Canne al Vento

Bar Ristorante Stabilimento Balneare

V.le Mediterraneo Bosa Marina (OR)

Home
cultura.htm

STORIA DI BOSA 

  Aspetto fisico ed importanza strategica

Bosa, sita sulla costa occidentale della Sardegna, si presenta come un pittoresco borgo la cui rocca domina il golfo compreso tra capo Marrargiu, a nord, e Columbargia, a sud.

La cittadina si adagia sul declivio di un verdeggiante colle, sormontato da un antichissimo castello, lungo la sponda destra del fiume Temo, uno dei più grandi fiumi navigabili dell'isola attraverso il quale, dopo soli due chilometri di navigazione, si raggiunge l'ampia foce che immette in mare.

Sulla sinistra dell'estuario si distende una vasta spiaggia arenosa che attraverso un piccolo molo è stata collegata a quella che un tempo era un isoletta denominata Isola Rossa.

Su questa nel 1587 venne eretta dagli spagnoli di Filippo II una torre facente parte del complesso difensivo che, nel XVI secolo, venne realizzato sull'intero perimetro costiero della Sardegna a salvaguardia delle incursioni saracene.

Gli aspri promontori, le imboccature di porti naturali e le estremità di penisole rocciose furono costellati di torri di vedetta. Ogni presidio militare aveva controllo visivo su una limitata regione di mare ed inoltre la sua posizione garantiva il contatto a vista con la rispettiva torre limitrofa.

Bosa , per la sua particolare posizione geografica, e per l'ampiezza del golfo su cui si affaccia, divenne uno dei più importanti centri di avvistamento di cui il castello, posto a 81 metri sul livello del mare, costituì il punto terminale.

L'intero complesso difensivo si spingeva a nord sino alla torre Argentina che domina il golfo di Alghero, mentre a sud era fondato sulle torri di avvistamento di Columbargia, S'Ischia Ruggia, Foghe e, ancora oltre, Santa Caterina, Su Puttu e Capo Mannu, poco più a settentrione del golfo di Oristano.

Dai nuraghi alla formazione del borgo medievale

  Bosa vanta origini remote; la presenza di genti protosarde nel territorio e ormai provata dall'esistenza di numerose testimonianze. Il villaggio nuragico sa Lumenera, i numerosi nuraghi che punteggiano la valle e le domus de janas, particolari grotticelle tombali scavate nel granito, attestano quanto lontana debba essere dalla nostra epoca la nascita del primo nucleo.

Da questo ebbe origine la città la cui grandezza fu determinata sin d'allora dall'esistenza di un fiume navigabile la cui foce poco dista dal sito abitativo.

Bosa, scalo strategico lungo una rotta transmediterranea, permetteva un agevole collegamento con l'interno e in particolare con le ricche regioni della planargia, Montiferru e Macomer che confinano con i suoi territori.

Gli storici moderni sono oggi concordi nell'affermare che la felice posizione del sito fosse già apprezzata dai Fenici il cui stanziamento pare fosse localizzato molto più vicino alla foce del Temo di quanto non sia il Centro attuale.

Tale ipotesi è suffragata dal ritrovamento nella zona di depositi di monete puniche nonché da due iscrizioni rinvenute a Bosa nell'ottocento, databili con una certa probabilità al IX - XIII secolo a. C.

Alla luce di questi eventi, gli storici promuovono l'ipotesi secondo la quale Bosa Vetus fu fondata dai Fenici; ipotesi secondo la quale la città fin dalle origini doveva chiamarsi Bosa mentre prendeva il nome di Calmedia soltanto in un periodo incerto del medioevo.

La città romana, della quale esistono maggiori testimonianze, doveva rivestire una certa importanza con il suo ordinamento di tipo municipale. Questa sorgeva molto più a monte del centro fenicio, lungo la riva sinistra del fiume Temo, e più esattamente alle falde del monte Nieddu, nei pressi della chiesa di San Pietro Extra Muros.

Nella zona vengono segnalati da più parti resti di edifici e della necropoli che hanno restituito abbondante materiale fra cui numerose iscrizioni latine, tegole, frammenti di vasi e lucerne di ceramica.

