La finestra dentro - articoli

"Juri Camisasca La finestra dentro" da Super sound, 10 giugno 1974  

"Juri Camisasca", da Ciao 2001, 23 giugno 1974

"Camisasca", (recensione) da Muzak LP n.9, luglio 1974   

"Juri Camisasca Sconcerto Rock" da Ciao 2001, ottobre 1974

"Juri Camisasca:la Musica che turba", da Nuovo Sound n. 21, 1975  

Da "La musica rock-progressiva europea",  Gammalibri 1980

Dal libretto del CD "La finestra dentro", ristampa 1992:

Peppo Del Conte

Giordano Casiraghi

Juri Camisasca  

Juri Camisasca, recensione a la ristampa de La Finestra dentro, aprile 2002

"La finestra dentro" recensione da L'isola che non c'era, maggio 2000

 

JURI CAMISASCA - LA FINESTRA DENTRO
BLA BLA BBXL 10005

E un momento di stasi e di ripensamento nel panorama della nostra musica e sia dal punto di vista creativo,  per quanto concerne cioè i musicisti stessi, sia dal punto di vista organizzativo e produttivo, per quello che riguarda le case discografiche non è difficile notare la effettiva situazione generale e rendersi conto di trovarsi in un periodo chiaramente di transazione nel quale quanto già e stato fatto appare in gran parte superato e quanto si deve fare non è abbastanza chiaro e definito, come non sempre chiare e definite sono le linee direttive nell'ambito delle quali operano quei musicisti che compiono una reale ricerca espressiva. In un simile stato di "empasse", che tra l'altro è comune a tutti i livelli artistici e culturali, sembra che si stenti non poco a trovare una dimensione espressiva assolutamente valida, vuoi per le carenze innegabili di linguaggio di certi artisti e per l'uso e l'abuso di certi valori ormai divenuti logori e privi di qualsiasi originalità al di fuori di un superficiale contenuto pseudo-culturale, vuoi per l'incapacità di altri nel comunicare e il loro consequenziale isolamento nelle proverbiali torri d' avorio di un'arte che perdendo ogni contatto con la realtà umana più concreta risulta appena un po' più che fine a se stessa, annullando con ciò ogni possibile legame corresponsivo tra il genio creatore e gli altri uomini.
In sostanza al giorno d'oggi si continua ad oscillare tra due opposti estremi, da una parte il tradizionalismo più ottuso e staticizzato, che non offre altro che una visione passiva e troppo convenzionale delle situazioni e dei momenti espressivi, e dall'altra la pretesa dell'avanguardismo ad ogni costo che nega la validità dello schema formale, ma che poi in fondo finisce per ricadere nello stesso errore perché ai vecchi parametri critico-estetici non fa altro che sostituire i propri e che essendo troppo spesso semplice prodotto di esperienze quasi soltanto teoriche, diventa una espressione di concetti assai macchinosi e di intricate filosofie, troppo legate a valutazioni completamente soggettive per risultare facilmente comprensibili da chi non sia per la meno iniziato a questo tipo particolare di comunicativa, così ermetica e a volte addirittura enigmatica.
E' ovvio che in tal modo si rischia di svilire l'arte o a semplice mezzo di persuasione, o a sterile rifugio dalle nevrosi di tutti i giorni, o ancora a evento pseudo-intellettuale quanto meno inutile, settorializzato e ridotto a una questione d'èlite con uno scarso valore sociale, ed è proprio questa la situazione attuale che ha determinato lo stagnare di quella sana corrente rinnovatrice che è la musica pop, la quale però ha avuto il grosso torto di cedere al compromesso col Sistema e di permettere ad esso il proprio recupero scadendo in un caos di forme troppo nebulose e gradualmente sempre più lontane dai significati sostanziali della rivolta espressiva e sociale e perdendo infine di vista quello che da sempre è stato il problema fondamentale della ricerca artistica, ossia la determinazione precisa del ruolo effettivo e della posizione dell'artista nell'ambito della società. Ora alcuni hanno risolto a livello personale tale interrogativo ponendosi al di fuori completamente della società e negandola totalmente, mostrandosi indifferenti e ribelli, altri hanno lottato per cercare un riconoscimento, altri ancora hanno cercato e cercano di cambiare la mentalità generale e i moduli oggettivi di valutazione gettando avanti a se il cumulo delle proprie esperienze e offrendole come elementi comparativi agli altri.
A questi ultimi appartiene Juri Camisasca, ventiduenne cantautore milanese del quale sta per uscire proprio in questi giorni il primo disco edito dalla Bla Bla, una di quelle case discografiche alla quale va riconosciuto un maggiore impegno costruttivo nell'ambito della musica italiana.
