Francesco Guicciardini, La Historia di Italia, In Fiorenza, Appresso Lorenzo Torrentino Impressor Ducale, 1551. Per gentile concessione della Biblioteca Universitaria di Pisa, esemplare alla segnatura H f 1.7

Il manifesto - 21/1/2005

Un testimone del marxismo italiano
La scomparsa di Nicola Badaloni

di Guido Liguori

Se n'è andato Marco. È così che familiari, amici, compagni e allievi chiamavano Nicola Badaloni, è così che egli amava farsi chiamare, come al tempo della Resistenza. Non un vezzo, ma il segno quasi di quella "scelta di vita" che non avrebbe rinnegato mai. Aveva compiuto da poco ottant'anni e da qualche tempo la sua voce era meno presente nel dibattito culturale e politico. Ma per molti decenni Badaloni è stato uno dei più prestigiosi intellettuali italiani e uno dei più prestigiosi intellettuali del Partito comunista italiano. Aveva sempre abbinato impegno culturale e impegno politico, quasi due facce di una stessa medaglia molto difficili da separare. Era stato a lungo (1954-1966) sindaco di Livorno, la città dove era nato il 21 dicembre del 1924, membro del Comitato centrale del Partito comunista (vicino alla sinistra, contrario nel 1969 all'espulsione del gruppo del manifesto), attento ai fermenti del `68-'69, presidente della Fondazione Istituto Gramsci (1971-1993) negli anni Settanta e Ottanta. Fermamente contrario alla "svolta della Bolognina" dell'89, Nicola Badaloni aveva partecipato alla battaglia politica della "seconda mozione" e aveva poi fatto parte del gruppo di intellettuali e politici che avevano dato vita dal 1993 alla "nuova serie" militante della rivista Critica marxista, a cui aveva già nei decenni passati attivamente collaborato quando era la rivista teorica del Partito comunista italiano, dopo aver partecipato all'esperienza di Società.
Nicola Badaloni aveva insegnato a lungo Storia della filosofia all'Università di Pisa, città nella quale in giovinezza aveva studiato (alla Normale, dove era divenuto amico di Carlo Azeglio Ciampi) alla scuola di maestri quali Guido Calogero, Luigi Russo e, soprattutto, Cesare Luporini, con cui avrebbe continuato ad avere nel tempo uno stretto rapporto di amicizia e solidarietà politica e intellettuale. Si era distinto a partire dagli anni cinquanta per gli studi sulla filosofia di Giordano Bruno (a partire dal suo primo libro, La filosofia di Giordano Bruno, uscito nel 1955 per Parenti editore); Giordano Bruno tra cosmologia ed etica, De Donatao, 1988), di Tommaso Campanella (Tommaso Campanella, 1965), di Giovanbattista Vico (Introduzione a Vico, 1982), di Antonio Conti (Antonio Conti. Un abate libero pensatore tra Newton e Voltaire, 1968). A questa rivisitazione di figure della filosofica italiana che erano state positivamente alternative rispetto al proprio tempo si era accompagnato lo studio di Marx, di Gramsci, del marxismo contemporaneo. Nel 1962 era uscito (per Feltrinelli) Marxismo come storicismo, libro di confronto con le principali correnti culturali del tempo, che avrebbe dato il là al celebre "dibattito fra filosofi marxisti italiani" sulle colonne di Rinascita. Se successivamente il filosofo livornese avrebbe ritenuto che l'uso del termine "storicismo" era stato probabilmente sbagliato e troppo foriero di equivoci, mai avrebbe abbandonato il nocciolo di una posizione filosofica che puntava su una nuova visione dell'individuo, e sugli individui associati in grado di controllare le condizioni materiali e sociali della loto esistenza.
In questa valorizzazione stava il nocciolo della sua lettura di Karl Marx (oltre ai tantissimi saggi e articoli, si ricordano i volumi Per il comunismo. Questioni di teoria, 1972, e Dialettica del capitale, 1980) e soprattutto di Antonio Gramsci. Del 1970 era la densa relazione introduttiva su Il marxismo italiano degli anni sessanta, in occasione dell'omonimo convegno dell'Istituto Gramsci, impegnata rilettura teorico-politica degli anni sessanta, tra marxismo "ufficiale" e nuovi fermenti (operaismo teorico, francofortismo, ecc.) sfociati nella cultura del Sessantotto.
Di Gramsci Nicola Badaloni è stato uno dei principali interpreti, soprattutto a partire dagli anni sessanta, attraverso una serie di relazioni a convegni e saggi che avevano scavato teoricamente sia nel "giovane Gramsci" che nel pensiero consegnato ai Quaderni del carcere. Due i suoi libri sul marxista sardo: Il marxismo di Gramsci (1975) e Il problema dell'immanenza nella filosofia politica di Antonio Gramsci (1988). Soprattutto importante il primo, che proponeva una lettura originale del pensiero gramsciano, nella cui genesi pesavano soprattutto - per Badaloni - l'influenza di Sorel e di Labriola, prima e oltre all'incontro con Lenin. Da Sorel il giovane Gramsci avrebbe derivato una sorta di "primato del sociale" che sarebbe stato modificato, ma non sarebbe andato perso, nel successivo incontro con il leniniano "primato della politica". Gramsci avrebbe anzi tentato una ricomposizione teorica e pratica di queste due facce del pensiero di Marx, incentrata sulla figura del "produttore", soggetto di una nuova cultura politica e di un nuovo sapere tecnico-produttivo.
Badaloni è una figura che ha espresso al meglio la presenza dei comunisti italiani nella cultura e nella vita civile e politica del nostro paese. Ha rappresentato un modo d'essere, uno stile politico e culturale che oggi è forse persino difficile capire: avere tutti i numeri e i riconoscimenti di un grande intellettuale, che però sa dare tutto se stesso all'interno di una impresa collettiva che si vuole finalizzata alla crescita politica e culturale non di pochi "migliori", ma di tutti. Anche per questo esempio che ci ha lasciato e che non muore con lui continueremo a pensare a Marco con affetto e con gratitudine.
I funerali civili di Nicola Badaloni si terranno oggi, alle ore 15,30. Il corteo funebre partirà dal Palazzo Comunale, dove, dal mattino, per decisione del sindaco Alessandro Cosimi, sarà allestita la camera ardente.
© Il manifesto



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