Frequentissimi sono stati pure i ritrovamenti di monete imperiali con bollo di fabbrica oggi esposte nella biblioteca comunale della città.

La presenza di un'attività numismatica ci testimonia che Bosa, fin dal periodo romano ebbe il privilegio di battere moneta, un diritto che probabilmente ereditò dall'antica Cornus.

Tale diritto fu acquisito a seguito della distruzione di questa ricca e popolata città che al tempo della dominazione Cartaginese coniava le monete Sardo-Puniche e alla quale Bosa progressivamente le si sostituì in tutti i progressi. Secondo lo storico Spano, fra gli antichi municipi romani il diritto della coniazione era riservato esclusivamente a Cornus, Tharros e Bosa.

Tale privilegio non deve stupire se si considera che prima Cornus e poi Bosa assunsero il ruolo di capitale dei popoli stanziati in quella parte occidentale dell'isola.

La presenza delle numerose monete sta ad indicare inoltre l'esistenza in Bosa di un'attività commerciale particolarmente florida ed un porto che non trovava concorrenza in nessun altro luogo della costa occidentale.

Il commercio fu certamente facilitato dall'antica strada romana che partendo da Cagliari passava per Sulci, Neopolis, Santa Giusta e Cornus per giungere a Bosa.

La rinomata attività della zecca di Bosa fu di particolare interesse anche nell'anno 1387 sotto Giovanni I di Aravano; e nel 1443 quando ebbe pure il privilegio di batter moneta in Cagliari, sassari, e Alghero.

Inoltre in località Pont' Ezzu, nelle immediate vicinanze della chiesa di San Pietro Extra Muros, appaiono ancora oggi i resti di un ponte che attraversava il Temo costruito in un'unica arcata con una luce di 15 metri.

La grandiosità dell'opera, realizzata lungo la strada costiera Turris - Tharros, si accresce se si considera che aveva la funzione di congiungere la città romana con il porto di terridi sito sulla riva destra del fiume, nei pressi della foce.

Gli storici ritengono che, nonostante le incursioni arabe, il sito della città romana non fu mai abbandonato dal momento che è del 1062 l'inizio dei lavori alla costruzione della già citata cattedrale di San Pietro.

Questa fu terminata nel 1073 come attestato dall'iscrizione che si legge sopra la sua porta principale, e che espone: 

"Ego-Costantinus-De Castra Epus-

pr. Amorem. Dei Ad -honorem-sancti-

petri hanc-Ecclesiam-aedificare-

feci (MLXXIII)".

  La città romana cessò di esistere agli inizi del XIII secolo; di essa restano la chiesa dedicata a San Pietro e la torre di vedetta romana che funge da campanile alla chiesa stessa.

Tra il 1015 e il 1016 l'espansione araba culminò con la conquista della Sardegna ed il pontefice Benedetto VIII intervenne per convincere genovesi e pisani ad impegnarsi nell'aiuto dei Sardi.

Tra i primi ad accorrere con una potente flotta fu Oberto Obizzo, capostipite dei Malaspina, che riuscì ad allontanare verso il mare l'invasore ed ad imporre la propria egemonia sulle terre da lui liberate.

Così la zona divenne un potente feudo dei Malaspina, i quali avendo acquistato molte terre in questa regione, fondarono una città nella sponda destra del fiume quasi in cima al colle che consentiva il dominio dell'ampio golfo.

Mentre in una posizione intermedia fra il mare e l'antica città, l'allora Calmedia, fu avviato un commercio marittimo assai importante.

In principio, nel 1112, venne costruito in cima al colle solo il castello che fu chiamato di Serravalle perché destinato a difendere la valle dal lato del mare.

Si trattava di un'opera faraonica: un sicuro baluardo contro l'intraprendenza saracena, una fortezza ben architettata composta da più torri e recinta d'un doppio ordine di mura ove si aprivano due porte di cui una volgeva verso la città e l'altra verso le campagne orientali.

Secondo l'ipotesi di maggior successo la città nuova sorse al principio del XII secolo, intorno al primo agglomerato costruito sotto il castello che alloggiava le famiglie dei soldati della guarniggione.