Camisasca non ha nulla a che vedere con la classica figura del cantautore italiano, che in genere è più un poeta che un musicista, ma tutto sommato ha ben poco da spartire anche con i modelli di cantautori anglosassoni e americani impegnati nel recupero di certi aspetti della tradizione folkloristica del proprio paese. Egli infatti non è uno studioso o un cultore di canti popolari e principalmente tende con le sue composizioni ad aprirsi un varco verso gli altri, offrendo delle impressioni, le proprie immagini, frantumate nei molteplici aspetti di visioni distorte della realtà al limite tra una dimensione onirico-simbolica e nello stesso tempo concreta e tangibile nei propri aspetti surreali. Nelle sue allucinazioni vive nella più completa interezza il mondo della massificazione e delle nevrosi, l'incubo oggettivato di una precisa realtà sociale ed esistenziale guardato dal di fuori, ma non per questo con distacco e filtrato dal suo temperamento introverso ed irruente ad un tempo. Simbolizzazione del proprio essere disperato costitutivo della massa non meglio individuato, e questo non per dipingere semplicemente situazioni più o meno risapute, quanto per provocare e aggredire il pensatore medio, per scuoterlo dal proprio acquiescente conformismo e per soddisfare la propria necessità di comunicare non tralasciando di esternare tutto di sé, soprattutto nei momenti rivelanti delle realtà inconsce date come situazioni oniriche.
Il disco che tra l'altro è prodotto da Battiato, musicista che stimiamo molto e al quale non sono stati di sicuro riconosciuti tutti i meriti, insieme a P. Massara, si compone di sette brani, o meglio sette momenti, tutti scritti da Juri Camisasca, i quali mostrano una grande coerenza espressiva e una omogeneità ispirativa che giustifica ampiamente l'impressione che si ha al primo ascolto di un'opera assai unitaria e compatta. Non c'è assolutamente nulla degli assurdi sperimentalismi o dei vuoti effettismi per far impazzire le masse, eppure la struttura portante di tutto il discorso appare diversa, gli schemi sono totalmente resi insignificanti dal di dentro e vengono facilmente travalicati; l'unica definizione possibile è quella di una tradizione formale completamente distorta e scavata fino a farle perdere le proprie caratteristiche estetiche originarie rinnovando i contenuti di base. Tutto questo chiaramente nella piena coscienza della necessità di un modulo espressivo ben preciso, assolutamente personale e schietto ad un tempo, assai difficile da trovare in un periodo di crisi sostanziale dell'arte del quale egli sente chiaramente la vastità e l'importanza...
"Ho un grande vuoto nella mia testa/ (i miei pensieri li ho messi/ tutti in un bicchiere) e poi li ho rovesciati/ nel fiume delle illusioni/. Ed ora sto cercando/ qualcosa che non so/ una realtà che mi è sempre vicina/. Io la risposta la tengo stretta nella mia mano/ ed ora dovrò morire prima/ per
salvare l'anima..."
Camisasca è sostanzialmente un'anima semplice che si è trovato all'improvviso a doversi rendere conto della stupida ferocia della realtà e della propria impotenza a cambiare qualcosa a tal proposito. Per questo rifiutandosi di rimanere passivo di fronte a questo stato di cose cerca di battersi nell'unico modo che ha per svegliare la coscienza di chi ha voglia di ascoltare, senza per questo salire su un piedistallo, gettando in faccia all'uomo "in scatola" le sue molteplici esasperate realtà e le sue maschere fumose, con la sua voce amara e aggressiva e con le sue visioni-esperienze a volte quasi brutali, e mai avulse dal mondo concreto. Ecco dunque le immagini violente del travestito "John": "...Portava le calze d'argento/ però non luccicavano/ ma i capelli biondi/ lunghi fino ai seni finti/ gli stavano bene..." arida marionetta, esasperazione della continua violenza a cui siamo costretti a sottostare e della quale quasi non ci rendiamo conto; o del galantuomo corroso dalle proprie ipocrisie e dai marcescenti falsi ideali che si porta dentro: "Nel mio corpo ci sono delle fognature/ tutti quanti le chiamano vene/ ma dentro ci sono dei topi che corrono/ e come un cane che ha le pulci/ io mi gratto continuamente/ mi gratto la schiena, mi gratto la pancia/. Ma io non cedo, io sarò sempre un galantuomo/ fino alla morte/ un galantuomo fino alla morte..."; o ancora l'incubo pauroso che ricorda in qualche modo la ferocia delle fantastiche visioni di Johnatan Swift e del suo "I viaggi di Gulliver", nel brano più amaro e sconvolgente di tutto l'album, quello "Scavando col badile", ovvero il mondo alla rovescia per una follia totale che tragicamente appare più vero di quanto non sembri.
E' per questa sua aderenza alle cose, senza voler fuggire in mondi, in realtà inesistenti, e per la sua grande semplicità che "La finestra dentro", questo è il titolo del disco di Camisasca, ci appare un qualcosa di veramente molto valido e degno di considerazione; per i valori essenzialmente umani che porta in se e per il recupero che opera, anche se con un po' di ingenuità (il che potrebbe essere un pregio), dell'essenza fondamentale della musica pop come presa di coscienza da parte delle nuove generazioni della propria situazione sociale. Un album simile può essere dunque un'ottima premessa che con un piccolo lavoro di rifinitura può portare a risultati veramente notevoli per il giovane cantautore milanese, e noi ci auguriamo che non perda mai la sua vena e la sua genuinità.
Giancarlo Piccirilli

