La radice sanscrita AR - è collegata ai concetti fondamentali di
ingegno, di capacità guerriere, di forza e, quindi, di supremazia etnica e
personale.
Concetti primitivi dunque riferentisi anche alle grandi scoperte che
rivoluzionarono la vita quotidiana, a doti che andarono ad incidere
profondamente nella strategia e tecniche militari, a predisposizioni naturali
che permisero ai popoli di ceppo indoeuropeo, di così detta lingua ariana, mai
dediti alla pastorizia e alla agricoltura ma sempre di natura prevalentemente
guerriera, come per predestinazione o genetica superiorità, di primeggiare su
altri.
Per traslato, appunto perché popoli ingegnosi, versati alle arti e alle
scienze, animati da spirito ardimentoso della scoperta, ma anche valentissimi
guerrieri, il significato originario legato alla radice AR - divenne maschio,
libero, perfetto, migliore, nobile, eccellente.
Per ulteriore traslato assunse il significato di lucente, luce suprema,
bagliore accecante, da cui argento, metallo che brilla per antonomasia,
argilla, terra bianca ed arsenico, metallo, in una delle sue varianti
allogeniche, lucido.
Al significato di bagliore accecante, insito nella radice, è collegato
il saluto militare, ultimo orpello gestuale derivato dal concetto del far
schermo ai propri occhi per ripararsi dalla luce intollerabile emanata dal
superiore in via gerarchica, cioè dal militare per eccellenza, cioè ancora
l’aristocratico, destinato a comandare la truppa, in armi solo all’occorrenza.
“Sei così bello, emani così tanta luce, che sei un semi-dio ; non
posso e non devo incrociare il tuo sguardo” recitava il militare Lisippo,
nell’ Anabasi, rivolgendosi al suo comandante.
L' aristocratico guerriero, dunque, è un semi-dio, il tramite di
congiunzione fra le plebi dedite alla pastorizia ed al lavoro dei campi e la
divinità . Lo sguardo è a terra . Non è concesso guardarlo .
Il concetto si riscontra comune a tutte le civiltà piramidalmente
ordinate ove la suprema autorità, sia con poteri misti, religioso e civile, sia
più modernamente, solo civile, non poteva essere guardata .
Non a caso il generale Mac Arthur, allorquando impose all’Imperatore
del Giappone la firma di resa incondizionata, lo obbligò, appunto per minare
l’autorevolezza della figura e delle prerogative a questa connesse, ad uscire
dalla reggia, fuori dalla quale non era mai stato visto ; gli fu imposto
inoltre di salire sulla nave del vincitore, di passare fra due ali di popolo ;
questo, per l'occasione, era stato obbligato a stazionare invece che, come
consuetudine, in ginocchio con la fronte accostata al terreno, in piedi e a
testa alta, lungo tutto il percorso.
Solo per curiosità storica : i saggi sudditi, piegati militarmente ma
non nell’orgoglio della tradizione sentita e non imposta, mediarono con
furbizia ed equilibrio, tutto orientale, accettando lo stazionamento a testa
alta, ma il passaggio del loro Dio Imperatore fu rispettato e salutato dalla
chiusura simultanea e generalizzata dei loro occhi.
Sulla doppia essenza della suprema autorità, divina e terrena (il
Faraone nell’antico Egitto; il Tenno, Imperatore del Giappone), poi religiosa e
civile (il Sommo Pontefice nello stato della Chiesa, il Lucumone nella civiltà
Etrusca), quindi solo ossequiosa della supremazia religiosa, con poteri rivolti
prevalentemente al terreno o civile (Sua Maestà il Re d’Italia, per grazia di
Dio e volontà della Nazione.), torneremo con articolo a parte.
Al significato ancora ulteriore di immortale è strettamente legato il
concetto di diversità fra l’aristocratico,
semi-dio e quindi non soggetto al trascolorare del tempo, ed il popolo,
invece soggetto all’offesa della vecchiaia e della morte .