Gli eventi che determinano la scomparsa della Bosa Vetus e la nascita della Bosa Nuova, contrariamente a quanto si possa immaginare, non assunsero la veste della tragedia.

L'ipotesi più probabile è che si sia verificato un fenomeno migratorio verso il mare, un lentissimo processo di trapianto urbano dal vecchio al nuovo sito praticamente concluso all'inizio del secolo XIV, quando la minaccia di un'invasione aragonese si faceva più concreta.

Il motivo che spinse gli abitanti di Calmedia all'inconsueto avvicinamento alla

costa fu la ricerca di protezione dal più vicino castello nonché di quelle condizioni che rendevano più agevole lo svolgimento delle allora fiorenti attività commerciali.

Si ritiene pertanto che gli abitanti di Calmedia, non trovando la città adatta ai sempre più pressanti bisogni difensivi, causa le incessanti e distruttive invasioni saracene, preferirono oltrepassare il fiume per stabilirsi ai piedi della collina sita sulla riva opposta.

Così mentre la Bosa Nuova raggiungeva un aspetto ben definito, la Bosa Vetus iniziava la sua decadenza.

  L'epoca medievale: poteri politici e struttura della città

  L'esame tipologico e morfologico dell'organismo urbano attuale porta a concludere che la parte dell'abitato di pertinenza del feudatario fosse fisicamente separata dalla città libera.

Castello e sottostante borgo non arrivarono mai a fondersi in un unico centro urbano e mantenne ciascuno la propria individualità giuridica.

Il rione Sa Costa, quello più protetto perché costruito nella zona sottostante il castello, era abitato dalla nobiltà e dai componenti graduati dell'esercito del feudatario dal quale ricevevano i proventi.

Questo è il quartiere più antico ed è strutturato in successive quinte edilizie che si uniformano alle curve di livello della collina.

In esso non furono costruite chiese dal momento che si riteneva sufficiente la presenza di quella esistente all'interno del castello.

La città libera invece, distesa nella pianura prospiciente il fiume, era abitata dalla plebe che viveva dal lavoro dei campi, dalla pesca, e dalle attività portuali e militari.

Questa sorse inizialmente intorno alla nuova cattedrale dell'Immacolata costruita nel XII secolo, per poi estendersi lungo la riva destra del fiume.

Fra queste due unità insediative non esistevano mura ma la separazione dei due rioni era certamente assicurata dalla compattezza delle quinte edilizie del borgo.

Col passare del tempo tale separazione fisica tra il rione Sa Costa e la città libera si riflesse anche nell'ambito dei rapporti sociali.

Tra il mondo nobiliare e quello plebeo, strutturalmente sovrapposti, si creò una frattura che divenne ancora più netta quando la plebe prese coscienza della propria menomazione sociale.

Il fenomeno nacque nel momento in cui componenti di questa classe, occupate le dimore abbandonate dai nobili furono costretti ad attraversare i luoghi frequentati dai ricchi per raggiungere i campi di lavoro.

Nonostante la funzione del feudatario sembrasse quella di esercitare una sorta di protettorato sulla città libera, la figura dei signori svolse sempre un ruolo puramente simbolico.

Il carattere esclusivamente nominale del protettorato emerge dalla diminuzione dell'interesse dei feudatari verso il loro possedimento verificatasi proprio mentre la città si ampliava e prosperava economicamente grazie soprattutto all'attività commerciale nel porto. Così il castello medesimo iniziò la sua inarrestabile decadenza che culminò nel 1562 con la rinuncia da parte dell'ultimo feudatario.

Nel 1388, Bosa, avendo acquistato una certa autonomia comunale venne a trovarsi in una situazione giuridica unica nell'isola potendo partecipare a tutti e tre i bracci, o stamenti, del parlamento sardo: quello ecclesiastico in quanto sede vescovile, il reale in quanto città libera, e il militare perché parzialmente posseduta da un feudatario.

  Bosa sede vescovile

  Altro fenomeno significativo per comprendere l'importanza che rivestì Bosa in Sardegna è la presenza del vescovado nella città.

