle Wiener Werkstätte ricordano i modelli disegnati da Mackintosh, le cui creazioni ebbero notevole influenza all'interno del gruppo viennese. Il Sezessionstil spianò la strada a due fondamentali movimenti del nostro secolo: il Bauhaus tedesco e l'Art Déco francese. 
 
 
 
La produzione italiana del Novecento  
 
 
 
A cavallo tra l'Otto e il Novecento le nuove tendenze stilistiche dell'arte italiana del mobile furono rappresentate all'Esposizione di Torino nel 1892 da due nomi di grande prestigio: Carlo Bugatti ed Eugenio Quarti. Il primo elaborò uno stile orientaleggiante, ricco di intarsi, con inserti in ebano, avorio, ottone e peltro, e decori in rame sbalzato, pergamena dipinta, frange in seta. Il secondo divenne noto, oltre che per l'eccentricità delle sue creazioni, per i preziosi intarsi in madreperla, avorio e tartaruga applicati su legno scuro. Altri ebanisti di valore che si affermarono all'inizio del XX secolo furono Carlo e Piero Zen, Alberto Issel, Federico Tesio. L'artigianato del mobile in questi anni risentì tuttavia ancora dello stile Liberty e floreale. Col tempo le forme si semplificarono e venne privilegiata la praticità sulla ricchezza decorativa. Verso gli anni Venti, ai pochi esempi di mobili futuristi si affiancarono arredi cosiddetti "razionalisti", che si imposero nel decennio successivo. Caratterizzati da linee semplici e geometriche e dalla mancanza quasi totale di decori, i mobili degli anni Trenta erano costruiti perlopiù in radica di legni diversi (noce, palissandro, tuja). Dopo la guerra, gli anni della ricostruzione impegnarono nell'elaborazione di un nuovo stile numerosi architetti e designer: Paolo Buffa riprese nei suoi arredi eclettici stili del passato, come il Luigi XVI; Giò Ponti ideò mobili che assolvessero a diverse funzioni, come la libreria-bar o la "testiera-cruscotto" (un pannello che, inserito sulla testiera del letto, può ospitare in una serie di nicchie libri, radio, telefono, fotografie); Piero Fornasetti realizzò pezzi decorati e dipinti in modo del tutto originale, in cui la fantasia tende a prendere il sopravvento sulla funzionalità. Un cap 
itolo a parte merita Carlo Mollino, designer di mobili caratterizzati da linee morbide e arrotondate su scarne strutture in legno: famose le sue sedie anatomiche, i cui primi esemplari risalgono agli anni Quaranta, che si distinguono per lo schienale stretto e alto a forma di valve di conchiglia "incollate" da una lama d'ottone; e i tavoli in mogano, acero e compensato curvato con piano in cristallo (1950). Ma è soprattutto a partire dagli anni Cinquanta che la storia del mobile si intreccia con la storia della progettazione industriale e del design d'interni. La ricerca di uno stile che meglio rispondesse alle esigenze delle nuove classi emergenti si incontrava felicemente con il progresso della tecnica e con la disponibilità di nuovi materiali: il risultato fu una diversa concezione dell'arredamento, più dinamica e aperta alle trasformazioni della società e del mercato.  
 
 
 
I mobili del Bauhaus  
 
 
 
Il Bauhaus, fondato a Weimar nel 1919 dall'architetto Walter Gropius, fu una scuola di architettura che si rivelò di vitale importanza nello sviluppo dell'arte nel XX secolo. I due maggiori rappresentanti del movimento furono gli architetti Marcel Breuer e Ludwig Mies van der Rohe. Il primo progettò la famosa poltrona "Wassily" (1925), costituita da tela e tubi in acciaio cromato, e un'innovativa sedia a sbalzo senza braccioli, dotata di sedile e schienale in bambù e legno (1928). Il capolavoro del secondo fu invece l'elegante sedia "Barcellona", formata da due telai a X in acciaio cromato che sostengono cuscini rettangolari in pelle (1929). Scopo degli artisti del Bauhaus era ideare mobili di elevato valore estetico, ma al tempo stesso proponibili per una produzione su larga scala.  
 
 
 
I mobili scandinavi  
 
 
 
Nello stesso periodo, in Scandinavia si producevano mobili che tutt'oggi sono tra i più ammirati. L'architetto finlandese Alvar Aalto e il designer danese Arne Jacobsen crearono arredi in laminato dalle proporzioni perfette e dalla grande funzionalità, che li rese idonei alla produzione di massa.  
 
 
 
I mobili Art Déco  
 
 
 
Sebbene derivi il suo nome dall'Esposizione delle Arti Decorative tenutasi a Parigi nel 1925, il movimento Art Déco fiorì nel primo decennio del Novecento prendendo le mosse dalla ricerca della Secessione viennese (soprattutto per le forme geometriche e ben definite) e dall'esperienza del Bauhaus (per il ricorso a nuovi materiali). Lo stile rimase in voga fino al 1939, e suscitò un rinnovato interesse negli anni Settanta e Ottanta. Gli esponenti di maggior rilievo furono francesi: Louis Majorelle, André Groult, Pierre Chareau, e Jacques Émile Ruhlmann. Le loro opere sono accomunate da una sobria raffinatezza, frutto di un grande talento artigianale, e da azzardate forme geometriche. Lo stile fu purtroppo banalizzato e spesso stravolto nelle versioni scadenti destinate alla produzione su larga scala. 
 
 
 
La produzione americana del Novecento  
 
 
 
All'inizio del XX secolo le innovazioni tecniche e decorative del movimento Arts and Crafts giunsero anche nel Nuovo Mondo, determinando la nascita di numerosi laboratori artigianali e fabbriche di piccole dimensioni: ricordiamo la piccola azienda fondata da Gustav Stickley, ideatore di uno stile che si rifaceva ai modelli dell'architettura religiosa francescana del Messico e della California. A eccezione del decoratore Louis Comfort Tiffany, che progettò perlopiù mobili per uso privato, l'Art Nouveau non ebbe notevoli esponenti negli Stati Uniti; e lo stesso si può dire per l'Art Déco. Quanto all'architetto Frank Lloyd Wright, che si cimentò anche nella progettazione di mobili, occorre dire che le sue opere sfuggono a qualsiasi classificazione, perché strettamente dipendenti dall'edificio in cui dovevano essere collocate: arredi e ambienti erano concepiti insieme, e spesso addirittura "fusi", come nel caso dei numerosi mobili incassati. 
 
 
 
  
 
  
 
  
 
DAL 1730 - l770 
 
 
 
L'ebanisteria del pieno Settecento crea mobili raffinati nei quali la costante ricerca di armonia si manifesta in una perfetta sintesi di forma e decorazione: dalla scelta dei legni alle ferramenta, ai minimi particolari ornamentali, ogni elemento è partecipe di un'elegante e :calibrata unità di insieme. 
 
 
 
CARATTERI GENERALI 
 
 
 
Dopo l'esuberanza di disegni e motivi decorativi del pieno Rococò, nella seconda metà del Settecento i mutamenti del gusto portano al progressivo irrigidirsi delle linee e ad una composizione sempre più schematica della decorazione. Passando attraverso un periodo di transizione caratterizzato dalla combinazione di forme e motivi ornamentali dei due stili (in virtù della quale si possono trovare, ad esempio, mobili con fronte bombato e sostegni diritti oppure strutture lineari decorate con volute, conchiglie e altri disegni rocaille) si giunge alla piena affermazione di quel Neoclassicismo che, nell'ultimo scorcio del XVIII secolo, domina ogni campo della produzione artistica. 
 
Il nuovo ritorno alla classicità, di forte impronta archeologica, porta con sé una scrupolosa trascrizione di temi e motivi dell'antichità greca e romana: scene mitologiche e bucoliche, panoplie, candelabre, festoni, teste coronate d'alloro, girali... e ritorna, imperiosa, la simmetria, che organizza forme e decorazioni entro schemi rigorosi, diametralmente opposti al libero dipanarsi di linee del periodo rococò. Questo "ordine" viene accentuato dalla presenza di filettature e piccoli motivi di bordura che incorniciano il decoro centrale, riquadrano i cassetti e le antine, corrono lungo il profilo di fasce e cornici: palmette, foglie d'acanto, perline a volte alternate a sottili filetti, meandri, nastri a spirale... 
 
Per ornare le superfici del mobile 1'artigiano ricorre principalmente alla lastronatura, sia accostando semplicemente i lastroni lungo gli assi di simmetria centrale sia, soprattutto, dando corpo a un ricco lessico figurativo attraverso la tecnica dell'intarsio; i motivi dell'iconografia classica, quelli ripresi dal patrimonio decorativo rinascimentale (prospettive architettoniche, putti, rosoni, medaglioni) e nuovi soggetti, come il treillage e il nodo d'amore, vengono così a comporsi in una sorta. di minuziosissimo mosaico dove le tessere sono disposte all'interno del disegno con venatura diversa secondo i giochi di luce e gli effetti di chiaroscuro che si vogliono ottenere. L'uso di una ricchissima varietà di legni (fino a cento qualità diverse), ciascuno caratterizzato da venature, porosità e colore differenti, consente di realizzare con essenze naturali ogni sfumatura cromatica: solo il verde è ottenuto tingendo l'acero con terre o colori vegetali, e iI nero degli sfondi, pur disponendo di lastroni di ebano, spesso è creato artificialmente mescolando carbone e caolino. I valori pittorici dell'intarsio sono poi resi ancor più evidenti dal ricorso ad ombreggiature realizzate immergendo le tessere nella sabbia rovente per un tempo che varia secondo il risultato desiderato e sono esaltati dalla lucidatura a spirito, una soluzione di gommalacca in alcool che viene passata con un tampone composto da fili di lana vergine avvolti in un pezzo di lino; ai diversi passaggi corrisponde una trama sempre più fitta del tessuto in modo che il liquido esca via via più lentamente. Si possono dare così anche dieci mani successive fino ad ottenere una lucidatura quasi a specchio. 
 
Nonostante il predominio del mobile lastronato, nel tardo Settecento non mancano però esemplari in massello né arredi dorati e laccati, con raffinate decorazioni a finto legno che arrivano addirittura a imitare i giochi di composizione dei lastroni, oppure ornati con fiori, cammei, anfore, paesaggi..., dipinti con estrema precisione di tratti e molta attenzione alle sfumature e alle ombreggiature di colore, in genere in tonalità pastello su sfondo chiaro; come nel periodo precedente, la pittura viene stesa su una preparazione in gesso - qui leggermente più spessa - che può essere perfettamente liscia e uniforme oppure può seguire le "pieghe" di un sottostante intaglio per dar maggior corpo al decoro. II colore, a tratti impreziosito dall'oro, viene poi fissato con la sandracca, distribuita a tampone. 
 
Sempre curatissima e raffinata, la decorazione rappresenta l'elemento caratterizzante dell'ebanisteria neoclassica: le linee eleganti e slanciate, ma rigorosamente geometriche del periodo concedono ben poco all'elaborazione formale, con la conseguenza di una notevole unità costruttiva sia fra le diverse tipologie, sia nella produzione delle varie regioni. Solo i sostegni lasciano spazio a una più libera interpretazione: di forma troncoconica o troncopiramidale, a volte desinenti con una peretta rovesciata, in parecchi esemplari sono movimentati da una strozzatura che segna il passaggio fra la mazzetta e il piede vero e proprio, strozzatura che, poco pronunciata in Liguria, lunga, accompagnata da una gamba sottile nel Veneto, corta e "tracagnotta" in Piemonte, nei mobili lastronati a volte è di tonalità più scura del resto del sostegno per dare un senso di maggior profondità. Generalmente modellati nei montanti (solo qualche volta sono inseriti nella struttura del mobile con incastro a cava e penola) questi piedi di forma troncopiramidale o troncoconica sono indubbiamente i più diffusi del periodo anche se non mancano altri modelli: il basamento a zoccolo, soprattutto nei contenitori più pesanti e voluminosi, e una sorta di mensola, inchiodata e incollata ai montanti, che si trova per lo più nei mobili piemontesi, dove i montanti stessi sono particolarmente sottili. 
 
