Se la luna mi porta fortuna
BUR - Rizzoli Editore, Milano, 1960-1979
I
E' un peccato che lo spettacolo della levata del sole si svolga la mattina
presto. Perché non ci va nessuno. D'altronde come si fa ad alzarsi
a quell'ora? Se si svolgesse nel pomeriggio o, meglio, di sera sarebbe
tutt'altro. Ma così come stanno le cose, va completamente deserto
ed è sprecato. Soltanto se un geniale impresario lo facesse diventare
alla moda, vedremmo la folla elegante avviarsi di buon'ora in campagna
per occupare i posti migliori; in questo caso, pagheremmo persino il biglietto,
per assistere alla levata del sole, e prenderemmo in affitto i binocoli.
Ma per ora allo spettacolo si trova presente qualche raro zotico che non
lo degna nemmeno d'una occhiata e preferisce occuparsi di patate, o di
pomodori.
E non soltanto gli uomini si disinteressano di questo spettacolo,
specie dopo che i selvaggi adoratori del sole sono stati convertiti, ma
anche le bestie. Qualcuno crede che il gallo saluti la levata del sole.
E' un errore. Il gallo canta nel cuore della notte per ragioni sue, o,
se crede di salutare la levata del sole, vuol dire che non ha la più
lontana idea dell'ora in cui il sole si leva. Le altre bestie a quell'ora
dormono, o se sono sveglie, brucano l'erba, o scorrazzano per i prati,
o vanno a caccia, o fanno toletta, e s'infischiano della levata del sole.
Non parliamo poi dei pesci che, di solito, se ne stanno tranquillamente
sott'acqua. Loro non li smuovono nemmeno le cannonate; crolli il mondo,
non c'è caso che s'affaccino per vedere che cosa stia succedendo.
Bisogna tirarli fuori con le reti.
Si penserebbe che gli unici a fare onore allo spettacolo siano
gli uccelli coi loro canti, ma nemmeno per sogno. Gli uccelli cantano a
tutte le ore e non si occupano affatto della levata del sole.
(Ma come sono stupidi gli uccelli! Non sanno fare altro che cantare.
Si svegliano la mattina e il loro primo pensiero e di mettersi a cantare.
Al tramonto, li trovate ancora che volano intorno alle vecchie torri e
cantano. Ce ne sono di quelli che, invece di dormire, stanno tutta la notte
sugli alberi a cantare, anche se nessuno li ascolti. Qualcuno passa la
notte a fare sempre lo stesso verso e, peggio, qualche altro passa la notte
a rifare questo verso, a cento passi di distanza. Li chiudete in gabbia
e cantano, se la gabbia è appesa al davanzale, o se è dentro
casa; volano in mezzo al cielo e cantano, vedono arrivare i cacciatori,
coi fucili, i cani e i carnieri pronti, e cantano; quando hanno fame cantano
e quando hanno mangiato cantano. E' impossibile farli tacere con le buone
o con le cattive. Non ci si riesce nemmeno con le schioppettate. )
Cosicché, questo povero sole da tempo immemorabile replica
inutilmente ogni mattina il suo grande spettacolo e mai ottiene quell'universale
applauso fragoroso, che non potrebbe mancargli se, come di dovere, le alture,
le terrazze, le rive del mare, le cupole, i bastioni e le torri, brulicassero
d'un popolo di spettatori. Eppure non tralascia nulla che possa arricchire
lo spettacolo. Si fa annunciare da una leggera ventata che, mentre è
ancora buio, muove appena le foglie degli alberi e increspa le acque del
mare. Poi comincia a mandar su una luce cinerea, opaca ed enigmatica, una
luce di Purgatorio, che presto invade il cielo; non è notte e non
è giorno ma è un momento incerto e inquieto, tra la vita
e la morte fatto per accrescer l'effetto di quando, subito dopo, il cielo
diventa d'un azzurro lucido e concavo, come quello dei cieli che sovrastano
i presepii artistici. Questo cielo si fa sempre più sferico, spazioso
e leggero, finche il Sole, che ha terminato i preparativi generali, chiama
a raccolta tutte le proprie risorse e affronta in pieno il grosso dello
spettacolo. Per prima cosa lancia in campo i carri delle nuvole, carichi
d'oro e di porpora, soffia nei suoi cartocci di zolfo e di zafferano e
confonde tutto nel pulviscolo; intanto si da al gettito intensivo dei colori
- ecco il violetto, ecco il lilla, ecco il turchino l'arancione, il verde,
il marrone, - scaraventa fontanoni di scintille e, tenendosi ancora nascosto,
inizia il lancio delle bombe luminose la dove mezz'ora prima era notte
- non basta: sta col piede sulla soglia, pronto ad apparire, ma, prima
di fare la grande entrata, ha il supremo effetto: incendia la girandola
finale, la scappata dei razzi dorati e delle fionde luminose, e, nel momento
in cui tutto scoppia, crepita e turbina vertiginosamente, lui, eroico mattatore,
fa dar fiato alle trombe d'argento sfodera la spada, squarcia l'orizzonte
e, tra bagliori, lampeggiamenti e serpentine, appare.