L'assenza di documentazione ci impedisce tuttavia di determinare l'età in cui questo ebbe origine; data però l'antichità della città è verosimile che da tempi assai remoti abbia avuto il suo vescovo.

Costantino de Castra è il primo vescovo di cui si ha una precisa documentazione storica.

Egli fu eletto alla sede di Bosa nel 1062 e nel 1073 consacrò la cattedrale di San Pietro dopo averla fatta ampliare e in parte ricostruire.

Molti si distinsero per la loro opera, tra questi lo storico Giovanni Francesco Fara di cui nel 1580 venne pubblicata in latino la sua prima opera della Sardegna, "De Rebus Sardiniae" che venne probabilmente ispirata dal primo tentativo fatto nell'isola da un sardo, Sigismondo Arquer, e pubblicata nel1550 col titolo "Sardinae brevis Historia et Descripitio".

  Le architetture religiose

  Fra le opere monumentali della città primeggia la cattedrale dell'Immacolata Concezione, antico edificio del XII secolo sorto a valle dell'antico borgo, nelle immediate vicinanze del fiume.

Restaurata nel 1400 e poi riedificata nel 1806 dall'architetto bosano Salvatore Are, per il suo stile e le ricchezze artistiche è una delle più pregevoli chiese della Sardegna.

L'altare maggiore è costruito in finissimo marmo, con lavori di pregevole arte. Degne di ammirazione, oltre al colossale e prezioso organo sono pure le tre statue marmoree raffiguranti l'Immacolata Concezione e i due martiri sardi Emilio e Priamo.

Molte sono le chiese figliali all'interno e all'esterno dei paese; di queste ultime, oltre alla chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, testimonianza dell'antica Calmedia, di particolare interesse è la chiesa di Santa Maria del mare.

Sita in prossimità del porto, alla foce dei Temo; si presenta come una notevole costruzione dell'XI secolo arricchita da colonne e da resti di un tempio romano.

fra le altre costruzioni religiose di particolare importanza sono degne di nota Sant'Antonio Abate dei XVI secolo, congiunta all'antico convento dei carmelitani; la chiesa del Carmine edificata nel 1779 nel medesimo convento che oggi ospita il Municipio; la trecentesca chiesa di Nostra Signora di Regnos Altos sita all'interno del Castello; l'ottocentesca Santa Filomena; il Sacro Cuore, Santa Croce.

Tuttavia la più ricca di significati è senza dubbio la chiesa del Rosario.

Questa, situata sul Corso, risplende con i suoi altari in marmo, i pregiati dipinti e i ricchi arredi distinguendosi inoltre per il grande orologio a mensola.

All'esterno dell'abitato si trovano le chiese dei due conventi, uno dei carmelitani e dei cappuccini.

Bosa ha molte altre chiese fra cui quella del collegio ex Gesuitico, quella di S. Giambattista, S. Giorgio martire, e altre ancora interdette o distrutte sparse tra i campi e i vigneti della valle.

  Le attività economiche

  L'attività commerciale, di Bosa era degna della varietà e bontà dei prodotti.

Ottimi grani, olive, oli e vini prelibati l'aromatica malvasia, bestiame bovino e ovino da cui si ricavavano burro e formaggi ricercati, pellami; pesci, aragoste erano gli svariati prodotti di cui ancora oggi Bosa vanta un'ottima, produzione oltre all'aggiunta attività turistica offerta dalla splendida costa marina.

Lungo la riva occidentale dei Temo, all'altezza dei paese, si possono ammirare le particolari costruzioni delle concerie, sas conzas, d'epoca sette-ottocentesca nelle quali si provvedeva alla lavorazione delle pelli che permettevano un'attività di esportazione in tutta l'isola.

Tali costruzioni riflettono nello specchio d'acqua del fiume un tipo edilizio che per fattura ha la serialità dei modulo; più di trenta edifici testimoni di splendidi esempi di archeologia industriale si sviluppano verticalmente su due piani costituiti da ampi stanzoni aperti.

