Le Interviste del Boss

Hollywood Serenade
di Mauro Gervasini
da Film TV, 09-07-2000 (Anno 8 n°28)

Hollywood Serenade

In "Alta fedeltà" di Stephen Frears Bruce Springsteen "recita" per la prima volta. Ma il suo rapporto con il cinema è sempre stato molto intenso. Da "Thunder Road" a "Lift Me Up", da John Stayles a Jonathan Demme, le migliori "immagini" del Boss. Era bastata un occhiata veloce, distratta, a quella locandina. Robert Mitchum con la faccia da duro, una sigaretta, la camicia in bianco e nero macchiata di bourbon e di grasso per macchine. Il cappello che sfiora il titolo del film: "Thunder Road" (in ita-liano "Il contrabbandiere"). Bruce Springsteen non l'aveva neppure mai vista, quella vecchia pellicola del '58. Ma il nome, la "strada del tuono", era rimasto nel profondo del cuore. Per poi diventare una canzone, forse la più bella. "Il vestito di Mary svolazza, e come una visione si muove danzando sotto la veranda". Prima di scappare verso la terra promessa, prima di scac-ciare dalla mente i detriti del sogno americano, prima di tutto, il cinema. Per Bruce il rapporto con la Settima Arte è intenso e fugace al tempo stesso. L'urgenza del palco, l'energia nel rock'n'roll, non gli hanno mai permesso di diventare un cinefilo militante. Ma i personaggi delle sue liriche si agitano spesso dentro e fuori rappresentazioni in celluloide. Alcuni registi lo hanno capito meglio di altri, e si sono lasciati andare all'ispirazione delle storie, alle immagini evocate da quei ruvidi suoni di chitarra. "Il mio nome è Joe Roberts, lavoro per lo Stato...": comincia così "Highway Patrolman", un brano che "diventa" cinema nel 1991: "Lupo solita-rio" di Sean Penn. Joe e Franky, uno poliziotto l'altro irrequieto ribelle. Abele e Caino, ma sulla linea di confine che separa l'amore dall'odio, il giusto dall'ingiusto. La macchina da presa gira in panoramica verso una qualunque jungleland del Jersey. E inquadrra Jimmy the Saint che "si appoggia al cofano per raccontare storie di gare". La canzone è "Lost in the Flood", il film "Cosa fare a Denver quando sei morto" di Gary Fleder. Diverso nell'articolazione della vicenda, ma assai simile nello spirto che porta Jimmy il Santo (Andy Garcia) a cercare d'uscire "dal diluvio". E poi c'è Sylvester Stallone, quello sceriffo appesantito, frustrato, mezzo sordo che lavora a Garrison, la "Copland" del film di James Mangold. Avrebbe potuto amare Annabella Sciorra, insieme a lei si sarebbe forse convinto che un'alba non è soltanto l'illusione della bellezza del mondo. E allora per cullare il proprio dolore ascolta Bruce, "Drive All Night" e "Stolen Car": "Mi ha chiesto se ricordavo le lettere che avevo scritto quando il nostro amore era giovane e forte... ma adesso corro nella notte e viaggio nella paura di scomparire in questa oscurità". L'inverso, adesso: dal cinema a Springsteen: "Ovunque c'è un poliziotto che picchia un uomo, ovunque un bambino appena nato piange, ovunque un poveraccio lotta per un posto dove stare, cercami madre, io sarò là". È il fantasma di Tom Joad uscito dal "Furore" di John Ford, prima che da quello di John Steinbeck. Springsteen ha lavorato con il cinema. "Alta fedeltà" di Stephen Frears è il primo film in cui appare (nel ruolo di se stesso): con la chitarra interloquisce qualche minuto con il protagonista John Cusack, e nella versione italiana è stato stupidamente doppiato. Ma prima c'erano stati Brian De Palma (autore del video "Dancing in the Dark" con una giovanissima Courtney Cox), Paul Schrader (che ispirò "Bom in the Usa" e per il quale Bruce scrisse "Light of a Day") e più recentemente Jonathan Demme. Il regista di "Il silenzio degli innocenti" springsteeniano di ferro, volle a tutti i costi un brano del rocker per il suo "Philadelphia": "Di notte posso sentire il sangue che scorre nelle mie vene, nero e sussurrante come la pioggia sulle strade di Philadelphia". Un trionfo, con Oscar annesso. Ma il regista più indissolubilmente legato al cantante resta John Sayles, suo amico da tempo, autore di alcuni importanti clip ("Born in the Usa", "Glory Days", "I'm on Fire") nonché di uno tra i film preferiti di Springsteen ("Return of the Secaucus Seven"). Un sodalizio durato fino a "Limbo" (1998), alla fine del quale proprio Bruce canta l'ipnotica "Lift Me Up".

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