OPERA MAJOR (ANDANTE CON MOTO NON TROPPO ALLEGRO)-di Cesare Pavel Berlenghi-27-02-00

Cosa mi suonate stasera

Mani di pianista?

Come dirigerai la tua orchestra

Maestro?

Gli acuti degli archi

Di tono alto o basso ?

Il violoncello salirà o scenderà ?

Oh cuore cuore afflitto

Che musica vorrai stasera

Oh cuore cuore ferito

Che musica vorrai ascoltare

Dal coro che tu già non conosci?

Il mio cuore come il tenore

Che intona nuovi canti

Come il pianista

Che suona nuovi ritmi

Anche se gli spartiti

Sono gli stessi di sempre

S'alza di tono la sinfonia

Le mani del pianista

Sembrano impazzite

Come se suonasse con quattro mani

Sale di tono anche il coro

Sembra un mare in tempesta

Ed il primo violino

Una fragile nave in preda

Ai gorghi marini

Ora la musica scende

Persino l'arpa quasi tace

La viola e gli archetti

Sembrano il latrato d'un bimbo

Il trombone sembra

Una sardina lenta ed assopita

Ma ecco la tromba ha un sobbalzo

Come un lampo di montagna

L'arpa si scioglie

Come neve al sole

Ed il tono diventa allegro

La sinfonia si rivela

Con tutta la sua titanica impetuosità

Seguendo ora note

Lineari lasciate prima

Come fossero torrenti in piena

Lassù sui monti

I cacciatori di cinghiali

Attendono la preda

Ferita a morte

Ritorni dal carnefice

Per il colpo di grazia

Osservo attentamente ed incuriosito

Ma le mie mani

Sono sprovviste

Del fucile di caccia

Nel recinto dei cavalli

Addestro il mio purosangue

Un esemplare stupendo

Regalatomi dal principe d'Arabia

Quando sopraggiunge

Il mio fido cavaliere

Al quale chiedo notizia

Della principessa d'Oriente

"Mio Principe la principessa

è assetata del tuo sangue

e vuole ucciderti!"

Ed io in tutta la mia maestà

Mi sento come una bestia

Di quelle a cui spariamo a caccia

Ferita a morte

In cerca del colpo di grazia

O di redenzione

Sello il mio purosangue

E parto spedito verso l'oriente

Pronto per la battaglia

Ma il mio fodero

È privo della spada.

Cerco le stelle

Che mi guidano verso oriente

Ma il sole m'accecato la vista

Scruto in alto

Su una nuvoletta

Diana in compagnia di Venere

La dea della caccia mi sorride

Venere mi lancia una rosa

L'afferro

Mi pungo alle spine del gambo

Perdo sangue

Mi mancano le forze

Mi sembra di svenire

Quasi morire

Un manto di nebbia

M'avvolge

Nel deserto

Le due dee mi dicono

Di seguire la scia del mio sangue

Fino all'oriente

L'oceano che dovrò attraversare

È rosso sangue il mio sangue

Mi sembra d'impazzire

Non mi spiego il mistero o forse l'incantesimo

Anche la sabbia del deserto sembra alzarsi

E di tanto in tanto

Scorgo oasi e sorgenti

Sono assetato bevo più di un dromedario

Le mie forze aumentano

Nonostante le perdite di sangue

Scorgo un minareto

Entro sembra deserto

Solo pietre abbandonate

Tra la sabbia una lapide

La libero dalla sabbia

Una scritta

Un'altra

Un'altra ancora

"Nel nome di Allah misericordioso…"

e l'altra "Jahve, padre dell'universo…"

e l'ultima "In nome di Dio e di Santa Romana Chiesa…"

Non riesco a comprendere

Tre scritte su una stessa lapide

Tre culti diversi in un'unica chiesa

Mi chiedo chi potessero essere

Quei tre sacerdoti

L'odore del mio sangue

Mi desta da tali pensieri

E ritorno sulla mia pista

Ho sete scorgo una fonte

L'acqua è caldissima

Dai fumi scruto due vecchi

Canuti e barbuti

Parlano tra di loro

Uno strano idioma

M'avvicino afferro il tono

E' greco antico

Uno di loro mi dice

"So di non sapere niente

ed in questa sapienza so tutto"

"Socrate! Socrate! Mio maestro!"

"Piano non urlare qui si parla sottovoce

altrimenti faranno rigirare il sole intorno

alla terra"

"E tu chi sei?"