Oh, rabbia! Ancora un'entrata mancata: chi russa di qua chi russa
di là, tutti dormono come ghiri e nessuno ha visto.
Però c'è uno, uno soltanto, che ogni mattina aspetta
il sole. Lontano nel cuore della foresta, un bestione enorme e simpaticone
s'alza avanti giorno, fa una toletta sommaria, e si mette ad aspettare.
Appena vede apparire l'astro, drizza verso di lui la proboscide - si tratta
appunto dell'elefante, l'unico animale che saluti il sole - e barrisce.
Quali misteriose intese corrono fra gli elefanti e il sole?
Non lo sapremo mai. Tra l'altro, può darsi che il sole sorga
ogni giorno soltanto per un accordo convenuto con gli elefanti. Questa
è un'ipotesi seria e probabile non meno della teoria del Laplace
sulla formazione dell'universo e della scoperta di Galileo sui moti della
terra. Sfidiamo qualunque scienziato a provare il contrario. Nulla esclude
che il sole sorga unicamente per una intesa con gli elefanti, come nulla
esclude che la terra giri intorno al sole, o che il sole giri intorno alla
terra e la terra non giri affatto, o che nulla, o che tutto giri.
Chi, in quella grigia mattina del 16 dicembre 19..., si fosse
introdotto furtivamente, e a proprio rischio e pericolo, nella camera in
cui si svolge la scena che da principio alla nostra storia, sarebbe rimasto
oltremodo sorpreso nel trovarvi un giovine coi capelli arruffati e le guance
livide, che passeggiava nervosamente avanti e indietro; un giovine nel
quale nessuno avrebbe riconosciuto il dottor Falcuccio, prima di tutto
perché non era il dottor Falcuccio, e, in secondo luogo, perché
non aveva alcuna rassomiglianza col dottor Falcuccio. Osserviamo di passaggio
che la sorpresa di chi si fosse introdotto furtivamente nella camera di
cui parliamo è del tutto ingiustificata. Quell'uomo era in casa
propria e aveva il diritto di passeggiare come e finché gli piacesse.
Egli, sia detto una volta per sempre, si chiamava...
Quali difficoltà incontra uno scrittore nella scelta dei
nomi da dare ai suoi personaggi! E' più difficile dare un nome che
un carattere.
Perché il romanzo non è come la vita, che può
permettersi qualunque libertà. Pensate a Garibaldi. Se voi aveste
creato un personaggio simile, l'avreste chiamato Giuseppe? Sareste stati
incerti fra Goffredo, Orlando, Fortebraccio o Cuordileone. La vita non
ci sta troppo a riflettere: Garibaldi lo chiama Giuseppe: Beppe, Peppe,
Peppino; Rossini lo chiama pensate un po', Giovacchino; a voi sarebbe mai
passato per la mente di chiamare Giovacchino un uomo simile? E, se aveste
dovuto creare un tipo di grande astronomo, lo avreste mai chiamato Galileo?
E avreste mai chiamato Dante un poeta di quella fatta? Per un uomo simile
ci voleva, a dir poco, un doppio nome: Gianfrancesco, Giampaolo, Gian Domenico.
