Origini della Nobiltà nelle Marche con elenco delle città che ebbero patriziato o nobiltà locale riconosciuta. Predicati territoriali nobiliari delle Marche, non sempre risultanti nel Dizionario dei predicati della Nobiltà Italiana compilato dalla Regia Consulta Araldica ed edito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, comunque legittimi e riportati nell'autorevole Dizionario della Nobiltà, dei Titoli e degli Stemmi, delle Famiglie marchigiane, curato dal dottore Carmelo Arnone e Vittorio Burattini, edito per i tipi di Egiziano Venturini ad Ancona. Predicati territoriali nobiliari dell'Umbria. Predicati territoriali nobiliari connessi a feudi non ubicati nelle marche, e non riconosciuti, ma di cui erano decorate le Famiglie marchigiane.

 

 

 

E’ noto che dal 1° gennaio 1948 vige nella nostra Patria la Costituzione della Repubblica Italiana.

E’ trascorso circa mezzo secolo e di una sua revisione si parla da tempo; tra le disposizioni transitorie e finali della stessa, la XIII sta per essere definitivamente abrogata, permettendo così ai discendenti maschi dell’ultimo Re di Casa Savoia l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale. La XIV invece recita testualmente: “I titoli nobiliari non sono riconosciuti: I predicati di quelli esistenti prima del 28.10.1922 valgono come parte del nome. La legge regola la soppressione della Consulta Araldica “.

Durante il vigore dello Statuto Albertino la materia nobiliare non era disciplinata nè dal Codice Civile del 1865 nè da quello del 1942, ma demandata a normative speciali: dal primo Real Decreto N. 5318 del 10.10.1869, agli ultimi due, i NN. 651 e 652 del 7.6.1943.

Con l’avvento della Repubblica invece, il precetto della XIV disposizione della nuova Carta Costituzionale è assurto a ruolo di principio-cardine del diritto nobiliare, all’interno della rinnovata struttura del vigente ordinamento.

Il secondo comma di detta disposizione infatti, ha fatto nascere il nuovo istituto relativo alla cognomizzazione dei predicati nobiliari, trasferendo così la materia, cioè i titoli nobilari ed i loro predicati, dalla sfera del diritto pubblico a quella del diritto privato, venendo quindi questa tutelata, attraverso la cognomizzazione, dal Codice Civile.

La norma in esame contiene due principi: il primo negativo riferentesi al disconoscimento dei titoli nobiliari, il secondo positivo in quanto contempla la cognomizzazione dei predicati, nonchè una enunciazione riguardante la soppressione della Consulta Araldica.

Non può non essere rammentato, incidenter, che sulla scorta di un rilievo formulato dall’Onorevole Togliatti, recepito ed approvato nel testo definitivo dell’Assemble Costituente, si volle limitare il riconoscimento dei predicati a quelli esistenti prima del 28.10.1922, intendendo così escludere provvedimenti nobiliari rilasciati per merito presupposto fascista.

Tale formulazione, ritenuta affrettata ed imprecisa da parte di molti Autori, è venuta a precludere la riconoscibilità ad alcuni predicati annessi a titoli la cui concessione era stata assolutamente estranea, se non addirittura antagonistica, a suggestioni morali di merito fascista.

In particolare trattasi di concessioni fatte da Umberto II dall’11.11.1944 all’8.5.1946 nella sua qualità di Luogotenente Generale del Regno, e quelle che partono dal 16.5.1946 fino al 1.6.1946 nella qualità di Re d’Italia, per un totale di 19 predicati.

Tutto ciò premesso e consolidato, sorgono in ordine alcuni quesiti: quali sono i predicati cognomizzabili? Soltanto quelli feudali? E di questi solo quelli territoriali o anche quelli riferentesi a benefici? E quanti uno solo o anche più? Esempio: Barone Cantono, Signore del Marchesato di Ceva, Lisio, Battiffollo, Pamparato.

Pur non essendo al riguardo la dottrina conforme, al presente sono suscettibili di cognomizzazione tutte le categorie di predicati summenzionate, avendo costituito oggetto di riconoscimento da parte della Consulta Araldica del Regno unitamente ai relativi titoli loro spettanti. Uniche eccezioni sono quelle derivanti dalla pronuncia costituzionale N. 101 dell’ 8.7.1967 che sarà di seguito esaminata.

Il secondo capoverso dell’articolo 6 del Codice Civile stabilisce l’inammissibilità di cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome (comprendente di prenome e cognome), salvo nei casi e con le formalità indicate dalla legge (decreti del Presidente della Repubblica o provvedimenti del Procuratore Generale della Corte di Appello).

La modifica del nome può avvenire, ipso jure, solo mutando lo status del soggetto, attraverso il matrimonio o per effetto dell’adozione. Per quanto invece disposto dalla XIV norma e cioè che i predicati dei titoli nobiliari preesistenti al 28.10.1922 valgono come parte del nome, i soggetti che non risultassero già iscritti nei registri araldici e ritenessero aver diritto alla cognomizzazione di un predicato nobiliare, non possono che rivolgersi alla Magistratura con istanza diretta ad ottenere l’accertamento giudiziario del loro diritto alla cognomizzazione del suddetto predicato e la conseguente rettifica degli atti di stato civile con l’aggiunta al loro cognome del medesimo predicato.

Contraddittore necessario in siffatti procedimenti è l’Ufficio Araldico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si costituisce in giudizio per ministero dell’Avvocatura dello Stato.

La sentenza costituzionale numero 101 dell’8.7.1967 menzionata precedentemente ha escluso, in via principale, qualsiasi attitudine alla cognomizzazione per quei predicati inerenti a titoli che, pur di formazione anteriore al 28.10.1922, non avessero ottenuto in epoca antecedente al 1° genneio 1948 un formale riconoscimento da parte della Consulta Araldica.

Tale interpretazione della XIV norma è venuta ad operare praticamente una deroga all’articolo 22 della Costituzione, venendo così a privare alkcuni cittadini di parte del nome, poichè la concessione di un titolo comportava contestualmente il diritto di usare dell’annesso predicato come cognome.

A supporto della proria tesi la Corte sostenne che la ratio informatrice del deliberato del Costituente, fosse stata unicamente quella di evitare una lesione del diritto al nome, così come appariva essersi definitivamente strutturato alla data del 1° gennaio 1948.

Questa pronunzia interpretativa della Corte suscitò in dottrina grandi perplessità, e unitamente si tentò di circoscrivere l’effettiva portata sostenendone il valore di mero precedente, non vincolante per il giudice ordinario. Ma nonostante gli auspici espressi dalla dottrina, l’orientamento giurisprudenziale successivo alla sentenza in esame si manifestò in senso conforme alla decisione della Corte.

Sono invece da segnalarsi più decisioni di merito recenti (Sentenza N. 5347 del Ruolo Generale, 1995, Tribunale di Palermo; sentenza iscritta al N. 4566/94 R.G. – N. 1318.94 R.S. – Tribunale di Catania, 1998; Tribunale di Napoli, IV sez. civ., 26.1.2000, causa de la Grannellais per l’aggiunta del predicato di Cesbron) in felice controtendenza rispetto all’odiosum privilegium riservato dalla corrente giurisprudenza alla residua vigenza del diritto nobiliare; tali sentenze, ai fini dell’aggiunta di un secondo cognome in capo all’istante, ha positivamente fondato il principio dell’ < accertamento della verità storica del nome >.

Sebbene nella fattispecie l’aggiunta del cognome indicato dall’istante sia stata negata e, stricto jure, con ragione, in quanto si configurava surrettiziamente una cognomizzazione di predicato, si è venuta comunque a consolidare l’indagine inerente la “ verità storica “ del cognome di una famiglia, e si è suggerita, come mezzo esperibile ai fini probatori, la produzione giudiziale di alberi genealogici rilasciati ed autenticati, ex art. 89 R.D. 2.10.1911 N. 1163, dagli Archivi di Stato, così come in sede di ricognizione nobiliare era prassi nel Regno d’Italia.

A conclusione quindi può dirsi che, essendo il diritto al nome un diritto soggettivo perfetto, l’intera materia è regolata e tutelata dal Codice Civile.

           

Dopo questa premessa tratta dalle considerazioni del Dottore Filippo Maria Berardi in tema di predicati nobiliari in chiave giuridica attuale, inizierò ad entrare nel vivo dell’argomento prendendo a spunto le dottissime disquisizioni in tema nobiliare-araldico del compianto dottore Carmelo Arnone, membro effettivo negli anni ‘50 del collegio di presidenza del Collegio Araldico di via S.M. dell’Anima in Roma , mi limiterò a qualche divagazione, con funzioni esplicative, sull’argomento  da questi trattato.

Per dare un appropriato giudizio sulle doti in tema di scienza araldico-genealogica elargite in vita dall’Arnone, si potrebbe usare la stessa terminologia adottata nell’elogio funebre da Emilio Guasco Gallarati marchese di Bisio per l’altrettanto impareggiabile maestro in scienze araldiche che fu il marchese Vittorio Spreti che, seppur di antica nobiltà ravennate, pochi sanno essere nato a S. Severino Marche : “ Araldista insigne, pari forse ad altri, ma a nessuno inferiore “.    

 

Le citazioni dell’autore, tratte da diversi numeri della Rivista Araldica che vanno dagli anni 1930 a tutto il 1950, saranno riportate integralmente in carattere corsivo.

Eventuali correzioni su errori di stampa dall’edizione originale, da me apportate, saranno comprese tra parentesi ed evidenziate da caratteri di dimensione ridotta rispetto al restante testo.

Sin da ora ci scusiamo con il lettore per eventuali imprecisioni legate unicamente alla difficoltà di ricerca storica e alla discordanza tra i vari, e seppur autorevoli, autori consultati.

 

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“Credo far cosa gradita ai lettori con il riportare l’elenco dei predicati territoriali siti nelle Marche e delle città che ebbero patriziato o nobiltà locale, in cui il titolo di patrizio non sempre fu riconosciuto dalla consulta araldica in quello di patrizio, conformemente alle tradizioni storiche, ma fu sostituito da quello di nobile.

In alcune città poi vi furono due classi di nobiltà: quella dei Patrizi e quella dei Nobili.

Ma i titolati con predicati feudali delle Marche e i nobili civici non comprendono tutta la nobiltà , dappoichè numerosi sono: i titoli nobiliari con predicato di concessione straniera, quali quelli imperiali, dei Re di Napoli, di Ungheria, di Polonia, dei Duchi di Urbino, di Parma, di Modena e Reggio, di Mantova; quelli poggiati sul cognome di concessione imperiale , pontificia, di altri sovrani, della Repubblica di San Marino, specie quelli di Conte Palatino di concessione imperiale o pontificia, o di concessione da parte di Cardinali Legati,  di Arcivescovi o Vescovi assistenti al soglio pontificio, delle Università degli Studi, della famiglia Sforza Cesarini per delega pontificia.  Non mancano i titoli non nascenti da concessione, ma sorti da lungo uso, specie di conti in alcune città , per la consuetudine formatasi , dopo il 1816, di attribuire ai patrizi il titolo di conte, sull’esempio del governo austriaco, che si dimostrò disposto a concedere detto titolo a quei patrizi veneti che ne avessero fatto richiesta.

Detta consuetudine mirava in realtà a far distinguere le antiche famiglie, che avevano goduto del possesso perenne, di un posto originario nel consiglio civico, partecipando ab antiquo alla sovranità del comune,  da quelle che , dopo la restaurazione del 1815, furono chiamate a far parte dei consigli civici, fossero stati prima nobili o non nobili.

Il governo pontificio approvò e sanzionò quest’uso, ma la monarchia italiana non volle riconoscere la consistenza giuridica di detti titoli. In oltre la stessa monarchia, dopo varie incertezze finì con non riconoscere il titolo di conte palatino concesso, per delega degli imperatori e del papa, dalla famiglia Sforza, dai Cardinali, patriarchi, arcivescovi, vescovi, dalle università degli studi, da taluni collegi nobili.

Come si rileva, varie sono le fonti della Nobiltà e dei titoli nobiliari della regione, e tutti i gradi della gerarchia nobiliare vi sono rappresentati: Principe, Duca, Marchese, Conte, Barone, Signore, Patrizio, Nobile Civico, Nobile.

come sopra è stato rilevato, il titolo che ha dato luogo a discussione è quello di Conte.” Arnone, Riv. Araldiche 1950 ;  Burattini Arnone : Dizionario dei titoli e degli stemmi delle famiglie marchigiane, Tip. Venturini, Ancona.  

 

Cioè, schematizzando, l’origine della titolatura marchigiana con, o senza, predicati può così essere riassunta:

 

1)   Titolati con predicati feudali, nascenti da concessione locale “ab immemorabile“.

2)   Nobiltà Decurionali comprendenti  il titolo di Patrizio , di Nobile  civico, di Nobile.

3)   Titolati con predicati di concessione imperiale.

4)   Titolati con predicati di concessione dei Re di Napoli.

5)   Titolati con predicati di concessione dei Re di Ungheria.

6)   Titolati con predicati di concessione dei Re di Polonia.

7)   Titolati con predicati di concessione dei Duchi di Urbino.

8)   Titolati con predicati di concessione da parte dei Duchi di Parma

9)   Titolati con predicati di concessione da parte dei Duchi di Modena e Regggio

9)   Titolati con predicati di concessione da parte dei Duchi di Mantova.

10) Titolati con titolo poggiato sul cognome di concessione imperiale.

11) Titolati con titolo poggiato sul cognome di origine pontificia.

12) Titolati con titolo poggiato sul cognome concesso per delega pontificia dai Cardinali Legati.

13) Titolati con titolo poggiato sul cognome concesso per delega pontificia dagli Arcivescovi e Vescovi assistenti al soglio.

14) Titolati con titolo poggiato sul cognome concesso per delega pontificia dalle Università degli Studi.

15) Titolati con titolo poggiato sul cognome concesso per delega pontificia alla famiglia Cesarini Sforza.

15) titoli non nascenti da concessione, ma da antico uso.

16) Titolati con titolo poggiato sul cognome concesso dalla Repubblica di San Marino, dai Sovrani d’Italia e dal Sommo Pontefice dopo il 1870.

Secondo l’uso dei tempi erano considerati anche titolati i cavalieri appartenenti ad alcuni ordini cavallereschi, che venivano concessi a personalità elevatissime, o a talune religioni militari quali il Sacro Militare Ordine Gerosolimitano, detto poi di Malta, e quello di Santo Stefano di Toscana, che richiedevano per l’ammissione le prove nobiliari.