Altra tipologia di industrie che alimentava la città era quella dei numerosi mulini, quasi tutti a vapore, che consentivano la macinazione dei grano e delle olive.

  Anche il mare offriva grandi risorse fra cui le più redditizie erano la pesca delle aragoste, anch'esse esportate in larga scala, e la pesca dei corallo molto fruttifera in passato, ma che dal 1888 iniziò a diminuire a causa della concorrenza della Sicilia.

Vi erano pure ricchi giacimenti metalliferi di galena argentifera e di manganese, già sfruttati ed ora chiusi al lavoro di estrazione.

Bosa, grazie alla sua fertile pianura e all'ottima posizione del porto, fu per lungo tempo il deposito delle derrate della planargia del Montiferru del Marghine e di tutti i paesi vicini.

  Il porto nel '500 e la decadenza della città

  Nel 1528, sotto il regno di Carlo V, la colossale opera del porto fu distrutta dai Bosani stessi a causa dell'infondata paura di un'invasione francese che avrebbe dovuto abbattere la potenza spagnola.

Questi infatti ostruirono la foce del Temo con enormi massi determinando in breve la decadenza e l'interramento dell'alveo la cui diretta conseguenza fu il sensibile danno arrecato al commercio.

Gli effetti che ne seguirono furono disastrosi anche sul piano idraulico-sanitario con la grave inondazione del 1606 e la propagazione della malaria che cominciò ad imperversare in tutta la città.

Da quell'anno si ridimensionò la speranza in una maggiore prosperità economica; la città anzi s'impoverì e il suo antico splendore decadde notevolmente.

Prima del 1528 le navi potevano arrivare fin sotto le mura della città, essendo

il Temo navigabile per circa due chilometri entro terra.

La foce dei fiume ostruita impedì il regolare deflusso delle acque verso il mare e Bosa assistette impotente alle immani catastrofi delle inondazioni.

Causa della diverse amministrazioni governative succedutesi nel regno, ma anche per gli incidenti naturali A riparare il danno procurato nel 1528, verso la fine dei secolo XVIII il nobile Don Gavino Passino, ed altri, fecero più volte proposta al governo di accordare alla città la franchigia per dieci. anni sulle importazioni, promettendo in compenso di procedere alla costruzione del porto a spese proprie.

il Governo non volle aderire a tale richiesta e Bosa continuò a vedersi priva d'uno dei suoi più potenti mezzi di commercio e di sviluppo.

Intanto l'ingegner regio, Macigni, recatosi in Bosa aveva manifestato il proposito di domiciliarvi e aveva chiesto al Governo 50.000 lire a titolo di contributo per le opere del porto che si proponeva di ricostruire e che tuttavia, ostacolato dalle accuse di infamia presso il Governo, non poté mai attuare.

    Le vicende del porto nell'800

  Nel 1845, il re Carlo Alberto visitando la Sardegna, si recò anche nella città di Bosa ove la popolazione gli si rivolse affinché fosse ricostruito il porto. H re aderì alla richiesta promettendo di dare avvio agli studi necessari.

Qualche mese più tardi, infatti i contrammiragli Albini e Mameli, entrambi isolani, venivano incaricati di visitare tutti i paesi marittimi del regno sardo per proporre il miglioramento dei porti e di tutte quelle opere che avrebbero stimato necessarie per il rifiorimento del commercio.

Purtroppo però la promessa non venne adempita e i Bosani, che non abbandonarono la speranza e la tenacia replicarono le loro istanze. Nel 1849 il Ministro dei Lavori pubblici si interessò alle opere di maggiore urgenza dei comuni sardi tra le quali figurava il porto di Bosa. Cosi fu incaricato l'ingegnere Valle di recarsi sul posto per eseguire i progetti e calcolare la spesa. Approvato il disegno, venne proposto al Parlamento sotto il Ministero Depretis lo schema di legge per l'autorizzazione della spesa, ma il Ministero cadde e tutte le operazioni furono sospese.

In tale situazione il Consiglio comunale, con deliberazione del 31 gennaio 1863 nominò una deputazione che fu incaricata di recarsi a Torino per sollecitare, presso il ministro Menabrea, la tanto sospirata legge.

