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Le Opere

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Francesco Bertolini, in arte Bertocesco, è un autodidatta che ha sperimentato il lavoro duro dei campi e dell’officina ed ha sentito il sudore della fatica come primo prezzo del “cavare” dalla pietra o del “trovare” nel metallo la forma, che la fantasia suggestionata dall’ispirazione gli imponeva.

Il dato iniziale è significativo e fondamentale, perché indica la traccia dentro la quale cercare le strade per comprendere ed apprezzare la ricerca plastica di que­sto scultore delle piccole dimensioni (ma è anche autore di monumenti “tradi­zionali” quali il Monumento ai Bersagliere, nella piazza dell’ospedale di Bovolone o Totem, un altro ferro saldato nel parco della villa Balladoro di Povegliano), che lavora il marmo locale e nazionale (dal Carrara, ai Gigli carsici, ai nostri Rossi) con la pazienza antica della bottega.

Questa dimensione contadina ed operaia rimane con la forza della terrestrità che essa comporta e con quel risvolto di primitività ingenua e smaliziata, ad un tempo, che ne fa una sorte di ambito privilegiato per certe ricerche Soprattutto per quelle plastiche.

E non solo da oggi, se pensiamo a quanti scultori del nostro secolo e dell’800 hanno iniziato come piccoli di bottega o sbozzatori in botteghe artigiane: da Martini e Minguzzi, da Marino a Messina, solo per proporre nomi di grandi.

A questo dato, un altro subito si accosta, con la naturalezza del vissuto: la civiltà contadina sottintende una cultura contadina e questa porta con sé una religio­sità contadina, più vicina alla magia che alla religione “borghese”, ma certa­mente una religione (come insegna l’amico Dino Coltro da decenni!). Penso ai capitelli della Lessinia e a tanta statuaria dei secoli scorsi e del nostro, libera da preoccupazioni che non fossero quelle della chiarezza del testo da rappresenta­re. Il che significa: attenta agli insegnamenti, magari “rubati” a qualche accade­mico di passaggio, anche di terza o quarta fila. Attenta con il rispetto dovuto al­l’esterno, ma anche con il sospetto dovuto all’esterno: per non lasciarsi incan­tare, per non lasciarsi fuorviare e rimanere liberi.

Se volete  le prove sono infinite  è quell’umanesimo popolare di cui Donatello e Tino di Camaino, agli inizi della nuova arte rinascimentale, furono i più sicuri e forti interpreti.

Dentro questi due argini, dunque, collocherei la storia artistica di Bertocesco, invitandovi a districarvi nelle immagini di questo volume, formano dei gruppi che, a mio avviso, potrebbero essere i seguenti: i Gobbi; i Ritratti animalesco-totemici; i Ritratti; gli Omaggi e le forme astratte.

Per queste ultime, che in modo così invadente manifestano le gradature all’e­sterno dello scultore, ho accennato al discorso delle presenze accademiche.

Non si trova qui, a mio avviso sempre, naturalmente, la forza di questo artista che di forza, al contrario, ne ha da vendere: come dimostrano tutte le opere de gli altri gruppi.

Lavori pieni e senza residui, giocati all’interno del cerchio magico della più viva cultura contadina, sollevati ad oggetti di contemplazione in tanto in quanto so no stati oggetti dell’amore dell’autore che li ha fatti nascere.

Li sentite parlare di se stessi questi Ritratti e farlo con la lingua quotidiana del Frizzo domestico, con la parlata sciolta e libera da orpelli di scuola. Sono Ritrat­ti che inviterei a vedere al vero, nella verità del marmo dico, perché possiedono un’anima palpitante, ma non sentimentale: la tristezza intensa di Figura di doìina, la perplessità di Giorgio, l’antica saggezza di Romano copricapo, il sospiro di Incompiuta, il sorriso sornione e benevolo di L’amico di Giorgio, la stanchezza lunare de Il viandante.

Mentre nel primo gruppo scoprirete quel tanto di magico, di shamanico - se mi sono consentiti il termine e l’accostamento - e religioso che troviamo nella ci­viltà contadina, quando si fa attenta ai misteri della vita e della natura: la serie dei Gobbi è antica quanto le più antiche statuette dei deserti e quanto le leggende della Lessinia; Figura etàrma di leone e Mascherone vere e proprie imma­gini apotropaiche da posare nei luoghi adeguati per riti propiziatori. Con sfu­mature diverse, altrettanto si può dire di Coceinella, Congelo. Polena verde ed al -tre simili nella forma e nelle scelte plastiche.

Un discorso a parte meritano gli Omaggi, specialmente gli Omaggi a Venezia: in questi marmi, di preferenza chiari, mi appare evidente il passaggio naturale, fa­cilitato dai contenuti vicini alla maschere e ai carnevali (e quindi, ancora una volta, apotropaici), dalla civiltà contadina a quella cittadina.

Sono solo accostamenti, naturali e furbeschi, che consentono alla scultore di avvalersi di codici leggeri e noti, come quei movimenti di boccioniana memoria -un dato così diffuso da essere pure esso popolare.

Credo che in questi spazi di ricerca, esplorati dall’artista da oltre venticinque an­ni, la scultura di Francesco Bertolini continuerà a cercare e a trovare ricca materia alla sua naturale necessità di fantasia poetica.

Francesco Butturini



 

Francesco Bertolini

via Casella, 26

37051 Bovolone Verona

Tel.  045.7100999

 

Bertolini