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Il riferimento all’assunzione del titolo di Conte da parte di Patrizi (o alta nobiltà di prova) deriva dalla consuetudine invalsa dopo la riforma dell’amministrazione dello Stato Pontificio di Leone XII del 21.12.1816 in quasi tutte le città della regione.

Per rendersi conto del sorgere di questa consuetudine e della sua, in un certo qual modo legittima, giustificazione è necessario far riferimento all’originaria distinzione in ceti prima del 1816.

Quasi tutte le città nobili della regione avevano una distinzione in tre ceti (se non in quattro): Il primo ceto nobile era quello del patriziato, nel quale avevano diritto di ammissione le famiglie che “ ab immemorabile “ avevano goduto di un posto di privilegio nell’amministrazione della città, e che comprendeva gli Anziani, i Regolatori, i Conservatori delle leggi ed i Deputati ai negozi. Il secondo ceto quello della Nobiltà semplice che raccoglieva in se Consiglieri e Magistrati. Il terzo, non nobile, detto cittadino (per distinguerlo, rispetto alle città dotate di quattro ceti, dal quarto al quale erano ammessi i villani, o abitanti delle comunità limitrofe, e coloro che esercitavano attività vili e meccaniche).

 

“Relativamente alle nobiltà civiche è da ricordare che le città marchigiane non avevano uniformità di reggimento amministrativo, ma ciascuna era retta da propri statuti. In talune città i cittadini erano divisi per ceti o ordini, e diversamente nei vari tempi, e con differente terminologia partecipavano al governo della cosa pubblica, che era concentrato nelle mani della nobiltà. Così, per limitarmi ai secoli XVIII e XIX , ad esempio, ad Ascoli esistevano: l’Ordine Consolare o primo grado di nobiltà, il Consiliare dei Cento, o secondo grado, l’Anzianale o terzo grado. In Ancona il Patriziato si distingueva dalla Nobiltà. Il Patriziato, o alta nobiltà di prova, comprendeva gli Anziani, i Regolatori, i Conservatori alle leggi, i Deputati a negozi. La nobiltà semplice comprendeva i Consiglieri e Magistrati. Vi era poi l’Ordine dei cittadini che non era nobile. A Camerino vi era un primo Ordine detto Patrizio; un secondo dei Collanisti, per l’uso della collana d’oro di cui era insignito; il terzo degli Onorati e Possidenti cittadini. A Macerata vi erano tre consigli e quattro ordini: l’Ordine dei Riformatori, dei Credenzieri, degli Entranti di magistrato, dei cittadini. Gli appartenenti ai Riformatori e Credenzieri avevano la qualifica di Patrizi; quelli agli Entranti di magistrato la qualifica di nobile. A San Severino vi era un Consiglio Regolato o dei Regolatori, detto anche di Credenza, che godeva della qualifica di Patrizio, distinto dal consiglio generale in cui si ammettevano indistintamente nobili e cittadini. Il Console o Gonfaloniere capo del magistrato doveva essere scelto fra i componenti il Consiglio di Credenza e appartenenti quindi a famiglie veramente nobili, mentre alla carica di priore potevano ascendere i semplici cittadini. A Fermo vi erano Patrizi, ossia Nobili di Cernita, con un Consiglio di Cernita, ed un Consiglio Generale, composto di nobili e cittadini. A Ripatransone vi erano un Consiglio di Cernita o di Credenza ed un Consiglio dei Regolatori. A Fabriano vi erano un Gonfaloniere, un Capo Priore, un Capo Regolatore, la Congregazione del Camerlengo. A Pesaro l’ Ordine o Senato era composto di due gradi: di Gonfaloniere il primo e di Priori il secondo, ambedue ereditari. A Recanati e Jesi vi erano soltanto Patrizi “. Burattini Arnone: Dizionario dei titoli e degli stemmi delle famiglie marchigiane, tipografia Venturini, Ancona.

 

Dopo la succitata riforma dello stato, i ceti cittadini furono ridotti complessivamente a due: il nobile ed il civico. In questo nuovo primo ceto risultava abolita l’originaria distinzione fra Patrizio e Nobile.

I laboriosi, ma non per questo meno orgogliosi marchigiani, elaborarono pertanto la formula dell’attribuzione del titolo comitale alle vecchie famiglie che si erano fregiate per secoli del titolo di patrizie, ribadendo così l’insopprimibile importanza della vetustà del tempo rispetto all’origine di un titolo.

Il concetto imprescindibile della antichità di origine, tutt’altro che peregrino ed infondato, si ripeteva peraltro , vuoi nei diritti, vuoi nelle gerarchie di trascrizione degli elenchi ufficiali, vuoi negli attributi e privilegi e quant’altro, in ogni stato preunitario.

Basti ricordare le priorità stabilite per regolare i ricevimenti al palazzo del Vicerè nel Regno di Napoli secondo le quali il cerimoniale, per ogni grado gerarchico di titoli, prevedeva precedenze stabilite dalla data di concessione del titolo, detta “Anzianità“, partendo dai principi e discendendo, via via, sino ai conti. (Cfr. “ Il Mappamondo “ registro, manoscritto e compilato da uno dei quattro portieri della camera del Re, che conteneva la lista dei titolati e di altre persone privilegiate del regno, distinte per anzianità, a partire dal 1723 per un decennio).

Dinanzi a qualunque principe , nelle cerimonie a corte, il cerimoniale prevedeva l’ingresso degli intestatatari delle 8 grandi case del reame che godevano di privilegi e prerogative non comuni a , se pur illustre , altra famiglia: i d’Aquino, del Balzo, gli Acquaviva, i Ruffo, i Sanseverino, i Piccolomini, i Celano, i Molise. (Cfr. Carrelli ” I Signori di Campobasso “ nella Rivista Araldica del 1924, pag. 449).    

 

Per tornare al titolo di conte attribuito ai patrizi nelle marche, peraltro non unica regione dello Stato Pontificio che adottò il sistema, a nostro avviso, anche se dal punto di vista strettamente formale non corretto , l’artifizio risulta quanto meno comprensibile e giustificabile se si considera lo scopo di impedire, in base al summenzionato ed imprescindibile concetto dell’anzianità  nelle titolature, che venissero banalmente confuse, sotto il generico titolo di nobili, le più antiche famiglie della comunità già appartenute al ceto patrizio, con quelle che precedentemente appartenevano al semplice ceto nobile o peggio ancora con quelle che, provenienti dal ceto cittadino, venivano ascritte al nuovo ceto nobile grazie a nomina pontificia elargita a seguito di proposta dell’amministrazione civica, in genere, ma non solo ,  per mancanza del numero legale necessario al reggimento  della città,  verificata l’impossibilità di aggregazioni da città vicine di altre famiglie nobili.

Questo titolo comitale in luogo del patrizio, sebbene sanzionato e riconosciuto dallo Stato Pontificio e sebbene, come su esposto, non privo di legittime giustificazioni sul piano dell’anzianità, non fu riconosciuto dall’autorità sabauda, visto che il competente Ufficio Araldico del Ministero degli Interni non aveva ritenuto sufficienti i supporti, anche giuridici, che ne erano alla base.

A tal proposito l’Arnone stigmatizza: “ Spero che questo studio varrà a convincere taluni patrizi degli ex stati della Chiesa (rectius: delle varie città comprese nei limiti territoriali dell’ex Stato della Chiesa.) della inutilità di loro ricerche per trovare una formale concessione del titolo di conte, che non ha mai avuto luogo, in favore dei loro antenati. “. Rivista Collegio Araldico, Gennaio, 1951.

 

 

Per ciò che concerne invece il concetto del titolo appoggiato sul cognome o sul predicato è necessario partire, per rendere maggiormente piana la distinzione, dalla realtà feudale, dai feudi titolati, dai predicati feudali che ne derivano e dall’evoluzione di questi ultimi con il cangiare dei tempi.

“I predicati sono soliti essere distinti in tre categorie fondamentali: feudali, allodiali e meramente onorifici.  I primi, più antichi, si riconnettono all’investitura feudale della terra menzionata, es. Cesi, Duca di Acquasparta. I secondi , più recenti , sorti in epoca successiva alla data dell’eversione feudale, pur corrispondendo nell’appellativo a località geografiche, non si riconnettono a nessuna prerogativa dell’investito nei confronti della terra sulla quale poggia la titolazione, bensì a particolari benemerenze conseguite verso la Patria, nel campo delle armi ecc., es: Gonzaga Marchese del Vodice; della politica, es. Volpi Conte di Misurata; dell’industria, es. Marzotto Conte di Valdarno; delle scienze, es: Paolucci Conte di Valmaggiore. I terzi, meramente onorifici, non sono legati a nessun territorio e vennero concessi per eminenti servigi resi alla Patria, es: Diaz Duca della Vittoria; Badoglio di Addis Abeba.

Un discorso a parte meritano infine tre antiche e particolari categorie: la prima relativa a quei predicati di titoli che poggiano, anzichè su terre feudali, su cariche o benefici, es: Signore di salme 105 del feudo di Grazia; Signore di onze 40 sopra i porti e le marine di Sicilia. La seconda invece relativa a predicati d’investitura feudale che non comprendono tutto il territorio, es.: signore di otto punti di Chaudoul; Alto Signore di undici didicesimi di Mentone: questi ultimi trovano giustificazione in quanto i suddetti feudi erano divisi fra più casati. La terza poi si riferisce a quei predicati goduti contemporaneamente da più casati che venivano a formare il così detto consorzio di giurisdicenti, es : Consignore di Somma, titolo questo condiviso da sette linee di tre casati rappresentati dai Castelbarco, dai Cusani e dai Visconti “ Temi Romana, Filippo Maria Berardi.

 

E’ d’uopo premettere che questa realtà, sebbene consistente in altri stati, ebbe nello Stato della Chiesa preunitario una limitata attuazione pratica in rapporto alla nobiltà, costituita ed originata prevalentemente da storia e fasto civico o (decurionale).

I feudi titolati erano quei feudi ai quali era strettamente connesso e collegato un titolo.

Raramente infatti si verificava la situazione giuridica del feudo “extitinto titulo” cioè di un feudo privo del titolo, persosi nel tempo, o “retento titulo” cioè di un feudo separato dal titolo perchè magari il precedente detentore aveva alienato il feudo, in genere dopo aver ottenuto ratifica con regio assenso, riservando per se il titolo (“in quest’ultima ipotesi il titolo finiva per seguire una successione indipendente dal feudo “. Cfr. Luigi M. Gualtieri nel “ Nuovo statuto delle successioni ai titoli ed attibuti nobiliari “ Napoli, 1928 .

 

E Ancora: “La clausola del retento titulo si stipulava sempre nella vendita dei feudi titolati, di modo che, nella pratica feudale napolitana si finì per stabilire che, qualora essa mancasse, il titolo non s’ intendeva venduto con il feudo “. Cfr. Arnone, Rivista del Collegio Araldico, Febbraio, 1950.

 

Negli atti di vendita di feudi sui quali erano poggiati titoli , non si trova mai menzione del trasferimento al compratore oltre che del feudo, anche dei titoli, perchè questi ultimi costituivano cose fuori commercio.

Nel caso di vendita di feudi titolati avveniva una separazione del titolo dal predicato; il titolo, perchè onorificenza, di regola tornava alla Corona, e qualche volta per eccezione col consenso sovrano restava al venditore; mentre il predicato, che serviva a specificare la qualità del feudatario, passava sempre col feudo all’acquirente.

Di conseguenza anche nel caso di vendita del feudo, retento titulo da parte del venditore, il predicato non restava a costui, perchè con la vendita del feudo aveva perduto la qualità di feudatario, che si acquistava invece dall’acquirente, che veniva iscritto nei cedolari feudali ai fini della corresponsione alla Regia Corte della quota di adoa , nella sua nuova qualità di vassallo.

 

“Nei cedolari non si trova normalmente menzione nè dei titoli, nè dei predicati, perchè seguendo il titolo una sorte diversa dal predicato, era inutile far menzione del titolo; non occorreva far menzione del predicato , perchè questo era strettamente connesso , anzi era l’espressione esteriore del possesso del feudo, il quale determinava l’iscrizione nel cedolario.

Il predicato nel caso di vendita del feudo titolato spettava sempre all’acquirente; e se il titolo fosse stato poggiato su due feudi, nel caso di vendita di uno dei due feudi, restava poggiato sull’altro feudo non venduto.

L’esercizio della giurisdizione feudale sui feudi in capite, dopo l’istituzione dei cedolari, nel Regno di Napoli si presumeva col solo fatto dell’iscrizione nei cedolari stessi, che rappresentava la prova del vassallaggio verso il Sovrano. Nè mai fu dalla Consulta Araldica chiesta la prova dell’effettivo esercizio della giurisdizione per consentire il trapasso del predicato nei discendenti dell’acquirente del feudo.

Il predicato spetta all’ultimo intestatario del feudo, in linea discendente maschile, all’atto dell’abolizione della feudalità, secondo l’ordinamento nobiliare del 1929 e del 1934, in conseguenza dell’abolizione della successione femminile (more siculo)”. Carmelo Arnone, monografie citate.

 

I titoli con predicato rappresentavano perlopiù quindi un titolo collegato in origine ad un feudo di cui il predicato non rappresentava altro che il nome del feudo titolato.

Non raro l’esempio di famiglie che cangiavano il loro originario cognome per adeguarlo a quello del feudo conseguito. Non raro l’esempio di separazione, come innanzi citato per vendita del feudo,  del titolo, anche se poggiato sul predicato e quindi sul feudo, dal predicato, per refuta o per altri eventi e condizioni :

 

Ne troviamo un esempio nel caso di refuta del solo titolo , e non del predicato, fatta il 21.6.1751, dal principe di Frasso Don Gerardo Dentice, il quale rinunciò in favore del figlio Placido , al solo titolo di principe sul cognome. Diceva il Dentice nella sua istanza di refuta al sovrano che egli rinunciava al titolo < che godeva sul proprio cognome > senza fare alcun accenno al predicato o feudo di Frasso, intendendo così rimanere in possesso di detta terra Arnone, Rivista Araldica , Novembre 1950.

 

Il regio assenso, in caso di vendita del feudo titolato, era ritenuto indispensabile., anche se i principi del diritto feudale, a cominciare, nell’Italia del meridionale, dalla costituzione di Ruggiero I e quella di Federico II, ne vietassero l’alienazione.  Ma nella realtà dei fatti l’alienazione (sempre subordinata al regio assenso volto sia a restituire nelle mani del sovrano, da considerarsi unica e legittima fons Honorum, la prerogativa della grazia sovrana, sia per il fine, più venale che nobile, di rimpinguare le casse statali) rappresentò un fenomeno ricorrente e diffuso. Cfr. regie prammatiche: N. 4 del 1531 da parte di Carlo V; le prammatiche “ De feudis “ XVII del 1561 e XXVI del 1586.