Finalmente nel 1863 fu proposto e approvato dalla Camera dei deputati il progetto di legge per la costruzione del porto di Bosa.

Questo in seguito fu presentato al senato che pure lo approvò con la seduta dei 17 giugno di quello stesso anno.  

Il 5 luglio fu promulgata la legge che autorizzava la spesa straordinaria di 860

mila lire per la costruzione dell'opera.

A questa fu chiamato a concorrere anche il Municipio per la somma di 164 mila lire, per cui questi fu costretto sacrificare la maggior parte del suo patrimonio e contrarre un prestito di 116 mila lire.

L'esecuzione dell'opera fu affidata a due industriali, i fratelli Bonomo, che il 1°aprile mentre attraversavano il fiume furono travolti dallo stesso ingrossatosi per le piogge cadute nei giorni precedenti.

L'appalto venne concesso solo due anni più tardi ad un altro imprenditore il signor Fumagalli, che avrebbe dovuto compiere l'opera entro cinque anni.

Ma l'opera non fu condotta a termine agevolmente causa le intemperie e le maree che distrussero parecchie volte nell'inverno quanto si era già fabbricato nell'estate con molta spesa.

Così negli anni si riuscì a costruire un solo tratto di scogliera che, oltre a non recare alcun beneficio e non garantire sicurezza alle barche ne rendeva loro difficile l'ingresso nel fiume. Le difficoltà furono tali da far urtare le barche coralline contro scogli e massi provocando gravi danni alle imbarcazioni e creando situazioni di pericolo per lo stesso equipaggio.

 Intanto le grosse barche e i bastimenti, non potendo entrare se non con le acque in piena, preferivano recarsi negli altri porti dell'isola fra cui sceglievano in particolare quelli di Oristano e di Alghero.

Il progetto adottato consisteva nel congiungere alla costa l'isolotto vicino sul quale si erge la Torre grande di Bosa e dove oggi e situato un porto turistico.

Il Municipio pertanto esaurì mi quest'opera, iniziata nel 1869 e ritenuta di particolare utilità per il commercio locale, le sue risorse senza averne alcun giovamento.

La legge della sistemazione dei debiti nelle diverse città d'Italia diede termine a tale stato di cose tanto che alla fine dei 1800 Bosa si trovava in condizioni finanziarie piuttosto floride.

  Bosa nell'800: condizioni socio-economiche e Regno Sabaudo

  Nel 1834 la città aveva un commercio con l'estero molto attivo ed era deposito delle merci provenienti dalle vicine Planargia, Montiferru, Marghine e dalle più lontane Barbagia e Nurra.

Bosa era ricca di negozi di stoffe, di maioliche, alimentari, locande, salumerie, rivendite di carbone, d'olio, officine ferraie e d'armi, calzolerie, artorie, falegnamerie, sellerie, concerie, oreficerie.

La città era munita anche di prigioni situate nella torre della porta Santa Giusta, di un piccolo ospedale e delle scuole elementari, di belle lettere, di filosofia e morale.

Ma ai margini di tanto progresso della nascente borghesia, vegetava una folla di diseredati, senza tetto né lavoro. Circa 800 persone, su 6250 che costituivano le 1580 famiglie di Bosa, abitavano nel Castello, segregate da tutti perché non possedevano panni per vestirsi. In aiuto di questo ceto tanto disagiato sorgevano iniziative a carattere umanitario ad opera dell'Amministrazione Civica fra cui un asilo per dare ricovero ai bambini esposti alla pubblica carità.

E' certo che sotto i Savoia i Sardi cominciarono a trarre un lungo sospiro di sollievo.

Quando si costituì il Regno Sardo-Piemontese l'Isola si trovava in condizioni di assoluto degrado; gli invasori che si erano avvicendati lungo i millenni l'avevano avidamente sfruttata impoverendola notevolmente.

Nel 1807 Vittorio Emanuele I nominò Bosa Capoluogo di provincia con l'editto del 4 maggio e diede facoltà al Prefetto di abitare in Cuglieri durante i mesi estivi, essendo la città infetta dalla malaria.

