-Francesco Bearzatti

Marc Abrams

Paolo Birro

Massimo Chiarella

Francesco Bearzatti Quartet

Un quartetto davvero raro e, come tale, da non perdere...
Francesco Bearzatti, Paolo Birro, Marc Abrams e Massimo Chiarella: quattro jazzisti apprezzabili in particolar modo per la capacità di riunirsi dopo lunghi periodi di non contatto - il quartetto formatosi quattro anni fa si è esibito relativamente in poche occasioni -. La capacità di salire sul palco e offrire uno spettacolo accattivante e tecnicamente eccellente.
Mercoledì sera al Nord-Est Jazz-Fest 2001, all'Arena del Centro Candiani, hanno eseguito brani composti da Francesco Bearzatti. Praticamente brani inediti per noi e per loro.
Pochi minuti di prova durante il sound-check, qualche battuta fra di loro, un paio di accorgimenti ed ecco... come se li avessero suonati già mille altre volte.
Sia ben chiaro, ognuno dei sette brani eseguiti è genuino, forse deve qualcosa agli standards classici, ma non molto. Ottimo jazz dal primo brano - No title - fino a Kattiwik, che inizialmente lo si voleva dedicare a Massimo Chiarella, che certamente può apparire un pò orso anche nelle movenze, ma che sa accarezzare, quando vuole, la sua batteria con il tocco di un colibrì, rapido e preciso.
Un ottimo concerto jazz merito della professionalità e dell'abilità con cui percorrono le infinite scale dei loro strumenti. Le musiche di Francesco sanno descrivere armonie inusuali, di impronta eterogenea e allo stesso tempo quasi presenti in noi, comuni oggetti del nostro quotidiano, quasi canticchiabili...
Un plauso a Paolo Birro che ha saputo al piano armonizzare tre strumenti - più il suo - che non si vedevano da tempo.
Dell'americanski Marc Abrams non possiamo che apprezzare la sua bravura unita all'energia e alla presenza scenica che lo contraddistinguono - contrappunto e complemento di Massimo e viceversa -.

Al termine del concerto Marc mi ha chiesto com'era... A caldo gli ho risposto ottimo, sicuramente ricco di spunti emotivi e tecnici, tuttavia ho voluto stuzzicarlo... "Gli attacchi erano tutti perfetti? In qualche passaggio dopo gli assoli, non c'era qualche sbavatura?..."
Marc mi guarda e semplicemente, senza cercare scuse o che ne so, mi risponde: "Forse sì. In qualche attacco qualcuno di noi era un attimo fuori tempo, ma quando si improvvisa come nel jazz il fuoritempo è naturale, quasi voluto. Perché, improvvisando, lasciamo spazio alle nostre sensazioni, alla nostra libertà sullo strumento e quindi anche un errore simile non voluto, in realtà è voluto da quell'armonia che si crea suonando..."
Non posso che essere d'accordo. Il jazz ha delle regole e una di queste - fondamentale - è la libertà che ogni esecutore possiede mentre suona, perché in quel momento se è un vero jazzista diviene autore... (s.c.)

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