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SANTUARIO MADONNA DELL'OLIO

 

Posizione

Il Santuario della Madonna dell'Olio sorge nell'aperta verde campagna, in ridente solatia posizione, sul declivio d'una estesa ubertosa collina, a 660 m. di altitudine, nel territorio del Comune di Blufi, provincia di Palermo, diocesi di Cefalù. Prima dell'autonomia comunale concessa nel 1972 a Blufi, piccolo centro agricolo montano, in continuo sviluppo, di circa 2500 abitanti, il Santuario faceva parte del Comune di Petralia Soprana, antichissima cittadina delle Madonie, patria dell'illustre e pio scultore Frate Umile Pintorno.
Il Santuario dista km.2 dal centro abitato di Blufi, km.12 da Petralia e 12 da Alimena, km.115 da Palermo.

Denominazione

La chiesa è stata sempre denominata col titolo di "Madonna dell'Olio". Tale denominazione si pensa derivi dal famoso olio minerale che, da tanti secoli, affiora in una vicina fonte e viene adoperato, con devozione mariana, come farmaco efficacissimo nelle malattie cutanee e come rimedio vermifugo. Non si esclude la possibilità che la denominazione possa essere derivata anche dall'abbondanza d'oliveti nella zona, in tempi remoti.
Ammessa l'abbondanza d'oliveti nella zona, in tempi remoti, si spiega anche il motivo per cui la vicina sottostante pianura del fiume Imera Meridionale è chiamata ancora col nome di "Giardini d'oliva"; e l'antico mulino a forza idraulica, ora in rovina, era chiamato "Mulino Oliva"; e il torrente che scorreva vicino al Santuario era segnato sulle Carte Topografiche col nome di "Torrente d'oliva".

La fonte dell'Olio

Qualunque sia l'origine del nome, la caratteristica speciale di questo Santuario è la vicina fonte d'olio minerale. Di questa notissima fonte d'olio e di petrolio, mista ad alti idrocarburi, fanno menzione geologi moderni e storici antichi. Anche Aristotele, il grande filosofo e scienziato della Grecia, pare che accenni a questa fonte minerale, in una delle sue opere scientifiche. Anche lo stagno d'acqua dannosa per le serpi, ma salutare per gli uomini, esistente nel territorio di Petra (Petralia Soprana), di cui parla Gaio Giulio Solino, geografo e naturalista del secolo III d.C., nella sua Raccolta di cose memorabili, si pensa si identifichi con questa fontana d'olio e petrolio, come pensano anche altri autori, giacché nessuno scrittore fa mai menzione d'altra simile fonte esistente nel territorio dell'antica Petra. Alcuni storici ritengono che l'antica città Petra delle Madonie venne in seguito chiamata Petralia, perchè nel suo territorio v'era questa sorgente d'olio.
Seguendo l'opinione di altri storici anteriori, fra cui Giambattista Caruso di Polizzi, il catanese Vito Amico, storiografo regio della Sicilia, nel suo "Lexicon topograficum Siculum", stampato a Palermo nel 1757, così scrive col suo chiaro latino, che traduco testualmente: "Nel territorio (di Petralia Soprana) c'è una fonte celeberrima d'olio galleggiante che, raccolto di mattina, viene conservato nei vasi. Vicino (c'è) la chiesa rurale della Madre di Dio con custodi eremiti. L'olio è indicatissimo per curare le malattie cutanee, sgorga abbondantemente e viene usato largamente nell'isola. Per questa fonte la città viene chiamata Pietra dell'olio e volgarmente Petralia". Tanti studiosi e tecnici hanno visitato questa antichissima sorgente d'olio, e qualcuno, per conto di compagnie petrolifere, ha fatto anche delle ricerche ed esplorazioni scientifiche, rilevandone anche la quantità approssimativa del giacimento.
Il centro sperimentale per l'industria mineraria di Palermo, negli anni Cinquanta, fece l'analisi chimica su un campione d'olio prelevato da questa sorgente "Madonna dell'Olio", e le risultanze dell'analisi, eseguita dal Dr. Pietro Giordano, vennero rese pubbliche e sono le seguenti:
"Il campione osservato a luce diretta si presenta di colore tra l'ambra oscura ed il bruno; a luce riflessa presenta un colore verde molto cupo.
Peso specifico a 15,5°C=0,94 corrispondente a 18 A.P.I.
Sono presenti composti solforati ( alchiltiofeni e tiofani) acidi naftenici ed ossigeno proveniente dalle rèsine. Il campione si potrebbe definire grezzo di tipo paraffinico-naftenico. Si sono notati - in buona parte - anelli naftenici rèsine ed asfalteni".