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JURI CAMISASCA

Ha ventidue anni, ha fatto il muratore. E’ un essere introverso, timido, sconvolto: è Camisasca. Il non-personaggio tra gli squarci della musica italiana (Battiato, Aktuala, Opus Avantra, Bennato, Sorrenti). Il suo nome va tenuto presente.

In principio c'erano i King Crimson e Emerson Lake & Palmer, e tutti i complessi italiani, per incanto, cominciarono a suonare come loro. Poi vennero i Jethro Tull, i Gentle Giant e i Genesis, e i complessi italiani (gli stessi di prima più i nuovi), si adeguarono immediatamente. Infine vennero i Weather Report, e oggi i complessi italiani stanno cominciando a darsi da fare in questo senso, mentre coloro che sono rimasti agli Yes cominciano ad avere grosse soddisfazioni, al prezzo, però, di una completa rinuncia ed una autonoma espressività, non asservita ai canoni esteri. Ma attenzione, attenzione, cari amici: rischiate ancora di non essere "à la page": infatti oggi, in Inghilterra, va il rock'n'roll, e allora, che aspettate? Tutti sotto, dipingetevi i capelli di verde, siate glamourous, che diamine! 

Scherzi a parte, è con molta desolazione che bisogna constatare il fatto che, in Europa, soltanto i musicisti italiani sembrano non essersi accorti che nei paesi anglosassoni la musica progressiva sta morendo, e che gli angloamericani stanno cercando avidamente nuovi spunti originali proprio dagli europei. Così, tedeschi e olandesi, per esempio, stanno dando al rock un importante contributo creativo, e così persino gli scandinavi, mentre in Italia (dove, per di più, potremmo disporre di molti musicisti tecnicamente eccezionali e preparatissimi) ci si gingilla a riproporre all'estero musiche che proprio all'estero sono state superate, nell'ultimo atto prima della grande crisi. 

Ma per fortuna, qualche artista che ha il coraggio di essere sé stesso, di fare un discorso proprio, di muoversi nell'ambito di una cultura - o controcultura - che non ha niente da invidiare a quella di importazione, ce l'abbiamo anche noi. E speriamo di poterceli conservare, viste le mille difficoltà attraverso le quali sono costretti ad operare, e questo proprio in ragione della loro coerenza. Chi sono? Franco Battiato, prima di tutto, e poi gli Aktuala, gli Opus Avantra, Edoardo Bennato, Alan Sorrenti. E Camisasca. Eh già, signori miei, anche se voi potreste chiedere: ma chi è questo Camisasca? E io, oggi, sono contento di essere in grado di potervi rispondere. Camisasca, a mio parere, è un personaggio, un artista fantastico. E magari, questa definizione a lui potrebbe anche non piacere: perché lui ci tiene, a non essere "personaggio", con tutte le implicazioni superficiali e mistificanti di questa accezione. E lui ci tiene, a non essere "artista" nel senso compiaciuto e snobistico che la parola può assumere.

Non-personaggio e non-artista, dunque: ma da questa negazione, e dalla musica e i testi sconcertanti che Camisasca ci offre a sostegno delle sue tesi, noi non possiamo fare a meno, anche contro la sua volontà, di ritornare alla definizione originaria: grosso personaggio, dunque, e originalissimo artista. E questo, nel senso migliore che queste parole possono avere: privo di sottintesi pomposi. Un omaggio, anzi, alla semplicità spirituale, alla sensibilità sofferta, totale, delle sue percezioni. Ma dunque, che razza di musica fa, questo Camisasca? Cominciamo, per saperlo, a scoprire qualcosa di lui. Intanto ha ventidue anni, è stato muratore, e durante il servizio militare (eh sì, anche a lui è toccata questa cosa tremenda) ha conosciuto Battiato, e non si sono più mollati. Così oggi proprio Battiato produce, insieme a Pino Massara, il primo album-sconvolgimento di Camisasca. Già, perché Camisasca è uno sconvolto. Pazzo? Magari secondo la normalità sì, ma allora bisogna vedere cos'è la normalità. Oggi come oggi, la normalità è la alienazione di massa, e l'alienazione è pazzia: così Camisasca finisce per essere il savio nella gabbia dei matti, e non ditemi che questo non è altrettanto sconvolgente! Allora, ritornando a noi - anzi, a lui - Camisasca è uno sconvolto, e quindi non può fare altro che una musica sconvolta. Le sue canzoni sono quadri: squarci di allucinazione a cavallo tra il lisergico e il metafisico, ma senza noiose morali, senza l'offerta mistificante di false speranze. E' "l'incubo assoluto", l'inferno dal quale non si esce, il sogghigno disperato-irridente. Un viaggio, quello di "La finestra dentro" (questo è infatti il titolo del disco) che comincia con le parole: "Nel mio corpo ci sono delle fognature, tutti quanti le chiamano vene, ma dentro ci sono dei topi che corrono...", e finisce con le parole: "Io sono il Creatore, io sono il Divino. E rimango seduto sul trono principale".

Da inferno a inferno, dunque, dalla dannazione immortale a quella di un ruolo eterno. E questo, nell'arco di sette composizioni, sette esplorazioni del profondo in chiave mistico-onirica, l'elenco brutale, diretto, addirittura "naif", di una dannazione che è poi la condizione umana, percorso da rari sprazzi di illuminazione, che però sono visti soltanto come oasi di momentaneo sollievo, mai come indicazioni di definitiva speranza. "All'ingresso dei castello dei Principi Bulldog, un serpente suonava il flauto, e l'uomo da una cesta lentamente si allungava", canta Camisasca con una voce incredibile, lacerata e stentorea, e cominci a sentire del brividi, mentre lui, implacabile e sornione, ti conduce per mano negli abissi dell'incubo Assoluto: "I maiali tritavano la carne umana per fare i salami, le bistecche e i roastbeef". Pessimismo? Eh no, cari signori, direi, piuttosto, realismo onirico: una situazione da incubo per spiegare all'uomo che esso stesso costituisce, nella realtà, un incubo per miliardi di altri esseri viventi. Sotto l'apparenza della normalità, si cela l'incubo: pensate a quando si deve scannare un maiale, e provate a mettervi nella parte del maiale! Così, in 'Metamorfosi', Il protagonista diventa un insetto volante, la cameriera apre la finestra e lui vola via: libero? Ma no! E' soltanto un'altra dannazione, è soltanto l'apparenza della libertà: "Volo nel deserto.. ho sete, ma nel deserto non c'è acqua". E incontriamo poi John, l'amico muratore ritrovato in una sordida strada, ridotto a fare il travestito: "Non portava i soliti calzoni, ma una vecchia gonna rossa, e per coprire i calli delle mani, si era messo dei guanti bianchi...". E infine, nel "Regno dell'Eden", il protagonista, purificato dal viaggio, assume un ruolo divino, e resta condannato a creare per l'eternità. E' l'ultimo sanguigno sberleffo, o la Divina Commedia rovesciata. Dante? Kafka? Camisasca dice di non conoscerli, e possiamo anche credergli, se lo conosciamo: soltanto vedendolo, constatando di persona la sua introversione, la sue timidezza, il suo continuo fuggire, la sua incredibile semplicità; possiamo essere matematicamente certi che non c'è un briciolo di mistificazione.