 

Nel Regno di Napoli il fenomeno risultò particolarmente inflazionante la titolatura nobiliare:

 

 L’elevato numero di titoli, soprattutto di duchi e marchesi, che tanto li ha svalutati di fronte agli stranieri, è dovuto al fatto che in caso di vendita di un feudo titolato, il venditore o tratteneva il titolo, o otteneva di trasferire l’anzianità ed il titolo su altro suo feudo o predio, che talvolta assumeva il nome di quello venduto, mentre il compratore otteneva la concessione di un nuovo titolo. Così da uno derivavano due titoli...“ Cfr. Arnone, Rivista Araldica, 1950.

 

Il fenomeno risulta particolarmente evidente se si raffrontano nel tempo le titolature con predicato, così come censite, nel regno di Napoli:

 

“ Nel 1579 avevamo titoli di principe:13; di Duca: 23; di marchese 28; di conte 27.

Nel 1610 di principe 38; di duca 57; di marchese 85; di conte 59.

Nel 1710 di principe 53; di duca 259; di marchese 246; di conte 52.

Nel 1900 di principe 150; di duca 266; di marchese 268; di conte 70. Passandosi così da un totale di 91 titolati nel 1579 ai 754 del 1900. E ciò senza tener conto dei titoli onorari poggiati sul cognome, di quelli del S.R.I, di quelli pontifici o di altri stati (Piemonte, Parma ecc.) e di quelli estinti “. Cfr. “ Sulla feudalità e sui grandi domini feudali nel Regno di Sicilia e sul Principato di Taranto “ in Rivista di storia del Diritto Italiano, settembre-dicembre, 1931. Registri Titolatorum conservati nell’Archivio di Stato di Napoli. Atti delle Secreterias Provinciales , fra cui quella di Napoli, conservati nell’Archivio Generale di Simancas ( Valladolid ). Le concessioni dei titoli nobiliari dal 1504 al 1555 ( Ferdinando il cattolico 1501-1515; Carlo V e Giovanna sua madre 1515-1555 ).  Don Livio Serra di Gerace , Napoli , Deltken, 1910 ed Archivio Storico Gentilizio del Napoletano, vol. I , Napoli, 1895: Dei titoli concessi dai re di Spagna: Filippo II e Filippo III d’Austria - 1555-1606, qual re della Sicilia ultra Faro. Le concessioni dei titoli nobiliari dal 1607-1700, non registrate nei volumi Titulatorum Collateralis dell’Archivio di Stato di Napoli. I registri Titulatorum del Collaterale e il Volume VII ora perduto, dal 1652-1664.  Registro del Mappamondo, opera citata. Carmelo Arnone: più articoli dal 1948 al 1951 su Rivista del Collegio Araldico oltre a “ Diritto Nobiliare Italiano “ Hoepli, 1935. Marchese Persichetti Ugolini, rivista del Collegio Araldico, 1926, pag. 103.

 

Per ciò che concerne il titolo di barone “ viene ripetuto che esso venne conferito rarissime volte per vere e proprie concessioni, ma che lo stesso spetta a quanti furono intestatari di feudi (feudo nobile insignito di effettiva giurisdizione ) nei Regi Cedolari “. Cfr.: barone Antonio Guerritore, Rivista Araldica, 1947, pag.232. Arnone, Diritto Nobiliare Italiano, Hoepli, 1935. Similmente il Rivera, il Padiglione, il Baviera in Rivista Araldica, 1926, pag.187.

 

La Consulta Araldica sfoltì di molto questi numeri aberranti maturati nel regno di Napoli, con il riferimento giuridico che per essere ritenuti di diritto veri feudatari occorreva la sovrana investitura con il regio assenso ed il regio riconoscimento che si otteneva mediante l’iscrizione nel Cedolario. Parimenti tutti i titoli legati a feudi acquisiti dopo il 1806, anno in cui fu promulgata la legge eversiva della feudalità, mancando dei requisiti del regio assenso, (che non poteva più quindi essere richiesto ne concesso), non furono riconosciuti dalla Regia Consulta che impugnò la validità della vendita denegando conseguentemente il riconoscimento del titolo al nuovo acquirente.

Doverosa parentesi sulla data effettiva dell’eversione della feudalità, universalmente, o quasi, accettata come 1806, verosimilmente perchè in questo anno venne promulgata tale legge nel Regno di Napoli ove l’istituto feudale era più vastamente applicato.

“ L’eversione feudale ebbe luogo in Piemonte con i decreti 7.3.1797 e 29.7. 1797, confermati con Regi editto 18.11.1817; in Lombardia con le leggi della Repubblica Cisalpina 10.6.1796 e 24.3.1798; in Veneto con decreto 15.4.1806; Negli Stati Pontifici con decreto 24.7.1809, confermato con Motu Proprio di Pio VII in data 6.7.1816 (per le province di Bologna, Ferrara, Romagna, Marche, Urbino, e per i Ducati di Benevento e Camerino); in Toscana con decreto 8.4.1808; nel Regno di Napoli con legge 2.8.1806; nel Regno di Sicilia con legge 10.8.1812; in Sardegna con Regio Editto 21.5.1836 ”. Gaslini, La cognomizzazione dei predicati nobiliari, in Riv. Dir. Civile , N.1, 1991.    

Ulteriore argine all’inflazione di titoli nobiliari venne posto allorquando si pose fine alla successione di titoli, per linea di sangue femminile, retaggio della legislazione siciliana.

Tale ostinato ed intransigente comportamento da parte della Consulta, che con metodica e sorda pervicacia applicava le sue norme, per la verità a volte offensive anche della documentata verità storica, si abbattè sulla nobiltà di ogni stato preunitario provocando diatribe senza fine e querimonie da parte di tutti coloro che si sentirono spogliati di diritti ricoperti ed incontestati per secoli. Passate alla storia le querimonie degli eredi della Repubblica di Genova e Venezia, le contestazioni della Nobiltà delle Provincie Napolitane, le astiose polemiche sul Patriziato e Nobiltà calabresi.

All’uopo riportiamo integralmente il seguente passo:

 

Ed ora non possiamo tralasciare di ricordare come la Consulta Araldica del Regno d’Italia con arbitrari provvedimenti abbia voluto deliberatamente rifiutare il riconoscimento di numerosi ed illustri patriziati ad altrettante nobilissime città d’Italia, specialmente ad alcune che, come Catanzaro, appunto in base alla loro antichissima nobiltà avevano ottenuto, nientedimeno, che i privilegi di Serrata o Piazza Chiusa. (Rigida divisione in ceti civici di cui, il primo (o Patrizio) ed il  Secondo  (o nobile civico), riuniti in collegio o corpo chiuso con diritto di occupare le cariche riservate nel pubblico reggimento e prerogative di un proprio Seggio o Sedile. Nel terzo ceto o classe era annoverata la nobiltà di brevetto ben separata dalle altre due).  

Nè basta!

Sentiamo anche il dovere di sottolineare come la Consulta si sia compiaciuta, per colmo di misura di riconoscere ora si ed ora no, delle città di una stessa regione, le due forme di civica nobiltà: il primo ed il secondo ceto. E ciò senza tenere in nessunissimo conto i pur esistenti e ben chiariti rispettivi Statuti e Costituzioni ma seguendo una linea di condotta assurda, antistorica ed antigiuridica per eccellenza in netto ed aperto contrasto con quelle che fu ed è la più rigida e lampante realtà dottrinaria”. Luciano Gabriele Moricca, Riv. Araldica, gennaio, 1951.

 

Le dotte, ma inascoltate lamentele del Moricca risultavano, alla luce della realtà storica del meridione, tutt’altro che peregrine infatti non poteva risultare possibile confondere la nobiltà civica con la generica o negare l’esistenza di un patriziato visto che nella maggioranza delle città a cui si faceva riferimento:

 “ Il primo e secondo ceto cittadino oltre che godere dei privilegi loro assegnati dagli Statuti delle singole città, oltre che fruire di tutte le prerogative di Corte, Aula e Milizia loro concesse dalla Regia Regalia, potevano essere ammesse fra le Reali Guardie del Corpo a Cavallo di S.M. il Re delle Due Sicilie, come può rilevarsi dalla “Matricola“ di tale Reggimento pubblicata dal Dottore Egidio Gentile dell’Archivio di Stato di Napoli. Moricca, come sopra.

 

Per buon peso, onde giungere a tali negazioni, la Regia Consulta dovevano colpevolmente tralasciare, come inesistenti, la Legge Dichiarativa 25.1.1756, il Regio dispaccio 16.10.1743 e quello del 24.12.1774 con i quali Carlo III aveva tenuto a chiarire il vecchio concetto sovrano delle categorie di nobiltà che già, sin dal primo ‘500, era posto in pratica anche dalla Gran Curia Arcivescovile di Napoli. 

 

Daltronde gli stessi Savoia, dopo tale falcidie di patriziati, nobiltà e titolature perpetrata ufficialmente allo scopo di impedirne lo svilimento, iniziarono poi ad inflazionare la titolatura, per le evidenti pressioni e per altri comprensibili fattori interagenti, se non coattivi, a cui è sempre soggetto chi regna ed amministra, allorquando dal 26.6.1910 abolirono, nel provvedimento di grazia sovrana, l’obbligatorietà della causale.

 

“ La motivazione dei provvedimenti nobiliari di grazia che permetteva il controllo della pubblica opinione sulla regia prerogativa, fu successivamente e gradualmente abolita, fino a trovare legale applicazione nei moduli 1 e 2 allegati all’ordinamento del 1943, in cui non si trova traccia di motivazione. La mancanza di obbligatorietà della motivazione facilitò certamente la larghezza e la degenerazione dei provvedimenti nobiliari di grazia. Arnone, Rivista araldica, Aprile 1951.

 

 

Ogni stato preunitario , nel riordino dello stato nobiliare italiano voluto dai Savoia, ebbe la sua parte di batosta: lo Stato della Chiesa, in particolare le Marche, con la mancata sanzione, come già accennato, di molti titoli comitali, sebbene giutificabili nel raziocinio di insorgenza,  per i quali non era possibile invocare , ai fini del riconoscimento , neanche il lungo uso , dato che per questo era richiesto il possesso pacifico e pubblico per 150 anni.

Dopo varie incertezze non fu neanche riconosciuto dal governo italiano il titolo di conte palatino concesso, per delega degli imperatori o del papa , dalla famiglia Sforza fin dal 1539, dai patriarchi, arcivescovi e vescovi assistenti al soglio pontificio. I cardinali potevano per detta delega creare 12 cavalieri aurati e conti palatini, mentre i patriarchi, arcivescovi e vescovi solo 4.

Parimenti non furono riconosciuti i titoli di conte palatino derivante dall’appartenenza ad alcuni Collegi nobili o ad Università degli studi.

“ Il titolo di conte palatino non si riconosce come titolo gentilizio e trasmissibile quando fu conceduto: ai componenti di un determinato Collegio, agli investiti pro tempore di un ufficio, e da Delegati, sia perpetui che temporanei del Papa e dell’Imperatore “. Massimario della Consulta Araldica.

Dopo questa falcidie di titoli marchigiani perpetrata con mano pesante dalla Regia Consulta del Regno d’Italia, fu pubblicato nel 1896 dal professor Carlo Malagola, direttore dell’Archivio di Stato di Bologna, uno studio, più astioso ed irrispettoso che, come nei propositi, mordace, delle realtà storiche delle regioni dell’ex Stato della Chiesa su: “L’abuso dei titoli nobiliari in Bologna e nelle Romagne“. 

Si ricorda in proposito che per un privilegio di Carlo V del 15.1.1530 i professori di leggi dell’Università di Bologna, venivano creati cavalieri aurati e conti palatini dopo venti anni di insegnamento. Questo privilegio fu esteso con bolla 1.6.1540 di Paolo III all’Università di Macerata; con bolla 26.1.1564 di Pio IV e con bolla di Sisto V del 1585 a quella, allora esistente, di Fermo. L’università di Macerata, partendo dal concetto che essa costituiva un collegio nobile e cavalleresco, e poteva quindi aggregare altri dottori e cavalieri, estese il privilegio a dottori in utroque jure, conferendo con il dottorato anche la dignità ed il titolo di cavaliere aurato e di conte palatino, ciò che rese quella Università assai frequentata da parte anche di studenti stranieri, allettati dal titolo di conte palatino. Questo stato di cose durò per l’Università di Macerata fino al 1823, con l’interruzione dal 1808 al 1816 per effetto della soppressione dell’università durante l’occupazione francese.

 

I privilegi a favore degli insegnanti universitari di leggi già erano stati concessi all’Università di Padova dopo 16 anni di insegnamento dall’imperatore Federico III con diploma del 23.1.1452 e furono estesi, dopo 20 anni di insegnamento, alle Università di Ferrara e di Perugia con bolla 25.3.1530 dal Cardinale Legato Grimani. Per maggiori notizie sull’Università di Macerata vedi lo studio del professore A. Visconti nel volume: Macerata, 1933,pag. 39; nonchè gli articoli dell’Avvocato Canuti e mio dal titolo: I privilegi dei professori e scolari nelle università dell’ex Stato Pontificio, pubblicati nella Rivista Araldica, 1939, pag. 292 e 372 “. Arnone, opere citate.

 

 “ Questo titolo di conte palatino attribuito agli insegnanti universitari avrebbe dovuto nelle intenzioni essere inerente alla carica ricoperta e quindi personale durante la vita, senonchè invalse l’uso negli stati pontifici di trasmetterlo ai discendenti “. Moroni: Dizionario di erudizione storico ecclesiastica , vol. 49, voce Palatino, pag.149, Venezia, tipografia Emiliana, 1848. Ernesto  Garulli : Nicola Laurantoni di Massignano deputato della Costituente Romana 1849 caduto per Roma, Draga , Ancona, 1949. I Senatori fermani del Risorgimento: Gigliucci conte Giovanni Battista, Monti conte Domenico; Trevisani marchese Giuseppe Ignazio - Profili dettati da Luigi Mannocchi pubblicati da Ernesto Garulli con qualche nota illustrativa, Marina Palmense 1948.