L’aristocratico, guerriero lucente per dote genetica legata alla
stirpe, non muore perché questi è solo un semplice anello della sua
genia ; non vale solo per chi è, ma soprattutto per la schiatta che
rappresenta.
“Chi fuor li maggior tui ?” recita Dante; per dirmi chi sei, non
serve, e comunque non ha peso, il tuo nome, qualifica la tua stirpe.
I suoi capelli non divengono bianchi, come quelli del comune popolano,
e per questo indossa la parrucca sin da giovinetto ; le rughe non deturpano il viso, e per questo usa creme e belletti
;
la pelle non è bronzea e riarsa dal sole, usa cipria chiarissima che
crea il mito (unitamente all’anemia e all’emofilia, triste pedaggio nel
matrimonio fra consanguinei) del pallido aristocratico.
Il suo sangue è blu, e non rosso come quello delle plebi, perché
attraverso la carnagione, diafana e pallida per i motivi sopra esposti, le vene appaiono proprio di quel colore.
Le sue donne non vengono deformate da volgari gravidanze: sotto gli
ampi cerchi delle vesti, qualunque variazione volumetrica, diviene
impercettibile.
La sua lingua non si esterna con grugniti dialettali, ma è latina
prima, francese poi, in entrambi i casi, comunque, incomprensibile al popolo.
La statura è quella di altra razza, geneticamente più dotata e comunque
aiutata da scarpe con alto tacco, ecc.
L’esteriorità riveste dunque una estrema importanza per meglio
riaffermare, agli occhi del popolo, la diversità, anche genetica.
La diversità nell’aspetto, nel comportamento, nelle precedenze, nell’
uso del guardinfante, di livree per la propria servitù con passamani e nastri
diversi a seconda del livello nobiliare ricoperto, nei modi di adornare le
carrozze, nel numero di staffieri e lacchè, nell’uso di sgabelli o casse
argentate nelle chiese, nell’uso di cuscini a strati e fiocchi alle teste dei
cavalli, nell’uso della spada, nelle arti e professioni interdette, ecc. arrivò ad essere canonizzata e
strettamente ben definita con bolle editti o prammatiche, a seconda degli stati
. Confronta Editto Teresiano di Maria Teresa d’Austria del 20 / XI / 1769 ;
Regie prammatiche 13 / XII / 1682 di Carlo II d’Austria e 28 / VI / 1723 di
Carlo VI d’Austria, nel Regno Lombardo. Legge 31 / VII / 1750 del Granduca
Francesco II Lorena, in Toscana. Prammatica 9 / X / 1581 di Re Filippo II; 15
/ VI / 1742 di Carlo III; Regio
dispaccio 25 / I / 1756 di Carlo VII di Borbone, nel Regno delle due Sicilie
ecc..
Persino in Chiesa di fronte al Dio comune, la diversità nella forma e
nei diritti doveva essere rimarcata.
In vita, con cappellanie, Jus patronato, precedenza nelle funzioni e
nelle processioni.
In morte, con liturgie solenni e cantate, accompagno fastoso in
carrozza con vespilloni a cavallo, rintocchi funebri delle campane in
simultanea nella Cattedrale e in tutte le Chiese minori.
Rimarcata e regolamentata nella pompa e nel fasto necessario a
garantire la diversità di vita necessariamente da condursi “more nobilium” con
rigide disposizioni per l’istituzione dotale e nel maggiorasco (confronta:
Regno Italico, VII Statuto Costituzionale di Napoleone I del 29.9.1808), con
precedenze inderogabili, a seconda delle categorie, classe di appartenenza e
dignità, nelle funzioni pubbliche e nelle cerimonie a Corte (confronta Regno
d'Italia, R.D. 16.12.1927, N.2210).
