Antonio Filoteo degli Amodei

Premessa

Questo saggio su Antonio Filoteo degli Amodei,  consacra vari capitoli nella descrizione del mito antico, perché il linguaggio usato è quello dei nostri avi: i Normanni.

Diversi sono gli scritti giunti a noi del Filoteo, alcuni pubblicati col nome di Antonio, altri col nome di Giulio.

La traduzione della Historia Siciliae Hugonis Falcandi, di cui  possediamo il manoscritto autografo, con certezza assoluta è  stato scritto da Antonio Filoteo Siciliano nel 1556 come Lui stesso si firma nella prima e seconda pagina.

L’Aetna topographiam è pubblicata col nome di Antonii Philothei de Homodeis, così come Compilatio decretorum e la Vita della Beata Chiara di Montefalco.

Nella Descrizione della Sicilia, le cose cominciano a complicarsi perché l’illustre Abate Gioacchino di Marzo nel 1876 pubblica la Descrizione della Sicilia  attribuendola a Giulio (Antonio) Filoteo degli Omodei.

La Notabile et famosa Historia de’ felici amori del Delfino di Francia e di Angelina Loria, nobile siciliana… pubblicata la prima volta a Venezia da un tale di nome Michele Tramezzino, porta il nome di Messere Giulio Filoteo di Amadeo.

Le notizie esistenti fino ad oggi, sul Filoteo,  sono fornite dall’autore stesso, quasi sempre ambigue, facendoci soltanto intuire qualche pezzo del mosaico, a parte il tentativo del Di Marzo, che ha cercato di tracciare una biografia documentata.

Le opere del Filoteo pubblicate e no, quindi riportano il nome ora di Antonio, (la maggior parte) ora di Giulio e persino Giulio (Antonio) insieme al cognome De Homodeis (in italiano Degli Omodei) o di Amadeo. Qualè il vero nome? Quale il vero cognome?

Notizie poco sicure, a tal proposito ci pervengono da il Mongitore, ma probabilmente lo stesso Mongitore, non ha prestato molta attenzione alle opere del Filoteo o non le ha lette affatto, mentre il Di Marzo parla in modo molto chiaro del Nostro perché ha avuto fra le sue mani il manoscritto inedito della Descrizione della Sicilia che poi pubblicherà nel 1876.

L’Abate Vito Amico (1697-1752) Catanese, nel Dizionario Topografico della Sicilia tradotto ed annotato da Gioacchino Di Marzo Palermo 1855 a pag. 270 così scrive: E’ ad annoverarsi tra gli illustri: S. Chremes dell’Ordine di S. Basilio, fondatore del Monastero  del Salvadore di Placa, di cui è la vita appo il Gaetani;

Antonio Filoteo degli Omodei uomo d’ingegno penetrante e di somma erudizione che lasciò, mss. l’ampia storia di Sicilia dai primi fondatori ai suoi tempi; nonché un’accuratissima descrizione dell’Isola in elegante toscano, e pubblicò in latino la Topografia del Monte Etna; è mentovato dal Mongitore che ne dice incerta la Patria; visse lungo tempo in Roma, e lascio appo i Bolognetti l’intera sua opera, ed io vidi il primo tomo delle sua opera, nella Biblioteca del Marchese Giarratana.

Il Mongitore malgrado attribuisca cinque delle sei opere sicuramente ad Antonio ed una a Giulio, così scrive: Anthonius Philoteus  de Homodeis, Siculus incertae patriae, juris utriusque doctor, in pontificiis praesertim juribus instructissimus, doctrina claruit. Ad examinandam Aetnaei ignis naturam, montem prodigiis gravem ter usque ad verticem ascendit oculisque lustravit, nempe an. 1533, 1540, et 1545. Vivebat an. 1566.  Lo da di incerta patria,  perciò lascia chiaramente capire di non aver visto, ne letto l’opera, (La Descrizione della Sicilia nel XVI secolo) facendone due persone distinte.

