FUORI CONTESTO 2001 - Teatro del Parco Mestre VE |
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15 marzo |
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Barbablù, in principio |
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TAM - TEATROMUSICA |
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Inquietante, signori
non vi sono
altre parole per descrivere l'atmosfera che circonda e
assale lo spettatore immobile al suo posto. Sei lì, il
sipario si sta sollevando e non scorgi nulla, solo il
buio che un po alla volta, lentamente si dirada e
mostra a tratti ciò che prima celava, accrescendo uno
stato d'ansia alimentato da suoni e silenzio
Tutto resta sospeso nell'aria in attesa che qualcosa succeda. Sono pochi minuti che sembrano interminabili in quel fremente e insaziabile desiderio di vedere, di capire cosa sta per succedere. Ed ecco ad un tratto, quando gli occhi oramai si sono abituati al buio e hanno codificato buona parte della scena, un rumore sinistro scende dal cielo: un coltello. Adesso finalmente conosciamo Barbablù (Laurent Dupont): anche lui un po alla volta ci appare, si presenta, scompare nella suo armadio/tana. Una figura strana, magra, quasi deforme in una sorta di rachitismo che lo corrode dall'interno. Una magnifica figura di dualismo schizofrenico: combattuto fra l'orrore per se stesso e l'impossibilità di essere diverso; tra la voglia di cambiare, la necessità di invocare, chiedere perdona a Dio e il piacere di compiere quegli atti. La recitazione di Dupont è affascinante in quelle movenze tanto leggere quanto cariche di un peso invisibile; carico che conduce Barbablù a subire l'attrazione dell'oggetto dei suoi desideri: la donna. Un essere amato tanto da essere odiato, fatto frutto di una violenza indescrivibile. Ma tutto ciò non ci viene mostrato il nostro uomo ha già compiuto i suoi atti, ora gli rimane solo il rimorso o il piacere. La pazzia che si fa strada nella sua mente lo spinge verso quella donna (Claudia Fabris), ora moglie, ora madre, ora figlia, ora prossima vittima. Ma non è così, quella giovane donna è oramai più forte di lui, lo attrae, lo fa avvicinare per poi allontanarsi, si mostra al suo sguardo - e al nostro - per poi celarsi d'improvviso. All'inizio inarrivabile chiusa in una "teca" che la difende dal mostro. Solo quando è oramai sicura della sua superiorità ne esce e a lui si concede, ma oramai lui è completamente in suo potere: è un giocattolo nelle sue mani. Anche in questo caso la fiaba di Perrault è solo un pretesto, non vi è traccia neppure del buon Barbablù di Anatole France Il Tam Teatromusica di Padova ci ha lasciati con una stupenda prova corale - ovvero attori, regista, tecnici, ecc - in cui a loro dire, e non posso che essere d'accordo, "l'opera di ricerca si è spinta ad analizzare i rapporti tra maschile e femminile per attraversare la questione fondamentale attorno a cui ruota la scrittura scenica che è l'inseparabile legame tra creazione e distruzione nei rapporti tra gli esseri umani e tra loro e le cose che li circondano, anche quelle che essi stessi hanno creato e che più amano". Resta solo da decidere chi dei due protagonisti è l'essere umano che crea e che distrugge anche le cose che più ama (stefano cavagnis) |