Gli spessori, ulteriormente ridotti rispetto al periodo precedente, oscillano fra 1,8 e 2,5 centimetri per 1'ossatura e fra 1,8 e 2 millimetri per i lastroni. I vari elementi sono uniti con chiodi, lunghi e sottili con testa ugualmente allungata e sottile, o con incastri a cava e penola, a mezzo e mezzo, a forcella, a coda di rondine; la connessione è poi assicurata dalla colla, ormai capace di una notevole tenuta, tanto da rendere spesso superfluo 1'uso di chiodi in legno. 
 
Le essenze più usate per i mobili in massello sono ovviamente il noce e poi il ciliegio, 1'olmo, il pero, il rovere, 1'ippocastano, il pioppo, 1'abete e il faggio; per i lastroni e gli intarsi si fa ricorso a tutte le specie di legni esotici e inoltre a noce, ciliegio, acero, cedro, limone e marasca; fra le radiche le più frequenti sono quelle di noce, ulivo, pioppo, olmo, bosso e rovere. La lavorazione del legno è immutata rispetto alle epoche precedenti in quanto si avvale degli stessi attrezzi sia per il taglio, sia per 1'incisione, sia per le finiture; solo l'ultima fase della levigatura è più curata e precisa in quanto l'artigiano ha ora a disposizione la carta vetrata, un nuovo strumento abrasivo ottenuto facendo aderire, mediante collante, sabbie di diversa grana su fogli di cartoncino leggero: si hanno così carte più o meno fini contrassegnate da una numerazione progressiva. 
 
Nei contenitori lo schienale è ancora applicato a battuta, ad assi orizzontali, almeno fino al 1780 circa, mentre dopo tale data si preferisce incastrare le assi, disposte in senso verticale, in appositi canaletti tagliati nei montanti, nella catena di base e in una catena superiore che serve anche da sostegno per il piano. Nel caso di contenitori molto alti una catena intermedia permette a volte di frazionare la lunghezza delle assi. 
 
Il piano, quando è in legno, viene incollato e inchiodato allo scafo; quando invece è in marmo appoggia sulla struttura ed è completato da un sottopiano in legno. In genere rifinito a taglio dritto, è raccordato alla struttura sottostante da sagome decorate a intarsio o intaglio, non di rado dorate. 
 
Per quanto riguarda le ferramenta, la maggior novità in questo periodo è la comparsa delle prime serrature incassate, anche se nella maggior parte dei casi si trovano ancora meccanismi applicati a scasso e lasciati in vista o, nei piani calatoi, mascherati sotto una placca in ottone. 
 
Tra le cerniere più diffuse sono quelle a pollice, quelle a baionetta e un modello in ottone simile alle cerniere oggi in uso, ma fuso anziché in lamina e di spessore più consistente. 
 
Molto vario e ricco il corredo delle maniglie formate da una placca rotonda, ovale, o sagomata con un disegno mistilineo (derivato da modelli inglesi), e da un anello che serve propriamente per tirare il .cassetto o 1'antina. La placca, che può anche essere riccamente ornata, è inchiodata al cassetto e presenta, in genere, vicino al margine superiore una piccola finestrella per far passare la vite filettata o le linguette che fissano 1'anello al mobile. Più raramente, soprattutto nei modelli di derivazione inglese, la cui presa ha due punti di fissaggio, la placca ha invece due fori praticati alle estremità laterali. II mobile si completa con le bocchette, che spesso riprendono il disegno delle .maniglie; e, in alcuni casi, con guarnizioni in bronzo soprattutto sui montanti, sulle lesene e all'estremità inferiore delle gambe. 
 
La stagione del mobile neoclassico nelle sue espressioni più pure e originali (quella che con una definizione di origine francese e spesso chiamata stile Luigi XVI) è piuttosto breve: già verso la fine del secolo 1'evoluzione del gusto verso 1'ampollosità dell'Impero tende a relegare in secondo piano questa ebanisteria di raffinata misura che nondimeno continuerà a sopravvivere per parecchi anni nel corso dell'Ottocento, dando vita ad esemplari che ripetono forme e decori del tardo Settecento. 
 
Non molti decenni dopo, inoltre, a partire dal 1870, si assiste a un diffuso revival dello stile Luigi XVI in mobili, però, completamente dimentichi della raffinatezza dei foro modelli. Negli intarsi del tardo Ottocento, infatti, come poi in quelli novecenteschi, ciascun motivo è traforato nel legno in un'unica soluzione, senza suddividere il disegno in tante piccole tessere (ad esempio, il fiore nei suoi petali). Di conseguenza le fibre corrono in un'unica direzione anziché disporsi in modo da creare, con l'alternarsi delle loro venature, effetti di chiaroscuro che movimentano e danno profondità alla composizione; per ritagliare i lastroni, inoltre, 1'ebanista del Settecento praticava un foro e traforava poi tutto il motivo con il seghetto; 1'artigiano "moderno", invece, più disinvoltamente, "entra" nel lastrone in più punti e sono proprio questi "ingressi", spesso mascherati da un taglio di forma irregolare, che vanno cercati con attenzione per capire l'epoca del rivestimento. Parimenti nel mobile laccato il colore è piatto, privo di ombreggiature, ripassato con vernici sintetiche. 
 
Dal punto di vista costruttivo gli interni, meno curati e raffinati, lasciano vedere il segno della bindella; lo schienale è formato da uno o due pezzi interi, generalmente in compensato, anziché da una serie di assi giustapposte, le antine sono tamburate o costruite a telaio con una foderina piuttosto leggera, i piedi sono inseriti con spina cilindrica, i cassetti sono assemblati con una sorta di coda di rondine dal disegno rotondeggiante, le cerniere sono in lamina di ferro ottonata, molto leggera. 
 
 
 
IL SECRÉTAIRE 
 
 
 
É forse il mobile più interessante del periodo, certo il più nuovo: dotato di cassetti, antine, ripostigli segreti, prende in parte il posto della ribalta e del trumeau settecenteschi riscoprendo a1cune caratteristiche formali e costruttive dello stipo rinascimentale. 
 
A forma di parallelepipedo, alto e stretto, sostenuto da piedi affusolati e spesso completato da un piano in marmo, il secrétaire presenta due o tre cassetti (o una coppia di antine) nella metà inferiore e un calatoio sovrastato da un tiretto in quella superiore. Dietro il piano abbattibile, usato come scrittoio, si nasconde il castello, formato in genere da un lungo e basso cassetto sotto il quale sono disposte due file di tiretti laterali che inquadrano uno sportello o una nicchia a volte arricchita sul fondo da uno specchio, oppure da un decoro in pietra dura, in marmo o in varie qualità di legno. In qualche caso il vano. centrale è occupato da un piccolo forziere e, in rarissimi esemplari, 1'intero castello è sostituito da una cassaforte in ferro. 
 
Il secrétaire può essere in massello, di noce e di ciliegio, oppure lastronato su un'ossatura in noce o, più frequentemente, in legno dolce. Il primo tipo, diffuso soprattutto in Veneto, Emilia e Marche, è ornato con motivi a intaglio, mentre l'altro, presente in tutte le regioni, si caratterizza per il predominio della decorazione a intarsio organizzata intorno a un unico disegno centrale (un rosone, un medaglione con scene bucoliche o mitologiche, una prospettiva architettonica...), oppure suddivisa in bande orizzontali modulate secondo la struttura del fronte. L'apparato decorativo si completa spesso con disegni di candelabre (o scanalature negli 
 
esemplari in massello) su lesene e montanti e con una serie di piccoli motivi di bordura lungo il profilo dei cassetti, nelle sagome sotto al piano, sulle catene. 
 
Tipicamente regionale, piemontese, è poi un genere di decorazione d'imitazione francese laccata a finto legno in modo da creare 1'illusione dell'intarsio, che inquadra il soggetto centra(e in pastiglia modellata a rilievo. Ancora piemontesi sono il motivo delle rosette sulla mazzetta delle gambe e quello del meandro sulle catene; ligure, invece, è il decoro a scacchiera, realizzato prevalentemente in palissandro, noce d'India e bois de rose, mentre tipicamente lombarda è la mensolina intarsiata o intagliata che raccorda il piede alla catena di base. 
 
Strutturalmente il secrétaire è basato su quattro montanti a sezione quadrata, in legno duro, di solito noce, alti quanto il mobile e modellati nella parte terminale per formare il piede, altre volte inserito a cava e penola. I fianchi sono costituiti da assi orizzontali incollate fra loro, sagomate alle estremità laterali con una sorta di 
 
lungo dentello che entra in un apposito canaletto ricavato nello spessore dei montanti per tutta la loro lunghezza, fino al piede: in questo punto, quando i sostegni non sono lastronati, la piccola cavità costituita dal canaletto rimane in vista e viene perciò chiusa con un tassello o una filzetta in noce, da leggere come presenza pienamente legittima e non come segno di manomissione. Più raramente, e in genere si tratta di una soluzione riservata agli esemplari in massello, i fianchi sono invece costruiti con struttura a telaio chiusa da un pannello di riquadro. 
 
Lo schienale può essere ad ass'i orizzontali, fissate a battuta nei montanti, oppure ad assi verticali incastrate nei canaletti ricavati lungo i montanti e nelle catene, connesse a coda di rondine ai montanti stessi: una alla base del mobile, una alla sua estremità superiore e, nella maggior parte dei casi, una che interrompe lo schienale a metà altezza. Le catene frontali, invece, sono inserite a cava e penola, i vari elementi dei cassetti sono assemblati con tre o più code di rondine e il fondalino ripete la costruzione dello schienale, a battuta o a incastro. 
 
Il piano calatoio è composto da assi orizzontali trattenute ai lati da due fasce in legno duro in vena verticale: il lato di base è sagomato in modo da ruotare in un apposito scasso semicircolare ricavato nello spessore dell'ultima catena; l'apertura è prevalentemente assicurata da cerniere a pollice, talvolta dotate di contrappesi in piombo che, muovendosi nello spazio libero tra fianchi e castello, fanno chiudere il piano quasi "automaticamente", con una mini ma sollecitazione. In modo analogo al calatoio, ma con assi disposte verticalmente fermate da due fasce orizzontali in legno duro, sono costruite le antine che in alcuni esemplari chiudono la parte inferiore del fronte. 
 
Lo scafo del castello è formato da quattro foderine in noce, spesse 8-10 millimetri, legate fra loro da tante piccole code di rondine (lo stesso tipo di incastro usato per assemblare i cassettini) e da uno schienale connesso con tanti chiodini quadri, privi di testa. Il piano (o il sottopiano nel caso di esemplari con finitura in marmo) può essere incollato e inchiodato oppure, quando è applicato a filo della struttura, connesso a coda di rondine. 
 
