SUONO n. 312, Luglio-Agosto 1999, rubrica ABARTHIZZAZIONI
IL VADEMECUM DELL’ABARTHIZZATORE - Ottimizziamo il circuito SRPP
di Fabio Federici

Il circuito SRPP (Shunt Regulated Push Pull) è oggi molto conosciuto e molto utilizzato anche tra gli autocostruttori. Forse non tutti sanno che è anche molto versatile. Analizziamo oggi una procedura abbastanza semplice per ottimizzare uno dei parametri più importanti del suo funzionamento: la corrente di segnale attraverso l’alimentazione.

Nell’articolo da me precedentemente realizzato sui condensatori catodici (SUONO n. 307 di Febbraio 1999) la parte che ha destato più curiosità, almeno stando alle lettere e richieste varie di informazioni a me pervenute, è stato un inciso inserito solo nella parte finale dell’articolo, in cui si esaminava una particolare proprietà del circuito SRPP.
E sì che ero convinto che l’affermazione più "forte", quella che non sarebbe passata del tutto inosservata, fosse che la qualità del condensatore catodico (quando presente, ovviamente) è più importante di quella del condensatore di uscita per quello che riguarda l’influenza sulla qualità sonica di un circuito generico.

Quindi questo mi porta a considerare che, in merito all’affermazione di cui sopra:
1) è data per scontata, almeno dalla maggior parte dei lettori di SUONO, e quindi quanto detto nell’articolo vi ha lasciato del tutto indifferenti;
2) non vi ha convinto fino in fondo e allora ci state ancora riflettendo, perché osservazioni contrarie non ne ho ricevute;
3) o forse vi fidate talmente tanto di quello che ho detto che lo avete assimilato e fatto vostro in modo completo.

Mentre la parte che ha destato più curiosità è proprio quella finale, in cui facevo notare che il circuito SRPP può prestarsi ad essere ottimizzato in modo da minimizzare la corrente che scorre nell’alimentatore, e quindi questo mi porta a pensare che proprio alla parte finale di quell’articolo, in precedenza non troppo estesa, dovrei adesso dedicare maggiore spazio.
E lo faccio ovviamente con molto piacere.

PREMESSA

Comincio con il dire che il circuito SRPP è un circuito che si presta ad essere ottimizzato in vari modi, a seconda del parametro che ci prefiggiamo di ottimizzare.
In particolare aggiungo che proprio l’ing. Aloia, (che io definisco simpaticamente "l’importatore" di questo circuito in Italia, avendolo presentato "qualche anno fa" al grande pubblico proprio sulle pagine di questa rivista), probabilmente il maggiore conoscitore delle potenzialità di questo circuito, ha suggerito recentemente un metodo per ottimizzare questo circuito nei termini della minimizzazione della distorsione.

La procedura della quale vi ho accennato nel precedente articolo consiste nell’utilizzare questo circuito per minimizzare la corrente di segnale che scorre nell’alimentatore.
Non starò a dilungarmi troppo su cose che dovrebbero essere ormai note, e cioè che è la corrente di segnale (e quindi la qualità intrinseca di questo parametro) la responsabile del bel suono di un apparecchio, e questa corrente, almeno nei circuiti tradizionali, scorre inevitabilmente anche nell’alimentatore, e di conseguenza scorre almeno nell’ultimo condensatore, quello più prossimo al circuito da alimentare.
Questo ipotetico condensatore è quasi sempre un grande elettrolitico, proprio per abbassare più possibile l’impedenza propria in alternata dell’alimentatore, e quanto più vogliamo abbassare quest’impedenza più dobbiamo usare un componente di grande capacità; ma più alta è la capacità che usiamo e più sono i rischi di incorrere in componenti caratterizzati da impedenze spurie di tipo non lineare.

Qualcuno dirà che basta usare tante piccole capacità per minimizzare l’influenza negativa di un equivalente grosso componente, ma è vero pure che anche i piccoli elettrolitici, pur se di alta qualità, sono sempre degli elettrolitici, e l’idea di spendere somme anche rilevanti per i condensatori di uscita e poi lasciar passare impunemente la nostra preziosa corrente di segnale attraverso una batteria di elettrolitici non mi sembra un’idea di estrema coerenza.
Ottimizzare il circuito SRPP nei termini dell’azzeramento (o almeno della minimizzazione) della corrente di segnale attraverso l’alimentatore consiste essenzialmente nel trovare quella particolare condizione di funzionamento che ci possa garantire una certa immunità rispetto alla qualità stessa dell’alimentatore, e quindi in sostanza dell’immunità nei confronti della qualità degli elettrolitici in esso impiegati.