 

“Scarse sono le fonti legislative riguardanti le feudalità, al contrario di quanto riportato per il Regno di Napoli, e la nobiltà degli Stati della Chiesa, tanto che alcune di esse fonti non furono neanche comprese nel Memoriale per la Consulta Araldica nelle edizioni del 1873, 1888 e 1924.

Sulla feudalità negli Stati della Chiesa vedi G.Tomassetti , Feudalismo Romano, in Rivista internazionale di scienze sociali , Roma 1894-1895; Belli M. De Feudis, Commentarius, Romae, 1792 , e le voci Feudalesimo e Feudo nel Digesto Italiano nell’Enciclopedia Giuridica Italiana, nell’ Enciclopedia Italiana Treccani e le opere di Storia del Diritto italiano del Pertile, Ciccaglione, Salvioli, Solmi, Besta“. Arnone, opere citate.

 

Molti patriziati ne ebbero anche a risentire per la discutibile tesi della non esistenza del ceto patrizio in molte città, anche se di prima e seconda categoria, (come Montalto , tipico esempio di titolatura assegnata storicamente non esatta, in cui fu riconosciuta solo nobiltà e non patriziato) oltre al mancato riconoscimento del rango di città ad alcuni paesi certamente meritevoli per la distinzione dei ceti e gli statuti da sempre applicati (tipico esempio di Monterubbiano che rimase esclusa dal novero delle città aventi nobiltà per effetto del Motu Proprio del 21.12.1827, pur mostrando statuti comprovanti separazione di ceti).

 

“ La questione era (ed è tuttora) da farsi soltanto sulla interpretazione della possibilità o no, della esistenza di una “nobiltà generica“ in quei centri abitati di cui fosse (o sia) discutibile, secondo gli insegnamenti del “diritto comune“ e senza espliciti riconoscimenti o concessioni da parte delle autorità imperiale o pontificia (in caso di creazione di sedi vescovili) la natura di “ Città “. Ora, sembra (e ci accostiamo quindi all’opinione del Muratori) che, in caso di dubbio, potesse essere sufficiente dimostrare che, in queste località la Costituzione amministrativa locale, statutaria o di privilegio, ammetteva, di diritto (o forse anche di fatto), la separazione effettiva dei ceti sociali a norma delle consuetudini vigenti e consone allo spirito pubblico e giuridico del tempo.

Bastava insomma che vi fosse una distinzione tra popolari o plebei (o rustici o coloni o sudditi feudali ecc.) e non plebei (o cittadini o nobili, o burgenses o curtiisii o proprietari di terreni ecc.). Occorreva poi che il centro fosse almeno un castrum, o una pieve e non fosse infeudato, (salva in questo caso la separazione personale di determinate famiglie, soprattutto cittadine).

Coloro che non erano considerati plebei avevano quindi radicata in sè una “presunzione“ (o un inizio) di “nobiltà semplice generica“, (soggetta ad essere perduta, se non si mantenevano i requisiti originari) e valutabile a tutti gli effetti, per quanto essa fosse tale da doversi integrare con gli altri elementi che la tradizione ed il diritto richiedevano in materia di “prove“ nobiliari vere e proprie.

Tutto ciò appare logico anche sotto l’aspetto giuridico quando si pensi che la Nobiltà (anterior- mente a concezioni moderne che ritengo errate) era valutata come condizione di vita e non come titolo (cioè come dignitas) per il quale occorreva sempre un conferimento da parte di un ente o di una persona munita di giurisdizione e di sovranità (attuale) o, quanto meno, di autonomia. Questi enti sovrani o autonomi che potevano conferire titoli, in via esclusiva, non potevano invece che “ riconoscere “ la nobiltà semplice dopo che essa si fosse maturata in un congruo lasso di tempo.

Comunque dal loro riconoscimento non dipendeva la consistenza della condizione nobiliare che poteva sussistere autonomamente anche in elementi residenti in questi centri minori.

Un discorso diverso deve farsi invece per quanto si riferisce al “patriziato“ e al “titolo patriziale“ per il quale, probabilmente, erano necessari i requisiti veri e propri delle civitates (o città) a norma del diritto vigente (municipium, diocesi, mura, autonomie cittadine, corpo di famiglie originarie costituenti la Comunità con privilegi fiscali e giuridici tali da creare una separazione “nativa“ dalle famiglie immigrate ecc.): per la sussistenza di questa classe, la quale, del resto, si trova generalmente nei Consigli Civici, distinta dalla “Nobiltà“ semplice. Il punto giuridico in materia di prove nobiliari civiche ammesse come per l’Ordine di Malta, diremo concludendo, siimpernia insomma sulla natura della separazione del ceto nobiliare, sulla identificazione degli individui ad esso appartenenti. Nè bisogna dar peso alla obbiezione della “contemporanea“ partecipazione agli uffici pubblici da parte di elementi appartenenti al ceto popolare, i quali collaboravano con i nobili per la parte che li riguardava, perchè separazione non voleva dire distacco nè tantomeno disdegno, quando si dovevano trattare interessi collettivi comuni. La distinzione di classe, anche nel passato, non era, come oggi si crede da molti a torto, uno stato di contrasto.

Ricorderemo anche che, opportunamente, il Muratori ammonisce che la “nobiltà“ pretesa dall’Ordine per i suoi membri era conforme al concetto aristotelico (Politica, L. IV) che la immedesimava nella educazione, nella magnificenza, nella generosità, cioè nella “virtù“ di cui era garante  anche uno stato di ricchezza tale che permettesse l’esercizio di essa (astensione da arti vili e distacco da interessi materiali). La estensione ai “quarti“ della discendenza genealogica, perfezionata da un conveniente spazio di tempo, documentata da attestazioni pubbliche, non interrotta da oscuramenti di condizione, (che non cancellavano i requisiti originari, ma li rendevano temporaneamente inoperanti), contribuiva a far sì che da un concetto filosofico si passasse ad uno stato (status) giuridico". Gian Donato Rogadeo, Del ricevimento dei Cavalieri... dell’Ordine Gerosolimitano, Napoli, 1785. E. Nasalli Rocca, La Nobiltà ed il suo riconoscimento, in Riv. Araldica 1948, nonchè gli studi di alessandro Visconti ivi citati, Della Nobiltà e delle sue prove secondo il Diritto Italiano, 1942 e De Nobilitate doctorum legentium in Studio Generali in Studi in onore di Enrico Besta, Vol III ( Milano, 1939).

Per la questione generale della “ Nobiltà” specialmente sotto il profilo “ Patriziale” e sui nuclei del suo svolgimento storico, vedi anche opera del patrizio di Ancona, marchese Carlo Trionfi, Le vie della Montagna, Milano, Vita e Pensiero, 1949, nonchè Emilio Nasalli Rocca, Sulla natura Giuridica e sulla funzione delle classi e delle famiglie patrizie nelle città medioevali italiane, in Riv. Araldica, 1933 (Ott.).

   

 

Per tornare al tema conduttore e precipuo riferimento alle Marche i titoli nobiliari di natura feudale con predicato, poggiati cioè su feudo o territorio, è da rilevare che per lo più il feudo si presenta in forma impropria, caratteristica prevalente negli Stati della Chiesa, e che lo avvicina ad una forma enfiteutica o livellare, o anche ad una semplice forma di obbligazione di prestazione annuale di derrate in denaro o animali.

Nel ducato di Urbino, i feudi erano quasi ovunque, a guisa di allodi e cioè liberi da qualsivoglia diritto altrui, per impedire che i feudatari, a causa delle guerre e lotte politiche, li avessero avuti confiscati, se fossero stati di diretto dominio dello Stato della Chiesa.

 

“Ricordo ad esempio: il titolo di conte del castello di S.Angelo a Gabicce, nel contado di Pesaro, concesso a Giulio Cesare Mamiani nel 1584 dal Duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, la cui prestazione consisteva in dodici serte di fichi secchi all’anno; la infeudazione del castello di Mirabello in diocesi di Fano di pertinenza dell’abbazia di S.Lorenzo in Campo e concessa dal papa Bonifacio IX nel 1396 al conte di Montevecchio con obbligo di pagare una libbra di cera ogni anno nel giorno delle festività di detto santo; il titolo di conte sul castello di Montelabate  concesso nel 1540 dal duca Guidobaldo della Rovere a Giovanni Giacomo Leonori con l’obbligo di prestare ogni anno un paio di capponi o un paio di pernici o starne nel mese di gennaio; quello di conte del castello della Merula nella provincia di Massa Trabaria concesso nel 1533 dal duca Francesco Maria della Rovere con l’obbligo di pagare ogni anno due colombi, prestazione commutata da papa Urbano VIII nel pagamento di due testoni all’anno nella festa di San Pietro e Paolo. Per il chirografo 18.2.1689 di Innocenzo XI taluni predicati di detti titoli furono aboliti, permanendo però il semplice titolo di conte“ Burattini, Arnone, opera citata.

 

I titoli così detti appoggiati sul cognome erano titoli non vincolati ad un predicato o ad feudo, scollegati pertanto dalla realtà e consuetudini feudali, ma semplicemente riferentisi, in primis, al primo beneficiatario di un provvedimento di grazia sovrana e successivamente (in genere se non personale e quindi trasmissibile), ai suoi successori.

Peraltro l’art. 16 dell’Ordinamento dello stato nobiliare italiano approvato con regio decreto 7.6.1943, n. 651 così recita: “ Su domanda degli interessati, mediante decreto del Capo del Governo, può essere consentito ai primogeniti, capi di famiglie, insignite di titoli ex feudali, di appoggiare il loro titolo principale al cognome oltre che al predicato feudale “.

 

La feudalità di impropria applicazione nelle Marche apparve più manifesta nelle concessioni effettuate sotto Clemente XIII e Pio VI, allorquando, in deroga alle comuni norme legislative regolanti le disposizioni feudali , vennero eretti tenute e poderi in Nobile ed Illustre titolo di Contea o Marchesato (con predicato feudale, ma senza l’obbligo collegato di prestazioni nei confronti del concedente , tranne la tassa di erezione) , con la facoltà connessa in favore dei beneficiatari e possessori, anche solo pro tempore, di detti fondi di trasmettere a figli, discendenti, eredi anche estranei ed in perpetuo “privilegi , immunità e prerogative ..    con facoltà di usare in ogni luogo pubblicamente e privatamente le Armi e le Insegne solite portarsi da simili Conti .. o Insegne, Titoli o Gradi o Dignità Privilegi che qualsisieno Conti  Antichi Nobili ed Illustri tanto Pontifici, quanto Imperiali , Regali o Ducali di Feudo".

 

L’Arnone ricorda come esempi: ”La contea di Brugneto e Sambuco composta di 5 poderi, eretta da Clemente XIII il 30.7.1759 a favore di Luca Giannini, passata alla famiglia Ancajani di Spoleto, e da questa alla Viola di Senigallia; la conte di Bacacciana consistente in una tenuta nel territorio di Camerano, contrada Speranza (provincia di Ancona) eretta da Pio VI il 1.7.1789 a favore di Muzio Bonandrini, e passata con chirografo dello stesso Pontefice del 23.8.1792, al Conte Giovanni Zara, alla cui discendenza diretta il titolo attualmente si appartiene; il marchesato del Piano di Brogliano, San Giovanni e Nescorose, costituito da tre tenute, concesso il 12.7.1792 a Camilla Cambi, sposata a Voglia di Camerino e passato ai Ceccaroni per successione femminile; la contea di San Cristofaro, costituita dalla tenuta già di Castel Sigismondo, eretta il 7.7.1796 da Pio VI a favore dei fratelli Felice e Fabio Plebani, e dei figli di Fabio e discendenti , eredi e successori in perpetuo, possessori pro tempore della medesima tenuta. Altro esempio è costituito dal marchesato di Nannerini, formato da una tenuta detta Nannerini, sita a Sant’Elpidio a Mare, già sottoposta a fidecommesso primogeniale da Nicola Nannerini, ed eretta con chirografo 14.2.1788 di Pio VI in Nobile ed Illustre Titolo di Marchesato a favore del nipote di Nicola, Nobile Luigi Nannerini e suoi discendenti in perpetuo possessori pro tempore. Essendo la tenuta sottoposta a primogenitura, non potevano essere chiamati a succedere se non i discendenti primogeniti, con esclusione quindi d’ altri eredi successori pro tempore della tenuta stessa”.

 

Difatti detti Conti e Marchesi erano rispettivamente aggregati al numero dei Conti Palatini (il cui titolo era solo onorario ed appoggiato sul cognome, di regola personale e non ereditario) ma venivano ammessi al godimento dei privilegi facoltà e prerogative dei Conti e Marchesi di feudo, e quindi con diritto all’uso del predicato, e con facoltà di trasmissione a chi avesse avuto il possesso, anche temporaneo della tenuta o dei fondi, mentre in base alla ordinaria legislazione feudale pontificia, solamente i territori abitati, sottoposti permanentemente alla giurisdizione del feudatario, potevano essere eretti a feudi titolati mentre, nel nostro caso, non si avevano territori sottoposti ad alcuna giurisdizione permanente del feudatario.

 

                                        

        

La più consistente attribuzione nobiliare marchigiana, come peraltro nelle altre regioni dello Stato Pontificio, era costituita dai Patriziati e Nobiltà civiche che in molti, e per lungo tempo, hanno tentato di relegare in nobiltà secondaria o minore.

Minore certamente nell’ordine gerarchico della titolatura, ma non certo nella “antichità” caratteristica dirimente e di prestigio, imprescindibile per la valutazione anche di generosità. Molti recenti titolati, che tanto vorrebbero offendere i patriziati e le nobiltà civiche, certamente non sanno che, se pur decorati con titolo, non son nobili: qualche famiglia marchigiana è riuscita a rinvenire l’atto di aggregazione della propria famiglia ad un ceto civico addirittura nel XIII o XIV secolo. Quanto sopra spiega la bramosia dei nuovi investiti nel ricercare, anche a costo di plasmare a loro comodo la storia, un nobile lustro familiare, certamente mai esistito (a meno che l’investitura del titolo non fosse piovuta su famiglia di cui già in precedenza era stata riconosciuta nobiltà).

 

“La nobiltà dei patriziati e nobiltà cittadine infatti è nobiltà generosa; Allorquando i consigli nobili aggregavano un individuo non creavano in questi nobiltà, ma accertavano e dichiaravano che egli e la sua famiglia per l’antichità, il tenore di vita, la posizione sociale ed economica , la capacità, i parentadi, avevano i requisiti per essere egli ammesso a far parte del consiglio. La nobiltà quindi degli appartenenti ai Consigli civici era dichiarativa e non attributiva, ed inoltre generosa cioè proveniente da una lunga serie di avoli ed infissa nella schiatta tanto che veniva considerata valida come prova nobiliare per l’ammissione negli ordini militari “.