Il Mongitore inoltre agli inizi del XVIII secolo nella Bibliotheca Sicula attribuisce  l'opera,  giustamente, secondo la pubblicazione del 1562, a Julius Filotheus de Homodeis, di incerta patria dice lui, che racconta la storia  degli  amori  di  un  Delfino  di  Francia  con Angelica Loria siciliana. Ma in effetti alcune informazioni errate ci fanno pensare che il Mongitore non ha avuto tra le mani l'opera. Egli infatti dice che la  protagonista   si   chiama  Angelica,   forse   come associazione di idee all’Angelica dell'Ariosto, mentre sia nel titolo  che nel  corpo dell'opera è  sempre  chiamata Angelina. Inoltre dà a Giulio il cognome de Homodeis, mentre nel testo pubblicato è scritto a chiare lettere Di Amadeo.  Infine afferma che il libro è in ottavo, quando  in  effetti  è  in  sedicesimo. Il Mongitore, malgrado tutto, è per tutto l'ottocento il testo chiave su Filoteo, perché gli altri studiosi seguono ciò che lui ha scritto; nè d'altronde per tutto il Settecento c'è stato altro studioso che ha posto l'attenzione sul Filoteo  e  quei  pochissimi  accenni  che  si  hanno nell'Ottocento non sono altro che variazioni della nota del Mongitore. E' tutto quello che si sa sia sulla sua opera che sull'autore.

A confermare questa mia tesi, è una memoria, riportata in un opuscolo dalla Società Siciliana per la Storia Patria nell’adunanza del 17 Gennaro 1875 Vestigii Antichi in Salaparuta” pubblicata per L’Archivio Storico Siciliano i primi mesi del 1876, pag.22 vol. III:

Giulio Filoteo Amodei, nativo di Castiglione nella provincia Catanese, nella sua Istoria di Sicilia, che scriveva sulla metà del secolo XVI, un anno prima che il Fazello pubblicava le sue Deche, e si conserva ms. nella Biblioteca Comunale di Palermo (seg.Qq g 71), facendo la descrizione dell’Isola, descrive il corso di questo fiume(Belice), al quale dà tre bracci o capi, comprendendovi il piccolo fiume detto di Senurio, il quale confluisce nel Belice dalla parte di mezzogiorno: e perché questa Istoria è tuttavia inedita, e fu ben anche sconosciuta all’eruditissimo Mongitore….. inspiegabile dunque il suo scritto apocrifo.

Il Di Marzo, ed il Sardo invece, unanimi entrambi, individuano Giulio ed Antonio come la stessa persona.

L’abate Di Marzo pubblica la Descrizione della Sicilia col nome di Giulio (Antonio) perché i tre volumi manoscritti esistenti nella biblioteca comunale di Palermo portano tale nome, pur riconoscendo che le due opere, pubblicate mentre Lui era ancora vivente, riportano il nome di Antonio.

Una cosa comunque è incontestabile: nella descrizione della Sicilia si dice che l’Autore ha scritto nello stesso tempo anche la storia di Angelina.

Perciò il Filoteo ha assunto ora il nome di Giulio ora il nome di Antonio indifferentemente, dal momento in cui la Notabile et famosa historia etc..è stata pubblicata nel 1562 cui possediamo tutti e quattro i Volumi ed i libri portano stampato il nome di Giulio Amodeo. << Ma non perciò conclude il Di Marzo col Mongitore stimo che sia Giulio da Antonio diverso, mentre l’un nome e l’altro promiscuamente, non so per qual causa, trovasi aver usato lo stesso scrittore.

Laonde risulta evidente e incontrastabile che il medesimo Antonio abbia talora assunto il nome di Giulio, sia che vi fosse indotto da sentimento di affetto pel magnifico Giulio Sardo, barone della Motta di Camastra, a cui fu anche legato con vincoli di comparatico, siccome pur egli accenna, ovver da argomento di ossequio al nome del pontefice Giulio III che ristabilì il Concilio di Trento, di cui fu pubblicato dal nostro Omodei una compilazione dei decreti e dei canoni, o da qualsiasi altra ragione o capriccio che non è facile indovinare dopo più di quattro secoli >>.