Oppure, un nome solo, ma un nome come Ercole. Petrarca con quel Francesco,
non è niente di speciale. Pensate quanto sarebbe stato meglio Armando
o Lucio Petrarca.
L'unico che sia a posto è Machiavelli: Nicolò.
Non Nicola, Nicolò: nome diplomatico e machiavellico per eccellenza.
Fa ridere ed è imponente secondo il tono con cui lo si pronunzia.
Arriva Nicolò: fa ridere. Ohé, c'è di là Nicolò:
è pieno di importanza.
I genitori non pensano abbastanza alla gravità di quello
che fanno nel dare un nome ai figli. Essi predispongono con questo una
notevole parte del destino di quelli e riducono sempre più il campo
del libero arbitrio già tanto limitato dalla parentela, dal fisico,
dal suono e dalla potenza della voce, e da tante altre cose, che i figli
trovano già fissate nell'atto di venire al mondo: la statura, il
colore dei capelli e degli occhi, non se li sono scelti da sé, idem
la nazionalità il sesso l'epoca e il luogo della nascita; togliete
all'arbitrio di chi viene al mondo anche il nome e lasciate il resto in
sua facoltà. E' come legarlo e dirgli: Cammina! Gerolamo non avrà
il destino di Marcello, né Armando la sorte di Pasquale, di Firmino,
o di Bartolomeo. Mentre Gastone sarà amato dalle donne più
di Procopio, Adolfo finirà forse parrucchiere per signora; Nicola
sarà a posto quando diventerà zio; egli non può aspirare
a niente di più che ad avere dei nipotini o, al massimo, ad essere
zar di Russia.
Dicevamo dunque che il giovane si chiamava...
Ma ci si consenta un'ultima osservazione sull'argomento dei nomi.
Dopo di che chiuderemo questa parentesi col pieno trionfo della nostra
tesi.
Pensate a quel che avverrebbe se la scelta dei nomi fosse lasciata
agli interessati. Se, per intenderci, ogni cittadino restasse senza nome
fino a quando non fosse in grado di darsene uno da sé. Giunto a
una certa età, gli si direbbe: «Ecco, ora puoi sceglierti
un nome ". Passi per gli scrittori, gli artisti e tutti quei capi scarichi
che sogliono adottare uno pseudonimo. Per essi sarebbe soltanto questione
di scegliere fra Lucio, Luciano, Marcello, Claudio, Armando, Gastone, Paolo.
Ma per gli altri!
Ci può essere un ciabattino, contento del proprio stato,
che si mette nome Crispino. Ce ne può essere un altro che aspira
a diventare guerriero, e si mette nome Napoleone. E chi volete che dia
a se stesso i nomi di Bartolomeo, Macario, Teopompo, o Marcantonio?
Poi, finché uno è giovane, può aspirare
al nome di Lucio o di Armando. Ma, quando è vecchio, che se ne fa
di questi nomi? Senza contare altre ragioni di dubbio e di perplessità.
A una certa età il cittadino è chiamato a esercitare
il suo diritto - tutti i diritti dei cittadini sono dei doveri - di fissare
il proprio nome. Egli ne avrà già una lista. Mario è
escluso, perché troppo comune, Cornelio è buffo, Lorenzo
è inutile, Amonasro suona male, Filippo lo porta il tale, Marcello
è il nome del portiere, Giorgio è antipatico alla moglie,
Clodoveo è difficile a pronunziarsi, questo è troppo lungo,
quest'altro non dice niente, questo non ha giorno onomastico.
Finché, magari, si finisce col mettersi un nome che non
piace affatto e per tutta la vita si resta col rimpianto e si dice: «
Ah, se quel giorno avessi pensato a Mardocheo! ".
Il giovine che passeggiava nella sua camera, nervosamente, era una vivente
smentita alla nostra teoria sui nomi. Si chiamava Battista e non era diventato
un vecchio e fedele servitore. Era diventato, invece, caso strano per un
Battista, semplicemente un giovine timido.
Come mai? Mistero. O, forse, scherzi del caso. Si tratta, comunque,
dell'eccezione che conferma la regola. Ci sono regole fatte di sole eccezioni:
sono confermatissime.