Mobile molto pregiato, il secrétaire Luigi XVI è stato spesso ricreato "correggendo" esemplari d'epoca successiva, Impero e Luigi Filippo. Nel primo caso, eliminate le colonne o le mezze colonne che definiscono lateralmente il fronte del secrétaire Impero, montanti e catene vengono fatti lievitare di uno spessore pari a quello degli elementi tolti e la carcassa viene tagliata nella parte posteriore di una misura corrispondente; i sostegni vengono poi modellati per retrodatarli all'epoca Luigi XVI e il mobile viene infine completamente lastronato e intarsiato. Sono proprio lastroni 
 
e intarsi a denunciare 1'intervento, innanzitutto per lo spessore del materiale impiegato - più sottile nel mobile manomesso dove si solleva formando delle crestine anziché le bolle tipiche dei rivestimenti più antichi -, poi per la tecnica usata nel comporre la decorazione: 1'intarsio aggiunto, infatti, come quello del tardo Ottocento, è traforato a macchina ed è perciò riconoscibile dagli stessi segni (venatura del legno che corre sempre nello stesso senso e tagli di "ingresso" nei lastroni) descritti nel paragrafo precedente. Anche le parti di decorazione intarsiate su fondo nero, sia esso in ebano o in carbone misto a caolino, possono offrire interessanti indizi per la corretta datazione del mobile: 1'ebano antico ha una superficie nera, liscia e compatta come quella del marmo, mentre l'essenza più recente è segnata da numerosi puntini, i pori del legno, e dalle sottilissime venature dei giri annuali; per quanto riguarda il fondo a carbone, un originale settecentesco avrà "spento" il suo nero in un colore grigiastro dovuto all'affioramento del caolino e sarà segnato dalla craquelure, assente invece nei fondi più recenti, di un nero più intenso. 
 
Più complessa ed evidente è la trasformazione di un secrétaire Luigi Filippo, caratterizzato da spigoli smussati, da un'alta modanatura sotto il piano e da forme molto più massicce e compatte rispetto agli esemplari Luigi XVI: la serie dei cassetti, infatti, scende fin quasi a toccare terra e i piedi sono bassi e tozzi quando addirittura il mobile non poggi su un basamento a zoccolo. 
 
Prima di procedere ad una nuova lastronatura, occorre pertanto eliminare l'ultimo cassetto, con la relativa catena, e inserire con spina tonda quattro piedi Luigi XVI; osservando la catena di base del "nuovo" mobile, si troverà uno scasso là dove entrava il chiavistello del cassetto eliminato: questo indizio, insieme al legno diverso dei sostegni, agli "incorreggibili" spigoli smussati, al profilo della sagoma sotto il piano, permetterà così di scoprire la manomissione. 
 
Negli anni Cinquanta, infine, si usava trasformare un secrétaire a cassetti in un mobile con antine; i segni dell'alterazione non sono però certo pochi né nascosti: dalla cava dove erano inserite le catene riempita con un tassello, alle giunte sulla faccia interna delle antine, al buco della serratura dei cassetti chiuso da tasselli, al disegno centrale tagliato, al fondo appoggiato sui listelli anziché inserito a battuta dal basso. 
 
Il secrétaire neoclassico è stato largamente imitato nei periodi successivi e in particolare nel tardo Ottocento e nei primi anni del Novecento: la costruzione rimane pressoché uguale ad eccezione dello schienale non più formato da una serie di assi verticali ma realizzato in compensato, di solito in un unico pannello. Cambiano invece colore e spessore dei lastroni, ridotti ora a un millimetro o addirittura a 6 decimi di millimetro; sparisce il gioco delle venature, annullato dall'uso di impiallacciature tagliate in un unico foglio dove, di conseguenza, la vena del legno corre in un'unica direzione; i particolari decorativi, traforati tutti insieme, si ripetono identici, con le stesse piccole imperfezioni e, nel caso di soggetti centrali, guardando attentamente, si coglie una giunta che divide il disegno in due metà perfettamente speculari; bocchette e maniglie non sono fuse e cesellate, ma stampate, le cerniere a pollice sono corte, in ferro anziché in ottone. 
 
 
 
  
 
IL CASSETTONE, LA CREDENZA, LA LIBRERIA 
 
 
 
  
 
Nel cassettone Luigi XVI il fronte è spesso suddiviso in tre cassetti di diversa misura, due più alti (20-25 cm) e uno, quello superiore, più piccolo (12 cm circa): si tratta di un modello detto a due cassetti e mezzo, nel quale, talvolta, come nel canterano del Seicento, il primo tiretto ha il frontalino abbattibile (grazie a normali cerniere a barra) che si trasforma in piano di scrittura. 
 
Non mancano tuttavia esemplari con tre cassetti di ugual misura, né, soprattutto nelle regioni centrali e meridionali, mobili con due soli cassetti, molto alti; in tutti i casi la decorazione può avere un motivo centrale, e allora per non interrompere la continuità del disegno la catena inserita tra i due cassetti più alti risulta nascosta, oppure essere articolata in fasce orizzontali, che seguono la scansione del fronte. 
 
Il coperchio è in legno o in marmo, appoggiato a un sottopiano sorretto da listelli inchiodati ai fianchi e ai montanti; i piedi ripetono in genere i modelli tipici dell'epoca, benché vi, siano sostegni "esclusivi" di questa tipologia come il piede formato da quattro spessori sagomati in forma di pera rovesciata, incollati sulle quattro facce dei montanti che vengono poi decorati con motivi intarsiati; una peretta rovesciata più piccola, tornita nel montante stesso, isola il sostegno dal pavimento. 
 
Alto 80-90 centimetri e profondo 60-65, anche il cassettone, come il secrétaire e come tutti i contenitori Luigi XVI, ha una struttura imperniata su quattro montanti in legno duro a sezione quadrata (con lato di misura variabile tra i 5 e i 7 cm) ai quali sono connessi i vari elementi: i fianchi, ad assi orizzontali inserite a canaletto, lo schienale, ad andamento orizzontale inchiodato a battuta oppure ad assi verticali anch'esse infilate in appositi canaletti, e le catene che, in numero variabile, concorrono a definire la struttura del mobile. 
 
Nei cassettoni neoclassici le catene che sorreggono i cassetti sono inserite a cava e penola negli esemplari in massello e a coda di rondine in quelli lastronati (ad eccezione della catena di base, sempre a cava e penola); la catena che definisce superiormente la linea del fronte è incastrata a coda di rondine nei montanti e contribuisce a supportae il piano. Nel caso di schienale ad assi verticali, inoltre, altre due catene "chiudono" in alta e in basso la testa delle assi grazie al canaletto ricavato nel loro spessore. Quando il mobile è corredato di fondo, anche questo è inserito in appositi scassi tagliati nei montanti e profondi 5 millimetri. Più raramente il cassettone, come già il secrétaire, può presentare, i fianchi e il fronte dei cassetti a telaio. 
 
In modo del tutto identico sono costruiti i cosiddetti finti cassettoni con fronte intero che si solleva dal basso e, grazie a due spine in ferro che scorrono lungo appositi binari, entra sotto il piano; questa grande anta, formata da assi orizzontali chiuse tra due fasce di legno duro in controvena, cela una serie di cassetti o una scrivania, in genere priva di decorazione. 
 
Poche sono le manomissioni che hanno investito questa tipologia: oltre alla trasformazione di un pezzo in massello in un più prezioso esemplare lastronato e intarsiato - intervento che presenta gli stessi "inconvenienti" descritti trattando il secrétaire - c'è l'adattamento a credenza. 
 
La credenza neoclassica differisce ben poco dal cassettone dello stesso periodo, fatta eccezione per la minor profondità (40-45 cm) e, ovviamente, per la diversa organizzazione del fronte, suddiviso da antine costruite ad assi orizzontali con due fasce in controvena o, negli esemplari in massello, a telaio con cornici assemblate sul fronte con taglio a 45° e sulla faccia interna ad angoloretto; in questo caso i fianchi possono riprendere la costruzione a telaio o seguire quella ad assi orizzontali incastrate nei montanti. 
 
Quando un cassettone Luigi XVI viene trasformato in credenza, dunque, oltre ai consueti segni che in ogni epoca caratterizzano questo tipo di manomissione (giunte tra i cassetti, buchi delle serrature, segni dello scorrimento dei cassetti, testimonianze dei registri) 1'intervento sarà denunciato anche dall'eccessiva profondità del mobile e dall'errata costruzione dell'antina, priva delle fasce di contenimento laterali o, nel caso dei mobili in massello, addirittura "ignara" della struttura a telaio. 
 
Tra i grandi contenitori di epoca neoclassica, la libreria è l'unico che predilige il massello; costruita come la credenza, può essere a corpo unico con il fronte sviluppato tutto sullo stesso piano, oppure a due corpi di cui quello inferiore, più profondo, è dotato di due spine che fanno da fermo al corpo superiore. 
 
Nel primo caso, se lo schienale è ad assi verticali inserite a canaletto, in genere una catena intermedia interrompe la lunghezza delle assi. 
 
Il fronte è scandito da antine a telaio che racchiudono pannelli in legno, vetri o una rete di ferro, e spesso presentano un nuovo tipo di serratura detta a carillon che comanda due bacchette in metallo le quali, muovendosi contemporaneamente verso 1'alto e verso il basso, consentono di bloccare lo sportello con un unico meccanismo. Il fianco può essere a telaio o ad assi orizzontali inserite nei montanti. 
 
I sostegni, oltre ai caratteristici piedi di forma rastremata, prevedono anche il basamento a zoccolo; il coronamento superiore è costituito da una serie di sagome aggettanti talvolta inchiodate direttamente sulla struttura, altre volte, invece, unite fra loro a formare una sorta di "cornice" e poi "calzate" come un cappello alla sommità del mobile. 
 
Le librerie in stile neoclassico, piuttosto rare e per contro molto richieste dal mercato, vengono talvolta ricavate da armadi da sacrestia di ugual costruzione, ma più profondi: sono ottenute per "riduzione", un tipo di intervento che però, nascondendo i tagli entro le giunte, non lascia praticamente segni visibili. 
 
 
 
  
 
IL COMODINO 
 
 
 
Come tutti i contenitori, anche i comodini, negli ultimi decenni del Settecento, si presentano come semplici parallelepipedi sostenuti dalle caratteristiche gambe rastremate, il fronte chiuso da un'antina talora sormontata da un piccolo cassetto; la ritrovata linearità dello stile neoclassico fa sì che in questo periodo si ritorni spesso alla coppia di mobili misti, comoda e comodino, e di nuovo si assiste a1 frequente maquillage della prima a favore di una più richiesta e commerciabile coppia di comodini gemelli. 
 
1 due mobili sono strutturati in modo analogo, con quattro montanti nei quali si inseriscono, come nel secrétaire, fianchi e schienale; nel comodino, però, 1'ossatura del piano è ad assi orizzontali fissate con colla ag1i spessori di fianchi e schienale e con chiodi ai montanti, mentre nella comoda, dove il coperchio è apribile, le assi orizzontali - siano esse in legno dolce o in noce - sono chiuse tra due fasce sempre in legno duro con andamento opposto. Per quanto riguarda il fronte, entrambe le tipologie possono presentare uno sportello costituito, secondo la regola del periodo, da una serie di assi orizzontali chiuse tra due fasce di legno duro in controvena; oppure la comoda può avere il fronte diviso in una metà fissa e una abbattibile, la prima ad assi orizzontali connesse direttamente ai montanti, la seconda costruita come un'antina. 
 