Nobiltà è qualità, e quindi deriva dalla appartenenza ad una famiglia nobile; titolo è una onorificenza a carattere personale o ereditario. Si può essere titolato senza essere nobile; la nobiltà si acquista dal titolato col decorso del tempo, valutato in media in 200 anni o tre generazioni escluso il primo titolato.

Una famiglia può essere nobile: A ) per possesso ab immemorabile, quando cioè manca il titolo primordiale, cioè quello da cui ha preso inizio la nobiltà; B ) per possesso di feudi; C ) per appartenenza ad un consiglio di una città in cui esisteva separazione dei ceti; D ) per aver ricoperto uffici o cariche riservate ai nobili considerate nobilitanti; E ) per avere un ascendente diretto appartenuto ad ordini cavallereschi militari; F ) per possesso della nobiltà generica ( di quella di cui non si può dare alcuna specificazione, nè sull’origine nè sulla qualità ma che le famiglie che ne sono in possesso, provano dimostrando di essere vissute more nobilium per tre generazioni almeno, al tempo in cui la nobiltà esisteva ancora come fatto legale e come realtà politica e di essere state trattate come nobili dai contemporanei di ciascuna generazione ); G ) per essere stato un ascendente diretto insignito di un titolo nobiliare o di una onorificenza di ordini cavallereschi che producevano nobiltà; H ) per diploma sovrano o brevetto o breve o chirografo pontificio, cioè quando il Sovrano o il Pontefice, mediante una solenne dichiarazione attribuisce la nobiltà. In tal modo quello che era una qualità si trasformò in titolo per cui tanto si è discusso se la nobiltà sia qualità o titolo.

Nella nobiltà per brevetto il titolo primordiale nasce, non dalla situazione di fatto occupata dall’individuo in seno alla sua famiglia, ma dalla volontà sovrana. Questa forma di conferimento della nobiltà è antica, ma si allargò durante il Sacro Romano Impero, attribuendosi nei diplomi, non solo all’onorato, ma come se egli fosse nato da avi paterni e materni nobili ( la prova dei 4/4 di nobiltà ), in modo da trasformare con una finzione nascente dalla volontà sovrana, quella che era la nobiltà originaria del primo concessionario, in nobiltà generosa, cioè proveniente da una lunga serie di avoli ed infissa nella schiatta ( ex genere ) per la quale si richiede un lungo corso di tempo. Anche i Pontefici, adattandosi ai tempi, nello scorso e nello attuale secolo hanno creato nobili per breve“. Burattini, Arnone, opera citata.

 

Ed Ancora sul Patriziato e Nobiltà Civiche, loro alta dignità ed essenza di qualità:

 

Il Patriziato e la Nobiltà Civica non è invero un fenomeno solamente ed esclusivamente italiano; ma è utile notare come specialmente in Italia esso si sia affermato in modo si notevole da fondere in un tutto unico ed indiscindibile la propria storia con quella delle rispettive Città ed in modo tale che si può con orgoglio e sicurezza affermare essere la Storia d’Italia gloriosissima Storia del Patriziato italiano.

La Nobiltà infatti si contentava solamente di vivere la storia della sua Città, o Provincia o Regione ma materialmente la creava con il suo sangue e con il suo ingegno, con le sue leggi e con i suoi commerci, in una parola con tutte quelle alte ed elette azioni che unicamente miravano al bene del popolo e della collettività.

Fu perciò con vero dolore che assistemmo allo scempio del Patriziato italiano operato con infantile leggerezza dagli Onorevoli Costituenti (Del recente Stato Sabaudo) in pro della Nobiltà di solo titolo (Cioè senza storia perchè priva del presupposto delle “ antecedenze “non certo creabili per decreto).

Il Patriziato e la Nobiltà Civica dunque, benchè tanto si sia discusso sull’argomento, non è e non può essere - come mai lo è stato - un titolo bensì una qualità.

Uno stato di fatto cioè insito nel nomen gentilicium; uno stato di fatto venutosi a creare spontaneamente nel lungo decorrer dei secoli e non per volontà estranea ma per merito suo proprio - per Grazia di Dio, oseremmo dire (Non certo sovrana) -; uno stato di fatto che come ben disse l’Eccellentissimo Signor Duca di Carcaci, nessuno, sia esso Re o Imperatore o Papa, poteva mai concedere ma era costretto solamente a riconoscere.

Ne va annoverata nel ristretto campo del Patriziato e della Civica Nobiltà la così detta nobiltà feudale o di brevetto, che era appunto emanazione di grazia sovrana e che poteva quindi essere concessa per meriti eccezzionali anche ad ignobili, ma che, per divenire illustre e generosa, doveva passare al rigido vaglio delle ben note quattro generazioni, uso consuetudinario che trovò in Carlo III (Meridione) il suo ottimo e definitivo legislatore“. 

In poche parole l’immissione al ceto della Nobiltà, non solo marchigiana, era considerata non come attributiva di una nobiltà già preesistente ma ricognitiva di essa.

Il Patriziato e la Nobiltà era inoltre trasmissibile di padre in figlio, di generazione in generazione nei membri della stessa famiglia ed era, ed è sempre stata, considerata nobiltà generosa, dipendente cioè dal genus , dalla stirpe, in una parola dal diritto imprescindibile del sangue.

A miglior chiarimento di quanto sopra riporto integralmente parte di una mia monografia sull’argomento “ Titoli e Nobiltà “:

 

< <  Tutto ciò viene perfettamente chiarito dal Conte Guelfo Guelfi Camajani nel suo Bollettino Araldico del I settembre 1915, in un articolo intitolato :  " Se il Sovrano debba riconoscere la Nobiltà piuttosto che conferirla ", dal quale si stralcia il brano seguente:

                "Noi crediamo che la Nobiltà si compendi in un onore distinto e signorile, tanto per parentele contratte, quanto per aderenze, come per cariche onorifiche, il tutto confortato da un censo relativo. Se una famiglia ha così vissuto noi crediamo che in essa sia germogliata la Nobiltà che poi si raduni e si maturi dopo qualche generazione. Prevalenza di Nobiltà d'ufficio in alcuni casi, di Nobiltà civiche o decurionali in altri, di Nobiltà legata al possedimento agrario in altri ancora".

Ma sempre l'elemento comune e filo conduttore irrinunciabile appare il tempo, inteso come l' ininterrotto verificarsi per secoli di quelle date condizioni che si concretizzavano, in sintesi, nella storia di ogni famiglia.

"Nobili... purchè mantengano presentemente, col dovuto splendore, la Nobiltà trasmessa loro, dai loro antenati." Tomo I° capitolo VII° della citata legge del Granduca Francesco II° di Toscana.

Chi ha storia alle sue spalle, verificata per condizione e continuità , è nobile di diritto.

La Nobiltà dunque è un distillato di tempo, storia e continuità, non certo quindi frutto di benevola concessione da parte dell' Autorità Sovrana.

Il Sovrano non può concedere Nobiltà, può solo ufficializzare o riconoscere uno stato di fatto.

Il concetto fu solarmente espresso dal Nobile Alessandro Scala su di un articolo, di giurisprudenza nobiliare pubblicato nel 1915 col titolo: " Nobiltà non è titolo ma qualità ":

                "La Nobilitazione è stata sempre considerata dai giureconsulti come un atto sovrano col quale si dichiara nobile chi lo è già, per la posizione sua sociale, per la serie di antenati viventi, more nobilium, per le parentele contratte, per i beni posseduti.

Il Sovrano non può creare nobili, ma dichiara ossia riconosce tali, coloro che hanno i requisiti per esserlo, e il Brevetto di Nobilitazione in questo caso, altro non era anticamente che un atto valevole a far ritenere nobile, senza contestazione, una famiglia o un individuo, perchè godesse dei privilegi spettanti al ceto nobile. Questo però nei paesi, dove non esistevano le Nobiltà municipali, cioè le distinzioni di ceto nel governo dei diversi comuni nei quali il ceto nobile costituiva un Senato vitalizio che si chiamava patriziato.

Per appartenervi conveniva provare la Nobiltà, e non già per brevetto di Principe, ma con la dimostrazione che il padre e l'avo non avevano esercitato arti manuali, ed anzi avevano occupato cariche civili o militari, vivendo more nobilium, etc.

Il volere fare della Nobiltà un titolo, come quello di Barone o di Conte, che in certi paesi era inerente al possedimento di feudi ed in altri era spesso conferito ad honorem sul cognome, è un errore grossolano, nel quale purtroppo s'incorre anche al dì d'oggi. Altro errore inerente a questo, è il conferire la Nobiltà personale, perchè chi è nobile trasmette col sangue la Nobiltà ai discendenti.

In stretta analogia di pensiero il Conte Guelfo Guelfi Camajani, nel citato Bollettino Araldico del 01.09.1915 , ebbe ad argomentare:

                "L'articolo I, della legge Toscana del 1750 dice che sono nobili quelli che hanno goduto e sono abili a godere il primo e più distinto onore delle città nobili, loro patrie".

Questo veramente si riferisce all'ascrizione ai così detti Libri d'oro, che costituiva la Nobiltà patrizia, ma anche le famiglie che non arrivarono a coprire le cariche municipali, costituivano quello che negli Stati Pontifici si chiamava cittadinanza di primo grado e che anche dai moderni legislatori é stata giustamente considerata come Nobiltà di secondo ordine, cioè non patrizia.

Siccome la Nobiltà non si può provare con attestazioni giudiziali é certo e naturale che la Nobiltà debba da solo affermarsi per mezzo dello stesso suo procedere e riunire in se quelle cause coefficenti atte a determinare in essa tale capacità quasi giuridica. Quando noi riteniamo che il conferimento della Nobiltà sia un provvedimento mancante di base e perciò erroneo perchè se la materia non esiste affatto (cioé quel complesso di attributi che costituiscono la Nobiltà) il Sovrano non può assolutamente crearlo e se questa materia determinante si è già concretata la Nobiltà esiste di fatto e si afferma e quindi il decreto di conferimento ci sembra perlomeno intempestivo e assurdo".

Neanche un  Sovrano può creare, concedendo, una  storia passata, se questa non esiste. Ecco perchè un titolo legato ad un brevetto può essere oggetto di un provvedimento di grazia e non rientra invece fra le regie prerogative concedere Nobiltà che invece può essere oggetto unicamente di provvedimento di giustizia.

Il riconoscimento di Nobiltà, svincolato dalla Nobiltà sovrana, viene contemplato solo al fine di riconoscimento o negazione.

Sempre dal Guelfi Camajani:

                 "La Nobiltà, ripetiamo, deve germogliare radicarsi e maturare in una data famiglia e quando ciò accada, la famiglia è capace della Nobiltà e il Sovrano dovrà essere chiamato soltanto a giudicare delle cause coefficienti onde riconoscere questa capacità e sanzionarla, perchè non può essere soltanto per volontà del Sovrano che una famiglia possa farsi nobile se non ha in sè l'attitudine, i meriti intrinseci di esserlo, e questi meriti e questa attitudine speciale è la famiglia stessa che deve procurarseli e farli valere come proprio patrimonio. Noi riteniamo quindi che il Sovrano possa conferire qualsiasi titolo, ma che non debba conferire la Nobiltà “.

Un Sovrano concedendo un titolo, semina solo i presupposti per una Nobiltà che potrà essere, ma unicamente futura.

 E ancora il Guelfi Camajani:

                " I titoli appartengono alla corona della quale sono le gemme staccate che vengono graziosamente donate; però la Nobiltà non è patrimonio della corona, ma lo è della famiglia che da sè stessa lo ha creato con i suoi elementi particolari. La Nobiltà noi la equipariamo al patrimonio famigliare, che il Sovrano non può concedere ma solo riconoscere".

Un provvedimento di revoca può interessare un titolo nobiliare, non può o non dovrebbe, andare ad intaccare la Nobiltà che, rappresentando la storia, non solo dell'individuo interessato, ma di tutta una famiglia,non può certo essere cancellata da un provvedimento anche se Sovrano.

Cioè dalla fons honorum può provenire una concessione o una revoca di un provvedimento nobiliare concernente il titolo, non certo concessione o revoca di uno status non concedibile o revocabile: neanche il Sovrano può cancellare la storia.

Parimenti, se è vero come lo è che che la Nobiltà è storia, non dovrebbe essere possibile neanche l'adozione di un provvedimento di convalida. Se infatti é possibile per un sovrano sanare lacune nella dimostrazione del legittimo possesso di un titolo, certamente risulta  impossibile un rattoppo su dei vuoti di storia : neanche un Sovrano può alterare la storia.

Altrettanto vale per un provvedimento di rinnovazione, che se valido per un titolo nobiliare legato a brevetto di concessione, può trasmigrare da un soggetto ad altro di altra famiglia, altrettanto non può dirsi della storia familiare che, patrimonio inalienabile legato al cognome, non può certo per decreto essere affibbiato ad altri.

Pertanto, se valido il presupposto, é lecito dedurre che la Nobiltà non è soggetta a provvedimento di rinnovazione.

Si estingue una famiglia si perde per estinsione  il titolo nobiliare, perchè legato ad un brevetto da tramandare, in genere, di maschio in maschio primogenito. Non si estingue la Nobiltà della famiglia che, collegata alle vicende familiari, rappresenta la storia  stessa, patrimonio inalienabile di collaterali e consanguinei superstiti.

Dopo un provvedimento di rinnovazione certamente esisterà il titolo, altrettanto sicuro che non può esistere Nobiltà, a meno chè il provvedimento non sia andato a cadere su famiglia già di per sè nobile.

Analogamente, e qui appare in tutta la sua solare verità il concetto, mentre un titolo può essere oggetto di refuta, certamente non lo potrà mai essere la Nobiltà che come storia familiare non può essere respinta al mittente, cancellata o oggetto di volontaria giurisdizione.       

Il provvedimento di refuta è un atto portante rinnovazione in ultrogeniti o fratelli dell'intestatario : Art. 10  R.D. 7 / 6 / 1943 N. 651 .

La pratica attuazione nella storia della Nobiltà conferma che, anche se rari, non sono mancate domande di refuta di un titolo, mai sono state avanzate richieste analoghe per la Nobiltà ad un Sovrano come primo motivo perchè la Nobiltà come patrimonio genetico, storico e sociale  legato ad un cognome  non poteva essere riconsegnato nelle mani del Sovrano da un unico componente della famiglia, in secondo luogo dovendo seguire un provvedimento di rinnovazione il provvedimento sarebbe andato a donare  ad ultrogeniti e collaterali quanto già gli interessati detenevano appunto perchè consanguinei. Non è un caso che il precitato art. 10 faccia riferimento esclusivamente a titoli nobilari e non a Nobiltà o attributi nobiliari.