E la musica? Melodie strascicate, corrotte, spezzate, puntualizzate dalla sua chitarra, dagli spasmi elettronici e dall'organo di Battiato stesso, dalle percussioni di Gianfranco D'Adda (il batterista di Battiato) e di Lino Vaccina (ex percussionista degli Aktuala), dall'apporto di altri buoni musicisti: un suono teso, cupo, a volte orientaleggiante, a volte soltanto libera espressione di un itinerario psichico; e la voce, poi, sconnessa anch'essa, rauca e sinuosa. Dei testi, abbiamo già detto.

E allora, questo Camisasca, chi è?... Bè, diciamo una grossa rivelazione e chiudiamola lì. E visto che proprio insistete, ascoltatevi questo disco. E zitti. Okay?

Manuel Insolera

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CAMISASCA - Bla bla
Benvenga Camisasca, benvenga a raccontarci le sue storie credibili, a dirci la sua angoscia giocherellona, le sue paure kafkiane con il cilindro sulle 23. Benvenga a rinfrescare le stagnante aria di casa nostra partecipando a quell'azione di rinnovamento che poche anime coraggiose stanno portando avanti. Come diceva quei tale: "non son tutte rose e fiori", ma c'è un suono, ed è già tanto. Un suono che cerca di vivere, di liberarsi dagli ammaestramenti per crearsi un suo spazio. La voce dura, poco malleabile, che
si svincola dolorosamente dall'insegnamento della scuola dl New York. E se l'organo, i sintetizzatori, ci ricordano Terry Riley, non è difficile scoprire, più in profondità, materia prima nuova ancora abbastanza
incontaminata. Ed è soprattutto John, la canzone per l'amico travestito, che sposta in avanti la dimensione, nonostante le parole a volte scontate e l'esplicazione eccessiva. Il dubbio di una retorica dell'antiretorico? Non ci vuol molto a coglierlo. Ma troppo forte è la presenza di Battiato-produttore, è un'esperienza già superata. Strade nuove.
P.M.R

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JURI CAMISASCA - SCONCERTO ROCK

MINISTORIA N. 1

 "Nel mio corpo ci sono delle fognature - tutti quanti le chiamano vane - me dentro ci sono del topi che corrono. - E, come un cane che ha le pulci - Io mi gratto continuamente - mi gratto la schiena, mi gratto la pancia... - Ora mi decido, prendo un martello me lo picchio sulla testa - ed ecco che i topi mi escono dal naso - i topi mi escono dalle orecchie... - Io sono troppo vecchio - e come una pianta che perde le foglie - Io perdo i capelli io perdo le dita - io perdo il controllo della lingua". (dal brano "Un galantuomo").
Mah, io non so cosa succeda in realtà a Camisasca; so solo che intervistarlo vuole dire farti rimbalzare le risposte come un boomerang o annegare nei suoi "cioè". Non ti dice niente, non ne ha voglia, forse lo considera inutile. Ti dà la netta impressione d’essere una materia prima non ancora lavorata, meravigliata essa stessa di esserlo.
E’ personaggio in modo naturale; personaggio nella sua naturale paranoia. Così, per una volta, la musica non nasce dall’amore per la musica, ma dal carattere, attraverso testi da brivido ed un canto impazzito.
"Sono da sempre un poeta, da sempre un musicista, cioèèè... se non avessi incontrato Pino Massara, il mio produttore, non avrei mai potuto realizzarmi come tale".

MINISTORIA N. 2

"Un fastidioso ronzio mi sveglia - sono due ali di seta sbocciate stanotte - sulla mia schiena. - Faccio per muovere le gambe - le guardo sono tante -sono mille zampette che si muovono velocemente intorno al mio corpo ovale - Mi alzo dal letto - mi siedo davanti allo specchio dove noto due antenne sulla testa - ed un pungiglione al posto del naso - Mia madre entra nella stanza - ed io salgo sulle pareti - mi nascondo tra i fiori tappezzati - per non farmi vedere - in questo stato animalesco. - La domestica apre la finestra e -io volo volo sono libero". (da Metamorfosi).
Bè, non credo ci sia bisogno di uno psicanalista per capire in Juri il disagio continuo, il "voler essere altrove", il sentirsi diverso, scomodo anche nella sua stessa pelle. "Stamattina mi sono svegliato", mi racconta, "ed ho sentito dei rumori che venivano da lontano. Suoni. Sono andato in cucina, per tutta casa e continuavano a venire da lontano...". "Forse ne hai presa troppa?" commento malvagiamente. "Troppa? Io sono contrario a tutta quella roba, anzi, ti raccomando, scrivilo. Sono qui a parlare con te, ma la realtà mi arriva con un dato surreale, cioèèè... so che parlo con te, ma in realtà la cosa non mi tocca". Non a caso sente rumori e non melodie, per casa. Il suo universo è talmente dissociato che non potrebbe affiancarsi a dolci melodie... così nel disco è intervenuto Il Computer Geniale (Battiato) a suggellare col suoi suoni il disfacimento e le trasformazioni dello sventurato protagonista. E l'lp, "La finestra dentro", non ha il compito d’essere bello, non ha il compito di riscaldare le sere d’inverno e di distendere gli animi, non serve a ballare, né è consigliabile cantarlo. La sua funzione sta proprio in questi "non"; una funzione di infastidire, scuotere le anime sonnecchianti, sfaldare, distruggere; poi ricostruire una storia storia, come quelle che vi vado trascrivendo. E, in più, la naturale magia dei suoni che danno al testo una dilatazione a spirale.