Vediamo subito come in Fig. 1 è riportato, a sinistra, un generico circuito SRPP, mentre a destra è riportato il circuito equivalente alle differenze, o alle variazioni.
Per analisi alle differenze o alle variazioni s’intende la costruzione di un circuito equivalente in cui i generatori di tensione continua vengono cortocircuitati, e le tensioni e correnti presenti nel circuito sono solo di tipo alternato, e quindi di segnale; in particolare, i condensatori vengono assimilati a dei cortocircuiti, quindi ad un impedenza di valore zero.
Assimilare un condensatore ad un’impedenza di valore zero (in alternata, tengo ancora una volta a precisare) è un’operazione non sempre ortodossa, in particolare quando si parla di condensatori di tipo elettrolitico che, per quelli che di voi ricordano l’articolo proprio sui condensatori, su SUONO n. 292 di Novembre 1997, hanno caratteristiche spurie non sempre modellizzabili con elementi lineari.
Quindi, laddove siano presenti dei condensatori non propriamente lineari (per esempio dei grossi elettrolitici), dobbiamo per forza di cose inserire almeno una impedenza zC a ricordare che in quel punto c’è qualche elemento la cui influenza non possiamo trascurare.

Tornando al nostro circuito SRPP di Fig. 1 elenchiamo i vari simboli in esso presenti.

a) V1 e V2 sono ovviamente i due triodi-generatori, non necessariamente uguali, modellizzati come due generatori lineari di tensione comandati in tensione, dove le tensioni generate in uscita dai dispositivi, V1AK e V2AK, sono uguali rispettivamente a -µ1V1GK e -µ2V2GK (il carattere negativo, cioè invertente è caratterizzato nella figura dalle frecce orientate verso il basso);
b) µ1 e µ2 sono i guadagni di V1 e V2, supposti per generalità non uguali;
c) le resistenze interne dei generatori sono ra1 e ra2;
d) RL è la resistenza che rappresenta il carico da pilotare;
e) iL è la corrente che attraversa il carico;
f) iG è la corrente che attraversa l'alimentatore e il triodo superiore;
g) iT è la corrente che attraversa il triodo inferiore, ed è la somma di iL e iG;
Il resto dei componenti dovrebbe facilmente essere riconoscibile.

L'ipotesi, come citato nel precedente articolo, che per questo tipo di circuito esista una particolare condizione per cui la corrente che scorre nell'alimentatore e nel triodo superiore si annulli, deriva dal fatto che, intuitivamente, è lecito pensare che esisterà un caso in cui la corrente di segnale generata da V2 con verso orario (in controfase cioè rispetto a V1, e che passa tutta attraverso zG e si sdoppia attraverso RL e V1) azzera proprio in zG quella generata da V1, che scorre invece con verso antiorario, e si sdoppia attraverso RL e zG.
In questo caso, per il principio di sovrapposizione degli effetti, la somma delle due correnti circolanti in zG con verso opposto si annulla e quindi l'unica corrente circolante nel circuito è la iL, la corrente utile nel carico (questo sempre nel caso che zG possa considerarsi in grande approssimazione di tipo lineare) .
Allora il triodo inferiore V1, e di conseguenza anche il carico, è come se si presentassero completamente isolati dall'alimentatore, come se il triodo superiore V2 operasse da generatore di corrente costante rispetto a V1, mentre in realtà sappiamo che in un SRPP "standard" il riodo V2 è ben lungi dall’essere un generatore di corrente costante.

L’ANALISI DEL CIRCUITO

Come si verifica allora l'ipotesi?
Analizzando in Fig. 1b il tratto che da zG, con verso antiorario, arriva fino a V2 e a Vout, si ha che:
 
(1)
Esplicitando iG si ha:
(2)
Poniamo, per ipotesi, questa iG uguale a zero e controlliamo se esiste un valore per RK2 che rende questa ipotesi valida.
Ponendo iG uguale a zero, e di conseguenza iT uguale a iL, si ha:
(3)
ma V2GK e Vout sono rispettivamente uguali a:
(4a)
(4b)
Sostituendo allora la (4a) e la (4b) nella (3) si ha:
(5)
La iL può essere eliminata dai due termini e la (6) diventa:
(6)
cioè il risultato (dimensionalmente corretto, in quanto µ2 è un numero puro) riportato nello scorso articolo.