Da cui: neanche un Sovrano può accogliere la richiesta di restituzione nelle sue mani di una qualità, patrimonio familiare legato alla storia.

Ed ancora. La concessione di un titolo, la sua  la rinnovazione ecc. presuppongono una storia che parte, che si accende per il soggetto e per la sua famiglia,  dal  momento dell'atto sovrano.

Il riconoscimento di uno status nobiliare presuppone come  cardine originario di diritto una storia passata.

Sempre lo Scala cita delle eccezioni nella storia nobiliare:

                "Le lettere di nobilitazione si concedevano in Francia, anche ai plebei in tale caso, erano dichiarazione di Nobiltà, perchè senza tener conto della condizione di nascita dell'individuo, consideravano la Nobiltà delle azioni sue, giusta l'antico detto di Porfirio che nobilitas nihil aliud est quam cognita virtus. A questa specie di Nobiltà appartenevano i prodi guerrieri e tutti coloro che nelle cariche e negli uffici civili, militari ed ecclesiastici, giungevano a tale grado da essere considerati appartenenti al ceto nobile e da entrare de jure in possesso dei privilegi e delle immunità inerenti alla Nobiltà"

 Quanto sopra spiega l'apparente inconciliabile dicotomia fra nobili non titolati, magari con storia nobiliare antichissima e generosa alle loro spalle, e titolati non nobili, di recente investitura, quasi sempre non nobili per mancanza di precedenti storici diretti, continuati ed omogenei nell'ascendenza familiare.

Risulta un pleonasmo definire una Nobiltà di sangue anche antica perchè nella Nobiltà generosa è insito in se il concetto di pregressi fasti di storia familiare, mentre non lo è l'aggettivazione antichissima.

Nella titolazione é invece necessario definire se anche nobile e quindi quanto antica, a quando cioè risale l'investitura.

Un nuovo titolato dopo qualche generazione, sarà nobile e, da quel brevetto, parte la storia per i "nuovi" nobili titolati o, se non primogeniti, nobili dei titolati. cfr. "Titoli ed attributi nobiliari" del nob. dott. Luigi Gualtieri - Napoli 1924.

Sul precedente concetto così si pronunciava il già citato Alessandro Scala:

                " I titoli concessi dal Sovrano portano con sè implicitamente la Nobiltà, ma soltanto dal giorno del conferimento di essi e perciò non presuppongono antecedenza. E' appunto per questo che talvolta si sente affermare che tale Conte o Marchese di recente creazione, è titolato ma non nobile; perchè prima di ricevere il titolo era plebeo e soltanto i suoi discendenti dopo alcune generazioni potranno essere considerati nobili."

Non a caso l'ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano, approvato con R.D. 7.6.1943 N. 651, così, all'Art. 11, recita: la Nobiltà di sangue si acquista dal giorno della nascita; la Nobiltà per Grazia Sovrana dal giorno della concessione.

La storia della Nobiltà é ricca di esempi di soggetti recentemente investiti di titolo, in corsa per arraffare "uno spicchio di terra al sol" dal passato cercando di nobilitare la propria ascendenza con sangue avito che non poteva esistere (a meno che il titolo non fosse piovuto su soggetto già nobile), con il costruire eventi e fatti memorabili della famiglia , col rivendicare uno stemma o un feudo precedente , con lo storiografare , di fantasia , importanti cariche pubbliche, civili o religiose, ricoperte dagli avi , il tutto magari architettando fumosi riferimenti ad obsoleti, precedenti sovrani decreti, in realtà di tutto partecipi, meno che delle loro inconsistenti pretese

In genere il nuovo titolato non è nobile, perchè prima plebeo.

Quanto sopra ci da ragione della trasmissione della Nobiltà, in genere, devoluta a maschi e femmine, perchè patrimonio inalienabile, comune a tutti i membri della stessa famiglia. Il titolo, strettamente collegato al brevetto, viene invece trasmesso, normalmente, di maschio in maschio, preferibilmente se primogenito.

La Nobiltà é dunque collegata alla storia, il titolo al brevetto.

Analogo ragionamento è valido per la qualifica di Patrizio anch'essa qualità familiare, collegata alla storia, e non ad un brevetto oggetto di grazia sovrana.

Per di più un brevetto, cioè un titolo, si può sempre acquisire (potenzialità innegabile soprattutto se si ricordi che un tempo poteva essere ceduto tout court, meglio se collegato ad un feudo o essere oggetto di volontà testamentarie), la Nobiltà, patrimonio di storia e di sangue familiare, certamente no.

Esempio concreto e di frequente riscontro nella storia nobiliare era l' imposizione di cognome e di stemma ad altra famiglia da parte di agnazione in via di estinzione: la nuova genealogia creatasi assumeva con lo stemma il brevetto, perpetuandone il titolo , ma non certo la Nobiltà , che non poteva seguire il primitivo cognome, innestato in altro ceppo >>.

Il concetto appena esposto rappresenta un istituto caratteristico dello Stato della Chiesa: la surrogazione.

In base a tale istituto una famiglia si sostituiva ad altra nel cognome, nei titoli, nello stemma, nei beni oppure aggiungeva al proprio il cognome, lo stemma ed i titoli di altra famiglia, della quale era istituita erede, alla condizione che l’istituita aggiungesse al proprio il cognome i titoli e lo stemma della famiglia istitutrice, normalmente a mezzo di atto pubblico.

Con tale istituto, che a volte si intrecciava con quello del fedecommesso, si assicurava la perpetuità del nome e dei titoli e stemma di una famiglia destinata ad estingursi nella linea maschile. Nella surrogazione vera e propria, colui che surrogava l’altra famiglia abbandonava il cognome proprio per assumere quello della famiglia surrogata.   

            Citerò ad esempio di quanto sopra, non per vanagloria, ma perchè a me ben conosciuta, l’evoluzione del titolo e dello stemma nella famiglia Squarti.

-Nel XV secolo il capitano di ventura Matteo Granceschi varia il suo cognome in Squarta o per cognomizzazione del patronimico o per unione impositiva (surroga) da altra famiglia.

-Con il matrimonio contratto da Carlo Squarti con Margherita Perla di Calvi il 27.1.1672 avvenne la seconda sostanziale variazione, aggiungendosi il cognome Perla all’originale semplice Squarti, per volontà testamentaria (fidecommesso) di Giulio Raffaele Perla Cardani, zio di Margherita.

Naturalmente la pretesa era collegata ad un cospicuo lascito, che poi diede luogo ad una causa fra Margherita, le sue sorelle ed il comune di Otricoli, durata oltre cento anni.

-Più tardi, il 6.2.1700 dal matrimonio di Marcantonio Squarti con Eufrasia Ralli di Orte, avvenne l’imposizione della partitura dello stemma con quello della famiglia Ralli, o perchè quest’ultima in via di estinzione per linea mascolina (fidecommesso) o semplicemente per manifestare, come spesso si usava, una ”partitura di alleanza“. Il primo ad ergere l’arma variata colla partitura fu Ermenegildo, figlio di Eufrasia, Canonico decano della Cattedrale di Orte, poi Protonotaro Apostolico.

-Più tardi ancora nella prima metà del ‘700 Francesco Squarti , ultimogenito e quindi, a meno che non avesse vestito l’abito talare, non destinato certamente ad una vita di sfarzi, sposando Virginia Mancinelli di Narni che recava seco una ponderosissima dote, accettò di buon grado di cangiare stemma e cognome, tanto da scomparire anche come ramo collaterale e andare a ricostituire fisicamente l’entità nobiliare Mancinelli, altrimenti estinta (surroga).

Il figlio di Francesco poi, sposando l’ultima femmina di Casa Scotti (recante seco nuova consistente dote), aggiunse al nuovo ultimo cognome, appena acquisito, quello degli Scotti divenendo, dall’originario Squarti, definitivamente Mancinelli Scotti (surroga anomala o fidecommesso).  

Integralmente riporto da mia precedente monografia “ Titoli e Nobiltà “:

<< Nella prima metà del '700  il Conte Pietro Mancinelli , privo in prima persona di discendenti diretti, ma anche per parte dei fratelli  Ottavio ed Alessandro , impone a Francesco Squarta, marito della sorella Virginia e padre dell'unico nipote, di cambiare il suo cognome originario, oltre che le armi, con quello dei Mancinelli.

 

La Famiglia  Mancinelli , di cui non è stato mai rinvenuto l'atto di aggregazione al ceto nobile della città di Narni, sin dal  XVI° secolo risulta iscritta nei cataloghi delle nobili famiglie e sin da allora ininterrottamente, per secoli, è risultata in possesso dell'esercizio delle più Nobili Magistrature. Risulta una delle più antiche famiglie  di quella nobile città, tanto che qualche storico ne fa risalire le prime notizie intorno all'anno mille, con signoria su vari feudi,fregiata del titolo marchionale di Lauri, passato poi nei Lancellotti, e del titolo di Conte del S. Palazzo. Molti di questa casa sostennero le primarie cariche del Comune, come quelle dei capi dei Priori, di Priori, di Gonfalonieri e di Anziani. Scipione Mancinelli risulta essere stato commensale dell'imperatore Carlo V, Domenico Mancinelli arcivescovo di Cosenza nel 1818.

Cfr.:Elenco ufficiale nobiliare italiano ; Spreti ,1935 ; La Nobiltà nello Stato Pontificio, opera citata ; Dizionario storico blasonico, Crollalanza.                       

 

La famiglia Squarti ( in origine Granceschi, poi Squarta - per cognomizzazione del patronimico, da Matteo, capitano di ventura detto appunto Squarta - e quindi più recentemente Squarti Perla - dal matrimonio di Carlo Squarti con la Contessa Margherita Perla di Calvi celebrato il 27.01.I672 - ) originaria di Orte, sin dal XIV° secolo  aveva rivestito le cariche civili, militari e religiose più eminenti e contratto matrimoni con le migliori e più antiche famiglie della città e del viterbese. Conta più Gonfalonieri, Anziani e Priori ad Orte e Narni nel XVIII e XIX secolo; un Protonotaro Apostolico nel 1770; un Governatore Generale nel Principato di Piombino nel 1750. Imparentatasi con i Ralli di Orte ( Marcantonio Squarti sposa Eufrasia Ralli il 6 / 2 / 1700 ) divenuti imperatori di Bisanzio con Michele I° Paleologo, figlio di Giovanni Ralli, la famiglia Squarti Perla ne vantava consanguineità .Cfr. Archivi dello S.M.O.M., elenchi famiglie di antica Nobiltà generosa , 1776 ; Memorie d' Orta di Lando Leoncini, biblioteca vallicelliana ; Elenco storico della Nobiltà italiana dello S.M.O.M., ed.1960, tipogr. vaticana, pag. 304 ; La Nobiltà nello Stato Pontificio, opera citata , pag.  355 ; Città del Vaticano, Archivio dei Brevi , Archivio Borghese, prot. 384, n. 86 .                          

                              

                Al figlio di Virginia e di Francesco Squarti, divenuto ormai Francesco Mancinelli, venne imposto il nome di Ferdinando.

Questi unendosi in matrimonio con Olimpia, unica figlia del Conte Francesco Ausonio Scotti, sopportò un ulteriore unione impositiva di cognome aggiungendo al suo  quello degli Scotti >>.                                                            

                                    

 

                 Città con nobiltà civiche riconosciute delle Marche

Altri comuni, oltre a quelli d’appresso, ebbero nei secoli passati separazione di ceti, come risulta dai loro statuti, ma che successivamente non furono conservati o elevati a rango di città, per cui rimasero esclusi dal novero delle città aventi nobiltà per effetto del  Motu proprio  21.12.1827 di Leone XII di riforma dell’amministrazione dello stato eclesiastico. Per detti comuni la Regia Consulta Araldica non riconobbe nè il titolo di Patrizio nè quello di Nobile, dato che questi titoli in essi non erano in vita al momento della cessazione dello Stato Pontificio.

Risulta singolare come alcune città di importanza e corposità nobiliare certamente inferiore ad altre, alle quali fu riconosciuta dalla Regia Consulta Araldica solo Nobiltà, ebbero riconosciuto non solo Nobiltà ma anche un Patriziato. Altrettanto per altre città, poco più che semplici agglomerati urbani, dalle fumose distinzioni in ceti e dai claudicanti statuti, alle quali fu riconosciuto rango di città e Nobiltà. La spiegazione è da ricollegarsi all’influenza sulla Regia Consulta e all’interesse più o meno diretto di alcuni personaggi verso alcune città, (per semplice campanilismo perchè da queste magari originari o perchè, dal riconoscimento, poteva derivarne alla famiglia lustro e titolo) , rispetto ad altre.

Le notizie ed i nomi qui da seguito riportati dall’ Arnone, sono tratti da:

1) Un manoscritto del fondo Chigiano della Biblioteca Vaticana dal titolo: Notizie di famiglie et arbori , contenente l’elenco dei titolati , compilato dopo il 1666 su informazioni fornite dai Cardinali Legati.

2) manoscritto pubblicato a Roma nel 1893 cal conte Capogrossi Guarna;

3) Le relazioni dei Cardinali Legati e dei Prelati Delegati in seguito al motu proprio di Pio VII del 6.7.1816 esistente nell’Archivio Segreto Vaticano, pubblicato dal conte C.A. Bertini Frassoni nella Rivista Araldica dal 1924 al 1930, unitamente alle risposte di quesiti rivolti nel 1776 dal S.M. Ordine di Malta alle singole comunità comprese nei limiti del Gran Priorato di Roma.

4) Ruoli dell’Ordine di Malta sino al 1949 e ruoli dell’Ordine di Santo Stefano di Toscana sino al 1860.

5) Dizionario Storico Blasonico di G.B. Crollalanza, Pisa, 1886-1890.

6) Elenchi provvisori e definitivi delle famiglie nobili e titolate della regione marchigiana pubblicati nel Bollettino Ufficiale della Consulta Araldica N.27 del luglio 1904 e n. 30 dell’Ottobre 1908.

7) Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana del 1921,1933, 1937.  

 

Ancona: Patrizio, Nobile.

Arcevia, già Roccastrada: Nobile.

Ascoli Piceno: Patrizio, Nobile.

Cagli: Nobile.

Camerino: Patrizio, Nobile.

Cingoli: Nobile.