MINISTORIA N. 3

"Scavando coi badile - mi sono trovato improvvisamente al centro della terra. - C’era un bove seduto all’ombra di un ciliegio - che fumando la pipa - sbirciava il suo uomo che arava. - E nella scuderia il cavallo attaccava al calesse - un bellissimo uomo da trotto - i coccodrilli usavano la pelle della donna - per fare le scarpe - per fare le borsette e le valige. - I maiali tritavano la carne umana - per fare i salami, le bistecche e i roastbeef. - All’ingresso del castello dei Principi Buldog - un serpente suonava il flauto - e l’uomo da una cesta - lentamente si allungava. - E con gli occhi di ghiaccio - il serpente mi fissava - ed il suo sguardo mi ipnotizzava. - E per paura io cominciai a miagolare - e a quattro zampe - lungo i muri cominciai a strisciare - cercando di non fermi notare - finché mi avvicinai ai mio scavo - per salire in superficie. - “Ma no, non è possibile - mi sono dimenticato la scala” (da "Scavando col badile").
Svegliarsi diversi non vuol dire necessariamente scoprirsi insetti; può anche voler dire svegliarsi ricchi o poveri, malati; cantanti, anche, mentre il giorno prima non lo si era. E può capitare a tutti; per questo dovremmo essere sempre in grado di non fare discriminizzazioni. Invece, ne facciamo, godendone anche quando siamo noi i discriminati. Nel mondo del rock, del pop con denominazione più vaste, si entra solo con la tessera di "disinseriti", se non di alienati. Una volta entrati ci si sostiene a vicenda creando un limbo, un universo morale rassicurante. Se i mass media o il naturale svolgersi delle cose ci inserisce in canali normali, indietreggiamo terrorizzati, aspettando il colpo. Giornalisti artisti e produttori e pubblico; una armata Brancaleone di gente che vorrebbe cambiare il mondo, me in realtà ne ha paura. Così si fa musica nuova tra noi, se ne parla tra noi; compriamo i dischi tra noi e alla fine, ci diciamo bravi da soli.
Allora se Camisasca ha la lucidità di fare un 45 che si chiama "la musica muore" e di narrare storie allucinate è inutile starne a parlare tra noi. Sarebbe bello, sarebbe una vittoria, farlo sentire all'ingioiellato pubblico di Sanremo, tra Anna Identici che fa "le canzoni impegnate" e la Cinquetti che agonizza. Va bene, non vi importa niente dei discorsi di principio. Volete sapere se il disco è bello o no. Il mio solo consiglio è di trovare un negoziante paziente, che ve lo faccia ascoltare. Potreste giudicarlo indifferentemente incredibile o spazzatura, a seconda del vostro grado di sconcerto rispetto all’attuale situazione.
Fiorella Gentile

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JURI CAMISASCA: LA MUSICA CHE TURBA
Quando ci si accosta ad un cantautore ci si aspetta due possibili modi di creare musica, due possibili vie di giungere ai giovani: il suono calmo, quasi melodico, o, dall'altra parte, la ricerca delle problematiche sociali che attanagliano l'umanità. E' possibile anche una terza via musicale che è il risultato della fusione dei due precedenti modi: il suono calmo ad ampi contenuti sociali.Attualmente chi si discosta da questa classificazione di cantautori, almeno in Italia, è Juri Camisasca, milanese, amico di Battiato, promessa di una nuova via italiana musicale. All'attivo un album: "La Finestra Dentro" e un 45 giri uscito da poco: "La Musica Muore / Metamorfosi". Scoperto e prodotto da Pino Massara, coadiuvato dall'amico Franco Battiato, Juri Camisasca come personaggio è quanto di più complesso e introverso si possa trovare nell'attuale quadro musicale italiano. C'è soprattutto nel suo primo LP una grande stanchezza per l'essere costretto a muoversi entro limitazioni temporali e spaziali, il dover fare questo e magari non quello, quello strano "prurito" quasi decadentistico che provoca noia e rifugio in uno strano mondo popolato di ragni, strani personaggi (I'omosessuale John) e angosce mal celate. I testi sono il risultato di questa molteplicità d'interessi e sconcertano l'ascoltatore. Non è musica fatta per farsi ammirare esteticamente, non riscalda serate danzanti, né tanto meno distende, forse fa meditare su questo microcosmo di Camisasca, appena delineato, e che forse cela chissà quante altre rappresentazioni, immaginifiche e non.Il mondo di Camisasca è ` colorato a tinte forti a partire dalla narrazione fatta in John, storia drammatica di un omosessuale, ricerca forse nuova di certe atmosfere di vita, immagini crude sulla violenza che l'attuale società compie su tutti noi. E l' ipocrisia più falsa e farisea di questo mondo in "Un Galantuomo", brano con testo stranissimo; "...Nel mio corpo ci sono dalle fognature / tutti quanti le chiamano vene... E come un cane che ha le pulci / lo mi gratto continuamente... Ma io non cedo, sarò sempre un galantuomo..." Il fastidio dell' essere qui e non altrove che vien fuori da "Metamorfosi": "...Un fastidioso ronzio mi sveglia / sono due ali di seta sbocciate stanotte... / Mi alzo dal letto / mi siedo davanti allo specchio dove noto due antenne sulla testa... La domestica apre la finestra e / io volo, sono libero".Fantasmagoria di colorazioni si nota nell'irreale e fantastico viaggio al centro della terra che ci riporta in mente certe colorazioni pittoriche di Hieronymus Bosch: "..Scavando col badile / mi sono trovato improvvisamente al centro della terra... E nella scuderia il cavallo attaccava al calesse / un bellissimo uomo da trotto... E per paura io cominciai a miagolare...".Certo che questi testi tratti da "Scavando col badile" sono sintomatici di un voler vedere il mondo rovesciato. La poeticità che si ritrova in un brano come: "Un Fiume di Luce" :''...In questo istante la mia mente fa amicizia / con la luce e mi illumina / per la prima volta in vita mia...".E' certo questo "La Finestra Dentro" LP molto nuovo per il panorama musicale italiano, fatto di tanti ''istanti" diversi dall'abitudinario. Camisasca è un cantautore nuovo, può piacere o può destare scalpore e forse anche ribrezzo per certe sue immagini crude e in parte, o forse del tutto, veritiere. Una cosa però è certa: Camisasca è un personaggio autentico, nella sua tanto chiara e chiarificante diversità. E chi ha il coraggio e direi la "santità" di idee chiare per poter scagliare la tanto fantomatica pietra contro di lui?E infatti oggi ci sentiamo un po' più accondiscendenti, un po' più rassicurati nei confronti di Juri. Il suo 45 giri: "La Musica Muore / Metamorfosi" ci è sembrata opera che, pur nella ristrettezza dei 3 minuti, realizza molto compiutamente l'eclettismo artistico di Camisasca. "La Musica Muore" vuole essere constatazione di un ristagnare dell'attuale quadro artistico italiano: ricordo di concerti, autostop alle frontiere, fuochi che a poco a poco si spengono: I'orchestralità quasi perfetta del brano è dovuta alla sapiente rifinitura di Shel Shapiro (ex Rokes) che ne ha curato gli arrangiamenti. Il retro è quel "Metamorfosi" già presente sul 33 giri. Attendiamo da Juri un LP che faccia completa luce sul suo microcosmo artistico e umano. Che sia troppo.... 