Uso dell'Olio

L'olio di questa famosa fonte è chiamato comunemente "Olio della Madonna". E le persone che lo adoperano con grande fiducia e devozione mariana, e spesso ne esperimentano l'efficacia, e talvolta ottengono anche grazie straordinarie, perché l'Onnipotente può ben servirsi di qualsiasi elemento per premiare la fede di un'anima. Ma l'olio minerale di questa fonte è cosa naturale ed ha naturalmente, per se stesso, delle mirabili virtù terapeutiche, curative, medicamentose.
Da un'atto notarile del 1479 del notaio Gaspare Minardo di Polizzi rilevasi che certi uomini lebbrosi, ricercati da un regio portiere di Palermo, vennero trovati in terra di Petralia e presso la fonte del petrolio. Nonostante il progresso delle scienze mediche, anche oggi il liquido untuoso di questa sorgente viene da molti ricercato e adoperato con grande fiducia, come rimedio efficace, come farmaco portentoso, specialmente nelle malattie della pelle e contro i vermi che spesso affliggono i teneri bambini. Ed è commovente vedere arrivare, anche da paesi lontani, talvolta con tempo piovoso, padri e madri di famiglia, che con tanta ansia e fede vengono a prelevare "l'olio della Madonna", per sollievo e la guarigione dei loro bambini, dei loro cari sofferenti. E molti decantano, poi, la meravigliosa efficacia di questo rimedio.

Leggenda dell'Olio

Si dice che l'olio di questa sorgente, prima, era commestibile; poi, perché qualcuno ne attingeva, di notte, più del necessario, venne cambiato da prezioso liquido di condimento in liquido nero combustibile. La genesi di questa leggenda potrebbe spiegarsi nel modo seguente. Dagli storici sembra risultare e dalla bocca di anziane persone s'è appreso che la sorgente dell'olio, prima, era più vicina alla chiesa, nell'ambito del terreno della chiesa. Tale sorgente, molto vicina alla chiesa, si esaurì nel secolo scorso; e l'affioramento dell'olio riapparve altrove, dov'è oggi, a circa trecento metri dalla chiesa. Dal cambio avvenuto dell'ubicazione della sorgente d'olio, avrebbe avuto origine la sopradetta leggenda.

Accenno di Aristotele

La leggenda dell'olio, prima commestibile, troverebbe conferma di credibilità in alcune parole di Aristotele, che scrive esistere in Sicilia nell'agro sicanico un liquido di sorgente, di sapore salso e acidulo, adoperato come condimento in alcune specie di vivande. Tali parole si riferirebbero a una località di questa zona, secondo l'autore dei "Cenni Topografici e Storici di Petralia Sottana" editi dalla tipografia Priulla (Palermo) nel 1908. Ecco il brano dello storico Giuseppe Inguaggiato Collisani, autore dei suddetti Cenni, che cita e commenta le parole dello Stagirita: "Nelle vicinanze della nostra città, trovasi sorgenti di petrolio ed asfalto, il primo combustibile esiste presso il sud-ovest di essa, a circa km. 9 di distanza, quale contrada chiamasi Madonna dell'Olio (territorio di Petralia Soprana). Ivi esiste una chiesa con annesso conventino dedicato alla Madonna dell'Olio".
Di tale contrada si occupa Aristotele nell'opera De Mirandis: "Est quaedam, dicunt, aqua in Sicilia Sicanico agro; ibi nempe liquor salsi acidique saporis gignitur, quo ut aceto in quidusdam epularum generibus utuntur". Ager Sicanius era il campo dedicato a Minerva, che nominata Sica, il campo fu detto così e trovasi fra Irosa ed Avanella.

