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Limiti del patrocinio
L. 16/12/1999 n. 47, così come modificata dal D.L. n. 82 del
07/04/2000, pubblicato sulla G.U. n. 83 dell’8.04.2000. Art. 7.1.
I praticanti avvocati, dopo il conseguimento dell’abilitazione
al patrocinio, possono esercitare l’attività professionale ai
sensi dell’art. 8 del regio decreto-legge 22 novembre 1933, n.
1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934,
n. 36 e successive modificazioni, nelle cause di competenza del
giudice di pace e dinanzi al tribunale in composizione monocratica,
limitatamente:
a) negli affari civili:
1) alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore
non superiore a lire cinquanta milioni;
2) alle cause per le azioni possessorie, salvo il disposto dell’art.
704 del codice di procedura civile, e per le denunce di nuova
opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’art. 688, secondo
comma, del codice di procedura civile;
3) alle cause relative a rapporti di locazione e di comodato
di immobili urbani e a quelle di affitto di azienda, in quanto
non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie;
b) negli affari penali, alle cause per i reati previsti dall’articolo
550 del codice di procedura penale. Art. 550 del Codice di Procedura
Penale.
1. Il pubblico ministero esercita l’azione penale, con
la citazione diretta a giudizio quando si tratta di contravvenzioni,
ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore
nel massimo a quattro anni, anche congiunta a pena pecuniaria.
Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui
all’articolo 415-bis. Per la determinazione della pena si osservano
le disposizioni di cui all’articolo 4.
2. La disposizione del comma 1 si applica anche quando
si procede per uno dei seguenti reati:
a) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo
336 del Codice penale;
b) resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo
337 del Codice penale;
c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’articolo
343, secondo comma, del Codice penale;
d) violazione di sigilli aggravata a norma dell’articolo 349,
secondo comma, del Codice penale;
e) rissa aggravata a norma dell’articolo 588, secondo comma,
del Codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella
rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi
o gravissime;
f) furto aggravato dell’articolo 625 del Codice penale;
g) ricettazione prevista dall’articolo 648 del Codice penale.
3. Se il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale
con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l’udienza
preliminare e la relativa eccezione è proposta entro il termine
indicato dall’articolo 491, comma 1, il giudice dispone con
ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.
Ridefinizione dell’ambito di esercizio della professione legale
per i praticanti avvocati abilitati (D.L. 82/2000, art. 2-terdecies
– da Il Sole 24 Ore n. 22 del 17.06.2000).
A seguito della soppressione dell’ufficio del pretore, innanzi
al quale – unitamente al giudice di pace – potevano legittimamente
esercitare la professione legale i praticanti avvocati abilitati
al patrocinio, si era reso necessario un intervento legislativo
che ridisegnasse l’ambito entro il quale consentire l’esordio
nell’attività professionale legale.
Il legislatore del ’99 (articolo 7, comma 1, lettera b), della
legge 16 dicembre 1999, n. 479), fedele a un’intenzione di rinnovamento
globale dell’attività giudiziaria, nell’ambito della quale la
ripartizione delle competenze tra giudici monocratici e collegiali
non riproponeva pedissequamente quella preesistente tra pretore
e tribunale, era intervenuto con una disciplina complessa, anche
in questo specifico settore.
E, infatti, preliminarmente aveva consentito l’esercizio dell’attività
professionale dei praticanti avvocati abilitati esclusivamente
dinanzi al tribunale in composizione monocratica, quindi nel
campo penale aveva ulteriormente delimitato il campo d’azione
alle cause per reati puniti con la pena detentiva non superiore
a quattro anni, ovvero con pena pecuniaria sola o congiunta
a quella detentiva prima indicata. Una serie di deroghe tuttavia
allargava questo ambito, per la verità un po’ angusto, in relazione
a reati già tipicamente pretorili (resistenza a pubblico ufficiale,
omicidio colposo, furto aggravato, ricettazione e altri).
La risultante era una disciplina che, seppur apprezzabile, per
il tentativo di sintonizzarsi con la complessiva riforma, appariva
oggettivamente farraginosa. La scelta operata con il decreto
legge 82/2000 di delimitare il campo professionale dei praticanti
avvocati abilitati per relationem, mediante il richiamo all’articolo
550 del codice di procedura penale, risulta pertanto essenzialmente
una scelta all’insegna della chiarezza, agganciata a un elemento
fisso e di immediata percezione.
Il discrimen viene infatti individuato con riferimento alla
modalità con cui è esercitata l’azione penale dal pubblico ministero,
giacché l’esercizio professionale dei praticanti avvocati è
consentito solo nei casi in cui si proceda innanzi al Tribunale
in composizione monocratica con citazione diretta.
Va tuttavia osservato che a tale scelta consegue una notevole
riduzione, soprattutto sotto il profilo qualitativo, dell’ambito
di esercizio dell’attività dei praticanti avvocati, poiché non
compaiono più i reati di omicidio colposo, violazione di domicilio
aggravata, truffa aggravata, maltrattamenti in famiglia e favoreggiamento.
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