Come nelle epoche precedenti, la trasformazione avviene innanzitutto fissando il coperchio; in un esemplare neoclassico questa 
 
 
 
  
 
LA TOILETTE, IL TAVOLO DA LAVORO E LA SCRIVANIA 
 
 
 
Un particolare tipo di contenitore è rappresentato dalla toilette, un mobiletto da centro o da parete spesso utilizzato anche in funzione di scrittoio e di tavolino da lavoro. Si tratta di una tipologia elegantemente "femminile" che abbiamo visto nascere in epoca rococò e che ora acquista forme e decoro neoclassici pur conservando sostanzialmente inalterata la distribuzione dello spazio: due coppie di cassetti laterali, due veri e due finti, e uno centrale, più largo e basso, che può avere solo funzione decorativa o essere un vero e proprio tiretto. 
 
Anche il piano mantiene la suddivisione in tre parti e anche qui le due laterali si ribaltano verso 1'esterno scoprendo due vani, uno per i belletti e l'altro, in genere, per gli oggetti da cucito; la parte mediana, invece, è formata da due elementi incernierati fra loro: una fascia posteriore, scorrevole entro binari che le permettono di slittare verso il fronte, e un coperchio che si solleva come quello di un cass9ne scoprendo uno specchio la cui inclinazione è regolata dalle cerniere e dall'avanzamento della fascia scorrevole. L'ossatura del mobile nella maggior parte dei casi è in noce perché gli interni sono in vista, ed è basata, come sempre in quest'epoca, su quattro montanti in cui entrano a canaletto tutti gli altri elementi; solo nel caso di esemplari da parete lo schienale è legato ai montanti posteriori con una o due grandi code di rondine. Poiché oggi è poco sfruttata nella sua funzione originaria, la toilette viene talvolta trasformata in una scrivania a cinque cassetti, secondo un modello, diffuso nel tardo Settecento, costruito in modo analogo al tavolino da signora. Occorre in primo luogo fissare il piano, che però denuncerà facilmente 1'intervento attraverso la scansione tripartita del decoro e soprattutto attraverso le giunte e le testimonianze delle cerniere che segnano la sua superficie; quindi si procederà a trasformare i finti cassetti in cassetti veri e propri, incorrendo però nei consueti inconvenienti - tagli e rasamenti freschi, differenza di legni - quando addirittura non vi siano errori di tecnica costruttiva. 
 
Se si tratta di un mobile da parete, inoltre, occorre rifinire lo schienale: lungo il suo margine superiore, nel punto d'incontro con il piano, si vedrà allora lo spessore del nuovo lastrone, una presenza che non si trova in un mobile nato da centro dove il rivestimento del coperchio, applicato per ultimo, nasconde gli spessori di tutti gli altri lastroni. E quasi certamente lungo i montanti posteriori si vedrà affiorare il "disegno" delle code di rondine che marcano il rivestimento; testimonianza di una connessione impropria per un esemplare da centro dove lo schienale è di solito inserito a canaletto. 
 
Oltre alla scrivania a cinque cassetti e gamba alta 1'ebanisteria neoclassica comprende il modello a bussolotti - costruito in modo analogo al precedente, con la sola differenza dei cassetti laterali che scendono fino quasi a terra e sono sostenuti da eleganti piedi rastremati - e il tavolo scrittoio con uno o tre tiretti che riprende costruzione, linee e decori dell'arredo per la sala da pranzo. 
 
Di dimensioni estremamente variabili, tutti questi modelli possono essere intarsiati o lastronati, o più semplicemente, soprattutto nei primi decenni dell'Ottocento, in massello. Anche in questo caso si è cercato talvo1ta di arricchire o retrodatare gli esemplari tardivi trasformando la semplice gamba rastremata in una più elegante gamba con strozzatura e inserendo filetti in bosso, bois de rose o in altre essenze pregiate, oppure lastronando completamente il mobile. 
 
I segni lasciati dall'intervento sono quelli consueti: lavorazione a nuovo sulla gamba che mette in luce un diverso, più livido, colore del legno e rende la superficie più ruvida, quando addirittura non porti allo scoperto il tarlo lungo; differenza di livello delle filettature aggiunte; spessori e venature errate dei lastroni e delle tessere. Spesso, poi, sui mobili ritardatari la bocchetta della serratura è già in legno, a forma di anello con bordi fortemente rilevati, inserita in uno scasso circolare; volendo sostituire questo elemento troppo chiaramente ottocentesco con una finitura neoclassica, si livella il legno eliminando la parte aggettante e si sovrappone una bocchetta Luigi XVI, dai cui contorni, più stretti e allungati, uscirà però una parte dell'originario inserto circolare. Per nascondere questa testimonianza occorre ampliare lo scasso, conferendogli una forma a scudo o a rombo, e inserire un nuovo tassello di disegno corrispondente in legno di colore contrastante: si tratta di una finitura corretta e pertinente al mobile neoclassico che però, proprio per la possibilità di essere "strumentalizzata", deve suggerire un'indagine più approfondita. 
 
 
 
  
 
IL LETTO 
 
 
 
  
 
Le novità che caratterizzano il letto neoclassico rispetto a quello del periodo rococò sono essenzialmente formali: eleganti, lineari, i letti del tardo Settecento hanno in genere le due spalliere – testa e piedi - alte uguali, decorate con cartelle variamente traforate oppure imbottite con una cornice piuttosto squadrata, rifinita lungo la sagoma interna da motivi di perline, palmette, foglie di acanto... e completata al centro da una piccola cimasa ornata con una faretra, un medaglione, un nodo d'amore. 1 piedi sono quelli consueti, troncopiramidali o troncoconici, in genere modellati con la strozzatura sotto la mazzetta. 
 
Ben poche, invece, le innovazioni tecniche: i quattro montanti sono sempre collegati da longheroni che entrano con penole nelle cave delle mazzette, benché si comincino a trovare esempi di connessione con la vite da letto: una vite interna dotata sulla testa cilindrica o troncoconica di appositi buchi sfalsati per poter inserire il ferro (per esempio un lungo chiodo) che serve a farla girare. Anche se in quest'epoca è ormai abbastanza diffuso il letto matrimoniale, non di meno si continua ad assistere alla manomissione volta a trasformare la coppia di letti gemelli in un più richiesto modello a due piazze. Disponendo di due esemplari con spalliere a cartella, si eliminano un longherone laterale e i relativi montanti da uno dei due lettini, si inseriscono poi le penole delle sue fasce di testa e di piedi in apposite cave tagliate nelle mazzette dell'altro lettino e si ottiene così un matrimoniale con tre montanti su ogni testata, sei piedi e un longherone centrale; un elastico adattato appositamente a questa forma singolare consente poi di giustificare la costruzione anomala come dettata dall'esigenza di una maggior solidità. 
 
Altre volte, per ottenere una struttura più "corretta", oltre ad operare su uno dei due lettini, l'artigiano elimina, "sfilandolo" dalle mazzette, un longherone laterale del secondo. Inserisce poi anche in questo caso i longheroni di testa e di piedi del primo letto nei montanti dell'altro e infine taglia i piedi al livello delle fasce. Si ottiene così un telaio con quattro piedi, senza "traverso" mediano, che tuttavia si accompagna ancora a due spalliere con tre montanti ciascuna mentre, di norma, un letto matrimoniale Luigi XVI ne presenta solo due lasciando il disegno libero di correre senza interruzioni. A riprova della manomissione restano comunque la cava sulla mazzetta, là dove entrava il longherone, e i tagli freschi sotto il montante centrale. 
 
Accade ancora che le due spalliere vengano separate per essere utilizzate singolarmente con una struttura di supporto rifatta. Né è mancato il caso, come per i periodi precedenti, di un letto da una piazza e mezza ampliato a matrimoniale, con interventi e giunte, però, necessariamente molto visibili. 
 
Piuttosto scoperta in quest'epoca è la manomissione ché interessa il modello con testata imbottita, dove 1'imbottitura, applicata su un telaio, è fissata dietro il bordo in legno in una battuta che la trattiene, proprio come una te1a o uno specchio sono fermate nella loro cornice. Si tratta di un sistema costruttivo già in uso nei secoli precedenti, per riproporre il quale si faceva ricorso soprattutto a specchiere e caminiere; queste tipologie, però, sono ora sagomate con una battuta meno profonda, secondo le regole del tardo Settecento che vogliono tutti gli spessori piuttosto ridotti, e di conseguenza non sono più in grado di ospitare il telaio dell'imbottitura se non a seguito di vistosi adattamenti. 
 
 
 
  
 
I SEDILI 
 
 
 
Se il perdurare di modelli Luigi XVI ai primi dell'Ottocento è una costante di tutta la produzione neoclassica, nei sedili tale continuità formale si manifesta in modo ancor più insistito e soprattutto senza dar adito, nello stile o nella tecnica, a differenze evidenti, il che rende spesso difficile una corretta datazione. II principale indicatore, anche se non può essere assunto come regola fissa, è lo spessore delle fasce, che in genere passa dai 2-2,5 centimetri del 1780-1790 al centimetro e mezzo del 1820. 
 
Come sempre, la costruzione è basata su quattro montanti ai quali sono connesse a cava e penola le fasce e i traversi dello schienale. II materiale è di solito il massello di legno duro (noce, ciliegio); raramente, e solo in regioni che risentono dell'influenza francese, si trova il faggio. 
 
Semplici ed eleganti, le sedie neoclassiche hanno schienali piuttosto squadrati oppure di forma ovale, a medaglione, definiti da una cornice - a volte arricchita al centro da una piccola cimasa - che racchiude al suo interno un'imbottitura rivestita in stoffa o in pelle, una tessitura in canna d'India o una cartella intagliata a 8 (soprattutto nel Veneto) oppure a forma di scudo, di anfora, di lira, di vaso... 
 
Le gambe, secondo la regola del periodo, sono troncoconiche o troncopiramidali con la caratteristica strozzatura, talvolta presente su tutti e quattro i sostegni, altre volte solo sui due anteriori mentre quelli posteriori sono lisci e leggermente curvati a sciabola al1'indietro; anche qui spesso, come negli altri arredi dell'epoca, una piccola peretta rovesciata conclude il piede, isolandolo dal pavimento. 
 
La decorazione è di solito intagliata o dipinta in policromia su una base di lacca monocroma, non di rado con lumeggiature in oro (solo raramente è intarsiata) e interessa tutte le superfici riproponendo i temi consueti del repertorio neoclassico, alcuni con una connotazione più squisitamente regionale: l'anfora, ad esempio, ricorre soprattutto in Campania, Liguria e Veneto, la conchiglia in Veneto, il ventaglio a Genova e il meandro in Piemonte. 
 
Anche in quest'epoca, come già nel periodo rococò, l'artigiano presta grande attenzione alle rifiniture, smussando ad esempio gli spessori delle cartelle venete con sapienti colpi di sgorbia, oppure applicando tasselli negli angoli del telaio dei sedili impagliati, preziosismi ai quali si aggiungono ora nuovi artifici per nascondere finiture considerate poco estetiche. Così, in uno schienale in canna d'India intrecciata i vari "fili" venivano annodati entro un apposito canaletto praticato dietro lo schienale stesso e i nodi venivano nascosti chiudendo questo "solco" con lunghi e sottili tasselli di legno la cui presenza è dunque da leggere non solo come legittima, ma addirittura come indispensabile; nei sedili, .invece, ancora per poter legare la canna intrecciata, lo spessore delle fasce veniva ridotto smussando gli angoli o scavando una sorta di gola semicircolare (in Piemonte e in Veneto). 
 