Antiche origini della chiesa

Antichissime sono le origini della Chiesetta.
Nel secolo decimosecondo già esisteva una cappella dedicata alla Madonna dell’Olio.
L’antica piccola cappella, di cui sono rimaste le larghissime mura, venne modificata, ampliata e allungata nel secolo XVII.
Un manoscritto della prima metà del secolo scorso (1832), dando informazioni al governo borbonico sul santuario della Madonna dell’Olio, fa risalire la prima origine della cappella al secolo ottavo, così scrivendo: " è fuor di dubbio che quel Santuario è soggetto al Rev.mo Arciprete di Petralia Soprana, che la Chiesa nell’ottavo secolo fu costruita dai fedeli sparsi nell’economie di quelle vicine campagne, e riedificata dalla pietà del clerico D. Francesco Ferrara di detta Petralia nel 1762".
Secondo il giudizio di esperti archeologi, le pietre intagliate che stanno all’orlo della predella dell’altare maggiore sono certamente del secolo XII.
Nella campanella, dal dolce suono argentino, che dà il segnale dell’inizio della Messa, c’è inciso, assieme a tre foglie, l’anno 1135.
Sisto V, che, come consta da una tabella esposta in sagrestia, concedeva l’indulgenza di 200 giorni ai fedeli che di cuore recitassero le Litanie della Beata Vergine Maria in questa Chiesa, fu Papa dal 1585 al 1590.
Nel 1585, quindi, la fama di questo piccolo Santuario perveniva anche a Roma, presso il Vicario di Cristo, per interessamento di qualche influente personaggio devoto alla Madonna dell’Olio.
L’indulgenza papale concessa da Sisto V venne confermata, poi, da altri Sommi Pontefici, da Benedetto XIII, Clemente XIII e Pio VI.

Decorazioni e splendori

L’attuale chiesetta di stile settecentesco di metri 20 x 6, nella sua semplicità, possiede tesori d’arte.

Stucchi
L’interno della Chiesa venne decorato nel 1841, con pregevoli stucchi di disegni ornamentali e floreali, alcuni dei quali, quelli del Sancta Sanctorum, furono indorati con oro zecchino, coperto in seguito da colori.
Al centro dell’arco principale dell’interno della chiesa, in un magnifico cornicione, orlato d’alloro e sormontato da corona, sono riportate, oltre la data degli stucchi, le bibliche parole applicate dalla Chiesa al nome di Maria e appropriate al titolo di questo Santuario: " oleum effusum nomen tuum = come olio effuso è il nome tuo".

Pitture
Oltre ai pregevoli stucchi, orna la chiesa un affresco dell’Assunta, sulla volta ed in passato erano presenti due grandi quadri che purtroppo la mano di qualche sciagurato ha sottratto alla chiesa negli anni passati.
Una tela rappresentava la Madonna seduta col Bambino in braccio e ai lati San Giovanni Battista e una eroina martire, che, dopo tante ricerche risultò essere S. Margherita o Marina d’Antiochia di Pisidia, vergine e martire del secolo III, a cui era intitolata anche una chiesina, proprietà della Commenda Gerosolimitana, nell’ex feudo Susafa.
L’altra rappresentava il Crocifisso con la Madonna, l’apostolo Giovanni e la Maddalena ai piedi della croce.

Ninfe
Tre antiche ninfe o grandi lampadari con multiformi cristalli luccicanti, sospese alla volta con sostegni di ferro, conferiscono maggiore bellezza, luce e splendore a tutto l’interno della chiesa, sulle cui pareti spiccano, assieme ad alcuni semplici moderni appliques, i quadri in ceramica della Via Crucis, benedetti e collocati nel 1958.