Quattordici anni più tardi, nel 1821, furono soppresse, per ragioni di risparmio, cinque province e Bosa fu sostituita da Cuglieri, diventando nel contempo Capoluogo dei II° Distretto. Successivamente, con la legge albertina del 1847 Bosa cessò di essere feudo.

Nel 1859 le province furono ridotte a due: Cagliari e Sassari; Bosa fece parte della provincia di Cagliari fino al 1927 quando fu istituita quella di Nuoro alla quale da quell'anno appartiene.

La politica Sabauda risollevò le sorti dei Bosani e diede nuovo impulso alla loro intraprendenza economica dagli studi emerge che a metà dell'Ottocento la città si diede un volto dignitoso con un'edilizia di gusto anche nelle manifestazioni più modeste riadattando i vecchi fabbricati e costruendone di nuovi negli spazi liberi.

Nell'ultimo quarantennio dell'Ottocento l'incremento demografico fu molto debole (6442 abitanti nel 1861, 6810 abitanti nel 1901); eppure è in questo periodo che si portano a compimento le trasformazioni strutturali più significative.

Sin dal 1858 la città è munita dì un Regolamento di igiene che prescriveva le

norme da seguire riguardo a diversi argomenti per avere un certo ordine di carattere sociale, morale ed igienico in tutta la città.

Dal 1864 abbiamo una precisa documentazione che testimonia un intervento di carattere urbanistico ad altissimo livello, considerando il periodo in cui fu eseguito, e per il quale venne incaricato un ingegnere cremonese, Pietro Cadolini.

  Le condizioni igieniche e le opere di risanamento dell'800

  Dal punto di vista igienico nel secolo XIX la città si presentava in condizioni precarie date le caratteristiche topografiche e geografiche.

La sua posizione a pochi metri sul livello del mare e l'assenza di argini in riva al fiume, furono spesso causa di disastrosi inconvenienti quali, le inondazioni fluviali, la mescolanza di acque salmastre alle acque dolci e il ristagno delle acque stesse. Tutti fattori che contribuirono a rendere il clima notevolmente insalubre fino alla degenerazione nella propagazione della malaria.

Moltissime vie all'interno del borgo, oltre ad essere particolarmente anguste e tortuose, si presentavano poco arieggiate e soleggiate e pertanto sempre molto umide e difficili da pulire. E' facile intuire come una situazione simile potesse creare ingenti danni all'igiene pubblica.

Pertanto, nonostante Bosa avesse un'ottima esposizione verso mezzogiorno, le abitazioni situate nelle strade anguste risultavano male arieggiate e spesso prive di soleggiamento.

Oltre ad essere prive d'aria e di luce molte non si elevavano particolarmente e spesso erano scavate nella roccia assomigliando più che a case a vere e proprie grotte di piccolissime dimensioni ove convivevano numerose persone.

Lo stato delle abitazioni e la loro ampiezza non corrispondevano ai bisogni degli abitanti trovandosi questi per la maggior parte ammucchiati in ambienti malsani Le abitazioni erano per lo più prive di cortili e di canali di scolo, ed essendo la città priva di rete fognaria le acque sporche ristagnavano per le strade.

Non avendo sorgenti di acqua potabile nelle vicinanze dei centro abitato la popolazione di Bosa doveva servirsi dei pozzi pubblici costruiti dall'Autorità municipale a tale scopo.

Solo le famiglie agiate utilizzavano cisterne in cui l'acqua proveniva o dalle piogge, per mezzo dei tetti, o dal vicino fiume.

A tale condizione si devono far risalire le molte malattie endemiche che colpivano specialmente i poveri.

Questi si vedevano infatti costretti all'uso di acque malsane a causa della poca pulizia dei pozzi medesimi.

In conseguenza a tali condizioni l'Amministrazione Comunale provvide ad un piano di risanamento urbano che prevedeva l'apertura di numerose vie e la realizzazione del sistema fognario.

Il programma prevedeva inoltre l'abbattimento degli edifici più malsani, l'arginamento del fiume per tutta lunghezza della città e la costruzione di un acquedotto che finalmente avrebbe fornito l'acqua potabile.