"Giovane dalla mente labile

e con il corpo immerso nelle passioni

io sono stato il tuo terrore e la tua letizia

durante la tua adolescenza negli anni

delle prime passioni e del gymnasium

Io sono stato l'origine

da cui sciocchi ed arroganti sacerdoti

ebbero la presunzione

di spiegare tutti i misteri

le scienze le arti ed i mondi esistenti"

"Aristotele, ma tu non abiurasti Socrate?"

"Non fui io giovane ma il potere

che regnava Atene a quei tempi

la crisi della democrazia generò fantasmi

di cui regnanti e potenti si nutrirono

durante i secoli e che illusero l'umanità

che fosse progresso e ci perdemmo

nel cosmopolitismo benchè parlassimo

la stessa lingua non ci capivamo

nuovi demoni s'appropriavano

della nostra coscienza venduta al mercato

come una qualsiasi merce, un nuovo potere

distrusse la libertà delle polis

e nuovi sacerdoti con il loro sapere assoluto

e imposero persino il loro logos

fu così per certi secoli

ma è così anche tuttora

il potere assoluto dei sacerdoti del sapere

distrugge le polis impone il suo logos

quale dialettica ci può essere

se il sapere è imposto con la forza e l'inganno ?"

"E quella lapide con tre scritte diverse?"

"Giovane sciocco ed incredulo

non sai forse che l'Assoluto

vuole essere ogni volta onorato

con feste e musiche diverse

pur le note essendo le stesse ?

Ora va per il tuo cammino

giacchè dovrai dare ancora molto sangue prima di giungere

presso il regno della tua principessa d'Oriente

La strada è molto lunga e tormentosa

prima che tu giunga nelle verdi valli

attraversate da fiumi pescosi

e opulenti di alberi sempre in fiore

Prendi questa spada, giovane,

ti servirà per difenderti da draghi e maghi

partorite dalle paure insite nella tua mente

Va e fanne buon uso Atena ti sarà vicino

ancora molto sangue dovrai dare,

giovane mio principe, prima di arrivare in oriente

Va e ricordati che Venere ti segue dall'alto e vicino

ora amorevolmente ora severamente"

"E perché giammai Venere

dovrebbe essere con me severa ?"

"Giovane, ogni qualvolta

ti scorderai della tua principessa d'Oriente

ogni qualvolta l'amore ti scemerà e sarai tentato e distolto

a rinunciare alla missione lei ti punirà atrocemente

Ora va e non chiederci più niente

L'oriente ti aspetta."

Riprendo il mio cammino

L’incontro con i due filosofi

Mi lascia ancora perplesso

L’animo atterrito si chiede mille domande

Si pone mille quesiti ed altrettante risposte

S’alza la voce del vento

S’alza la sabbia

Ma non mi sembra sabbia

È polvere, cenere o forse fuliggine

Il vento urla, fischia adirato

Sembra un grido lamentoso e continuato

Scorgo delle bandiere, dei vessilli lacerati

Cade ai miei piedi un elmo di guerra

Vedo dei soldati delle buche delle trincee

Mi sento chiamare la voce mi giunge rauca

M’avvicino timoroso

"Oh giovane che porti il mio nome

e di cui condivido la stessa malattia!"

"Chi può essere ?-mi chiedo-

"Chi sei tu caporale che mi appelli?"

"M’illumino d’immenso" –fu la risposta-

"Giuseppe Ungaretti, mio maestro!!"

"Si, sono io il soldato come te in trincea

che porta il tuo stesso nome datoti dagli avi

anche se tu l’hai dimenticato, e tu come me

vivi la trincea, il regno della sofferenza

e del dolore umano, a noi nessuna fatica

ci viene risparmiata e le sofferenze altrui

sono anche nostre, affinchè noi possiamo

capire i limiti dell’essere, i mali della vita,

le sue grandezze ed i suoi misteri

dalle più piccole a quelle eterne

e cantarne tutti gli aspetti, ah che dolore

alla gamba, ho sete Pavel, dammi da bere

dalla tua borraccia, l’acqua del tuo deserto

è ricca di sali ottima per le mie ossa malridotte.