Luigi Romagnoli

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Da "LA MUSICA ROCK-PROGRESSIVA EUROPEA" (Gammalibri 1980)
Tra i molti meriti che vanno alla persona di Battiato c'è quello di aver aiutato, direttamente o meno, una serie di musicisti che altrimenti non avrebbero mai avuto il benché minimo spazio in un mercato come quello italiano che è solito navigare sull'onda del riflusso d'oltreoceano.
Le sue personali pressioni all'interno della BLA BLA coinvolsero la stessa in una serie di produzioni definite "commercialmente impossibili", alcune delle quali rimangono ancor oggi fra le migliori cose apparse nel "paese del sole". Pria tra queste scoperte fu quella di Juri Camisasca.
Si conobbero sotto il martirio del servizio militare e subito Battiato rimase affascinato dalla personalità di Juri, a quei tempi molto influenzata dal pop inglese, dalle sue canzoni stravolte e dal modo in cui le cantava, con una voce veramente inusuale, splendida nel lato tecnico e nuova nell'esposizione. Juri, fino ad allora, aveva avuto il pesante onere di una vita "normale" con contatti sporadici e non troppo eccitanti (qualche lavoro in locali come cantante rock) con il mondo musicale, dall'amicizia con Franco nacque la consapevolezza della musica a livello liberatorio e creativo; erano tutte cose che giacevano in lui e che questo rapporto portò a un livello cosciente ed utilizzabile.
Un po' di tempo ad aspettare dietro la firma di un contratto e poi l'incisione del suo primo (e tuttora unico) LP in veste solistica. Era il '74 e il disco si intitolava "La finestra dentro", era veramente un grande disco sotto molti aspetti: Juri fu presentato dalla stampa come cantautore e quell'album accettava l'ipotesi soltanto in piccolissima parte, così piccola che divenne anzi l'antitesi per eccellenza del prototipo in voga all'epoca e i motivi non mancavano: prima di tutto c'era (e questo grazie anche all'aiuto di Battiato produttore - arrangiatore) un utilizzazione dell'accompagnamento così insolita e dissociata dal canone della musica leggera da ferire punto il concetto stesso di arrangiamento, e in secondo luogo c'era la ricerca vocale ed estetica di Juri che si scuoteva in modo geniale dalla formula del cantautore intimista, tutto preso a raccontare a mezzo mondo i suoi fatterelli.
E questo non solo grazie ai testi, speso memori di reminiscenze kafkiane e surreali, ma anche e soprattutto alla nuova maniera di intendere il rapporto "fisico" con lo strumento, molto più legato ad una immagine terapeutica e simbolica di ogni singola nota che all'impatto ben noto della musica rock dal tempo pulsante.
Purtroppo quello che il pubblico recepì, e qui bisogna anche ringraziare la di allora stampa, fu proprio il discorso opposto, quello più appariscente del cantante estroso e un po' paranoico che al posto di parlare, come tutti, d'amore, preferisce scandire parole "insensate" o, peggio ancora, raccontare di "topi che escono dalle orecchie", trasformazioni o apparizioni notturne.
Nell'inverno del '75 Juri dava un concerto dal vivo in un piccolo teatro a Milano; c'era l'utilizzazione dei suoni già ascoltato nel Tim Buckley di Lorca, e ancora un uso della chitarra legata alla voce che aveva dei precedenti solo in John Martyn; ma quello che più di ogni cosa colpiva era l'atmosfera instaurata tra lui e la tabla di Lino "Capra" Vaccina, allora fuoriuscito dal gruppo Aktuala e accompagnatore fisso anche di Battiato. C'era in tutto questo qualcosa di sconvolgente: un rapporto di religioso rispetto con il suono che, vicino allo strapazzare dei canzonettari d'era, era sembrato ancora più grande e ricco di significato.
Juri suonava a quei tempi ancora le sue vecchie canzoni, ma già le stava portando, tramite l'improvvisazione, in climi creativi ogni volta più intensi; ed era una vera gioia cogliere in concerto nuove frasi, le evoluzioni di attimo in attimo, la ricerca dell'intesa perfetta con lo strumento e la natura circostante, e trovare auditori partecipi di tutto questo. La strumentazione era molto semplice: Juri suonava una chitarra acustica o un'elettrica a dodici corde che applicava di volta in volta a Leslie e simili, il resto erano percussioni, piatti, gong e le qualità di strumenti che più apparivano vicine al clima della serata. Talvolta anche casuali incontri (è il caso dell'oboista Roberto Mazza e dell'arpista Vincenzo Zitello entrambi del gruppo Ar-Ka) davano vita a lunghe amicizie e collaborazioni.
Ancora una volta però la crescita del pubblico e dei musicisti non andava d'accordo con quella dei giri discografici: al primo LP segue soltanto un 45 giri, "Himalaya", registrato molto tempo prima dell'uscita e già non più rappresentativo per la sua immagine, e nonostante la discreta eco della critica, la cosa finisce lì, i concerti calano e con loro scompaiono gli articoli sulle riviste e i passaggi radiofonici.
La gente fa presto a dimenticarsi un nome e di conseguenza erano non pochi i problemi scaturiti da questo pasticcio. Poi, come se non bastasse, c'erano le speculazioni manageriali e un contratto discografico a lunghissimo termine che legava le mani.
Nel '77 Juri decide quindi di dare un senso nuovo alle sue esperienze e contemporaneamente accrescerle con qualcosa di nuovo e fresco; inizia a lavorare nelle scuole insegnando musica ai bambini, una scelta questa che lo porterà a un rapporto più dolce e sereno nei confronti della vita. Da qui una serie di contatti importanti e fondamentali (come quello con la meditazione trascendentale) che dalla vita si riflettono con logiche positive influenze sulla musica; di questo periodo è la crescente passione per la teoria ripetitiva di Riley, il passaggio dalla chitarra all'harmonium e un profondo studio sulla voce. Ricorderemo a proposito l'esperienza del gruppo Telaio Magnetico (con Battiato, Capra Vaccina, Mino e Terra, Roberto Mazza e Vincenzo Zitello), i concerti tenuti alla Villa Reale di Monza con Mazza, la partecipazione alla rassegna milanese "Il terzo orecchio" e quella a due dischi in qualità di vocalista: "Juke box" di Battiato e "Antico adagio" di Capra Vaccina. Poi la scomparsa dalle scene pubbliche e una scelta di vita nella quale la Musica è un elemento fondamentale e lontano dai palcoscenici, dai giornali, dai bagliori della mistificazione.
Non interessa qui fare l'epitaffio di Juri artista perché è insensato e dannoso riproporre un musicista proprio nella veste in cui fu meno accettato, veste che peraltro Camisasca si è giustamente lasciato alle spalle; soltanto un invito: quello di considerare la sua musica anche e soprattutto ora. Fra la disperazione venduta in scatola di montaggio la via della conoscenza e dell'armonia