Altari

L’altare maggiore in marmo venne edificato nel 1860, a spese del barone del feudo d’Irosa, Gaetano Pottino, come risulta da una iscrizione sullo stesso altare.
In seguito, vennero sovrapposte sul marmo dell’altare alcune figure in legno indorato, eucaristicamente simboliche: Abramo in procinto di sacrificare a Dio il figlio amatissimo Isacco, salvato in extremis dalla apparizione d’un angelo; il sacerdote Melchisedek che benedice Abramo, ritornante vittorioso dalla battaglia contro i quattro re orientali, che avevano vinto e depredato alcune città, portando con sé anche il nipote d’Abramo con tutte le sue ricchezze.
Molto più bello è l’altare di San Giuseppe, con marmi pregevoli, con bei fregi e gigli marmorei indorati e con una graziosa piccola immagine del Santo Patriarca col Bambino, scolpita sulla lastra frontale della mensa dell’altare. Gli altri due altari laterali, rivestiti in marmo nel 1950, non hanno nessun pregio.
Presso l’altare di San Giuseppe, in fondo alla chiesa a destra, anticamente v’era, chiuso da cancellata, il fonte battesimale, regalato negli anni ’60 alla nuova parrocchietta di Ferrarello.
La parrocchia di Castellana Sicula, invece, donò al Santuario, nel 1970, un bel confessionale in noce, ottocentesco.

Statua della Madonna

Sull’altare maggiore, in alta nicchia decorata, troneggia la bella veneratissima immagine della Madonna, che tiene sul braccio sinistro il bambino Gesù, il quale, vero gioiello, pieno di vita e di movimento e di graziosità, col suo ditino, con l’indice teso, indica ai fedeli di rivolgersi fiduciosi alla madre sua, tesoriera di ogni grazia divina.
Alla base della statua sono scolpite quattro graziose testine di angioletti, che sembrano voler innalzare in trionfo la Vergine Beata, assunta in anima e corpo in cielo.
Una presuntuosa mano di dilettante, nel 1947, deturpò gli abbronzati bei colori originali dell’opera.
Si ritiene, giustamente, che la mirabile statua sia opera del bravo scultore in legno Filippo Quattrocchi, nato a Gangi nel 1734 e morto nel 1818.
Dinanzi a questa celestiale immagine di Maria Santissima, che ispira tanta materna fiducia, sono passati in preghiera, contemplazione e lode tutti gli abitanti di Blufi d’ogni tempo e innumerevoli devoti di Locati, Bompietro, Alimena, Petralie, Castellana, Polizzi, Valledolmo e di tanti altri paesi e città. E tutti gli emigrati di questa zona madoniese, ovunque vadano, ovunque siano, hanno sempre viva negli occhi e nel cuore questa materna bella immagine della Madonna, cui spesso si rivolgono pregando, specialmente nei momenti cruciali della vita.

Statua di S. Giuseppe

La statua di San Giuseppe, in legno di cipresso, a sinistra di chi entra, è un’opera d’arte veramente geniale e originale.
A differenza di tante altre immagini giuseppine, che rappresentano, contro ogni logica e buon senso, lo sposo santissimo della Vergine Maria, in età senile e talvolta qual vecchio cadente, qui, invece, è rappresentato in aspetto giovanile, forte ma dignitoso, signorile, venerando, soffuso di dolcezza e bontà.
Ammirevole particolarmente per la finezza di linee del volto e delle mani, per i panneggiamenti classici e per la movenza e il lieve slancio della persona, che sembra muoversi in cammino, tenendo per mano il fanciullo divino. La statua del piccolo Gesù sembra opera di altra mano.
Ignoriamo, fin’oggi, il nome del valente artista di questo bellissimo geniale simulacro di S. Giuseppe. Da qualcuno viene attribuito al Bagnasco. Sappiamo con certezza, invece, i nomi dei devoti che fecero eseguire, a loro spese, nell’anno 1838, l’aureola di San Giuseppe: si chiamavano "Gaetano Randazzo, Calogero Barbarotta, Domenico Li Volsi, Vincenzo di Polito e
Onofrio di Geraci", il quale, per sua devozione, a spese sue e con l’elemosina raccolta, fece anche la corona che il piccolo Gesù tiene sul capo.