Battista, detto anche Raggio di Sole, s'era alzato tardi e aveva
trovato un tempo piovigginoso. Non aveva nulla da fare. Ma pensò
d'aver fatto tardi per tutto e che non gli restava altro da fare che uccidersi.
Per dir la verità, non era la prima volta che gli frullava per il
capo l'idea di uccidersi. Anzi, quest'idea gli veniva spesso quando s'alzava.
Aggiungiamo, per la cronaca, che gli veniva specialmente la domenica. E'
straordinario il numero delle persone che s'ammazzerebbero la domenica.
Chi sa perché. Forse perché è festa e c'è più
tempo libero. Del resto, sarebbe un modo come un altro d'impiegar la domenica.
Specialmente quei pomeriggi piovosi delle domeniche invernali, quando non
si sa dove andare, ci si alza tardi e non c'è più tempo di
far nulla, perché si fa subito notte; e si sente dal cortile
un pianoforte che suona musica tedesca. Ah, questi musicisti tedeschi!
Ne hanno di mancati suicidi sulla coscienza! Vi siete mai domandati, in
questi pomeriggi, come avreste impiegato la domenica? E non v'è
mai balenata in mente l'idea d'un vuoto spaventoso d'una solitudine tremenda,
d'una inutilità disperata e senza rimedio, d'un ritardo fantastico?
E non v'è mai venuto il pensiero di riempire questo vuoto con un
colpo di rivoltella?
No? Tanto peggio per voi.
A parte la domenica, in generale è straordinario il numero
delle persone che pensano al suicidio; e, bisogna aggiungere, che non si
uccidono. Si può dire che tutti ci abbiano pensato almeno una volta.
Raggio di Sole era uno di quelli che ci pensano soltanto. Finì
di vestirsi e, mentre suonava mezzogiorno, uscì, deciso a mangiarsi
in un sol giorno tutto il suo patrimonio.
Per attuare questo proposito, che avrebbe spaventato Pierpont Morgan,
comperò un panino e, deponendo tutto il proprio avere nelle mani
di un salumiere, gli disse di dargli tutto quello che poteva. Avute quattro
fette di salame, si recò ai giardini pubblici, a quell'ora deserti,
e si diresse verso una panchina, dove era seduto un giovinotto robusto.
Questi aveva un'aria dimessa, ma non priva d'una certa distinzione, che
gli derivava dalla sua scarpa destra; e doveva interessarsi molto ai fatti
del passato, poiché era immerso nella lettura d'un giornale di qualche
mese prima. Cavò di tasca e accese un mozzicone di sigaretta, senza
interromper la lettura, e non s'accorse di Battista, neppure quando questi
cerimoniosamente, prima di prender posto, gli chiese permesso.
Appena seduto, Battista, con un'aria soddisfatta e una fame
da lupi, tirò fuori l'involto del pane e del salame. Per mezzo d'un
temperino, spaccò il panino e se lo pose delicatamente sui ginocchi.
Poi guardò le quattro fette di salame ad una ad una contro luce
e, con tenerezza materna, le liberò delle loro pelli, badando di
non danneggiarle e ingoiando ogni tanto un po' di saliva. Quindi cominciò
a deporle nell'interno del panino; cercava di lasciare scoperto quanto
meno spazio gli riuscisse, dimostrando, nei limiti del possibile, le singolari
risorse della sua ingegnosità. Ciò fatto, guardò il
pane e il salame con la gioia dell'artista che mira l'opera propria. (La
quale gioia, in verità, è una leggenda; noi non conosciamo
che artisti i quali mirano con rabbia l'opera propria. ) Sorridendo, ricongiunse
le due meta del panino; con la carta che avvolgeva il pane e il salame,
improvvisò un tovagliolo e se lo mise sui ginocchi. Mentre s'accingeva
soddisfatto a dare il primo morso al suo pranzo, fermò la mano e
il panino a mezz'aria:
« Vuol favorire? » disse al vicino.
Questi alzò il capo dal giornale, s'accorse per la prima
volta di Battista.
« Grazie », mormorò.
Prese il panino e ne fece un sol boccone.
Cominciava a cadere una pioggerella sottile.