Civitanova: Nobile.

Corinaldo: Nobile.

Fabriano: Nobile.

Fano: Patrizio, Nobile.

Fermo: Patrizio, Nobile.

Filottrano: Nobile.

Fossombrone: Nobile.

Iesi (N.d.R.: definita Città Regia perchè ai tempi del dominio imperiale germanico, sul cadere del 1194, aveva dato i natali a Federico II lo Svevo):  Nobile.

Loreto: Nobile.

Macerata: Patrizio, Nobile.

Matelica: Nobile.

Montalto: Nobile.

Numana o Umana o Humana: Nobile.

Osimo: Nobile.

Ostra , già Monteboldo: Nobile.

Pennabilli : Nobile.

Pergola: Nobile.

Pesaro: Patrizio, Nobile.

Recanati: Nobile.

Ripatransone, già Cupramontana: Nobile.

San Leo: Nobile.

Sanseverino: Patrizio, Nobile.

Sant’Angelo in Vado: Nobile.

Sassoferrato: Nobile.

Senigallia: Nobile.Tolentino: Nobile.

Treja, o Treia: Nobile.

Urbania: Nobile.

Urbino: Patrizio, Nobile.

            A questo elenco va aggiunta, a seguito di riconoscimento con provvedimenti di giustizia, dell’esistenza del Patriziato o della Nobiltà Civica in un altra città:

San Severino Marche: Patrizio, Nobile.

Force (A.P.): domanda respinta.

       

                         Predicati territoriali marchigiani.

Aiano (d’). Conte. Broglio.

Ancarano. Signore, il Vescovo pro tempore, ultima conferma 1521.

Ancona. Marchese della Marca di Ancona, Este dal secolo XIII, Ottoni dal secolo XV.

Apiro. Signore, Frezzini.

Bocacciana. Conte Bonadrini, concessione 1789, Zara dal 1792.

Bompiano. Vedi Torrette e Bompiano.

Botontano. Marchese, Castiglioni, concessione 1840.

Brugneto e Sambuco. Conte, Giannini, concessione 1759. Passate per successione ad Ancajani e poi Viola.

Camerino. Duca, Varano concessione 1515; Farnese concessione 1540.

Campolungo. Marchese, Sgariglia, concessione 1748.

Capodacqua. Marchese, Benigni Olivieri, concessione 1760, rinnovazione 1937.

Carda.Conte, Ubaldini, concessione 1196.

Carpegna. Conte di Carpegna, concessione secolo X.

Cartoceto. Vedi Casteldelci e Cartoceto.

Castagneto. Vedi Fontebella e Castagneto.

Castel Bompiano,. Conte, Bonarelli della Colonna, concessione 1692.

Casteldelci e Cartoceto. Signore, Perfetti.

Castel Ferretti. Conte, Ferretti, concessione 1396.

Castelletta. Marchese, Bartolucci Godolini, concessione 1831.

Cavaceppo.Marchese, Ambrosi Rosati Sacconi, concessione 1794.

Civitanova.Duca, Cesarini Sforza, concessione 1585.

Colle d’Alberi. Conte. Spada Lavini.

Collepera e San Vito. Conte, de Sanctis, concessione 1828.

Colrosso. Conte, Marsili, concessione 1760.

Ferentillo. Duca. Montevecchio Martinozzi Benedetti.

Farneto. Conte, Carletti, conferma 1816; Carletti Giampieri.

Fermo. Principe, l’Arcivescovo, pro tempore.

Fermo. Signore, Freducci e Uffreducci.

Fermo. Signore, Migliorati, 1405.

Fontebella e Castagneto. Marchese, Passari, concessione 1751.

Frontone. Conte della Porta, concessione 1530.

Gabicce.  Conte. Mamiani della Rovere conc. 1625.

Genga (della). Conte. Della Genga Conc.1514.

Grigiana e Grigianello. Conte. Malacari conc. 1717; Misturi Malacari 1787.

Grigianello: vedi Grigiana e Grigianello.

Isola di Fusaria. Conte Odasio o Odazio conc.1528.

Isola di Lorzano, vedi Lorzano.

Isola del Piano. Conte Castiglioni conc. 1513.

Lanaro. Marchese Latoni conc.1770.

Lanciano e Rustano. Marchese Bandini conc. 1735. Passato a Giustiniani Bandini.

Lorzano. Conte. Frezzini conc. sec. XI.

Maltignano. Signore. La Cattedrale di Ascoli conc. 1179.

Marazzano. Conte. Pelagallo conc. 1847.

Marino (del). Marchese. Alvitreti conc. 1749.

Marmora (della). Marchese. Mori Ubaldini degli Alberti.

Masetta. Conte. Bernardini conc. 1503.

Massignano, vedi Nussignano.

Marcatello. Conte. Ubaldini conc. 1400.

Merula o Metola. Conte. Santinelli conc. 1533 circa.

Metola, vedi Merula.

Mirabello, Conte. di Montevecchio conc. 1474.  Montevecchio Martinozzi Benedetti.

Monnecce. Marchese. Mattioli Pasqualini conc. 1939.

Mondavio vedi Senigallia e Mondavio.

Montacchiello. Conte. Pongelli Palmucci.

Montalto ( Tarugo ). Conte Galli di Urbino conc. sec. XVI.

Montebaroccio. Marchese. Bourbon del Monte S. Maria, per concessione del Duca di Urbino nel sec. XVI, seconda metà.

Montebello. Conte. Tomasi, conc. 1581.

Montecalvo. Conte. Veterani conc. fra 1621-1623.

Montecerno.Conte Fiorenzi. conc. 1569.

Montefabbri. Conte. Paciotti conc. 1578.

Montefeltro. Signore ; Conte di Montefeltro conc. 1155; 1241.

Monteferro. Marchese. Ferri conc.1841.

Montefiore e Pietragialla . Conte. Corboli conc.  1623.

Montegallo. Conte Gallo o Galli di Osimo conc. 1763.

Montegrino, vedi Rocca Leonella.

Monte l’Abate. Conte. Leonardi della Rovere conc. 1540.

Montenuovo (Montenovo). Conte. Tomassini - Barbarossa conc. 1847.

Monte Polesco (Montepolesco). Conte. Lavini.  Spada Lavini.

Monteporzio. Signore. di Montevecchio conc. dei Malatesta . Montevecchio Martinozzi Benedetti.

Montevecchio. Conte. Gabrielli; di Montevecchio già nell’1396. Montevecchio Martinozzi Benedetti.

Nannerini ( Nannarini ). Marchese,  Nannarini conc. 1788.

Nescorose, vedi Piano del Brogliano.

Numana. Conte. L’Arcivescovo di Ancona pro tempore. Vedi conte Prof. Alberto Canaletti Gaudenti : il Vescovo di Numana, la sua storia e Benedetto XIV, in studia picena, vol. XII, 1936 ed estratto, Fano,Tip. Sonciniana.

Nussignano o Massignano. Signore. Politi, conc. 1249.

Orbe. Conte. Nappi conc. 1596.

Orciano. Marchese. Bonarelli della Rovere.

Pecorari. Conte. Ubaldini conc. 1481.

Persignano. Marchese. Raffaelli conc. 1860.

Piano. Conte. Tosi, 1711.

Piano del Brogliano, San Giovanni, Nescorose, Marchese, Cambi conc. 1782, Voglia. Ceccaroni.

Piobeso. Conte. Brancaleoni conc. 1617.

Ponti (dei). Marchese. Savini. conc. 1748.

Quagliotto. Marchese. Rondini conc. 1795.

Riofreddo. Marchese. Pelagallo.

Rocca Leonella e Montegrino. Conte. Il Capitolo della Cattedrale di Cagli; Luperti 1767; Rigi 1780; Rigi Luperti.

Rocca Priora. Marchese. Trionfi conc. 1767; Brancadoro 1828; Cenci Bolognetti.

Rocca Varmine. Signore. L’Ospedale degli Esposti di Fermo.

Rotorscio. Conte Ermeducci conc. 1449, Scala 1557; Pelleoni 1632 ; Colocci; Stelluti-Scala 1662.

Rovedino (Rovetino ?). Conte. Saladini conc. 1445.

Rustano, vedi Lanciano e Rustano.

Sanbuco, vedi Brugneto.

San Benedetto di Valle Mastra o Val di Mestre. Conte. Honofri o Onofri conc. 1795.

San Cristofaro. Conte. Plebani conc. 1796.

San Damiano. Marchese. Nembrini Gonzaga.

San Filippo. Marchese. Trevisani conc. 1790.

San Giovanni, vedi Piano del Brogliano.

San Leo. Predicato. Marini conc. 1941.

San Leopardo. Conte. Leopardi conc. 1726.

San Mauro, vedi San Procolo e San Mauro.

San Procolo e San Mauro. Conte. Ruffo. 1164.

Sant’Angelo. Conti. Mamiani della Rovere.

San Vito, vedi Collepera e San Vito.

Sant’Agata Feltria. Marchese. Fregosi conc. 1656.

Senigallia e Mondavio. Conte. della Rovere.

Sirolo. Conte. Cortesi.

Stacciola. Conte Mauruzzi conc. 1412.

Torre del Parco. Conte. Pallotta conc. 1701.

Torrette e Bompiano. Conte. Bonarelli della Colonna, sec. XV.

Truschia. Conte. Caccialupi Olivieri.

Umana vedi Numana.

Urbino. Duca. di Montefeltro 1443; della Rovere 1508.

Vaccarile. Signore. Il Vescovo di Senigallia pro tempore, 1399.

Verdefiore. Marchese. Puccetti conc. 1829.

Villamagna. Conte. Compagnoni conc. 1214, conferma 1795.

Villanova. Marchese. Gabuccini o Gabussini.

Villa della Torre. Marchese. Ghisleri conc. 1744.

Votalarca. Marchese. Luzzi conc 1815.

 

                               Predicati territoriali umbri

 

 

Acquasparta. Duca. Cesi, nobile di Narni.

Antognolla. Conte. Oddi Baglioni , (Signori di Schifanoia, Patrizi di Perugia e Cesena, Nobili di Viterbo ed Orvieto).

Arrone.Conte.Arroni, (Patrizi di Spoleto) , D.M. di riconoscimento 18.1.1906.

Assergio. Duca. Andreozzi-Bernini (pred. di Filetto e Pescomaggiore, Conte, Patrizio di Foligno, Nobile di Bevagna).

Baschi. Conte. Francisci Baschi (Nobile di Todi).

Benano. Signore. Comune di Orvieto.

Biscina. Conte. della Porta, (Conte di Frontone di Carpine, Patrizio di San Marino, Nobile di Gubbio, di Cagli e di San Severino) .

Burano. Marchese. Benveduti Massarelli, (Patrizia di Gubbio).

Campello. Conte. Campello, (Patrizia di Spoleto, Nobili di Terni). D.M. di riconoscimento 7.7.1938.

Carpine (delle). Conte. della Porta (vedi Biscina).

Castel Giorgio. Signore. Vescovo pro tempore di Orvieto.

Castelli di San Giovanni. Signore. Comune di Spoleto.

Castel San Pietro (Aquae ortus). Marchese. Antinori ( Marchese inoltre di Salci e Fabro, Nobile di Perugia ).

Catrano. Conte. Ansidei ( Patrizi Romani, di Perugia e di Orvieto, Nobili di Montalto ) . Breve di conferma 1721.

Civitella d’Agliano. Signore. Comune di Orvieto.

Civitella dei Conti. Conte. Faina ( Nobili di Amelia , Concessione di Pio IX del 1852, D.M. di riconoscimento del 5.2.1937 ) R. D. di concessione 9.6.1904 , rinnovazione del 11.11.1957.

Civitella Ranieri. Conte. Ranieri (Marchesi di Sorbello, Conti di Montegualandro,Patrizi di Perugia, Nobili di Velletri), D.M. di riconoscimento 9.10.1913.

Collelongo. Signore. Comune di Orvieto.

Collepera. Conte. de Sanctis (Conte di San Vito, Nobile di Terni e di Matelica) .

Collestatte. Signore. Manassei (Patrizi di Terni).

Dondana. Marchese. Barbi (Marchese di Monte Lugliano, Nobile di Gubbio).

Fabbro. Marchese. Antinori (vedi sopra).

Falero. Marchese Antinori (vedi sopra).

Filetto. Predicato. Andreozzi Bernini (vedi sopra).

Fiorenzuola. Conte. Baldeschi (Marchesi, Nobili di Perugia) e Baldeschi Cennini (come precedente, il cognome Cennini di spettanza primogeniale).

Fiorenzuola. Conte. Baldeschi Eugeni (o Eugenj) Oddi (ramo originario della precedente,  aggiunta di cognome con autorizzazione di Pio IX del 1857).

Giano. Signore. Comune di Spoleto.

Gualdo Cattaneo. Signore. Comune di Foligno.

Isola Centipera. Conte. Perotti (Nobile di Sassoferrato e di Perugia)  concessione 1452 o 23.6.1460 , D.M. di riconoscimento del 30.8.1910.

Laviano. Conte. Valentini. (degli) Oddi (Patrizi di Perugia, Ferrara, Padova ed Albenga) D.M. di riconoscimento 1906. 

Masse (delle). Conte. Friggeri Boldrini (Nobili di Perugia e di Cortona).

Meana. Signore. Vescovo pro tempore di Orvieto.

Migliano. Marchese. Monaldi (Nobile di Perugia).

Montecchio. Signore. Comune di Spoleto.

Montegabbione. Signore.  Comune di Orvieto.

Montegualandro. Conte. Ranieri Bourbon del Monte (vedi sopra).

Monteleone. Signore. Comune di Orvieto.

Monte Lugliano. Marchese. Barbi (Marchese di Dondana, Nobile di Gubbio).

Montenero. Duca. Vicentini.

Monte Nibbiano Vecchio. Marchese. Cesarei Rossi Leoni (Nobili di Perugia).

Montepetriolo. Conte. Rossi Scotti (Nobili di Perugia).

Monte Rubiaglio. Conte. Negroni .

Monte Santa Maria . Marchese. Bourbon del Monte Santa Maria. (Patrizi di San Faustino, di Perugia e di Ancona, Nobili di Città di Castello). Pio IX 6.8.1861, D.M. di conferma 24.2.1921 e RR.LL.PP. 23.6.1921.

Monte Santo. Signore. Comune di Spoleto.

Palazzo Bovarino. Signore. Comune di Orvieto.

Pescomaggiore. Predicato. Andreozzi Bernini (vedi sopra).

Petano. Signore. Comune di Spoleto.