Forme, decori e tecniche costruttive delle sedie vengono riproposti su poltrone e divani, ovviamente con l'aggiunta del bracciolo il cui sostegno può essere in asse con la gamba anteriore o arretrato verso lo schienale; nei divani, inoltre, la maggior lunghezza della spalliera porta in genere al ripetersi delle cartelle o di medaglioni in corrispondenza di ogni posto a sedere, le prime separate . dai montanti verticali, i secondi accostati gli uni agli altri e legati fra loro da penole che entrano in controvena nella cornice o distanziati da barrette in legno ugualmente connesse con incastro a cava e penola. 
 
Un capitolo particolare è rappresentato dalla poltrona a pozzetto, già apparsa in epoca rococò e ora interpretata in linee neoclassiche, dalla peculiare spalliera curvilinea, imbottita o incannucciata, dove il traverso superiore dello schienale e i due lunghi "braccioli" entrano con penola nei montanti posteriori: dettaglio questo che consente di riconoscere con facilità gli originali dalle copie di fine Ottocento quando gli incastri a spina cilindrica connettevano direttamente schienale e braccioli, appoggiati sui montanti; sullo schienale del pozzetto originale, dunque, si vedono due giunte ai lati del montante posteriore mentre su quello ritardatario se ne trova una sola, sopra il montante; quando poi la giunta non sia perfettamente chiusa, al suo interno si intravede la spina cilindrica che, in luogo della penola, assicura la connessione. 
 
L'incastro a spina cilindrica, d'altronde, caratterizza tutti i sedili di fine Ottocento o novecenteschi che riprendono modelli Luigi XVI o riecheggiano lo stile neoclassico elaborando nuove forme: poltroncine e sedie rotondeggianti, inesistenti divani a pozzetto, in genere accompagnati da tavolini alti con piano in marmo. Spesso intagliati con sovrabbondanza di decorazioni, questi "salottini" sono generalmente dorati con un oro verdastro o dipinti in colori spenti su cui spiccano bordini dorati, oppure sono lucidati con lumeggiature in oro sulle parti intagliate. I legni utilizzati sono i più vari (olmo, pioppo, rovere, frassino...) e il faggio, come di consueto, spesso sostituisce il noce. 
 
 
 
  
 
IL TAVOLO, LA CONSOLE - IL TAVOLINO DA GIOCO 
 
 
 
Il tavolo da pranzo neoclassico può avere piano di forma rettangolare, rotonda o ovale. 
 
Nel modello rettangolare la costruzione per lo più ripete quella dei periodi precedenti, imperniata su quattro fasce che entrano nelle mazzette con incastro a penola con morto; di solito, però, mancano i chiodi in legno che fissano la connessione, resa ormai stabile dall'uso sempre più consistente della colla; spesso nelle fasce, in genere sui lati lunghi, si aprono due cassetti che scorrono su registri a L. A questa struttura viene incollato e inchiodato il piano, di norma sporgente 6 0 7 centimetri, formato da lunghe assi accostate fra loro e chiuse da due "teste" in legno duro in controvena, corrispondenti ai capotavola. Dati gli spessori ridotti del periodo, per sostenere il desco cominciano ad apparire una serie di mensoline in legno di forma triangolare. 
 
Come tutti gli arredi neoclassici, anche il tavolo del tardo Settecento affida la propria ricerca di eleganza alla linea slanciata delle gambe (modellate secondo i vari disegni del periodo) e alla preziosità degli intarsi, che corrono su fasce e mazzette e che si sviluppano con maggior respiro sulla superficie del piano; altre volte il decoro del piano è ottenuto più semplicemente grazie ad un abile accostamento di lastroni di venatura diversa che formano un raffinato gioco di riquadri organizzati intorno a un asse centrale: è questo il caso, soprattutto, dei tavoli ovali, a quattro o sei gambe, che si differenziano anche per un particolare sistema di costruzione delle fasce. Per poter assumere un profilo curvilineo tali fasce sono costituite da una serie di assi sovrapposte le une alle altre a corsi sfalsati (come i mattoni in un tavolato) e si incastrano nelle mazzette tagliate a forcella grazie a un'apposita sagomatura ricavata nel loro spessore. I consueti 1astroni elegantemente accostati coprono poi tutta l'ossatura del tamburo. 
 
In modo analogo agli esemplari intarsiati sono costruiti i tavoli in massello, dove l'elemento decorativo è spesso costituito da semplici filettature, con l'unica eccezione del tamburo degli esemplari ovali, sempre lastronato per nascondere la struttura. 
 
Anche il tavolo è stato ripetuto nei primi anni del Novecento ma, a parte la consueta differenza di materiali e soprattutto di spessori (differenza che rende queste riprese tardive più leggere degli originali), a parte i rivestimenti, formati da sottili piallacci in luogo dei lastroni, e un intarsio privo dei raffinati giochi di chiaroscuro, sono innanzitutto le varianti costruttive a denunciare la reale età del mobile: nel tavolo rotondo 0 ovale, per esempio, le fasce formano una sorta di anello, che avvolge completamente le mazzette, composto da otto, dieci pezzi di legno uniti tra loro da anime di compensato; due traversi che corrono tra le fasce sotto il piano contribuiscono a tenere insieme tutta la struttura. 
 
Rarissimi e molto ricercati, ben difficilmente i tavoli Luigi XVI sono stati utilizzati per ricavare altri arredi mentre, al contrario, sono stati ottenuti adattando esemplari di epoca posteriore, soprattutto Luigi Filippo, oppure unendo fra loro due console del periodo. I tavoli della seconda metà dell'Ottocento sono costruiti in modo analogo a quelli neoclassici ma hanno gambe più tozze, dal disegno più pesante, prive di strozzatura, e mazzetta sporgente rispetto alle fasce; non sono perciò mancati casi in cui questi sostegni sono stati lavorati per conferire loro la snella forma affusolata, per creare la strozzatura, per portare la mazzetta a filo delle fasce e per trasformare il grosso piede a pera nella più elegante peretta neoclassica, o addirittura casi in cui i sostegni sono stati posti nuovamente sul tornio per ottenere gambe troncoconiche, talvolta intagliate con lunghe scanalature. I segni di manomissione sono quelli consueti de1 legno lavorato a nuovo; taglio fresco, tarlo lungo, legno ruvido nel collo della strozzatura. Quest'ultima testimonianza permane anche quando 1'artigiano tenti di nascondere gli altri indizi sotto una nuova lastronatura; l'espediente non è dunque risolutivo, ma anzi introduce elementi di contraddizione: un tavolo Luigi XVI con gamba lastronata e piano in massello è poco credibile tanto che talvolta, per superare questa incongruenza, si arricchisce la mensa con intarsi e filettature incorrendo però, come si è detto più volte, negli errori tipici di una decorazione posteriore all'epoca del mobile. 
 
Più sofisticata e interessante è la trasformazione di una coppia di console in un tavolo da pranzo. La tecnica di costruzione delle due tipologie è molto simile, imperniata su un giro di fasce che entrano con penola nelle mazzette tranne la fascia posteriore, connessa con una o due code di rondine. 
 
Negli esemplari di transizione, che conservano ancora le fasce mosse, la struttura delle console ripete quella del tavolo ovale: la fascia è cioè realizzata con il sistema delle assi a corsi sfalsati; un'eccezione è costituita dai tavoli d'appoggio gardesani, dove l'eventuale mossa è costruita, come in mo1ti contenitori rococò, con il sistema delle tre assi sfalsate parzialmente sovrapposte. Sulla struttura di sostegno, rinforzata da un traverso inserito a coda di rondine tra la fascia anteriore e quella posteriore, è talvolta appoggiato un piano in marmo; altre volte il piano, che sporge di qualche centimetro, è in legno, incollato e inchiodato alla struttura sottostante e decorato lungo tutto il perimetro da un'ampia bordura in lastrone. 
 
Avendo a disposizione una coppia di console gemelle è possibile trasformarle in due mezzi tavoli accostabili semplicemente tagliando la parte posteriore del piano di una misura corrispondente alla bordura in lastrone in modo che, quando le due metà vengono unite, il disegno corra ininterrotto; solo i tagli freschi denunceranno la manomissione. 
 
Altre volte si preferisce trasformare la coppia di mobili da appoggio in un tavolo a sei gambe: dopo aver staccato entrambi i piani si lavora su una delle due console rimuovendo la fascia posteriore con le relative gambe e modellando, alle estremità delle fasce laterali, due penole che andranno ad incastrarsi entro le cave appositamente tagliate nelle mazzette della seconda console: si ottiene così un nuovo telaio all'interno del quale resta chiusa, e ancora nella sua sede originaria, la fascia grezza che collega al centro due delle sei gambe; per evitare che questa traversa si trovi in posizione decentrata l'artigiano dovrà però modificare e ampliare la femmina della coda di rondine tagliata nella mazzetta così da poter far slittare indietro la prima fascia grezza ed inserire quella staccata in precedenza: una volta incollate insieme, le due fasce risulteranno al centro. 
 
Anche qui i piani saranno stati accorciati, nella parte posteriore, di una misura corrispondente al bordo lastronato e poi uniti, aggiungendo nuove assi al centro (opportunamente lastronate), in modo da formare un unico desco rettangolare dove i lati lunghi delle console corrispondono ora ai capotavola. Questo "nuovo" piano però, una volta sovrapposto alla struttura, sporgerà in modo scorretto, presenterà due giunte nella zona centrale (dove al massimo sarebbe giusto trovarne una o meglio nessuna) , avrà le venature del legno, sia quelle dei lastroni di finitura sia quelle del1'ossatura, che corrono parallele ai lati corti (anziché a quelli lunghi come sarebbe corretto) e la sua ossatura non mostrerà, come sarebbe lecito aspettarsi, le due fasce in controvena; sulla faccia inferiore, inoltre, presenterà strisce più chiare, là dove precedentemente il legno era coperto dalle fasce, segni di chiodi e stuccature: una serie di testimonianze dunque, piuttosto palesi, dell'avvenuta trasformazione. 
 
Ancora alla famiglia dei tavoli appartengono i tavolini da gioco, realizzati in diversi modelli: accanto agli esemplari con gambe estraibili che aggiornano, secondo forme e disegni neoclassici, i meccanismi di apertura dei tavolini da gioco rococò (riproponendo le stesse contraffazioni e, di conseguenza, gli stessi indizi per scoprirle) si diffonde la produzione degli esemplari con gambe e fasce fisse che avevano fatto la loro comparsa alla fine del periodo precedente; in questi tavolini solo il piano è "pieghevole", formato da due metà incernierate a libro, quella inferiore imperniata mediante una spina in legno o in ferro in una traversa inserita fra le due fasce lunghe, a un terzo circa del loro sviluppo. Grazie alla spina, il piano può ruotare liberando metà del telaio formato dalle fasce sul quale può perciò venir appoggiato, aprendosi a libro, il mezzo piano superiore. 
 
Privato del mezzo piano superiore, questo modello è stato spesso proposto come piccola scrivania da centro, ma la presenza della traversa tra le fasce, caratterizzata dal foro in cui ruotava la spina, e le testimonianze delle cerniere sullo spessore del coperchio denunciano facilmente la precedente destinazione. 
 