Diversità obbligatoriamente incontaminata dall'esercizio di arti vili o
meccaniche e sin anco del commercio, almeno sino a Clemente X
(Costituzione 15.3.1671) che ne consentì la pratica senza pregiudizi
per la Nobiltà ; necessariamente legata
a “beni fondi” di prestabilita rendita catastale o all'esercizio
“lodevole di arti liberali” (Chirografo 2.5.1853 di Pio IX), a rigide norme per
la concessione del privilegio o per l'ammissione di nuove famiglie (Motu
Proprio 21.12.1827 di Leone XII) nello Stato della Chiesa.
Diversità da qualifiche minuziosamente elencate per il riconoscimento
dello status nobiliare e delle sue “distinzioni, privilegi e prerogative”,
ovvero delle cause sufficienti alla perdita della qualifica nobiliare e della
trasmissibilità del titolo (crimine di lesa Maestà, delitti capaci di irrogare
infamia, maniere di vita mal conveniente al proprio decoro ecc.). Diversità nel
privilegio, ma anche diversità nella pena.
Singolare la severità riservata per il crimine di lesa Maestà
estendentesi negli effetti - per di più
retroattivi - oltre al soggetto reo,
anche ai figli, nipoti, collaterali e consanguinei:
"Dovrà estendersi la pena, oltre che al delinquente, anco sopra
alli suoi figliuoli o nipoti nati tanto avanti, tanto dopo la condanna,
talché essi tutti, in uno stesso tempo
col loro padre o avo, devono irremissibilmente esser rasi dalli pubblici
registri della loro classe”.
Per ogni altro delitto infatti :
"subito dopo la sentenza ..... dee scancellarsi dalla sua
classe, ed in conseguenza alli suoi figli e discendenti che nascessero dopo
tale scancellazione ma non già alli suoi figli nati e descritti avanti di
quella, e molto meno alli suoi fratelli e alli altri collaterali,
innocenti."
(Legge 31.7.1750 del Granduca Francesco II di Lorena nel Granducato di Toscana).
Diversità nel matrimonio che non poteva essere con persona indegna o
comunque di ceto diseguale, pena la decadenza dal titolo e dalla successione
(Regio dispaccio 20.12.1800) Regno di Sicilia.
Tornando alla radice AR-, relativamente molte sono le parole, tutt’oggi
in uso, che traggono da questa significati fondamentali di poco discosti
dall’originario.
Di estrema importanza ed interesse il loro studio, anche perché comune
a lingua, solo all’apparenza scomparsa; tali parole si estrinsecano in
popolazioni ed in aree geografiche diverse pur conservando fonetica e semantica
strettamente assimilabile, perché in realtà legate da sottilissimo filo comune
di discendenza razziale (indiana, iranica, germanica, greco-latina, celtiche).
Iniziamo dunque da parole di radice sanscrita AR- coniate da questi
popoli in connessione alle doti guerriere e militari loro proprie.
αrrην: il fecondante, in greco; dal sanscrito ar-sati, cfr.
in latino roro: bagnare, gocciolare, inondare.
Nella lingua greca il termine ha poi assunto il termine più usato e
specifico di maschio. Esso é inoltre da ricondurre ad αrσην: virile, derivante a sua volta dalle forme verbali αιρω (sollevo) e, in senso lato, αιρεω: piglio, afferro, possiedo (anche in senso sessuale)
cfr. erezione.
ARMA : (cfr. latino armus: articolazione, spalle, braccio, strumento
atto ad offendere.) Dai primi significati derivano ARTUS, ARMILLA, bracciale;
ARTIGLIO, da articulus, piccolo arto, artiglio. Dagli ultimi significati
traslati abbiamo in greco, αρμα,
αρματοσ, carro da guerra, poi arma per eccellenza.
Gli Hjksos, popolazione di ceppo indoeuropeo, nel 1700 A. C.
sconfissero il meglio armato e più numeroso esercito egizio governando poi per
la XV, XVI e XVII dinastia, perché, oltre che eccellenti guerrieri erano
detentori dell’arma, per quei tempi assoluta del cavallo e del carro falcato,
sconosciuto agli Egizi. Non è un caso che i Persiani, anch’essi popolazione di
stirpe indoeuropea, oltre a lavorare il ferro, avevano domato ed usato il
cavallo, per scopi militari, quando nelle altre regioni asiatiche tutte le
altre popolazioni facevano uso ancora solo del bue, dell’onagro. (2000 A.C.).