Tratto da "La musica rock-progressiva europea" (Gammalibri 1980)
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Peppo Del Conte, ottobre 1991:

La prima volta che Battiato lo portò negli uffici della Bla Bla io c'ero e mi sono goduto (si fa per dire) la sua prima audizione, in un'atmosfera di eccitazione e insieme di disagio che non posso più dimenticare. Juri Camisasca era un ragazzo dell'hinterland milanese, ma sembrava che Franco l'avesse scovato in capo al mondo. Le sue prime foto promozionali mi fecero pensare a un gatto impaurito (e perciò pericoloso). Aveva 22 anni, ma ne dimostrava anche meno, tanto era timido, impacciato, quasi impreparato al contatto con gli altri. Parlava a sprazzi, con fare schietto e vagamente sognante. Ma quando imbracciava la chitarra si trasformava: una voce sorprendente, dai toni irruenti e allucinanti, per trasportare gli ascoltatori dentro i suoi incubi surreali. Non c'era in lui nessun progetto intellettualistico, non era sbarcato nessun Kafka nell'industria della canzone: l'assurdo emergeva terribile dalla realtà tutt'intorno e lui era solo un testimone ignaro e un po' infantile che cercava di coglierne il senso. Il suo album d'esordio ebbe una buona accoglienza dalla critica: ma Juri viveva al di sopra di ogni problematica di successo. Il suo disorientamento si placò gradualmente nella ricerca religiosa: ne è riemerso, senza fretta, un autore e un interprete di una energia lirica e di un rigore adamantino: pochi rari gioielli (come "Nomadi") lo stanno oggi a confermare.

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Giordano Casiraghi, 1991

Era il '77 e andavo raccogliendo interviste che poi trasmettevo in una radop della Brianza, nello spazio dedicato alla "Musica Elettronica". E' così che finii a casa di Juri Camisasca e lui mi accolse con una cena a base di riso integrale e fagiolini azuki. Invece dell'intervista ebbi l'occasione di ascoltare un concertino improvvisato da lui all'harmonium e voce con l'aggiunta di un oboista che allora non conoscevo. [...]Di lì a qualche mese organizzai una rassegna di musica strumentale al teatrino della Villa Reale di Monza. Juri la tenne a battesimo con un concerto indimenticabile, lui, la sua voce e l'harmonium. Non mi rendevo conto che quello strumento sarebbe stato da lui suonato per l'ultima volta. Qualcun altro venne a ritirarlo mentre in lui diventava urgente staccarsi dal mondo musicale ordinario. Avrei voluto fargli vedere quell'articolo che il Corriere delle Sera gli dedicò il giorno dopo; venni a sapere che non abitava più a Milano ma in un monastero. Fu allora che in qualche modo spiegai quel titolo che, inconsciamente e su indicazione di Battiato, avevo dato alla rassegna: "L'evoluzione interiore dell'uomo."