Da quest'analisi si vede che è scomparso dalle equazioni il termine zG, così come si nota l'assenza del termine RK1, e quindi il risultato è indipendente dalla presenza di questi due elementi, e dalla presenza quindi del condensatore catodico Ck1.
La conoscenza a priori della resistenza di carico RL permette di "tarare" il circuito SRPP in modo da annullare (nella pratica si tratterà invece di minimizzare) la corrente nell'alimentatore: scegliendo una resistenza catodica alta RK2 di valore pari a quello derivato dalla (6) (ovvero, utilizzando il procedimento contrario, lasciando fissa la RK2 e scegliendo una RL data dalla (6)), dove µ2 è il guadagno teorico del triodo alto in quella particolare condizione di funzionamento, la corrente iG viene di fatto annullata.

Questo è vero fino a che i triodi sono modellizzati con dei generatori lineari, mentre nel caso dei generatori reali (o meglio, dei dispositivi reali), il loro intrinseco comportamento non lineare fa sì che, generalmente, la corrente di segnale prodotta da V2 non riesca ad azzerare completamente quella di V1 in zG ; in zG allora scorrerà, realisticamente, una buona parte della corrente di distorsione prodotta dal circuito.

Se nel nostro circuito SRPP utilizziamo un triodo di cui conosciamo approssimativamente il guadagno possiamo cominciare a scegliere, tenendo per esempio fissa la RL, una RK2 variabile (per comodità è meglio utilizzare una resistenza con in serie un potenziometro) di valore complessivo di poco superiore a quello calcolato con la (6).

Ponendo una resistenza "sonda" RS di basso valore, ad esempio da 1Ohm, sul tratto superiore del circuito, cioè al di sopra dell'anodo di V2, collegando ai capi di questa un oscilloscopio e inviando un segnale in ingresso al circuito Vin , potremo trovare, al variare di RK2, un punto in cui la tensione di segnale ai capi di RS viene minimizzata.

Misurando allora il valore complessivo di RK2 (resistenza fissa più potenziometro) sappiamo che quel particolare circuito, in quelle condizioni di funzionamento, sarà ottimizzato: avremo minimizzato la corrente di segnale che scorre nell'alimentatore, con l'importante conseguenza di isolare il carico rispetto all'alimentatore.

Un problema può sorgere quando il valore risultante per RK2 è molto diverso da quello di RK1 .
Vi sono allora due casi.

Nel primo, la resistenza RK2 risultante è di molto inferiore a RK1, e allora possiamo aumentare il valore della resistenza di carico RL (quando questo è possibile, ovviamente) fino a portarlo ad un valore che ci consenta di avere RK2 quasi uguale a RK1 .

Nel secondo caso la resistenza RK2 risultante è di molto superiore a RK1 , e allora possiamo optare per due "sottosoluzioni".
Possiamo diminuire il valore di RL fino a un punto che consenta di avere un valore per RK2 molto vicino a quello di RK1 (per avere un circuito SRPP simmetrico), o possiamo, quando quest'ultima soluzione non fosse praticabile, utilizzare il circuito mu-follower, disegnato in Fig. 3 , che ci consente di dividere il valore della resistenza RK2 in due: una RK2' , direttamente a ridosso del catodo di V2, pari al valore di RK1 , e una RK2'' , in serie alla prima, di valore pari alla differenza tra la RK2 calcolata dalla (6) e la RK2' .
Con questo accorgimento abbiamo sì un circuito diverso dall'SRPP iniziale ma molto simile in termini di rendimento.

La resistenza al di sotto della griglia di V2 potrà essere di un valore di circa 470kOhm mentre il condensatore tra l'anodo di V1 e la griglia di V2 potrà essere di un valore pari a 0.22µF; la qualità di questo condensatore è ovviamente molto importante, ma su questi valori si può scegliere quanto di meglio esista sul mercato.
In questo modo il circuito è sempre simmetrico in quanto, se V1 è uguale a V2, RK1 è allora uguale a RK2' , e quindi le polarizzazioni vengono mantenute uguali per i due triodi.

A questo punto vorrei spendere qualche parola per chiarire cosa credo ci sia di diverso in questo metodo da quello applicato in altri casi.