Non è parimenti un caso che nella metà del I sec.. a.C., come tramanda Erodoto,
il grosso dell’esercito persiano era formato da popolazioni di origine araba ed
etiope, (semite e camite), il nerbo
della struttura militare da cavalieri, ufficiali e 10.000 fanti, detti
“immortali”, provenienti dalle 10 tribù iraniche, originarie, (quindi di ceppo
indoeuropeo).
Sul ruolo simbolico rivestito dal cavallo, animale che funge da
mediazione fra la terra - il popolo - ed il cielo - la divinità - parleremo in
altro capitolo.
ARNESE: (Inglese, quindi normanno e quindi ancora germanico,harness)
armatura del cavaliere, corazza e bardatura .
ARIETE: animale forte e
temerario per definizione tanto da dar poi il nome alla ben nota macchina da
guerra, simbolo ricorrente nell’iconografia militare.
HEER: (Lingue germaniche, radice HER- HAR-,) esercito .
ARTIGLIERIA: (dal latino artillum, medioevale; derivazione classica da
ars; ARTIGLIO, macchina da guerra.
ARTIMONE: (dal greco αρτεμων), vela di
gabbia, nei vascelli da guerra.
ARME’ : (greco, αρμη), unione logistica da cui, per traslato, compagine militare.
ARX: (latino) rocca fortificata.
ARENA : anfiteatro per combattimenti.
ARCO : noto strumento da caccia e da guerra.
ARPE (greco, αρπη) : scimitarra.
Continuando con termini inerenti la innata predisposizione per le
scienze e le arti; considerati i tempi, anche la divinatoria era assimilata a
manifestazione d’arte nel significato derivato dal verbo greco ararisco,
inventare, scoprire, profetizzare.
ARUSPICE : (Horiolus, latino) indovino etrusco, esperto in arte
divinatoria.
La radice certamente indoeuropea unitamente a tante altre,
(esempio Volumni, nome di famiglia etrusca, latino volvo, vulva,
columna) sarebbe una conferma delle origini indoeuropee degli etruschi e non
fenicie, quindi semite, come altri vorrebbero.
ARCO: nel senso di struttura architettonica, sconosciuta ai Latini, fu
a questi trasmessa dagli Etruschi, ad ulteriore conferma di quanto sopra.
ARVALI : (latino : arvales) collegio sacerdotale che propiziava per
l’agricoltura.
ARA : altare sacrificale.
ARDEA : airone, uccello che nella simbologia iconografica ricopriva
ruolo preminente, confronta il geroglifico egizio.
ARMONIA : proporzione, musica in concordanza di suoni e voci, la più
grande scoperta nel campo artistico che meglio caratterizza e differenzia
l’uomo da tutto il resto del mondo animale.
L' armonia ellenica, inteso come ottava dorica, rappresentava la scala
musicale, comune a tutti i greci.
I Dori erano di stirpe indoeuropea
si sovrapposero nell’ XI sec.. con facilità alla civiltà micenea perché,
anch’essi, detentori della lavorazione del ferro e dell’uso del cavallo,
prerogativa, delle popolazioni indoeuropee, quindi in origine, appannaggio
della casta guerriera, poi privilegio esclusivo del nobile.
ARTE: dal latino AR-TEM che si confronta con il sanscrito RTI = ARTI,
cioè maniera ; il termine deriva dalla radice ariana AR- che in sanscrito-zendo
ha il senso principale di andare, mettere in moto, quindi di aderire, adattare.
É inoltre assimilabile anche alla radice sanscrita di ARYA: eccellente,
nobile, (cfr. αρετη): qualità di preminenza, pregio, forza, dote,
genericamente virtù. Tale virtù l'uomo greco la esplicava sia come soldato,
difendendo valorosamente la sua patria, sia da cittadino, come membro del
consiglio della πολις .