Petrella. Marchese. Bourbon di Petrella. (Patrizi di Cortona). D.M. di riconoscimento 16.6.1932.

Pietralunga. Signore. Comune di Città di Castello.

Poggio Aquilone. Conte. Montesperelli (Patrizi di Perugia).

Pepola  o Popola (della). Marchese. Barugi (Nobili di Foligno).

Rasina. Marchese. Patrizi (Nobili di Città di Castello).

Ripalta. Conte. Lalli (Patrizio Romano).

Ripalvella . Signore. Comune di Orvieto.

Salci. Marchese. Antinori (Vedi sopra).

San Donino. Conte. Pierleoni (Nobili di Città di Castello).

San Giustino. Conte. Bufalini (Marchese, Conte Palatino, Nobile romano e di Città di Castello).

San Pietro Aquaeortus (vedi Castel San Pietro). Marchese. Antinori (vedi sopra).

Santa Maria del Ponte. Predicato. Cappelletti.

San Venanzo. Signore. Comune di Orvieto.

San Vito. Conte. Mancinelli Scotti, già Squarti, (Nobili di Narni). D.M. di riconoscimento 27.8.1903.

San Vito. Conte. de Sanctis (Vedi sopra).

San Vito. Signore. Comune di Orvieto.

Schifanoia. Signore. Oddi Baglioni (Vedi sopra).

Sorbello. Marchese. Ranieri Bourbon del Monte (vedi sopra).

Sterpeto. Conte. Fiumi  (Fiumi Sermattei della Genga) (Nobili di Assisi). D.M. 26.12.1915.

Titignano. Conte. Ansidei Signorelli Montemarte.

Torre Orfina. Signore. Manassei (Conti, Patrizi di Terni).

Valaccone. Marchese. Cipriani (Nobile di Norcia). Pio VI 1783.

                  *Polino, Marchese di, concessione imperiale del 1626, Famiglia Albergotti

Predicati territoriali di Famiglie Nobili Marchigiane, fiorenti o estinte, connessi a feudi non situati in territorio marchigiano e/o non risultanti dal Dizionario dei Predicati della Nobiltà Italiana, annesso all’Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana, edito a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri e compilato dalla Regia Consulta Araldica.

 

 

 

 

 

 

*Acquaviva, Barone, per concessione (personale) della Repubblica di san Marino del 12.9.1899, Giuseppe Tanfani.

*Alba Reale (Modena), Conte, Famiglia Flavi.

*Alfonsine, Signore, per concessione del 1519, Famiglia Calcagnini Estense.

*Almissa e Macarsca, Conte, per concessione del 12.3.1711, Famiglia Milesi.

*Alvito, Duca, Famiglia Gallio. Tale titolo su predicato è riconosciuto solo a Famiglia Proto e Famiglia de Vera d’Aragona.

*Assaro ed Aidone, Barone, per concessione dell’11.1.1641, Famiglia Calcagno.

*Bagno, (territorio nel Regno di Napoli), Marchese, per concessione del 1647, Famiglia Silvestri.

*Battifolle, Conte, ramo della Famiglia Guidi di Bagno.

*Boscaretto, Conte, concessione imperiale di Ludovico il Bavaro, Famiglia Boscarini.

*Briandina, Conte, per concessione di Carlo II di Spagna, Famiglia Silva.

*Cailano, Marchese, Famiglia Sermattei Confidati Dragoni.

*Calcione, Signoria, per concessione del 1483, indi feudo eretto in comitale e marchionale dalla Repubblica di Firenze, Famiglia Lotteringhi della Stufa.

*Carbognano, Conte, Famiglia Nardini. Analogo predicato, appoggiato sul titolo di Principe, riconosciuto alla Famiglia romana Colonna di Sciarra.

*Casciolino, Marchese, concessione del 4.8.1860, Famiglia Quarantotti.

*Cassero, Conte, per concessione di Gregorio XI del 28.7.1393, Famiglia Torriglioni.

*Castel di Monte Taro, Signore, per concessione del XII secolo, Famiglia Sinibaldi.

*Castel Duranti, Marchese e Conte, Famiglia Duranti e Cesarini Duranti.

*Castel San Pietro (feudo in Sabina), Conte, per concessione del 1751, Famiglia Bonaccorsi.

*Castel San Pietro, Conte, concessione 1239, Famiglia Antici Mattei di Giove.

*Castelforte, Marchese, per successione Castelli, Famiglia Baldassini Castelli Gozze.

*Castelli di Bonalda e Cursecoli, Signore, Famiglia Guidi di Bagno.

*Castello di Canale (confini di Amelia), Signore, Famiglia Canale Massucci già Chiaravalle.

*Castello di Civitella (Cingoli), Signore, sino al 1244, Famiglia Conti.

*Castello di Foturbato (territorio di Cingoli), Signore, Famiglia Colloredo.

*Castelvecchio (Regno di Napoli), Marchese, per concessione del 1658 (altro Autore: 26.9.1654), Famiglia Ricci. Stesso predicato poggiato su analogo titolo riconosciuto alla Famiglia modenese Tassoni Estense. Come Signoria, alla Famiglia romana Borghese.

*Castiglione, Marchese, Famiglia Brozzi.

*Catti, (in territorio Reggio), Conte, per concessione del Duca di Modena del 1649, Famiglia Flavi.

*Cella, Conte, Famiglia de Stefanis. Medesimo predicato con Signoria riconosciuto alla famiglia piemontese San Martino d’Agliè

*Coccoscia e Castel Ulibera, Signore, Famiglia Malaspina, ramo della Lunigiana.

*Colmollaro, Marchese, Famiglia Raffaelli.

*Coreglia (in Garfagnana), Conte, per provvedimento di conferma del 8.5.1355, Famiglia Castracane degli Antelminelli.

*Cuggiano, Marchese, Famiglia Parisani.

*Dovadola, Conte, ramo della Famiglia Guidi di Bagno.

*Falcino e Petrella degli Ubertini, Consignore, per concessione del 1634, Famiglia Panici.

*Fontanafredda, Signore, Famiglia Guidi di Bagno.

*Formigine, Corletto, Montale, S. Zenone, Casinaldo, Corlo, Colombaro, Signore, Famiglia Calcagnini Estense.

*Formigine, Marchese, per concessione del 1648, Famiglia Calcagnini Estense.

*Fusignano, Marchese, per concessione del 1605, Famiglia Calcagnini Estense.

 *Garzano, Conte, per concessione del 1658, Famiglia Graziani (o Gratiani). Il titolo di Marchese su medesimo predicato è riconosciuto solo a famiglia modenese Carandini.

*Gatera (o Galera), Marchese, per concessione del 1816, Famiglia Manciforte Sperelli.

*Giove, Duca, per successione Canonici Mattei, Famiglia Antici Mattei di Giove.

*Leonino, Signore, per concessione del 1519, Famiglia Calcagnini Estense.

*Macriano (o Macrio), per concessione di Federico II confermata dall’Imperatore Sigismondo nel 1433, Famiglia Brancadoro.

*Malviano, Conte, Famiglia Ripanti. Analogo titolo poggiato su medesimo predicato riconosciuto alla Famiglia romana Malatesta Ripanti, a cui si presume passato per successione.

*Maranello, Fusignano e Cadè, Conte, per concessione del 1465, Famiglia Calcagnini Estense.

*Marca di Ancona, Marchese, per concessione di Eugenio IV, Famiglia Ottoni.

*Massa d’Osimo, Signore, per concessione del 958 (?), Famiglia Ghislieri.  

*Melaci, Conte, concessione imperiale del 1626, titolo annesso al feudo di Polino, Famiglia Albergotti.

*Metrano (di Monte San Vito), Conte, Analogo titolo poggiato su medesimo predicato riconosciuto alla Famiglia romana Malatesta Ripanti, a cui si ritiene passato per successione.

*Milanow, Conte, per concessione di Giovanni III di Polonia nel 1676, Famiglia Mancini, Famiglia Mancini Spinucci.

*Modigliana, Conte, ramo della Famiglia Guidi di Bagno.

*Monbercello, Conte, predicato acquisito per successione Belloni, Famiglia Salvoni.

*Montacchiello, Conte, Famiglia Pongelli. Il predicato appoggiato sul titolo comitale riconosciuto alla Famiglia Pongelli Palmucci.

*Montalto Roero (feudo nell’Astigiano), Marchese, per concessione del Duca di Savoia del 15.1.1655, Famiglia Baviera.

*Montalto Roero, Signore, Famiglia de Stefanis.

*Monte San Vito, Signoria, Famiglia Stoppani.

*Montebello, Marchese, ramo della Famiglia Guidi di Bagno.

*Montecchio (in Abruzzo), Marchese, per concessione del 1655, Famiglia Ricci. Come Signoria e analogo predicato, riconosciuto al Comune umbro di Spoleto.

*Montechiarugolo (Parma), Conte, per concessione del Duca di Parma nel 1428, Famiglia Torelli.

*Montefiore e Pietragialla, Conte, per concessione del 1631, Famiglia Corboli. Tale titolo su predicato riconosciuto solo a Famiglia romana Cardelli.

*Montenovo, Signore, feudo acquisito in Romagna dalla Famiglia Rovarella, Famiglia Gherardi Benigni. Titolo riconosciuto alla Famiglia Tomassini Barbarossa.

*Musone, Principe, per concessione del 1805, Famiglia Simonetti.

*Mustiolo e Mapello, Signore, per concessione del 1647, Famiglia Camerata e Camerata Passionei de Mazzoleni.

*Nemi, Duca, concessione di Pio VII, Famiglia Braschi Onesti.

*Novo (Principato di Carpi), Marchese, per concessione del 1656 del Duca di Modena, Famiglia Torriglioni de Passen.

*Offredi, Conte, Famiglia Brozzi.

*Orciano, Marchese, Famiglia Bonarelli della Rovere.

*Palombo, Marchese, per successione femminile a famiglia Palunci del 1742, Famiglia Ferretti.

*Pescia, Marchese, concessione 1249, Famiglia Antici Mattei di Giove.

*Petrella degli Ubertini, Consignore, per concessione (successione?) dal 1779, Famiglia Perticari.

*Petrella degli Ubertini, Signore, Famiglia Guidi di Bagno.

*Pettano, Barone, concessione imperiale del 1626, titolo annesso al feudo di Polino, Famiglia Albergotti.

*Piobeso, Conte, concessione del 1617, Famiglia Brancaleoni.

*Poggio Berni (Romagna), Signore, Famiglia Nardini.

*Poggio Santa Maria, (Abruzzo), Conte, Famiglia Silvestri.

*Poggiomanente, Marchese, Famiglia Gentili.

*Poli, Duca, Famiglia Conti. Tale titolo su predicato riconosciuto solo per Famiglia Torlonia.

*Polino, Marchese, concessione imperiale del 1626, Famiglia Albergotti.

*Poppi, Conte, ramo della famiglia Guidi di Bagno.

*Regno d’Este, Conte, per concessione del 19.11.1810 di Napoleone I, Famiglia Chiaromonte.

*Rivoschio, Signore, Famiglia Guidi di Bagno. 

*Roccacontrada, Conte, per concessione del 1639, Famiglia Conti.

*Roccapriora, Marchese, concessione o successione dal 1828, Famiglia Brancadoro.

*Rocchetta (Fabriano), Signore, Famiglia Nardini. 

*Roncofreddo e Montiano, Marchese, per successione ad una linea dei Malatesta da Rimini del 1603, Famiglia Ferretti.

*Rovellone, Signore, Famiglia Gentili (anche Gentile).

*Rovetino, Conte, per concessione di Alessandro VII, Famiglia Saladini Pilastri. Medesimo titolo su analogo predicato riconosciuto alla Famiglia Saladini di Rovetino.

*Sadorno (feudo lombardo), Signore, Famiglia Billi di origine francese.

*San Giorgio, Marchese (?), per concessione del XVIII secolo, Famiglia Matteucci. Analogo predicato con titoli diversi, è riconosciuto al Principe napoletano Costa Sanseverino e Marchese Napoletano Riario Sforza. Al Conte piemontese di Biandrate ed al Conte sardo Manca. Al Barone siciliano Melazzo, al Barone piemontese Prever, al Barone siciliano Ruffo. Come Signoria alla Famiglia piemontese Guidobono Cavalchini.

*San Lorenzo (Sabina), Marchese, per concessione di Benedetto XIV del 6.4.1752, Famiglia Le onori. Il titolo di Conte sul medesimo predicato è riconosciuto alle Famiglie sarde Roych e Sanjust; il titolo di Barone alle Famiglie siciliane di Lorenzo e di Stefano.

*San Sebastiano, Marchese, per concessione della Regina Cristina di Svezia da matrimonio contratto con la Principessa di Vairè, Famiglia Santinelli. Analogo predicato risulta riconosciuto con titolo di Marchese alla Famiglia sarda Quesada. Con titolo di Conte alla Famiglia piemontese Miglioretti. Con Signoria alla famiglia piemontese Gazelli.

*Sanbuceto, Conte, ramo della Famiglia Guidi di Bagno.

*Sant’Andrea di Ussita, Marchese, per concessione del 2.1.1940, Famiglia Silj.

*Santa Giustina, Marchese, Famiglia del Grillo.

*Santa Maria del Ponte, Signore, Famiglia Cappelletti.

*Scavolino, Principe, per concessione dal 1685, Famiglia Falconieri e Famiglia di Carpegna Falconieri Gabrielli per surroga alla Famiglia Falconieri nel 1865.

*Soresina, Principe, Famiglia Vidoni. Analogo predicato con titolo di Marchese riconosciuto alla famiglia lombarda Barbò.

*Sovico, Marchese, Famiglia Andreoli.

*Strada di Selva Giurata, Signore, per concessione del 1790 di Papa Pio VI, Famiglia Laureati.

*Torrette e di Compiano, Conte, concessione del XV secolo, Famiglia Bonarelli.

*Truschia (Castello nelle vicinanze di Monte San Vicino), Conte, Famiglia Caccialupi Olivieri.

*Verdefiore, Marchese, per concessione di di Pio VIII del 1829, Famiglia Severini e Famiglia Puccetti (per successione Severini).

*Verolengo, Conte, per concessione del 1644, Famiglia Canale Massucci già Chiaravalle.

*Vignanello, Conte, Famiglia Nardini. Analogo predicato, appoggiato su titolo di Conte, riconosciuto a Famiglia romana Ruspoli.

*Villagrazia, Conte, per concessione di S.M. Umberto II del 1.7.1967, Famiglia Rutelli.

                                                                                   Angelo Squarti Perla

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