Pavimento e lapidi sepolcrali

Il pavimento della chiesa, fino al 1950, era con antichi mattoni di terracotta maiolicati e colorati con bei disegni e figure. Essendo moltissimi mattoni già scoloriti e consumati, nell’anno 1950 il pavimento venne integralmente rifatto con ordinari mattoni in scaglie di cemento.
In quella occasione, prima della pavimentazione, vennero riempite, e così scomparvero, le tre fosse sepolcrali, chiuse da lastre di marmo, in cui venivano deposte, prima della istituzione del cimitero, le spoglie mortali e le ossa dei defunti.
Prima delle leggi napoleoniche, le chiese, per gli italiani, erano veramente "patria, casa, tomba".
Alcuni nobili di Petralia Soprana, devotissimi della Madonna, nelle loro ultime volontà espressero il desiderio di essere seppelliti in questa chiesetta. E anche dopo la nuova pavimentazione, qualche tomba e lapide sepolcrale è rimasta nei muri laterali della cappella della Madonna.

Facciata della chiesa

Era un bello esemplare di stile ‘700 siciliano con elementi d’artigianato locale la facciata della chiesa col suo portale in pietra e col suo sovrastante terminale snello campanile, tagliato con 2 archi, con volute laterali e cuspidi in cima.
Il piccolo artistico campanile, colpito da un fulmine, era stato ricostruito nel 1889, tutto in pietre ben intagliate e lavorate. In epoca recente, presentando qualche lesione e pericolo, invece di ripararlo, alcuni decisero di demolirlo e abolirlo completamente.
In sua vece venne costruito, in cemento armato, un nuovo ordinario borghese campanile, addossato al lato anteriore della chiesa.
Sul frontale della chiesa spiccava, fino al giorno in cui fu rubato insieme alle due preziose tele, l’antico stemma gentilizio, in marmo, di un alto ufficiale dei Cavalieri di Malta. Lo stemma gentilizio apparteneva al balì, dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, D. Pietro Marcello, di famiglia torinese, Commendatario della Commenda di Polizzi Generosa.

Campane

Dall’alto del campanile, le antiche campane, mistiche voci divine, assieme alle moderne trombe di un potente amplificatore, chiamano e invitano alla preghiera e fanno sentire intorno, nell’aria pura e serena, la voce e la lode di Dio e della Beata Vergine Maria.
Sulle singole campane c’è la data della loro fusione. La più grande, che ha un armonioso inconfondibile suono, fu fatta da mastro Michelangelo Carabelo, nell’anno 1810, essendo procuratore l’eccellentissimo Duca di Serracapriola.
La seconda, più piccola, venne fusa nel 1664, con la seguente iscrizione: "S. Maria olei = S. Maria dell’Olio".
La terza è di recente fusione.
Inoltre vi è anche una piccola campanella che porta inciso l’anno 1135. Il suono di questa campanella venne registrato e commentato, nel 1972, da un inviato speciale della radiotelevisione italo-americana e fatto risentire, in una particolare trasmissione, agli emigrati siciliani in America.
Gli emigrati Madoniesi di Chicago prima festeggiavano solennemente la festa della Madonna dell’Olio, portando in processione la sacra icona, attraverso le strade di un rione, ora invaso da gente di colore. Avevano costituito anche la Confraternita della Madonna dell’Olio, che si mantenne fiorente e attiva per diversi anni.

Piazzale

Il prospetto della chiesa acquistò più ampio respiro con il nuovo ampliato piazzale, a mattonelle di asfalto, eseguito nel 1970, per mezzo di un Cantiere Regionale di lavoro, gestito dal Santuario.
Per lo spianamento intervenne anche una potente ruspa di grossa cilindrata, operante allora nella vicina autostrada Palermo-Catania.
Si accede al piazzale da due entrate: da una con le auto, dall’altra salendo una gradinata di tredici gradini.
Nel 1973 i gradini vennero rivestiti di bianco marmo e i muri che proteggono il piazzale vennero recinti da una ringhiera di ferro.
Nel 1999 il piazzale, ma anche la chiesa e il convento, sono stati rifatti in pietra, sempre grazie ai finanziamenti regionali.

