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Carta del turismo responsabile

Il racconto di un viaggio

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Gita in Valpolicella, 3 e 4 novembre 2001

 

Siamo in sei a partirte per questo weekend, Marcos, Marcob, Valerio, Alessandrat., Luca e Alessandrab. Altri amici ci raggiungeranno la domenica: Francesca, Sara, Filippo, Laura e Andrea.

Perchè abbiamo deciso di venire in Valpolicella? Per i soliti motivi per cui si va in un posto: per andare. Con calma, come impone la regola del Turismo responsabile, che tutti noi osserviamo (nello zaino il libro di Renzo Garrone,"Il Turismo responsabile").

La Valpolicella, come la conoscevamo noi, è la terra dell'amarone e del recioto, oltre a qualche informazione reperita su internet, che ci parlava di dimore dei nobili veronesi, delle cascate di Molina e del marmo.

Abbiamo prenotato un agriturismo proprio a Molina. La prospettiva è quella di stringersi un po' perchè ci sono solo 5 letti. Usciti a Verona Nord, ci fermiamo a mangiare qualcosa a San Pietro Incariano, in una piazzola per bambini, alcuni dei quali lì vicino esplodono divertiti i loro petardi, e a me viene in mente quella scene di Ecce Bombo dove Nanni Moretti ("Ssenti...è tuo questo?")scoppia con un punteruolo un pallone di un bambino dopo l'ennesima pallonata sulla schiena. Mangiamo qualcosa che abbiamo comprato in un supermercato, pane e salame, patatine alla paprika, pomodorini, una torta alla ricotta. Con la mente già rivolta alle mangiate che ci aspettano all'arrivo.

Lasciamo S. Pietro Incariano e ci dirigiamo a nord verso Molina. Ben presto ci lasciamo alle spalle i dolci pendii rivestiti di viti di Fumane e ci addentriamo nelle più aspre colline della Valpolicella. Il sole del tardo pomeriggio autunnale fatica a ritagliarsi uno spazio fra questi pendii scoscesi, su cui si distinguono chiare le ferite inflitte dalla mano dell'uomo, nel lavoro di estrazione dei tipici marmi rossi di queste parti, con i quali i nobili veronesi decoravano i propri palazzi. Avremo tempo di rimirare questi paesaggi avari di dolcezze più avanti, adesso abbiamo voglia di arrivare all'agriturismo.

Ci accolgono due cani. Una signora viene ad indicarci la via. Non sono abituati a fare servizio di weekend, più che altro affittano la dependance per lunghi periodi in estate. Scopriamo che abbiamo un caminetto, la casa sembra comoda e spaziosa, la signora ha aggiunto un lettino, per fortuna. Il lavello è fatto con una piastra di marmo. Scopriremo che parecchie cose sono fatte col marmo da queste parti. Il caminetto ci fa venire voglia di castagne, ma ancora non abbiamo le idee chiare sul programma della serata. C'è la voglia di bersi un'ombra, di fare una passeggiata in giro, di trovare un posto dove mangiare qualche prodotto tipico.

Dal giardino della signora c'è una stupenda vista sulle alture circostanti, ma il sole sta ormai per andarsene, è meglio sbrigarsi.

In paese ci informiamo sulla possibilità di fare il giro delle famose Cascate di Molina, il biglietto costa 6.000 lire, il percorso dura da 30' a 2 ore. Rimandiamo al giorno dopo, perchè il sole sta già tramontando. Scendono le ombre, è tempo di bersi un'ombra.

Nella vicina Trattoria Du Scalini un ragazzo, che scopriremo chiamarsi Marco come circa la metà di noi, lavora con flemma dietro il bancone del bar ascoltando i Dire Straits, mentre un vecchio legge un giornale appoggiato al frigo dei gelati. Non c'è nessun altro. Chiediamo se si può mangiare. Marco sorride un po' facendoci notare che sull'insegna c'è scritto Trattoria. Ma se siamo 12 persone per il giorno dopo dobbiamo prenotare? Sarebbe meglio. Noi vorremmo mangiare qualcosa di tipico, lui ci snocciola a memoria un menù che comprende bisonte, struzzo e canguro. Canguro? Ma dove le prende queste carni? "Qui al negozio". Eh già, dove sennò. Comunque per il momento prenotiamo un'ombra, valpolicella classico, più tardi nella serata abbiamo prenotato anche per il pranzo dell'indomani.