Il legame con la famiglia Sardo è sicuramente molto stretta. Giulio è detto più volte suo compadre, cioè compare come usuale nella nostra Isola e inoltre gli concede un pezzo di terreno (vicino la Contrada Imboscamento) detta lo Schigliatore.

Ciò ha fatto ipotizzare (intendendo forse compadre, come padre illegittimo) che addirittura fosse figlio di Giulio Sardo.

Questa illegittimità avrebbe portato all’alterazione del suo cognome.

Se così fosse non sarebbe strano dare al figlio illegittimo lo stesso nome del padre.

Ma anche questa ipotesi naviga nell’ipotetico.

Pasquale Castorina,(canonico) catanese, il 19 Giugno 1877 indirizza una lettera (Archivio- Storico Siciliano pubblicazione periodica della Società Siciliana per la Storia Patria – Nuova Serie- Anno II.- Fasc. I. – Palermo 1877) all’illustre bibliotecario della Comunale di Palermo Abate Gioacchino Di Marzo, annunziando la scoperta sopra un codice cartaceo contenente l’autografo del volgarizzamento della storia siciliana di Ugo Falcando con altri scritti minori in versi ed in prosa di “ Antonio Filoteo Omodei”.

E visto che lo stesso Di Marzo credeva che il prezioso manoscritto fosse andato perso, il Castorina continua scrivendo:

Nell’opera, dalla S.V. pubblicata di questo Omodei, nel vol. XXIV della Biblioteca storica e letteraria di Sicilia (Palermo, MDCCCLXXVI), leggesi nella prefazione in fine: < Né anco più rimane del volgarizzamento da Lui fatto dell’istoria siciliana di Ugo Falcando, qual fino al tempo del Mongitore serbavasi inedito in Palermo da un Vincenzo Perino insieme al alcune poesie italiane dell’Omodei, e ch’ebbe certo a servirgli alla continuazione dell’opera delle istorie di Sicilia.>

E pure questo volgarizzamento, altronde catalogato e conosciutissimo da bibliotecari di questa Università, segnato O.S. XVIII D:21 (ma ora conservato nell’armadio de’ mss.) è stato da me, e già un anno, svolto ed esaminato, esemplato in parte ed annotato, posto al confronto del testo latino sopra diverse edizioni, è tenuto pronto a venire reso di pubblica ragione nella mia Nuova Collezione di opere inedite o rare ect.. a far seguito al famoso codice membranaceo benedettino - (Catania, Tipografia di Giacomo Pastore, 1876, Prima Serie, vol.I.).

Dirò dunque, continua il Castorina, prima del codice, poi dell’autore di questo volgarizzamento, e in ultimo della certezza di essere un autografo dello stesso Omodei; cosa, replico, non detta da alcuno, quantunque dal passato secolo quello esistesse in questa Università, e poi fosse catalogato come opera manoscritta di Filoteo Omodei, conforme il titolo del codice.

E così son lieto avere annunziato ai dotti cultori nazionali e stranieri quest’importante mia conoscenza paleografica, ch’è l’autenticità dell’autografo; e di unita alla S.V. ill.ma aver contribuito ad onorare la memoria di un dotto giureconsulto, di un benemerito storico e di un distinto letterato siciliano, nato a Castiglione nella prima metà del secolo XVI, che, come Ella ben disse, alle tanto diverse occupazioni della sua vita non propose quella di adoperare in varie guise l’ingegno ad illustrare la patria.

Questo codice, di bambacina forte, fibrosa, alquanto oscura, per la natura dell’inchiostro non molto morato, ed in fine attaccate le pagine dall’umidore, senza però alterazione della scrittura, è in tutto ben conservato. Legato in membrana ordinaria, intonso dalla parte esterna delle carte, non così sopra e sotto di esse, non mai rilegato, esso porta al dorso del libro l’occhio:

 

Historia di Ugone Falcando.