Dammi da bere giovane dalla criniera color grano

Dammi da bere perché un giorno tu avrai tanta

gloria, quel giorno che è mancato a me e tu

ti ricorderai di me perché sarà anche il mio giorno

E ricordati che tra un fiore colto e l’altro donato

c’è l’inesprimibile nulla, e tu, afferralo, afferra

quel giorno e riempi quel nulla

questa notte passerà la nebbia non cancellerà

le nostre ombre terrazze d’immensa umanità

e la nostra gioia sarà l’armonia totale

con noi, gli altri e l’universo

giacchè è il tempo ad essere creato dall’eterno

e noi viviamo parte di questo tempo particella infinitesimale

atomi di oceaniche grida mai azzittite

il tempo fugge ma nuove gioiose scoperte

ci riserva a noi che siamo sempre giovani

che possediamo la dannazione dell’eterna giovinezza,

vedi mio giovane fratello, è la conoscenza del dolore

sorella minore del piacere, è l’amore dannazione

della poesia e la poesia dannazione dell’amore

che ci fa essere sempre d'animo giovane"

Mi risvegliai dopo un lungo sonno all’ombra

Di un dattero credetti di aver sognato

Mi sentivo stremato ferito

Come fossi stato in guerra

Ho fatto un sogno, mi dissi

Al collo mi ritrovai una mostrina

Come quella dei soldati in guerra

La lessi "Caporale Giuseppe Ungaretti classe 1888"

Sentivo echi lontani voci provenire da tombe mai assopite

Da venti balaustre di stanchezze ora ridestate da torpori eterni

Eppur umani e terreni come sofferenze inizio di gioie rivelate

O forse il contrario chi lo sa chi può affettare il dolore dalla gioia

Chi può dirlo chi può affermarlo quale potenza terrena o celeste?

Mi soffermavo sulle parole del soldato in trincea

Mi sembravano lontane da come l'avevo conosciuto

Sui libri diverse da come le aveva scritte

Il tempo dell'eternità aveva mutato le sue prospettive

Come se il suo linguaggio si fosse fuso ai miei pensieri

Altri pensieri giungevano enigmatici avvolti

Da un alone di indescrivibile impraticabilità

Ora afferrabili e violenti ora quasi impalpabili

Che l'eterno generi il tempo

L'eterno non conosce i ritmi

Gli istanti fugaci del tempo:

Non muore mai non vive mai

Meglio morire dopo aver vissuto

Piuttosto non morire senza aver mai vissuto

Che l'eterno si nutra del tempo generato

Che il tempo tutto cambi e laceri ma non placa

Dov'è la riconciliazione? Da chi e come ?

Ed ignoro se il tempo potrebbe placare

Il mio dolore quando non mi sento in armonia

Abbandonato nell'infinito ubriaco di quell'universo

Di cui si sente un docile lamento

E continuo a strappare a quello spazio nero

Spazio infinito a quell'illuminato silenzio

A quell'eterno silenzio, il suo inesauribile segreto

E chiedere risposte al mio vivere

Al tormento che provo di fronte alla scoperta

Di nuove gioie o di quell'imponderabile nonnulla

Sconosciuto privo di idee come una pagina bianca

Una voce repressa un grido anelato e soffocato

Un particolare insignificante come se giammai

Fosse esistito né avesse avuto svolgimento

Né pagine scritte di storia eppur presente

In ogni spazio temporale

O musa o musa ispiratrice mia diletta

Mia amata mia amante gelosa della mia donna

Gli uragani e le tempeste si susseguono ininterrottamente

Donami, o musa, la percezione d'un mare mai pago

D'un mare mai fine senza limiti se non da isole

Di pianto appagato da penisole di riso ininterrotto

O musa colpiscimi a fondo non essere gelosa della mia donna!