Come sono belli i giardini pubblici sotto la pioggia, quando dai prati
si leva un pigro vapore, le siepi di mortella sono lavate di fresco, i
crisantemi nelle aiuole sono gonfi, gli alberi gocciolano e il piccolo
lago grigio e gremito di birilli d'acqua! Allora le panchine di legno sono
fradice e i lombi delle ninfe marmoree grondano. Non passa nessuno. Sola,
nei vialetti coperti di ghiaia, s'avanza leggera la pioggia, sottile sottile,
signora del luogo, tamburella le grandi foglie delle piante acquatiche
e crepita sulle foglie secche, che un gelido vento ha rapito agli alberi
stecchiti; penetra nel segreto dei boschetti, ondeggia come una larga cortina
sui prati che s'avvallano, bagna le staccionate di sughero, gocciola intorno
al chiosco deserto.
«Attenzione!» pensò Raggio di Sole, che s'era
messo a camminare.
Passava in un vialetto una bellissima ragazza.
Bisogna saper scegliere le donne che si possono abbordare. Ci
son giorni che se ne incontrano cento e giorni che non se ne incontra nessuna.
Generalmente, se ne incontrano di più quando s'è in compagnia
di un'altra donna. Perciò non sapremmo abbastanza raccomandare di
andare a caccia di donne in compagnia d'un'altra donna. Bisogna, poi, tener
presente che quasi ogni donna, in certi momenti, è favorevolmente
disposta verso l'avventura, bisogna saper essere per lei, in quei momenti,
lo sconosciuto che non compromette e che non si rivedrà domani.
In certi casi, basterà essere lo sconosciuto che versa una piccola
somma. In massima, le donne che camminano frettolose non si trovano nello
stato d'animo descritto. E nemmeno quelle che sono in compagnia d'un uomo.
Le altre, seguitele. E fate capir loro, immediatamente, che le state seguendo.
E' inutile seguirle di nascosto. Si sconsiglia risolutamente di rivolgere
la parola a una donna, finché ella non vi abbia guardato almeno
una volta. Se ella affetta di non accorgersi di voi, che le camminerete
vicino, precedetela di qualche passo, voltatevi ogni tanto, aspettatela,
guardandola e cercando di farvi notare e, sopra tutto, di non perdere di
vista, tra la folla, l'oggetto amato.
Le donne sono tutte un poco pazze. Spesso tengono a lungo un
contegno enigmatico, per esplodere a un tratto con pari probabilità,
in atti ostili o cordiali. Perciò il cacciatore sia tenace e cauto
nello stesso tempo. Sperimenti l'occhiolino. Una delle cose che trattengono
spesso la donna dal dare chiari segni di simpatia è il timore di
passare per frivola di fronte allo stesso uomo che la segue. Per questo,
il cacciatore deve mostrarsi rispettoso e contentarsi di semplici indizi.
Non pretenda ne aspetti - e questo non avviene che in rari casi - che la
donna gli sorrida. Basterà capire che ella si mette in condizione
di facilitargli la conquista.
Appena il maschio si sarà formata questa convinzione se,
per esempio, la femmina rallenta il passo, se lo guarda con la coda dell'occhio,
se si ferma davanti a una vetrina se imbuca una via meno affollata - agisca
rapido e deciso. Entriamo cosi nella seconda fase - la più
delicata - della conquista. L'uomo si avvicinerà alla donna misurerà
il suo passo su quello di lei e, a meno che la strada non sia deserta,
non farà nessun gesto che possa essere notato dai passanti; non
si toglierà il cappello, non saluterà, ma avrà l'aria
d'essere in compagnia della signora.
La solita frase: «Permette che l'accompagni?» è
sciocca e dannosa. Non avviene quasi mai che una donna risponda subito
sì, anche se questo sia nei suoi desideri. Una personale esperienza
ci induce a consigliare questa frase, che vuol esser pronunziata a bassa
voce e con l'aria più naturale, come si stesse continuando una conversazione:
« Dove va?».