Un'altra ombretta in un baretto di Fumane pieno di vecioti che giocano a carte dove, quando non c'è qualche diverbio in corso su chi doveva buttare cosa, si riesce anche a parlare, cioè mai. Ma fuori fa freddo, per noi che veniamo dalla pianura, e ci attardiamo un po'. L'idea sarebbe di andare a mangiare in un'enoteca o un ristorante non troppo esoso, ma non conosciamo il posto, e avventurarsi in queste cose è sempre pericoloso. Finalmente, dopo lungo peregrinare, trovando anche il tempo di comprare qualche castagna da preparare la sera sul fuoco, arriviamo a Sant'Ambrogio, all'Enoteca Al Covolo. Il posto è caldo, e per il momento ci basta. Nel seminterrato si possono gustare i vini accompagnati da affettati e altre ghiottonerie. Il vino lo si può guardare nelle vetrinette, e la gestora è comunque prodiga di consigli per chi, come noi, è ancora un apprendista. Scegliamo un Valpolicella classico Villa Spinosa, un Aldegheri e un Classico superiore Ripasso, sempre Aldegheri, che ci aveva soddisfatto. Ripasso significa che il valpolicella è ripassato sulle vinacce dell'amarone, che gli da quel gusto più vissuto. Il menù degustazione da 30.000 lire prevede trancetti di polenta e lardo aromatico, carpaccio di manzo marinato con insalatina di stagione, pearà abbrustolita con polenta, crostini di pane con tartufo e formaggio, crudo di parma con grana e sedano e infine vellutata di fagioli al tartufo con crostini di pane. Nel complesso siamo soddisfatti, con una curiosità insoddisfatta di assaggiare l'amarone, che in quel posto, dove la bottiglia più economica costava 54.000 lire, era fuori dalle nostre tasche. Ci avremmo pensato l'indomani, forse, ai Du Scalini.

A casa, accendiamo il camino per le castagne, ma il fuoco tarda a prendere e il camino forse ha qualche problema a tirare, e presto la stanza viene invasa dal fumo. Alcuni vanno a letto, altri fanno buon viso a cattiva sorte e restano a mangiarsi le prime castagne.

L'indomani è una giornata limpidissima, fa quasi caldo. A colazione ci arrangiamo, qualcuno mangia le castagne fredde, ma sempre buone, accucciato sulla poltrona, altri si spalmano fette di pane e miele. Le alture circostanti Molina sono limpide, e per la prima volta forse riusciamo a scorgere un disegno in questo paesaggio. Prati, che sovrastano lastroni di marmo, che affondano in una fitta vegetazione. I prati sono divisi da lastre di marmo erette a muriccioli. L'impressione è quasi di essere in Irlanda. Ti aspetti di vedere pecore sbucare da dietro un dosso, o qualche canguro, che poi ci serviranno al Du Scalini. Abbiamo appuntamento con gli altri verso l'una: facciamo in tempo a fare quel giro che avevamo programmato alle Cascate di Molina.

Il giro dura due ore. Apprendiamo da una lastra che il recupero dell'area a parco è stato reso possibile dal lavoro volontario degli abitanti del paese. Il percorso è tranquillo, non c'è molta gente, pulito e rilassante. Le cascate sono affascinanti, soprattutto la cascata del Tombolo, che sembra quasi finta con il suo letto di pietra levigata dall'acqua, la cascata Verde incorniciata dalle piante e la cascata Nera con il dondolo. Da un punto più in alto è possibile vedere tutto il panorama del parco, anche se non si vede molto perchè è tutto nascosto dagli alberi.

I ragazzi venuti su solo la domenica ci stanno già aspettando al Du Scalini. In tavola un paio di bottiglie di valpolicella classico. Marco viene a leggerci il menù e ben presto si comincia. Ammettiamo che, forse per la fame dovuta alla lunga passeggiata alle cascate o per il coinvolgimento nelle gioie conviviali, non abbiamo preso appunti dettagliati sul menù come avevamo fatto la sera prima all'enoteca. Basti qui dire che nessuno ha poi preso canguro nè struzzo, solo il bisonte che peraltro era buonissimo. Come tutto il pranzo, del resto, per cui abbiamo speso neanche 30.000 lire a testa. E infine bisogna dire che abbiamo potuto finalmente assaggiare una bottiglia di amarone, più economico ma buonissimo lo stesso. L'amarone è un signor vino e ha suggellato un pranzo squisito.

Quando ci alziamo da tavola sono già le quattro, il sole non è più cosi altro e qualcuno propone, prima di avviarci verso casa, di andare a fare un salto al ponte di Veja, un maestoso ponte naturale che Marco del Du Scalini ci assicura non distare più di un quarto d'ora di macchina da Molina.

Il Ponte di Veja è il portone d'ingresso di un enorme cavernone che però nei secoli è crollato per l'azione erosiva dell'acqua. Quando arriviamo il sole è ormai quasi tramontato, ma il ponte è magnifico nella sua grandiosità. E' uno dei ponti naturali più grandi d'Europa. Dei pannelli ci informano che in questo posto veniva il Veronese per prendersi il colore rosso ocra. Qui abitavano delle popolazioni primitive. Scendiamo facendo attenzione perchè si scivola sotto il ponte e scopriamo una grotta. Primitivi? Neanche un topo. Meglio uscire. Fuori fa buio. Sotto il ponte scorre un ruscelletto. Sarà stato lui a far crollare il cavernone.

Ci avviamo alle macchine per tornare verso casa, un po' timorosi di restare imbottigliati nel traffico del rientro dal ponte.