Stele

Di fronte alla chiesa, all’estremità della piazzetta, venne innalzata, il tredici agosto 1973, su d’una base di pietre e cemento armato, una artistica stele mariana, alta complessivamente metri 10,55.
La stele, semplice e bella, su disegno dell’artista Emilio Librizzi, venne lavorata in ferro battuto, con fine maestria, dall’artigiano palermitano Ciro Averna, e inserita in un candelabro in ghisa, eseguito dalla fonderia G. Basile di Palermo.
In cima alla stele splende, come in una visione di cielo, una stella luminosa a cinque raggi, e, sotto la stella, brillano in alto le parole dell’angelico saluto: "Ave Maria".
La stele di questo Santuario è simbolo della Mistica Stella, Maria, che, con i raggi delle sue grazie materne, illumina sempre, conforta e guida gli uomini, nel cammino della vita, verso Cristo, luce e salvezza delle anime e del mondo.

Salone

Accanto alla chiesa, sotto un’ala del nuovo conventino, s’apre, a piano terra, un ampio salone che, oltre due stanzini e i servizi igienici, misura 18,25 per 9,55 metri.
Le mura dello spazioso locale erano già alzate nel 1920, per ampliare la piccola antica chiesetta.
Il fabbricato, rimasto per tanti anni incompleto e scoperto, negli anni ’60 venne completato e trasformato in accogliente salone, che serve ora per incontri religiosi, convegni e conferenze, e per cristiani trattenimenti nuziali.
In tali occasioni, il vasto piazzale adiacente dà la possibilità di posteggiare comodamente le autovetture, anche se numerose.

Conventino vecchio

Le casupole del vecchio convento, ormai inabitabili, furono costruite, con diverse aggiunte, in diversi tempi, che non si possono precisare.
Ma due vani, forse i più antichi, accanto alla chiesetta, conservano ancora intatta e solida la loro bella architettonica regale.
In queste vecchie e squallide casupole vissero allegramente, con tanti sacrifici, gli antichi custodi del Santuario e, per più di 10 anni, i primi Cappuccini qui venuti, due sacerdoti e tre fratelli laici.

Conventino nuovo

Il nuovo conventino, annesso alla chiesa, per abitazione dei religiosi, sorse negli anni 1920-1922, per iniziativa e interessamento di P. Francesco Librizzi da Locati, che raccolse i fondi finanziari fra parenti e conoscenti emigrati in America del Nord, che, con debita autorizzazione, visitò dal 22 maggio al 18 settembre 1920.
Nella costruzione del nuovo fabbricato, degni di ammirazione sono anche gli antichi devoti di Blufi, che trasportarono volentieri e gratuitamente, a dorso di muli, dal fiume Imera, tutte le pietre necessarie.
Il conventino, dopo circa 40 anni, subì alcune trasformazioni e venne abbattuto, perché lesionato, il piano superiore che aveva accolto nelle sue ampie stanze, per tre anni, un gruppo di allievi giovinetti, che iniziarono qui, con grande entusiasmo, i loro studi superiori, sotto la guida e l’insegnamento di P. Francesco da Locati.
In sostituzione del piano demolito, vennero costruite altre celle abitabili sul salone.