Anche nella poetica, il concetto di αρετη ,
derivante dalla radice ariana AR, indica capacità di emergere: é poeta colui
che, con la sua αρετη musica, sa cantare la αρετη fisica ; nei versi in onore di atleti vincitori sono
connessi e si integrano tra loro azione e canto.
ARSI: (greco, αρσις) l’acuto nell’armonia.
ARITMOS : (greco, αριθμος )
numero, proporzione.
ARMENTA : numero proporzionato e definito di capi di bestiame,
necessari per l’aratura .
Termini legati alle piccole scoperte che rivoluzionarono la vita quotidiana
o a nomi di oggetti essenziali o strumenti primitivi insostituibili.
ARPE : (greco, αρπη
) falce da grano.
ARCOLAIO : strumento atto alla filatura.
ARATRO : vedi armenta.
ARISTA : (latino arista), grano.
ARPIONE: (tedesco Harpe) uncino.
ARGANO: strumento per alzare e calare pesi.
ARNA: (latino volgare) Cfr. Columella “Dell’arte dell’allevamento
delle api” cassa per contenere le api ; ARNIA.
ARCA: scrigno, feretro; ARSELLA: diminutivo di arca, piccolo scrigno,
conchiglia bivalve; ARNIONE, piccola urna contenente urine, rene; ARCANO,
scrigno chiuso, mistero.
ARAZZO: panno tessuto a figure, anticamente, in genere, ispirate a
grandi gesta o battaglie. (In questo caso, da qualche eminente filologo - cfr.
dr. A. Centinaro - la radice di provenienza
sarebbe contestata).
Termini legati alle doti naturali nel primeggiare, al fervido ingegno e
alla temerarietà quindi poi per traslato, al diritto naturale al comando.
ARTIGIANO: (greco, αραρισκω).
ARTISTA : come sopra.
ARCONTE: (greco, αρχων )
supremo magistrato, giudice, dispensatore di equità.
AREOPAGO: (greco,
αρειω
παγω ) supremo
tribunale.
ARISTOCRATICO: (greco, αριστος) il migliore.
ARDITO : (tedesco arcaico HARTIAN) chi ha forza, coraggio temerarietà.
ARGO: (greco, Αργος
) la più estesa costellazione
dell’emisfero australe, ARGIVI, abitanti di ARGO uno dei più antichi
insediamenti di popolazioni di ceppo indoeuropeo che diede nome all’ ARGOLIDE.
Analoga radice semantica con ARCADI. Argo: per antonomasia, nave di ardito navigatore,
confronta il mito di Giasone.
Veniamo ora alla parola ARALDO, da cui ARALDICA, scienza dell’araldo.
Il significato originario della parola è riferito al soggetto regolatore di
tornei, giudice delle giostre, ufficiale che portava sfide nelle battaglie e
nei tornei. (tedesco Herialt).
Siccome l’araldo era colui che nei tornei cavallereschi annunciava
l’ingresso dei nobili partecipanti presentandoli con i colori del casato o i simboli propri qualificanti il
soggetto (è di riscontro comune, soprattutto nel medioevo, che l’arma fosse
agalmonica o parlante e che l’elmo, sopra la scudo, fosse sormontato da un
cimiero definito simbolico-parlante, perché allusivo al cognome, a doti o
caratteristiche guerriere, comunque assunto per gloriose imprese, emblematico
delle caratteristiche del soggetto al momento (detentore), divenne poi colui
che, per antonomasia, si dedicava allo studio degli smalti e delle pezze,
divisioni e partizioni nello scudo, all’interpretazione in chiave e gergo
proprio, della simbologia grafica del blasone.
Qualunque dizionario etimologico commentato fa derivare dal tedesco la
parola come se, prima di questa, nulla vi fosse a giustificarne l’origine ed il
significato.