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Juri Camisasca, 1991:

La notizia che "La finestra dentro" viene ristampato mi lascia perplesso soprattutto se penso che qualcuno lo ascolta senza conoscere il mio ultimo "Il Carmelo di Echt" oppure "Te Deum". Però pensandoci "La finestra dentro" ha una sua importanza, perché dimostra che le cose cambiano nella vita. Certo mi fa un certo effetto sentire quelle canzoni oggi. E' un'altra persona che le canta anche se si possono già ascoltare frammenti di cose che sono state sviluppate in seguito con più consapevolezza. Mi riferisco a "Un fiume di luce". Invece un brano come "Un galantuomo" non è stato capito allora. C'era troppa violenza nel mio modo di parlare. Oggi non potrei più cantare così. Però quei topi a cui mi riferivo erano i pensiero. "Nel mio corpo ci sono delle fognature e tutti le chiamano vene ma dentro ci sono dei topi che corrono". Dipingeva il mio stato di allora; la situazione di disagio che vivevo era causata dai pensieri negativi e io avevo dato quella connotazione: i topi. Adesso ho scritto un altro motivo molto simile: "La nave dell'eterno talismano", e dico: "I pensieri non danno pace, disturbano la mente, guardali passare come degli aeroplani in volo, non fermarli, lasciali dissolvere..." E' la stessa canzone vent'anni dopo.

Giordano Casiraghi

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JURI CAMISASCA
La Finestra Dentro
Bla Bla / Artis ARCD 028

Distrib. Polygram

Potrà sembrare irriconoscibile questo Juri Camisasca dei primi anni settanta quando cantava canzoni come “Un galantuomo” con quei topi che correvano nelle vene. Dopo la preghiera in musica "Te Deum", e il più recente "Il Carmelo di Echt", è interessante un cammino all’indietro per conoscere le radici di Juri. La sua voce, già molto personale, assume a tratti caratteri aspri per descrivere un forte disagio esistenziale. Giudizio 8 +

G. Cas.

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Juri Camisasca - LA FINESTRA DENTRO

BLA BLA Edizioni Musicali 1974

Quando tempo fa mi misi a cercare La finestra dentro di Roberto “Juri” Camisasca, rimasi stupito dalle 250000 che il venditore di dischi usati mi chiese per acquistare una copia in vinile. “Questo Camisasca”, mi spiegò paziente, “ha una nicchia di irriducibili sostenitori che pagherebbero qualunque cifra per un suo vecchio disco!” Nel mercato delle bancarelle La finestra dentro di Camisasca è introvabile, e quando capita si può acquistare a prezzi proibitivi, nonostante la successiva ristampa su CD, ad opera della Artis Records, del 1991.

Questo aneddoto tratteggia l’alone di mistero che da un quarto di secolo ruota attorno a Juri Camisasca, artista culto dalla parabola umana e artistica affascinante, un timbro vocale straordinario, venerato alla follia da chi l’ha conosciuto, sconosciuto ai più.

La Finestra dentro, del 1974, è il suo primo LP. Viene pubblicato per la BLA BLA Edizioni Musicali e prodotto dall’amico Franco Battiato, col quale in futuro avrà una collaborazione proficua. 

Juri allora ha solo 23 anni e, a parte due singoli del ‘75, rimane l’unica opera per 14 anni, come una meteora. Sono canzoni dai testi irruenti e kafkiani e impossibili da inquadrare stilisticamente, se non nel contesto della beat generation, di Kerouac, o nel mito di Woodstock di Hendrix. Camisasca colpisce soprattutto per l'intensità espressiva del suo modo di cantare, tra il timido e il selvaggio, l'alienato e lo sconvolto. Quasi ingenuamente dipinge in maniera terribile e personale il disagio esistenziale. Lo stesso disagio che da lì a pochi anni lo avrebbe portato a ritirarsi in un convento benedettino.

E’ divertente ascoltarlo parlare oggi di queste prime canzoni. “Non le rinnego, perché fanno parte della mia storia, le porto nelle ossa ma… sembra che sia un'altra persona a cantarle!” Tuttavia in questo esordio si anticipano temi che Camisasca approfondirà con gli anni. Come ammette lui stesso di Un galantuomo nel libretto del CD (ristampa 1991):  “Quei topi cui mi riferivo erano i pensieri. 'Nel mio corpo ci sono delle fognature e tutti le chiamano vene ma dentro ci sono dei topi che corrono'. Dipingeva il mio stato di allora; la situazione di disagio che vivevo era causata dai pensieri negativi e io avevo dato quella connotazione: i topi. Adesso ho scritto un altro motivo molto simile, La nave dell'eterno talismano, e dico: 'I pensieri non danno pace, disturbano la mente, guardali passare come degli aeroplani in volo, non fermarli, lasciali dissolvere...' E' la stessa canzone vent'anni dopo.” Viene da chiedersi se scrivendo Un fiume di luce avesse già in cuore la fiamma che avrebbe dato valore alla sua esistenza: “In questo istante la mia mente fa amicizia con la Luce. M'illumina per la prima volta in vita mia.”

Paolo Micheli

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