Cimitero

A poca distanza dalla Chiesa, quando le leggi civili del Regno d’Italia proibirono la tumulazione dei cadaveri in chiesa, venne costruito nel decennio 1880-88 un piccolo cimitero per i defunti delle varie borgate di Blufi.
In questo povero camposanto, fino a dicembre del 1960, vennero seppelliti tutti i morti di Blufi, che aspettando fiduciosi la risurrezione finale, riposando sotto l’ombra del Santuario, sotto la protezione speciale della Madre Divina.
Il 2 novembre, giorno dei morti, il vecchio umile campestre cimitero si anima tutto per la presenza e l’affluenza dei vivi.
E tutti vengono a visitare i loro morti, i loro antenati, deponendo sulle povere tombe un mazzolino di fiori, di crisantemi, e innalzando preghiere in loro suffragio.
Terminata la celebrazione delle Sante Messe, che tutti ascoltano devotamente, secondo l’antica tradizione, si va processionalmente dalla Chiesa al cimitero, per benedire le tombe e pregare liturgicamente tutti assieme per i poveri morti.
La vicinanza dei morti del piccolo camposanto conferisce maggiore senso di sacralità e di rispetto all’ambiente di questo Santuario.

FESTE TRADIZIONALI

MARTEDI’ DOPO PENTECOSTE

La devozione alla Madonna dell’Olio, così sentita e profondamente radicata nell’animo dei fedeli di Blufi e degli altri paesi circonvicini, si manifesta più fervida e commovente in occasione delle due feste tradizionali di questo Santuario.
La prima viene celebrata, da tempo immemorabile, il martedì dopo Pentecoste. E’ una festa ancora molto sentita, e tutti i fedeli di Blufi e centri vicini, in quel giorno, rendono omaggio alla Madonna, con la loro presenza e la devota partecipazione alla santa Messa.
Sembra una affettuosa festa di famiglia attorno alla madre.
Gli antichi abitanti di questa fertile zona agricola, prima di espandersi nelle campagne per i lavori del raccolto, nella stagione estiva, volevano chiedere la benedizione della madre divina, che ha sempre protetto i devoti.
Ma anche in altri diversi Santuari mariani c’è la tradizione di celebrare una caratteristica festa particolare in onore della Madonna, in uno dei giorni della settimana di Pentecoste.
Queste feste mariane pentecostali hanno un fondamento biblico e teologico, e vogliono indicarci e farci ricordare non soltanto la presenza di Maria Santissima nel Cenacolo, il giorno della Pentecoste, ma anche gli stretti rapporti che intercorrono tra l’azione salvifica dello Spirito santo e la collaborazione salvifica della Madonna.
Ancora viva è anche la tradizione di celebrare solennemente i sabati della Quaresima, in onore della Madre del Cristo Crocifisso.

FESTA DEL MEZZAGOSTO

La festa principale di questo Santuario si celebra il 15 agosto, solennità dell’Assunta.
La festa è preceduta da una solenne Quindicina, durante la quale, ogni mattina, all’alba, vengono numerosissimi, dai paesi vicini, i fedeli d’ogni età, molti a piedi scalzi, per ascoltare la Messa con omelia e cantare le lodi di Maria.
Il giorno della festa, dall’alba a mezzogiorno, è un continuo affluire di persone, che arrivano festose.
La festa di Mezzagosto richiama al Santuario una grande moltitudine di gente, proveniente non solo dai paesi vicini, ma anche da paesi lontani e città. E’ un potente richiamo religioso e tutti ascoltano devotamente la Santa Messa e moltissimi s’accostano ai sacramenti della Confessione e Comunione.
E’ una delle poche feste veramente religiose, non profanata da manifestazioni mondane e profane, conservando il preminente carattere sacro, svolgendosi tutta in una atmosfera di religiosità e di letizia cristiana.
Quando non erano d’uso comune i celeri automezzi odierni di trasporto, i fedeli, specialmente dei paesi lontani, sostavano tutta la mezza giornata al Santuario, e qui, dopo aver adempito il loro dovere religioso, solevano rifocillarsi principalmente con carni ovine, macellate sul luogo, dove v’erano le logge riservate ai macellai.
I dintorni si riempivano di nugoli di fumo e si sentiva ovunque gradito odor di caldo arrosto, che veniva consumato con grande appetito e in santa allegria di semplicità dai devoti pellegrini, seduti a terra o in piedi, sparsi a piccoli gruppi familiari, nell’aperta campagna, presso il Santuario, di cui conservavano per lungo tempo il grato ricordo, non dimenticando mai la bella immagine materna della Madonna dell’Olio.