Sia i tavolini con gambe estraibili, sia quelli con gambe fisse sono stati ripetuti fino ai primi decenni dell'Ottocento; si tratta però di esemplari prevalentemente in massello, con gambe prive di strozzatura e una decorazione meno ricca e curata; pertanto, come è sorte comune di molti pezzi tardivi, essi sono stati spesso impreziositi e retrodatati con una lastronatura organizzata secondo i dettami e i motivi dello stile neoclassico. Se la nuova decorazione è stata applicata rispettando tutte le regole del periodo (corretto spessore dei lastroni, contrapposizione delle venature del legno nelle varie tessere degli intarsi...), unico indizio a rivelare 1'intervento sarà un leggero dentello, corrispondente allo spessore del lastrone, sulla faccia interna delle gambe, nel punto di passaggio fra i sostegni veri e propri e la mazzetta. 
 
All'ebanisteria neoclassica appartiene ancora un altro modello di tavolo da gioco con struttura fissa e piano intero (in genere di 80-90 cm per lato): raffinatissimo e riccamente decorato è dotato di meccanismi che permettono di sganciare e ribaltare il piano per mettere in luce la faccia inferiore rivestita in panno o in pelle così da non rovinare, giocando, il lavoro di intarsio; costruito come un normale tavolo da pranzo, ne differisce però, oltre che per le dimensioni e i meccanismi di ribaltamento, per la presenza di un fondalino applicato sotto le fasce, che chiude un vano destinato a fiches e carte. Si tratta di esemplari rarissimi ed eleganti, opera delle migliori botteghe dell'epoca, che ben difficilmente sono proponibili come manomissione di altri arredi o come copie. 
 
 
 
  
 
1800 –1830 
 
 
 
Lineare, semplice, quasi standardizzato nella struttura, il mobile Impero si arricchisce e si connota, nel suo gusto di un solenne classicismo, attraverso elementi, architettonici che inquadrano il fronte e 1'applicazione di ornamenti in bronzo o legno dorati, ispirati ai temi più aulici dell'antichità greca e romana. 
 
 
 
CARATTERI GENERALI 
 
 
 
Gli stili che caratterizzano gli ultimi anni del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento per molti aspetti possono essere considerati tappe evolutive del Neoclassicismo: come nel periodo precedente predominano infatti le linee geometriche, con frequenti incursioni nel lessico dell'architettura greca e romana dal quale derivano colonne, timpani, archi, erme, cariatidi, telamoni... e i motivi ornamentali continuano a ripetere il consueto repertorio di anfore, meduse, urne, sfingi, grifoni, delfini, cigni e palmette. 
 
Forme e temi della tradizione classica vengono però riproposti secondo interpretazioni diverse, legate principalmente a ragioni storiche contingenti, quindi alla successione degli eventi che in quegli anni sconvolgono l'ordinamento sociale e politico europeo. E poiché gli avvenimenti sono tutti di "marca" francese, ne deriva che non solo la denominazione degli stili - Direttorio, Consolato, Impero, Restaurazione - ma la loro stessa concezione è di chiara impronta francese. 
 
Benché la linea di demarcazione tra i diversi momenti non sia molto netta, si può tuttavia osservare come negli anni del Direttorio le forme siano ancora piuttosto leggere ed eleganti e 1'ornato, sobrio e misurato, prediliga soggetti che alludono alle nuove libertà repubblicane: fasci littori, frecce, allegorie dell'Aurora che adombra la nascita di una nuova epoca, accostati a simboli rivoluzionari come il berretto frigio, le coccarde, le fronde di quercia. 
 
Durante il periodo del Consolato, con la progressiva riscoperta del piacere del lusso, il mobile si fa più imponente e prezioso, arricchito di una maggior copia di ornamenti, volti principalmente alla celebrazione della gloria militare e del potere napoleonico: sono gli stessi ornamenti che trionferanno poi con l'Impero - corone di alloro, trofei d'armi, aquile, Nike alate, bighe - chiamati a decorare mobili dalla struttura sempre più massiccia e fastosa. 
 
È evidente come sia soprattutto quest'ultimo stile, che coincide con l'apogeo di Napoleone e con la massima espansione del suo Impero, a trovare maggior eco nel resto d'Europa e segnatamente nel nostro paese in gran parte sottoposto alle direttive della Francia. In Italia infatti gli esemplari Direttorio e Consolato non sono molto numerosi, mentre i mobili Impero conoscono una grande fortuna che si protrae ben oltre la caduta di Napoleone perdurando, con qualche leggero "aggiustamenti', fino al revival delle linee mosse proprie del Luigi Filippo; di conseguenza il termine Impero è spesso assunto come unico denominatore per i diversi stili che si susseguono tra la fine del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento. Rispetto ai modelli francesi, però, il tono è in genere meno fastoso anche perché, nella maggior parte dei casi, vengono meno le ragioni celebrative declamate dagli ebanisti parigini; solo gli stati retti direttamente da membri della famiglia Bonaparte - Napoli e Lucca - conoscono una più aulica magniloquenza. Inoltre, l'uso del mogano e della piuma di mogano, che in Francia connota con molta evidenza il mobile Impero, in Italia è meno frequente e, là dove viene impiegata, questa preziosa essenza riveste per lo più strutture in noce e pioppo, mentre negli esemplari d’oltralpe prevalgono le ossature in rovere e faggio. 
 
Più spesso per la lastronatura si fa ricorso al noce, sfruttato anche nella parte iniziale del tronco (dalle radici a un metro circa d'altezza), in gergo chiamata pedulle. Altre essenze usate sono il ciliegio, soprattutto in Toscana, Veneto e Lombardia, e l'acero in Piemonte, Liguria, Lazio e nel Sud. 11 legno, accuratamente levigato, viene poi rifinito con la gommalacca, stesa a tampone, alla quale a volte l'artigiano aggiunge delle terre scure, così da ottenere una coloritura nera. Si tratta di un accorgimento usato soprattutto per mettere in evidenza gli elementi architettonici o scultorei che inquadrano il fronte dei contenitori o fungono da sostegno per i tavoli: un preziosismo estetico che, dal punto di vista commerciale, accresce il valore del pezzo. 
 
Sulla superficie lucida e uniforme del mobile risalta l'apparato decorativo: applicazioni in bronzo fuso ripassato a cesello e dorato a mercurio, fissate con chiodini nascosti nelle pieghe del disegno, oppure guarnizioni in lamina di ottone o placche in porcellana (soprattutto a Napoli e a Roma); o ancora motivi in legno intagliato e dorato oppure laccato in un particolare tono di verde che simula il colore del bronzo tipico dei reperti archeologici. 
 
Non vanno dimenticati, accanto ai più diffusi mobili lastronati, gli esemplari in massello o quelli laccati, prevalentemente in un bianco avorio sul quale spicca 1'oro degli intagli. 
 
La costruzione del mobile Impero è piuttosto semplice e schematica: basata, come vedremo, su un largo uso della colla essa si ripropone, con una certa ripetitività, nelle varie categorie di mobili; ciò rende più difficile la lettura di un pezzo in funzione della sua rispondenza a una corretta tecnica costruttiva anche perché vengono a mancare molti dei segni che hanno guidato nei periodi precedenti la nostra ricerca. II legno usato, infatti, non differisce molto come caratteristiche di colore e venatura, da quello moderno; i lastroni, ridotti a un millimetro circa di spessore, sono ormai piuttosto simili ai fogli di impiallacciatura oggi in commercio; sotto i lastroni, inoltre, così come sotto la coloritura nera, è facile nascondere eventuali tracce di intervento come il tarlo lungo o i segni di attrezzi moderni; la lucidatura a spirito, infine, permette di cancellare i riferimenti che in altri periodi vengono dalla patina. 
 
Né maggiori indicazioni, ai fini dell'identificazione delle alterazioni, offre l'apparato ornamentale: trattandosi in genere di decorazioni applicate, piuttosto ripetitive nella raffigurazione dei soggetti, è facile spostarle da un mobile all'altro o addirittura crearle ex novo; se il lavoro è fatto in modo ingenuo e approssimativo si denuncerà facilmente, a causa della lamina troppo sottile del metallo, dell'assenza della rifinitura a cesello e della doratura sorda, diversa dalla luminosa brillantezza della doratura a mercurio. Se, invece, il lavoro è fatto a regola d'arte, è quasi impossibile riscontrare la differenza rispetto alle applicazioni autentiche; unico elemento di sospetto può essere una certa discordanza tra la cura nella realizzazione tecnica del mobile, nelle sue parti in legno, e la ricchezza dell'ornamentazione: in un pezzo originale, infatti, la presenza e la qualità delle guarnizioni in bronzo sono sempre proporzionali alla raffinatezza della fabbricazione. 
 
Altre alterazioni riscontrabili nei mobili Impero riguardano 1'aggiunta di sagome e cornicette nere e la sostituzione di un modello di piede meno pregiato (ad esempio il piede a dado) con uno più ricercato e di valore (ad esempio la zampa di leone): in 
 
entrambi i casi la possibilità di ricorrere alla velatura nera, che nasconde i segni della nuova lavorazione, rende difficile accertare l'intervento. Nel complesso, insomma, una casistica molto limitata, che può essere colta più dalla sensibilità dell'osservatore e dalla sua conoscenza stilistica del periodo che non attraverso un'attenta analisi di tecniche e materiali. Una casistica che si restringe ulteriormente quando si faccia riferimento alla diretta esperienza dell'Autore e alla sua minor familiarità e consuetudine con il mobile Impero rispetto a quello di altri periodi. 
 
Piuttosto scarno è d'altra parte anche il capitolo delle imitazioni "in stile": ben poco interesse è stato riservato al mobile .Impero dai revival di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento che hanno realizzato un numero esiguo di esemplari servendosi di materiali più poveri rispetto a quelli usati negli originali: noce chiaro o faggio non evaporato in luogo dell'acero, mogano sapeli al posto della piuma di mogano. 
 
 
 
  
 
I CONTENITORI 
 
 
 
Fatta eccezione per alcune credenze a pianta trapezoidale e per qualche cassettone dal disegno a lira, la maggior parte dei contenitori Impero ha forma squadrata, con il fronte definito lateralmente da elementi architettonici - erme, colonne, semicolonne, 
 
lesene... - che appoggiano su uno zoccolo di base e sostengono una sorta di trabeazione formata in realtà dal primo cassetto, sporgente rispetto a quelli successivi o agli sportelli sottostanti. Colonne e semicolonne si estendono in genere per tutta l'altezza del fronte, altre volte invece, soprattutto nei secrétaire o nelle librerie, il loro sviluppo verticale si limita alla metà superiore del pezzo; talvolta sono in materiale pregiato, marmo o pietra dura, più spesso in noce naturale o ebanizzato, e terminano con capitelli in legno intagliato, in bronzo o in ottone. 
 
II piano, in legno o in marmo, è in genere raccordato alla struttura sottostante mediante sagome modellate con la caratteristica "gola Impero", oppure decorate con foglie di acanto o altri motivi a rilievo tipici del periodo. 
 
L'apertura di cassetti e antine è spesso affidata alla semplice chiave; se vi sono maniglie, queste hanno per lo più forma di testa ferina, con un anello tra le fauci che serve da presa, oppure di pomolo o ancora di pugno chiuso che stringe fra le dita un sottile bastoncino. In genere fa eccezione il primo cassetto dove, per non turbare l'illusione architettonica, non esistono elementi di presa esterni e lo sforzo di apertura viene fatto di solito inserendo le dita in appositi incavi praticati nello spessore del frontalino. 
 
Le bocchette, spesso limitate a una semplice profilatura metallica del buco della serratura, a volte hanno forma di corona o di scudo, oppure si configurano come un vero e proprio elemento decorativo con eleganti motivi vegetali, coppie di cigni affrontate o più complesse scene figurate; in alcuni casi, inoltre, sono dotate 
 
di una parte mobile che nasconde l'ingresso della chiave. 
 