Il progetto dell'acquedotto richiese inoltre un rilievo completo del territorio e della città che nel 1868 avrebbe consentito a Bosa di dotarsi di un Piano d'Ornato.

  L'opera dell'ingegnere Pietro Cadolini e gli interventi ottocenteschi

  L'ingegner Cadolini fu incaricato della realizzazione della grandiosa opera di risanamento della città di cui consegnò nel 1867 il progetto per il Piano generale d'ingrandimento e d'Ornato.

A questo furono poi allegati una serie di altri progetti riguardanti alcune nuove strade per la città.

Qualche mese più tardi si aggiunse inoltre il progetto per la sistemazione altimetrica delle strade e delle fognature.

Nel 1874, Pietro Cadolini, consegnò anche il progetto della nota condotta d'acqua.

Gli interventi che seguirono i disegni dell'ingegnere lombardo si servirono anche di opere di sventramento di cui la più ingente fu la demolizione della chiesa della Maddalena dove si costruì una piazza con un loggiato.

Qui tra il 1881 e il 1882 fu collocata una grande fontana in trachite rossa e marmo bianco per commemorare l'inaugurazione dell'acquedotto che avvenne nel 1877.

E' da rilevare che quest'opera rappresenta la prima concessione all'estetica cittadina a cui assistette Bosa.

Questo fu inoltre uno degli stimoli che verso la fine del secolo indirizzarono la città ad un'ampliamento verso occidente.

Il fenomeno espansionistico che rispettò nelle linee generali alcune indicazioni del piano d'Ornato che Prevedeva per la scansione di ciascun gruppo di lotti da edificare una planimetria a scacchiera in cui si aprivano una serie di piazze simmetriche Altra opera di rilevante importanza per la città fu la realizzazione della ferrovia che unì con tracciato assai tortuoso Bosa a Macomer.

Di poco precedente alla ferrovia fu la costruzione di un nuovo porto.

L'opera, realizzata intorno al 1870, era costituita essenzialmente da una scogliera che univa l'Isola Rossa alla sponda sinistra dei Temo. Tuttavia l'insenatura così formata fu soggetta a periodici interramenti ai quali seguì la costruzione di una seconda scogliera che non poté certamente sostituire un rimedio duraturo.

Nel 1871 l'ingegner Pizzigalli del Genio Civile disegnò un ponte a tre arcate, il Ponte Nazionale che congiunge ancor oggi le due rive del fiume immettendosi direttamente nell'antico borgo all'altezza della chiesa dell'Immacolata.

Esso venne costruito nel sito di un vecchio ponte a sette arcate che oltrepassando il fiume giungeva ad una delle tre porte della città.

il ponte ottocentesco sotto il quale navigarono mercantili prima e pescherecci poi, sino a pochi anni fa rappresentava l'unico passaggio attraverso il quale si poteva raggiungere la città.

Oggi il fiume è attraversabile anche mediante un secondo ponte più ampio e di recente costruzione.

Questo, edificato negli anni negli anni '80, è situato nelle vicinanze del nuovo rione Bosa Marina in prossimità della foce del fiume.

Il piano di intervento ottocentesco diede luogo anche ad opere tese al recupero della veste che la città aveva avuto nei secoli precedenti.

Infatti, mentre la cattedrale era gia stata completamente ricostruita all'inizio dell'ottocento, nell'ultimo decennio del secolo, e precisamente nel 1893 si diede inizio ai restauri del castello.

Si deve inoltre considerare che a questa data appaiono già completate altre e opere pubbliche quali il municipio, il ginnasio, il seminario e la biblioteca.

Queste iniziative tuttavia non diedero luogo ad un aumento demografico e la popolazione ebbe un'evoluzione molto modesta anche nel nostro secolo, (7138 abitanti nel 1936, 8602 nel 1981).

    Queste pagine sono del legittimo proprietario, è vietato l'uso anche parziale per scopo commerciale.                     

Pagine realizzate da Tommaso Corbu. Per informazioni mailto:tcorbu@tiscali.it

Home