Può darsi che la donna non risponda. Anzi, è molto
probabile che non risponda. All'accorgimento del cacciatore, il capire
se quel silenzio e momentaneo o decisivo. Può darsi che la donna
dia uno schiaffo. Allontanarsi in fretta. Può darsi che dica: «A
casa ». Allora, educatamente, garbatamente, con tono insinuante,
le si chiederà il permesso d'accompagnarla, aggiungendo che, però,
si desidera non metterla in imbarazzo nel caso ci sia la probabilità
d'incontrare un parente, un fidanzato, o addirittura un marito.
Lo spirito informatore di questa norma è l'opportunità
di evitare scene spiacevoli. Liberati da questo timore, basterà
mostrarsi modestamente spiritosi e molto ingenui, per giungere alla totale
conquista dell'oggetto desiderato. Tener sempre presente questa
norma generale: è indispensabile dare alla donna l'illusione d'averla
conquistata.
Raggio di Sole conosceva bene queste regole, ma la sua timidezza lo
metteva nell'impossibilità di applicarle, anche perché la
ragazza era a cavallo. Ogni giorno ella passava nel viale solitario bagnato
dalla notturna pioggia, sotto gli alberi gocciolanti. Raggio di Sole l'aspettava
nascosto dietro un albero, col cuore in tumulto. Poi le faceva la cavalletta
e andava a nascondersi dietro un altro albero per vederla passare ancora.
E poi raggiungeva un terzo albero e poi un quarto, infradiciandosi e inzaccherandosi
nel traversare i prati di corsa.
Ogni mattina arrivava in anticipo ai giardini e, graffiandosi
le mani tra i cespugli bagnati, coglieva un mazzolino di fiori, ma gli
mancava sempre il coraggio d'offrirlo alla sconosciuta. Finché quel
giorno, vincendo la timidezza, si fece in mezzo al viale, sbarrò
il passo all'amazzone, e, col cappello teso, fece una riverenza al cavallo,
che s'impennò.
«Ma non si vergogna di mettere sotto il muso del cavallo
un cappello simile? » strillò l'amazzone.
Mentre lei s'allontanava al trotto, Raggio di Sole considerò
il proprio cappello. Impresentabile. Si ricordava tempi migliori, ma come
lontani ! Quando stava attaccato, con la falduccia dalla piega caratteristica,
gli somigliava, e Battista l'avrebbe detto una parte di se stesso. Ma non
c'era tempo da perdere; urgeva sostituirlo con un cappello bellissimo.
Ma il denaro?
Raggio di Sole andò ad offrire una sua novella al direttore d'un
giornale.
« Sentiamo di che si tratta », gli disse questi; «per
l'appunto abbiamo bisogno di racconti a fondo psicologico, i soli che oggi
piacciano al pubblico.» Raggio di Sole ne riferì un sunto.
« Giravo il mondo in cerca di fortuna e a Londra riuscii a trovar
lavoro. Si trattava di far da mostra a una trattoria, mangiando a quattro
ganasce in vista del pubblico. Quello dell'uomo che mangia per pubblicità
è un mestiere altrettanto comune a Londra, quanto, purtroppo, sconosciuto
presso di noi. Ma era un lavoro da negri. Pensi: mangiare senza interruzione
durante nove o dieci ore al giorno, per guadagnare una miseria. Una miseria
tale che, quando la sera tornavo stanco a casa, spesso non trovavo neppure
la tavola apparecchiata. E dovevo accontentarmi, il più delle volte,
di un semplice caffelatte, che era tutta la mia cena. Finalmente, non resistendo
a questa vita di stenti, chiesi al proprietario della trattoria che mi
aumentasse il salario, oppure mi diminuisse il lavoro. E, poiché
non ottenni né l'una cosa né l'altra, mi dimisi. Che vuole,
quello che guadagnavo non mi bastava neppure per comperarmi un boccone
di pane e...»
Il direttore gli fe' cenno di tacere e restò pensieroso
per qualche minuto.