Le cerniere possono essere a baionetta, a pollice oppure a libro, in ottone fuso o in lamina di ferro. 
 
Le serrature sono frequentemente incassate nello spessore del frontalino del cassetto che, di conseguenza, raggiunge ora considerevoli dimensioni, fino a 4 centimetri. Quando invece sono inserite a scasso, possono essere rivestite in lamina di ottone. 
 
I sostegni più diffusi sono la zampa di leone e il semplice piede a dado, a volte arricchito da una gola in ottone; si trovano però anche piedini rastremati o a sciabola, basamento a zoccolo e supporti in forma di pigna, di sfinge... 
 
Dal punto di vista tecnico la costruzione dei contenitori Impero si basa su quattro montanti legati fra loro da fasce e catene: le fasce laterali, piuttosto alte (10-15 cm), sono connesse con penola o doppia penola; un uguale sistema di connessione caratterizza le due catene di base, mentre quelle superiori sono in genere inserite dall'alto a coda di rondine; nei contenitori dotati di cassetti le catene intermedie sono incastrate a cava e penola. Su questa struttura vengono applicati con colla e chiodi i fianchi (spessi circa 8 mm, 1 cm al massimo), tagliati ad angaletto lungo tutto il filo laterale per "giuntarsi" al montante senza lasciar vedere alcuno spessore. Dai montanti anteriori, fatti opportunamente lievitare secondo le dimensioni richieste, si ottengono poi i due elementi che chiudono in alto e in basso la colonna. 
 
Ai montanti posteriori, e alle relative catene, è connesso invece lo schienale che si incastra a canaletto: le assi possono essere disposte sia in senso orizzontale sia in senso verticale; in quest'ultimo caso si trova in genere un elemento centrale, anch'esso provvisto di canaletti, a metà della lunghezza dello schienale nei contenitori bassi, a metà dell'altezza nel caso opposto, ad esempio nei secrétaire o nelle librerie. 
 
Se il mobile presenta piano in legno, questo è formato da una spessa cornice, fissata direttamente sulle catene e rinforzata al centro da un traverso, sulla quale è incollata una più sottile planche di soli 8-10 millimetri; se invece il coperchio è costituito da una lastra marmorea, è semplicemente appoggiato sulla struttura ed è abitualmente completato da un sottopiano. 
 
I cassetti, sorretti da registri a L incastrati nei montanti e incollati ai fianchi, sono connessi con numerose e piccole code di rondine (tre o più) e chiusi da un fondalino incastrato a canaletto nelle sponde (spesse in genere da 12 mm a 2 cm), nello schienalino (spesso 1 cm circa) e nel fronte; una caratteristica dei cassetti di quest'epoca, quasi una regola, è poi una smussatura nell'angolo superiore e posteriore delle sponde, quasi un invito per meglio fare entrare il cassetto. Ancora un incastro a canaletto, nelle catene di base, assicura alla struttura il fondo del mobile, quando c'è, e nelle catene intermedie sostiene i diaframmi che a volte separano un cassetto dall'altro. 
 
Quando il contenitore è dotato di sportelli, se sono lastronati, presentano in genere due fasce orizzontali in legno duro tra le quali sono inserite, con incastro a canaletto, le assi disposte in senso verticale: un tipo di costruzione che in alcuni pezzi si può vedere osservando la faccia interna dell'antina, in quanto la lastronatura non sempre ricopre questa superficie più nascosta. Se il mobile è in massello, prevale invece la costruzione a telaio: i vari lati della cornice giuntati a 45°, sia all'esterno che all'interno, sono uniti fra loro con piccole penole invisibili e talvolta la connessione è resa più stabile da un tassello di rinforzo inserito in controvena in una fresatura praticata agli angoli del telaio, nello spessore del legno. All'interno di questa struttura viene inserito a canaletto su tutti e quattro i lati il pannello centrale, formato da una o più assi. 
 
A questa unità formale e costruttiva dei contenitori Impero fa eccezione il comodino a colonna: a sezione circolare, oppure poligonale, la colonna è in genere appoggiata su un'alta base a pianta quadrata ed è sormontata da un piano in marmo o in legno; nel fusto, che può essere liscio o scanalato, si aprono un'antina e un piccolo cassetto oppure un'unica antina alta quanto la colonna stessa dietro la quale, non di rado, si nasconde un tiretto guidato da registri fissati sotto il piano. 
 
La costruzione è piuttosto semplice: prese due assi tagliate a ottagono che costituiscono il fondo e il sottopiano, sul. loro spessore vengono incollate alrte assi, una per ogni lato, lunghe un metro circa e più o meno spesse, secondo la forma che si vuole ottenere: se infatti per costruire un comodino a pianta poligonale possono essere sufficienti tavole negli spessori tipici dell'epoca (1-1,5 cm), nel caso di un comodino cilindrico occorre un massello più consistente, tale da poter essere modellato, smussando gli angoli, fino a raggiungere il profilo circolare. 
 
Nella colonna così ottenuta vengono quindi "tagliati" 1'antina ed eventualmente il fronte del cassetto; sulla faccia interna dello sportello vengono poi applicati, in genere, due listelli orizzontali in controvena, alti 3 centimetri circa, che servono da tenuta per le assi. La costruzione del mobile si completa con la lastronatura del piano o con l'applicazione di un coperchio in legno o in marmo, e con l'assemblaggio del basamento, formato da quattro assi che si incontrano con un particolare tipo di giunta composita schematizzata nel disegno pubblicato a pagina 237. 
 
 
 
IL LETTO 
 
Rispetto all'uniformità di linee dei contenitori, nei letti si riscontra una maggior varietà di modelli, da centro e da parete: esemplari con spalliere dritte, in genere inquadrate da colonne o pilastri desinenti con un elemento decorativo in bronzo o in legno intagliato esemplari con testate ricurve all'indietro dall'elegante profilo che scende fino a raccordarsi ai longheroni (i cosiddetti letti a barca); esemplari raffinatissimi dal disegno a coppa dove la coppa, costruita a doghe giustapposte, è sostenuta da delfini, cigni, o altro tipo di supporto. 
 
Singoli, a una piazza e mezza o matrimoniali (in quest'ultimo caso caratterizzati da un'ampiezza che a volte supera addirittura la dimensione della lunghezza), i letti Impero sono in massello, prevalentemente noce o ciliegio, lastronati, con frequente ricorso al mogano, dorati o laccati, soprattutto a fondo bianco con rilievi in oro. Su lastrone e massello vengono spesso applicate guarnizioni in metallo o in legno dorati, foggiate secondo i motivi tipici del periodo, mentre la decorazione a intaglio è in genere espressione degli esemplari più tardi, già di epoca Restaurazione. 
 
Nella maggioranza dei modelli la costruzione si basa su quattro montanti ai quali sono raccordate le due testate: a tale scopo queste ultime sono sagomate lungo lo spessore laterale con tante piccole penole alternate a lunghi dentelli (profondi 1 cm circa) che vanno ad incastrarsi in un corrispondente sistema di cave alterna te a canaletti ricavati nei montanti. Se la spalliera è bassa, intorno ai 18-20 centimetri, la connessione più essere semplicemente creata con un'unica penola. In ogni caso gli incastri sono ulteriormente assicurati dalla colla. 
 
Ai montanti sono fissati anche i longheroni laterali grazie a viti da letto filettate a mano. Nella maggioranza dei casi queste viti partono dal longherone ed entrano in un dado alloggiato all'interno della mazzetta dove è stato inserito attraverso un lungo scasso, una sorta di "galleria" il cui imbocco è stato poi richiuso da un tassello in legno; questo tassello, visibile sulla faccia interna della mazzetta, è da leggere pertanto come presenza perfettamente corretta. Altre volte, al contrario, le viti partono dal montante e si inseriscono nel longherone. Traversi in legno inchiodati e incollati alla struttura sorreggono le assi sulle quali appoggia l'elastico. 
 
Sotto ai sostegni si trovano con una certa frequenza le rotelle, direttamente avvitate nel legno, legate ai bicchierini di ottone che in alcuni esemplari concludono il piede, o ancora, nel caso di sostegni a forma di parallelepipedo, rotelle in bosso, ebano o porcellana nascoste in uno scasso a forcella praticato nel piede stesso e poi coperto dal lastrone. 
 
Come sempre la principale manomissione subita da questo arredo è la sua trasformazione da letto singolo o a una piazza e mezza in letto matrimoniale. Senza apportare modifiche a longheroni e montanti si interviene sulle testate adattandole o rifacendole nella misura desiderata, un'operazione che però per le caratteristiche del mobile Impero lascia pochi segni di riconoscimento. 
 
Molto più facile è invece riconoscere le copie in stile Impero riproposte ai primi del Novecento: cambiano infatti i legni usati (faggio e pioppo invece del noce) e i longheroni sono raccordati ai montanti mediante ganci in ferro, oppure con viti da armadio prodotte in serie, anziché con viti da letto filettate a mano, le prime con punta arrotondata e testa segnata da due soli fori, le seconde con punta acuminata e testa segnata da tre o più fori. All'interno dei longheroni, inoltre, si trovano delle squadrette in ferro per sostenere l'elastico o la rete metallica: un tipo di supporto tipicamente moderno che però a volte è stato applicato per maggior praticità anche su pezzi autentici. 
 
Nella stanza da letto, in epoca Impero, si trova spesso anche la psiche, una tipologia apparsa in Francia nella seconda metà del Settecento che in questo periodo conosce grande diffusione. Si tratta di un'alta specchiera basculante sostenuta lateralmente da supporti verticali, in genere colonne o lesene, raccordati in basso da un traverso che a volte assume forma e funzione di piano d'appoggio ed è completato da un cassettino: due lunghe viti che attraversano i montanti e penetrano nella cornice della specchiera rendono possibile il movimento. 
 
Talvolta, privata dei sostegni laterali, la psiche è stata utilizzata come specchiera da parete o come semplice cornice; i suoi spessori, però, restano segnati dai fori che ospitavano le viti o dai tasselli in legno inseriti per chiudere tali testimonianze. 
 
 
 
  
 
I SEDILI 
 
  
 
Tra i sedili, l'espressione più tipica e peculiare del periodo Impero è rappresentata dal modello detto a gondola, con schienale leggermente concavo raccordato alle fasce laterali mediante due elementi curvilinei. La spalliera, per lo più a giorno, è ornata al centro da una cartella traforata oppure da un elemento intero perfettamente complanare al traverso superiore; in quest'ultimo caso lo schienale è in genere rivestito con radiche o lastroni disposti in modo che le venature "si aprano" lungo l'asse dell'elemento centrale; altri lastroni in legno di traverso coprono e rifiniscono poi tutti gli spessori. II sedile riprende su tre lati il disegno curvilineo della spalliera mentre il quarto lato, quello frontale, può essere rotondeggiante oppure dritto. La maggior parte degli esemplari presenta quattro gambe a sciabola oppure, in epoca Restaurazione, le gambe anteriori modellate secondo una linea spezzata detta a forma e controforma. 
 
In un altro tipo di sedia, meno diffuso, il raccordo tra schienale e fasce è realizzato mediante un alto "lastrone", spesso 1 centimetro circa, incollato sulle fasce stesse in venatura verticale. Questo lastrone, che prosegue anche sulla parte anteriore del sedile, nasconde tutte le giunte formando una sorta di cornice ininterrotta intorno all'imbottitura. 11 traverso superiore dello schienale è ricurvo all'indietro così che tutta la sedia acquista una linea simile a quella. dei letti en bateau ed è perciò detta a mezza barca. 
 