Che le forze dell'universo mi diano nuovi sostegni

Niente è assoluto né fermo ogni ora qualsiasi attimo

E' da afferrare e se fosse necessario rubare l'alba al sole

E regalarla ad ogni amore nascente o al passaggio della prima rondine

E come quel capitano caduto morto sul ponte

Allorchè la sua nave giunse vittoriosa da un lungo viaggio

Caddi anch'io in una sorta di sonno quasi morte

Vidi isole lontane mondi sconosciuti

Lingue mai udite monumenti mai costruiti

Anime dannate che si agiravano

Dentro torrenti secchi d'acqua

Come metamorfosi di comici o maghi di teatro

O cabaret l'infinito infinitesimale dentro calici

Ebbri di veleni ora donati ora offerti ora sputati

Il mio corpo vacillava in preda a sudori febbrili

O forse malarici la mia mente sembrava quasi

Staccarsi dal corpo come se un potente

E sconosciuto domino fosse diventato

Il mio burattinaio ed io una marionetta insignificante

Invocai la mia inesauribile volontà di farmi alzare

Ma la colsi impotente come il mio corpo

Sudavo e sanguinavo e mi torcevo

Come pesci nelle reti di pescatori

Quando mi sentii urlare con voce ferma

"Alzati uomo! È Ulisse che te lo chiede

anch'io ebbi paura allorchè oltrepassai le Colonne d'Ercole

prendi la spada che ti fu donata da un greco

qual sono io e combatti i mostri generati

dalla tua mente non aver timore delle tue paure

impara a combatterle alzati alzati e combatti

vedi , mio giovane, molte volte i limiti all'essere

sono in noi stessi generati dalla paura dell'ignoto

dal timore della conoscenza e tale paura aumenta

maggiormente allorchè noi ci avviciniamo

ad essa e non cercare risposte a quesiti terreni

nell'eterno chiedi solo al tuo dio la forza ed il vigore

chiedi solo il coraggio di camminare anche

quando il giorno diventa notte o quando nel deserto

cerchi il mare e non si possiede navi per oltrepassarlo

perché quando io accecai il gigante Polifemo

con la lancia nel suo unico occhio

Giove in combutta con Nettuno mi privarono

della vista ed io completamente cieco

come il cantore delle mie gesta

centrai l'unico occhio del gigante

giacchè un'altra grande luce m'abbagliò la mente

Alzati e vinci i tuoi mostri

La tua principessa ti attende vittorioso"

Mi sentii quasi trasportato come un'onda marina

Sentivo sulle labbra la dolcezza della schiuma

Intorno a me delle voci in accento portoghese

Riconobbi un mio avo marinaio

Uno di quelli che osavano pescare

Oltre Gibilterra in pieno oceano

Ove si incontrava con altri naviganti

Italiani spagnoli e di altre terre

Innamorati ciecamente del mare aperto

Anche per loro una luce proveniente

Da un'onda o dall'abisso marino

Doveva averli trafitto il cuore

Mi risvegliai su una spiaggia lucentissima

Una musica soave e delle voci angeliche

Destarono la mia attenzione

Una delle ancelle addette ai lavori

Domestici mi si rivolge :"Benvenuto, o grazioso

straniero a Carthago, accetta questo giglio

segno della nostra amicizia"

"Carthago? Ma non fu distrutta dai guerrieri

pastori dell'urbe?"

L'ancella non rispose alla mia domanda

Una luce proveniente da una stella cadente

Mi diceva che Carthago risorgeva in qualsiasi luogo

Ogni qualvolta una nave colma

Di volti bellicosi e dagli occhi carnosi

E gonfi di grugniti attraversa il mediterraneo

Seppero del mio viaggio ed una nave

Fu ben presto pronta a portarmi in oriente

Lode a Carthago

Culla di civiltà

Dove le donne dalle vesti imperiali

E dai fianchi dondoleggianti irradiano

Il mare di freschi petali

Ogni qualvolta un eroe ulisseiano

Si getta ai loro piedi!

Oh dolce crudele amore che attendi il mio ritorno

O mia principessa così dolce e spietata

Quanto sangue ho versato

Quante sofferenze ho patito

O amore luce accecante seguita

Da innumerevoli stelle cadenti

Intercalate nel tempo da tempeste ed arcobaleni

Oh amore che non concedi mai pace

Lotta in cui rendi la vittima complice del carnefice

Come è difficile ricostruirsi dopo la tua tempesta

Com'è difficile scernere dal cesto il grano

Dalla gramigna com'è arduo guardarsi allo specchio

E mondarsi di macchie mai viste prima della tua venuta

E come un bambino assetato di seno materno

Caddi fra le braccia della mia principessa

D'Oriente allorchè la vidi salire sul ponte

Della mia nave mentre il corno e l'arpa

Intonavano ritmi somiglianti al ronzio

Delle api laboriose di miele su polline

Di fiori primaverili di cui il profumo

Irradiante dalle labbra della mia principessa

Mi fecero addormentare stanco ed esausto

E fu dolcissima la nostra aurora boreale

Ne nacque un orgasmo d'amorevole pazienza

Saggia e sapiente più esplosiva dell'elio solare

Ecco perchè i navigatori portoghesi

Ogni qualvolta si avventurano

In mare aperto

Guardano verso le stelle ad oriente.