Molti di voi, almeno quelli di voi che seguono altre rubriche di tipo tecnico, saranno a conoscenza di altre soluzioni: stadi come il mu-follower semplice (o altri ancora, tipo il mu-follower ibrido, oppure il mu-stage, o il beta-follower, o chissà quale altro nome esotico), sono stati messi a punto con lo scopo di ottimizzare il parametro del guadagno complessivo o quello dell’impedenza di uscita (o entrambi), o quello della distorsione partendo da un semplice assunto, che ora cercherò di descrivere.

In Fig. 2 è raffigurato il più semplice dei circuiti amplificatori di tensione: il cosiddetto "catodo comune" bypassato, ad uscita anodica, qui presentato senza carico, cioè a vuoto, per semplicità.

In questo tipo di circuito il guadagno a vuoto è espresso dalla semplice relazione:
(7)
È come se il circuito fosse capace in teoria di amplificare -µ volte il segnale in ingresso ma fosse seguito da un partitore resistivo costituito da ra ed Ra .
Per massimizzare il guadagno in tensione la Ra (la resistenza di carico anodica) dovrebbe essere molto più grande di ra (la resistenza differenziale interna).
All’aumentare di Ra il guadagno a vuoto diventa sempre più simile al guadagno teorico; quindi, per Ra molto più grande di ra vale la:
(8)
Non solo il guadagno avvicina sempre più il guadagno teorico ma anche la distorsione diminuisce, in quanto la retta di carico diventa mano a mano sempre più orizzontale.
Ma se Ra è molto grande dobbiamo aumentare per forza di cose anche la tensione continua di alimentazione per assicurare comunque un passaggio di corrente continua nel triodo.
Allora quello che si cerca di fare è utilizzare un cosiddetto carico attivo: la resistenza Ra viene sostituita da un circuito attivo con la funzione di "moltiplicatore di resistenza", e l’SRPP è solo l’esempio più semplice.
Un passaggio di corrente continua viene comunque assicurato anche con tensioni di alimentazione di valore non esorbitante (utilizzando dei dispositivi a stato solido al posto di V2 l’aumento di tensione di alimentazione può essere contenuto anche in pochi Volt), e il triodo inferiore (sempre V1) lavora con un carico che assume progressivamente le vesti di un generatore di corrente costante.
Ma nell’ipotesi di partenza è espressa comunque, in modo velato, l’intenzione che la corrente di segnale disponibile in uscita da Vout possa essere tutta utilizzata dal carico presente a valle, e che attraverso Ra (la resistenza anodica) circoli solo corrente continua di alimentazione.

Ebbene, nei circuiti che io conosco (e che ho poco sopra nominato) quello che si è fatto è stato, sì, sostituire la Ra con un carico attivo di valore molto elevato, elevando il guadagno ed abbassando anche la distorsione, ma con l’inconveniente di spostare l’uscita verso il catodo della valvola superiore (o comunque a ridosso del dispositivo attivo superiore); in questo modo la valvola inferiore lavora abbastanza isolata dall’alimentatore, in una condizione quasi a corrente costante, e produce solo un’amplificazione di tensione, mentre la valvola superiore (o qualsiasi altro dispositivo attivo utilizzato) produce la necessaria amplificazione di corrente ma lavora, purtroppo, a ridosso sia del carico che dell’alimentatore.
Questo porta a concludere che la corrente di segnale utile circolante nel carico a valle dello stadio viene fornita quasi esclusivamente dal dispositivo superiore, la quale circola inevitabilmente attraverso l’alimentatore, mentre la soluzione da me illustrata ritorna un po’ a quello che era lo spirito iniziale: il dispositivo superiore serve solo a fornire una corrente il più simile possibile ad una corrente costante mentre la corrente di segnale utile è generata quasi esclusivamente dal triodo inferiore, un po’ alla maniera del monotriodo classico (o alla maniera del circuito, sempre a catodo comune, del tipo a carico induttivo, cioè con la resistenza di carico anodica Ra sostituita da un induttore), col vantaggio, indiscutibile, che attraverso l’alimentatore non scorre nessuna corrente di segnale; e non mi sembra un vantaggio da poco.

Ripeto che con questo metodo non si ottiene la massimizzazione del guadagno, e/o la minimizzazione della impedenza di uscita e della distorsione che si ottengono con gli altri metodi, ma è vero pure che, qualora si adottasse la soluzione proposta con l’utilizzo dello stadio mu-follower, con lo sdoppiamento della resistenza RK2 , come sopra proposto, i parametri di guadagno, distorsione e impedenza di uscita sarebbero comunque di tutto rispetto.
La "condicio sine qua non" è ovviamente che si possa fissare a priori un valore di resistenza di carico a valle del circuito, e questo può valere, in generale, all’interno di uno stesso apparecchio multistadio; laddove a valle dell’uscita si presenti invece un altro apparecchio con un’impedenza d’ingresso "non prevedibile" tutto questo discorso perde ovviamente di valore.