Accanto a questi modelli di nuova invenzione, fiorisce in epoca Impero una vasta gamma di sedili che rivisitano secondo il gusto del periodo forme già in uso negli stili precedenti: si trovano infatti schienali rigidi, squadrati o di forma trapezoidale, mentre le gambe possono essere dritte, affusolate, a volte desinenti con un puntalino in bronzo o con zampe di animali, oppure modellate in tutte le forme suggerite dal repertorio decorativo dell'epoca, o ancora, soprattutto negli sgabelli, incrociate a X, in forma di doppia sciabola. 
 
Le finiture sono molto curate: come in tutti gli arredi del periodo si trovano parti ebanizzate o laccate a finto bronzo, vi è grande profusione di dorature, su bronzo o su legno, e a volte la ricercatezza dell'artigiano arriva fino ai minimi dettagli, ad esempio dorando solo i peli di una zampa di capro, in contrasto con la superficie nera dello zoccolo. 
 
II materiale è principalmente il legno duro (noce o ciliegio) anche per esemplari totalmente laccati o dorati, sebbene non manchino ossature in pioppo o in faggio. 
 
La costruzione è uguale per sedie, poltrone e divani: le gambe sono dotate di cave in cui entrano le fasce, sempre ben rifinite anche sulla faccia interna; piccole penole, ricavate alla sommità dei montanti posteriori, si incastrano nel traverso dello schienale. Nelle sedie a gondola gli elementi curvilinei possono essere semplicemente incollati ai montanti e alle fasce oppure, quando i montanti posteriori si interrompono all'altezza del sedile, possono essere connessi a cava e penola, assumendo così una funzione strutturale. In modo analogo è costruito un particolare tipo di poltrona a pozzetto tutta imbottita, anch'essa caratterizzata da montanti che si arrestano all'altezza del sedile. Nelle altre poltrone e nei divani il sostegno del bracciolo entra con una spina tonda nel bracciolo stesso e nelle fasce; e anche qui, come nei periodi precedenti, nel divano si trovano appositi listelli di rinforzo paralleli ai lati corti per interrompere la lunghezza di sedile e schienale. Tutti gli incastri sono poi fermati dalla colla che rende superfluo l'uso dei chiodi in legno. Alcuni sedili piuttosto esili, inoltre, presentano quattro listelli obliqui innestati a coda di rondine ha due fasce contigue, una novità costruttiva ripresa da una tecnica inglese e francese che contribuisce a una maggior solidità. 
 
 
 
  
 
I TAVOLI 
 
I tavoli sono forse la tipologia nella quale l'Impero ha espresso in modo più fantasioso la propria capacità di rielaborare modelli e motivi decorativi dell'antichità creando sostegni che non solo propongono una vasta gamma di forme e disegni ornamentali, ma li organizzano secondo una grande varietà di schemi compositivi. I sostegni possono essere costituiti da un unico supporto centrale (ad esempio la lira, il delfino, la colonna) oppure da una serie di tre o più gambe (colonne, erme, sfingi alate, sciabole, zampe di capro, cigni...) e in entrambi i casi possono appoggiare direttamente a terra, oppure su una sorta di pedana in genere corredata da tre o più piedi di varia forma: zampa di leone, sfinge, pigna, sciabola..., talora completati da un puntalino in bronzo o da rotelle. 11 piano, rotondo, ovale, quadrato, esagonale, ottagonale... o rettangolare, può essere in legno (spesso allungabile) oppure in marmo o scagliola e, nella maggior parte dei casi, poggia su un'alta cintura di fasce, aperta o chiusa a tamburo. Se il piano è quadrato o rettangolare le fasce sono semplicemente congiunte agli angoli (con taglio ad angaletto se si tratta di un tavolo in massello), in tutti gli altri casi sono formate da più corsi di assi (ciascuna alta 3 cm circa) unite con giunti sfalsati. 
 
Nel tavolo a gamba centrale, tra le fasce è inserita una sorta di crociera molto spessa, i cui elementi si incrociano a mezzo e mezzo: proprio in corrispondenza di questo "incrocio" si incastra il sostegno mediante una grossa penola a sezione rettangolare. Nello stesso modello, quando le fasce sono chiuse a tamburo, al loro interno si trovano due "corde" in legno delimitanti uno spazio centrale occupato da un grosso massello a forma di parallelepipedo che presenta, al centro, un'ampia cava (di 6-7 cm per lato) dove viene inserita la penola della gamba. 
 
Fra gli esemplari a sostegno centrale esiste poi anche un modello smontabile, dove un grosso perno in legno duro entra nella gamba tenendone insieme i vari segmenti e termina con una parte filettata su cui si avvita il piano. 
 
Nei tavoli con tre o più sostegni le gambe, se sono a colonna, o comunque a struttura rettilinea, si raccordano in genere alle fasce con piccole penole; se modellate secondo un disegno più articolato sono abitualmente inserite in un particolare tipo di scasso a taglio dritto, praticato sulla faccia esterna della fascia per ottenere una complanarità fra le due superfici. 
 
In tutti i modelli il piano è incollato alle fasce quando è in legno, semplicemente appoggiato quando è in marmo o scagliola. 
 
Molto simile alla costruzione del tavolo è quella della console, in genere più alta dell'arredo per la sala da pranzo, con una profondità che può variare dai 40 ai 70 centimetri; le gambe sono di solito quattro, a volte collegate da un basamento o da una mezza crociera, e tra le due posteriori non di rado è inserito uno specchio; il piano, in legno o in marmo, è spesso sormontato da una specchiera, fissata con incastro a cava e penola nel primo caso, semplicemente appoggiata nel secondo; la cornice riprende i motivi decorativi del corpo inferiore e lo specchio, negli esemplari di maggiori dimensioni, può essere composto da più lastre unite fra loro da borchie in bronzo dorato. 
 
Ancor più stretta è l'affinità tra il tavolo e i numerosissimi tavolini che caratterizzano l'ebanisteria del periodo Impero: differenziati secondo gli usi più specifici, sono destinati al lavoro, alla musica, alla prima colazione... oppure a servire da lavabo, da fioriera, o da semplice piano d'appoggio. 
 
Nei tavolini da musica piccoli, piuttosto esili ed eleganti, il coperchio, incernierato alle fasce, può essere alzato ed assumere, grazie a un cavalletto che appoggia su una ghiera dentata, l'inclinazione più adatta a consentire una comoda lettura degli spartiti; un listello incollato lungo uno dei lati del piano serve a trattenere i fogli. Di solito questi tavolini sono costruiti in legno duro e, nella maggior parte dei casi, sono. poi lastronati, spesso anche sulle gambe, e decorati con ricercatezza e ricchezza. 
 
Sotto le fasce, tenute insieme con colla e grazie a un incastro detto impropriamente a mezzo e mezzo, si trova di norma un fondalino, piuttosto robusto, inserito a canaletto; sulla sua faccia inferiore sono incollati i sostegni, tra i quali non manca naturalmente la lira, particolarmente gradita per la sua consonanza con la funzione del mobile. 
 
II tavolino da letto ha forma rettangolare, con un unico sostegno collocato in posizione eccentrica, sotto uno dei lati corti, inserito con penola in un basamento dotato di rotelle. Proprio la posizione decentrata del sostegno e la lunga base con rotelle consentono di usare questo tavolo a letto sia per consumare i pasti, sia come leggio: il suo piano è di norma diviso in due parti, una fissa e l'altra mobile con un'inclinazione regolabile grazie a meccanismi analoghi a quelli del tavolino da musica. In alcuni esemplari è regolabile addirittura anche l'altezza del piano, ma si tratta in genere di pezzi tardivi, che ormai risentono delle linee Luigi Filippo. 
 
Le toilette sono diffuse in due modelli principali. 11 primo, in tutto simile a un piccolo tavolino, presenta di solito quattro gambe raccordate su tre lati da catene (il quarto lato ne è privo per poteraccostare la sedia) e connesse con penola al fondalino che chiude le fasce (spesso 2,5 cm circa); il piano, di norma intero e completamente apribile, nasconde al suo interno uno specchio. Talvolta fruibili anche come scrittoio, queste toilette hanno allora la fascia anteriore abbattibile per utilizzare il fondo quale piano di scrittura; in questo caso l'interno è spesso parzialmente occupato da uno scarabattolo con la ben nota struttura architettonica. 
 
Il secondo modello, da muro, ricorda le toilette settecentesche con un cassetto centrale e due coppie di cassetti laterali, ciascuna sostenuta da quattro gambe: i sostegni anteriori sono torniti a colonna, quelli posteriori piatti a forma di lesene. Qui però l'insieme delle gambe è legato da catene il cui corso si interrompe sul fronte, al centro, per consentire l'inserimento della sedia; fra le gambe posteriori, come nelle console, si trova spesso uno specchio inserito a battuta. Dietro questa sorta di schienale resta spazio sufficiente per nascondere un secondo specchio, estraibile dall'alto grazie a un pomolo che sporge dal piano. II coperchio è in genere fisso nel settore centrale e apribile nei due laterali dove si ribalta verso l'esterno; solo in alcuni esemplari la parte centrale scorre in avanti, scoprendo un catino contenuto all'interno del mobile. 
 
Tra i mobili da toilette una curiosità è costituita da un tavolino alto nel complesso 160-170 centimetri formato da un piccolo guéridon con piano del diametro di 35 centimetri circa, dotato di un cassettino tagliato nella fascia e sostenuto da una gamba centrale desinente con tre piedini svasati; al centro del tavolo è fissata un'asta snodata che permette di orientare uno specchio di ingrandimento: si tratta di un mobiletto per la toilette maschile, dove lo specchio serve per radersi. Nato in epoca Impero, si diffonde però soprattutto nei periodi successivi. 
 
Poche, come sempre nel mobile Impero, sono state le manomissioni di qualche rilievo: su alcuni esemplari di epoca Luigi Filippo sono state talvolta dipinte in nero le gole di una sagoma e le colonne, sono stati dorati i capitelli, sostituiti i piedi a cipolla, sotto i basamenti, con zampe di leone, pigne o altri sostegni tipici dell'Impero, per conferire ai mobili una maggior anzianità. 
 
Modelli semplici e un po' rustici, in noce o ciliegio, sono stati arricchiti con lastronature posteriori e in particolare con una lastronatura del piano a "spicchi d'arancia", poco pertinente al periodo ma di vivace effetto decorativo e semplice da realizzare. 
 
Talvolta console con il basamento sagomato con un profilo a parentesi graffa, tipicamente Luigi Filippo, sono state retrodatate solo modificando il disegno del basamento secondo le linee Impero. Alcuni tavolini piuttosto alti, anch'essi di epoca tarda, dove un unico sostegno centrale regge tre ripiani di misura degradante, sono stati abbassati tagliando il supporto all'altezza del piano inferiore, inserendo poi un rosone o un altro elemento decorativo per nascondere la testimonianza del taglio. 
 
Ancora per quanto riguarda i tavolini, si possono trovare esemplari costruiti utilizzando, come sostegno, la lira staccata dalle pedaliere di spinette dell'epoca, oppure il supporto di una fioriera o un trespolo a lavabo: in questi ultimi casi, però, all'interno della fascia, là dove appoggiava il catino o la cassetta in zinco o rame per le piante, restano segni di usura ingiustificati che testimoniano la funzione originaria rivelando così la manomissione.