E’ sconcertante la superficialità con cui al giorno d’oggi, anche in
testi qualificati, ci si fermi al primo raccordo etimologico che capita di
trovare, ingenerando così nel lettore non solo accostamenti semantici ed
etimologici inconsistenti, ma addirittura accostamenti fonetici con stirpi
etniche diverse e, quindi, in parte o
del tutto erronei.
Esempio paradigmatico è la parola polluzione nel significato di
contaminazione, termine ricorrente nell’attuale ecologia.
Dunque capita di leggere che tale termine, e questo avviene in genere
con spocchiosa e cattedratica sicumera, derivi dall’inglese pollution,
contaminare. L’affermazione è, oltre che incompleta, fuorviante e dimentica dei
valori di orgoglio latino.
La parola deriva, senza ombra di dubbio, dal latino polluo, nei due
significati originali di sgorgare (polluzione notturna, polla d’acqua) e di
contaminare (anche inseminando, da cui polline).
Ciò premesso, o la parola dei legionari di Cesare fu trasmessa alle
popolazioni dei Britanni sottomessi (di stirpe celtica); da questi agli Angli,
ai Sassoni, ai Luti e Frisoni nel V sec.. (stirpe germanica) ed infine da
questi ultimi ai Normanni nel XI sec.. (stirpe germanica) per poi ritornare,
oggi, nella forma apparentemente autonoma ed originaria di pollution.
Oppure, forse più semplicemente, faceva parte del patrimonio fonetico comune,
alle popolazioni indoeuropee ed autonomamente -nei Latini prima, nei Germani,
molto posteriormente - riaffiorata.
Da cui, sinteticamente, polluzione, o parola latina, quindi radice
indoeuropea, a noi di ritorno dall’inglese moderno, o parola comune a noi e
agli Inglesi moderni per origine unica di stirpe e di lingua.
Analogo esempio in turpitudine si riscontra allorquando, con
altrettanta superficialità, ALCAZAR, (famoso quello dell’assedio nel 1936 a
Toledo in Spagna), viene definita parola schiettamente araba, e quindi
certamente non di origine indoeuropea. Grossolano errore! Anche in questo caso
ci troviamo di fronte a parola di origine indoeuropea. Confronta castrum,
accampamento fortificato latino; castello:
grande edificio fortificato; cassero, parte sopraelevata e fortificata della
nave; greco, χαραξ, campo trincerato, accampamento.
Semplicemente la parola, di origine latina e greca, e quindi
indoeuropea purissima, ci è tornata dal mondo islamico, naturalmente arabizzata
nella tronca finale e nell’articolo qualificativo el -(per il-) inglobato nel
sostantivo.
Bisanzio, ultimo baluardo della romanità, era la fonte a cui l’slam
aveva attinto per coniare un vocabolo, solo alla apparenza, proprio.
Altrettanto per computer, non parola di nuovo ed originale conio dall’
inglese, ma dal latino computo. E così via ........
Stretta analogia concettuale con ARALDO, dunque, non solo per radice
schiettamente indoeuropea, ma soprattutto per conferma semantica e di
connessioni simboliche con i significati primigeni all’inizio esposti.
Sintetizzando infatti l'ARMA é la prerogativa comune delle popolazioni
indoeuropee, o semplicemente genti ARIA; tali popolazioni, bellicose e
guerriere, per millenni dominarono genti di altra stirpe dedite alla pastorizia
e all'agricoltura, costituendo in ogni societá con cui venivano in contatto, la
casta dominante, cioè l'ARISTOCRAZIA.
Nel tempo l'ARMA dell'aristocratico é divenuta anche, per traslato,
l'ARMA gentilizia o stemma.
Il massimo studioso in tema di stemmi é il Re d'ARMA che, guarda caso,
é l'ARALDO e la sua scienza l'ARALDICA.
Angelo Squarti Perla
Ante diem VI Idus Maias,
MMDCCXLII ab Urbe Condita.
10 maggio 1999, Era Volgare.
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