Dopo la riuscita rilettura de Il berretto a sonagli di
Pirandello, Bucci, Randisi, Sgrosso e Vetrano ripropongono, nell'ambito
di un progetto triennale sul teatro classico che proseguirà e si concluderà
con una rivisitazione di Cechov, una delle commedie meno rappresentate
di Molière, Anfitrione, ma forse tra le più rimaneggiate (mantenendo lo
stesso titolo) a partire dalla prima versione di Plauto e via via attraverso
Kleist e Giraudoux. Ideale il meccanismo teatrale che ripropone lo scambio
d'identità, drammatico per il re tebano Anfitrione, le cui vesti sono
assunte da Giove, e l'innamorata sposa Alcmena; comico, quasi grottesco,
per il servitore di Anfitrione, Sosia, la cui identità è usurpata da Mercurio
complice del capriccioso gioco del dio dell'Olimpo, e la prorompente moglie
Cleante. Da un lato il mondo degli dei, così umani nei loro desideri,
ma prepotenti e crudeli nel volerli soddisfare, e alla fine demitizzati
e irrisi, dall'altra, a far da contraltare, il mondo degli uomini, consapevoli
dei loro limiti, ma, alla fine, orgogliosi della propria condizione. È
un gioco teatrale che rappresenta un concetto quanto mai contemporaneo,
il dubbio di sé, la perdita dell'identità, la confusione esistenziale
in cui cadiamo confrontandoci con una realtà in continua e rapida evoluzione,
in bilico tra ciò che è e ciò che ci appare, così come ci dice Sosia introducendoci
alla commedia: nulla è quello che sembra, l'apparenza confonde, la storia
sembra contorta, ma non lo è. Ed è proprio per questa modernità già insita
in Anfitrione, che non erano altresì necessarie attualizzazioni gestuali
e di espressione che volgarizzano un linguaggio di per sé puro nei suoi
equilibri. Un plauso agli interpreti Elena Bucci, Alcmena e Notte, Stefano
Randisi, Mercurio, Marco Sgrosso, Anfitrione, Enzo Vetrano, Sosia, insieme
a Marika Pugliatti, Cleante, e Giuseppe Battiston, Giove, che con la loro
presenza attoriale occupano ogni angolo della scena muovendosi attraverso
una scenografia scarna, che si appoggia su sapienti giochi di luci e ombre,
due scale a gradini ora accostate, ora contrapposte o allontanate che
ricreano di volta in volta l'Olimpo, il talamo nuziale, o la casa di Anfitrione.
Anche nei momenti di recitazione sopra le righe, tuttavia non escono mai
da quello che può essere ritenuto il limite di credibilità e verosimiglianza,
rimanendo sempre all'interno della bella prova d'attore. Particolare cenno
merita l'accattivante, altisonante, incongruente Elena Bucci, eclettica
nel passare dal ruolo dell'ora dolce, ora incredula ed ora arrabbiata
Alcmena, a quello della poetica e saggia Notte, che favorisce gli dei
rallentando il suo cammino, accompagnata nel suo incerto e languido procedere
da suadenti brani musicali. Sicuramente una creazione scenica, questa
di Notte, curata in ogni suo tratto e movenza, di certo originali e inaspettati.
Anche con Anfitrione di Molière, questo gruppo di attori mantiene alta
la capacità artistica per la quale si sono imposti sulla scena italiana
nel teatro di ricerca. (katia rossetto)
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