In quest’ultimo caso si presenta allora la necessità di ottimizzare le interfacce dell’intera catena amplificatrice.
Qualora lo "stadio ottimizzato" veda alla sua uscita, ad esempio, l’ingresso di un finale di potenza, l’equivalente RK2 (o RK2’’) ottenuta dalla formula (6) può tener conto proprio dell’impedenza di ingresso al finale stesso.
È chiaro che così facendo il lavoro di messa a punto aumenta, e di molto anche.

CONCLUSIONI

A questo punto vorrei spendere qualche altra parola sul fatto, finora abilmente sottinteso, che tutto questo discorso può essere inteso come la possibilità di abarthizzare un apparecchio praticamente a costo quasi zero!

I più addentro alle "segrete cose" avranno già capito; per quelli che ancora hanno bisogno di qualche indizio, eccovelo servito.

Supponiamo di avere tra le mani un apparecchio che utilizzi almeno uno stadio SRPP o un mu-follower (che per quanto abbiamo già detto sono gli stadi a "totem" che più si prestano).
Cosa possiamo fare se ci troviamo in questa situazione?
Vediamo il caso ipotetico rappresentato in modo semplificato dalla Fig. 4 ; l’apparecchio A (per esempio un pre o un finale), contiene uno stadio SRPP.
L’anodo della corrispondente V2 è ovviamente collegato all’alimentazione, mentre a valle dello stadio è presente la resistenza di ingresso RL dello stadio che segue, la quale stabilisce (a meno di altre variabili che in questo momento non possiamo prendere in considerazione) grossomodo l’impedenza d’ingresso dello stadio a valle.

Cosa facciamo allora?

Laciamo stare l’SRPP così come è (qualcuno l’avrà pure progettato in quella forma), e cerchiamo invece di ottimizzare RL.
Ci muniamo di una resistenza RS da 1Ohm, di 1W di potenza, piazziamo poi uno dei terminali sull’anodo di V2, mentre l’altro terminale lo ricolleghiamo all’alimentazione che avevamo precedentemente scollegato da V2.
Ci muniamo anche di un potenziometro (la qualità non importa, serve solo per operare una misura, l’importante è che faccia contatto…) di valore almeno il doppio di RL.
Il valore di RL potrebbe essere tipicamente di 50k, 100k o un po’ superiore; in questi casi il valore del potenziometro può essere benissimo di 200k o 500k.
Colleghiamo il potenziometro in parallelo alla resistenza RL, e colleghiamo poi gli estremi di RS all’oscilloscopio (in assenza dell’oscilloscopio "potrebbe andare" anche un ottimo multimetro in alternata), il tutto grossomodo come in Fig. 4 .

ATTENZIONE - UNA PRECUZIONE IMPORTANTE!

Entrambi i capi della resistenza RS sono grossomodo al potenziale di alimentazione, e quindi nel collegare i puntali dell'oscilloscopio (o di qualsiasi altro strumento di misura) dobbiamo assolutamente osservare qualche fondamentale precauzione:

A questo punto alimentiamo la nostra catena da un segnale sinusoidale di centro banda, tipicamente 1kHz, e agendo sul potenziometro, se siamo fortunati, dovremmo riuscire a trovare un punto in cui la traccia sull’oscilloscopio (o il valore assoluto presente sul display del multimetro) presenta un’escursione verticale minima, per riaumentare invece spostando l’asse del potenziometro in altre posizioni.
In corrispondenza di quel punto di minima escursione (stiamo misurando la corrente alternata che scorre nella resistenza RS, e quindi verso l’alimentatore) corrisponde ovviamente un certo valore della resistenza del potenziometro.
Ebbene, quel valore preciso della resistenza offerta dal potenziometro, in quella posizione, è il valore di una resistenza che possiamo mettere in parallelo alla già presente RL, ottimizzando le prestazioni dello stadio che la precede.

Quanto abbiamo speso? Il costo di due resistenze, e il tempo materiale per fare le prove. Non mi sembra male.
Anche se le cose non stanno in maniera così semplice, e ci sarebbe moltissimo altro da dire, per adesso concludiamo così.

Alla prossima.

(Fine)

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