« Non si scoraggi », disse, alla fine. « Faccia
un bel colpo: scopra un delitto, descriva un ambiente inaccessibile, mi
porti un'intervista clamorosa, qualcosa da far chiasso. »
Per istrada, Raggio di Sole si scervellava: gli ambienti inaccessibili
non gli sorridevano; delitti da scoprire non ce n'erano; restavano le interviste
clamorose. Ma con chi? Sulla piazza non si trovava l'ombra d'un re o d'un
imperatore in incognito, i vecchi briganti usciti dopo quarant'anni dalla
galera erano irreperibili, i personaggi bizzarri erano stati sfruttati
da tempo e il pubblico non ne voleva sentir parlare, nessuna celebre mondana
aveva deciso di ritirarsi in un convento, e nei bassifondi della città
non si trovava uno sventratore degno di considerazione.
Battista non sapeva a che santo votarsi e si mise a girare per
le strade, in cerca almeno d'un bambino scacciato di casa da genitori d'una
crudeltà incredibile. Ma, purtroppo, i bambini non avevano serie
ragioni di dolersi dei loro parenti.
A un tratto, il giovane trasalì. Aveva scorto, tra la
folla uno di quegli ostinati camminatori che compiono l'inutile e impressionante
sfacchinata di girare il mondo a piedi: calzettoni, ginocchi nudi, tascapane,
occhiali e cartello con l'indicazione: Giro del mondo a piedi.
Era l'intervista. Battista si presentò e l'invitò
a cena (s'era fatto fare un prestito) in un ristorante dove non volle aggredir
subito con le domande il commensale. Aspettò d'essere alla frutta
e qui insinuò abilmente un:
« E' stanco? ».
« No », rispose il globe-trotter, che pareva un tipo
di poche parole.
« Non è stanco », mormorò il giovane,
prendendo appunti.
E, per fargli sciogliere lo scilinguagnolo, ordinò dei
liquori. Quindi fece cadere il discorso sui vari paesi del mondo, nella
speranza che l'altro desse la stura alle impressioni personali.
Ma, poi che quegli lo lasciava dire, limitandosi a tracannare
le bevande spiritose, finì per attaccarlo di fronte, sul tema: curiosità
di viaggio.
« Ha consumato, finora, molte paia di scarpe? »
« Purtroppo » rispose il globe-trotter « si:
un paio di paia all'anno. »
« Non è molto. Forse sono scarpe speciali? »
« Le scarpe che portano tutti. »
« Chi sa che sofferenze per i suoi poveri piedi! Lei farà
un grande uso di cerotti. »
« Non ne ho mai avuto bisogno. »
« Ha perduto molti chili di peso, da che è in viaggio?
»
« Nemmeno uno. »
« E', talvolta, caduto affranto, verso sera, sull'orlo
della strada? »
« Mai. »
« Ha avuti spiacevoli incontri? »
« Nessuno, per fortuna. »
« Nemmeno un cane randagio? »
« Nemmeno un cane. »
« Avventure pericolose?... »
« Nessuna. »
« E' stato costretto a pernottare in aperta campagna, o,
magari, nel cuore di qualche foresta, accendendo il fuoco per tener lontane
le fiere? »
« Ho sempre dormito a letto. »
« E' stato mai raccolto, morto di fame, di stanchezza e
di freddo, in qualche casolare sperduto nella solitudine sterminata? »
« Mai. »
« Malattie? »
« Qualche raffreddore. »
« Ha bisogno di riposo? »
« Sono fresco come una rosa. »
Battista considerò con ammirazione quell'uomo straordinario,
per il quale il giro del mondo a piedi era una bazzecola.
« Ma sa che lei è un fenomeno? » disse.
« Non s'era mai dato il caso d'un globe-trotter che non
accusasse nessuna delle conseguenze d'una così faticosa impresa.
E' un fatto che non si spiega. »
Il globe-trotter accese uno dei sigari offertigli da Raggio di
Sole, tracannò un altro bicchierino di liquore.
« Si spiega benissimo » disse.
« Io sono un globe-trotter che ha cominciato il giro del
mondo da mezz'ora. Sono uscito di casa mezz'ora fa - la mia casa è
dirimpetto a questa trattoria - e, poiché ho avuto la fortuna d'incontrarla,
ho fatto una prima tappa: finora ho percorso soltanto dieci metri. Con
permesso. »
Il globe-trotter s'alzò e, caricatosi lo zaino in ispalla,
proseguì il giro del mondo a piedi.
Per sapere come va a finire, non vi resta che acquistare una copia del libro....