E’ in 4°. grande, di centimetri 13 e 21 e mezzo.

Contiene 245 fogli o carte in tutto, le cui prime quattordici in bianco. Le pagine in tutto il codice non sono mai numerate. Il richiamo al verso è ad intervalli, nella prima metà più raro, continuato in fine. La scrittura, un po’ rozza, corre libera senza rigatura, lasciando poco spazio bianco al margine. Pochi i nessi e facile a decifrarsi. Poche correzioni e cassature occorrono, non dei menanti, ma proprie dell’autore della scritta, il quale sostituisce, non rifà, ad una dizione o frase un’altra, tagliando colla penna quanto non gli piace.

 

 

E però alla pagina 15 recto dopo quelle in bianco, vi sta il titolo dell’opera:

 

Historia di Ugone Falcando

Siculo, degli fatti del Re

Mal Guglielmo di Si

cilia, et quelle cose

che successero nel

la minore età

del Re bon

Guglielmo suo figliolo

novamente

ritrovata et dal latino nella

lingua italiana tradotta per

Antonio

Philoteo

Homodei

1556

 

Libreria Carusa.

(Questa indicazione, autografa del Caruso, trovasi in tutti i mss. acquistati

dalla nostra Università dalla libreria di esso Giambattista Caruso, come si dirà meglio).

Al verso di essa pagina 15 leggesi il seguente sonetto della me-

desima mano, come si vede sempre in tutto il codice:

 

Antonio Filoteo Siciliano

Il gretto municipalismo non trovasi ancora nel secolo XVI, pria del governo

austriaco, manifestato; ed ogni Siciliano di cuore e di mente gloriavasi della pro-

pria nazione più che della sua dolce terra natale. E però Omodei non volle mai,

per quanto è a mia notizia, dirsi Castiglionese nelle opere da lui pubblicate. Dal che opino Mongitore averlo creduto Siculus incertae patriae.

 

Ai Lettori

“Accorti ingegni di vertuti specchio

Nobili spirti al mondo almi e pregiati,

Tutti di fama e d’eloquentia ornati,

Odite quel che vi do, con grato orecchio.

Ne creggiate però, ch’io vi apparecchio

In questa altro che gli gesti notati,

Onde gli Re Siciliani nomati

Furno, Guglielmo il giovene co’l vecchio.

In breve a l’altra parte poi vi dono,

L’opre degli altri poderosi Regi,

Oltre, che fur, dopo Guglielmo il bono.

Tal che vi do di tutti i fatti egregi

E’nsin a CARLO QVINTO, il cui bon suono,

Oltrandosi nel ciel, merta ara e pregi.

Al recto della seguente vi ha l’altro sonetto, che qui Le tra-

Scrivo, in cui rilevo essere stato scritto dall’Omodei nella sua età

Avanzata ed in tempi turbolenti in Sicilia.

 

 

IL MEDESIMO A’….

La grata et solitaria pastorella

Herbette e fiori nella primavera,

Mandorli e prugni e poi ciregi e pera

Presenta, od altra cosa più novella.

Melloni e fichi in questa parte e’n qlla

Cerca la estate poi la giardiniera,

Per far grato don, ond’ella spera

Favore, o che si sia, che vuol sua stella.

L’autunno, spinta poi d’amore interno,

Nespoli et sorbi, et quando più le piace

Almen cardi spinosi dà l’inverno.

Et io, ch’imoresentarvi al cor mi giace

Un gran desio, inquesto (a tutti inferno)

Tempo di guerra, mando guerra e pace.

 

 

 

Il Mongitore, conclude il Castorina, si avvisò voler distinguere il nostro Antonio Filoteo Omodei da Giulio Filoteo Omodei, attribuendo a quest’ultimo, come diverso dal primo, l’opera intitolata:

 

Della notabile et famosa historia de’ felice amori del Delfino di Francia e di Angelina Loria nobile siciliana, libro primo, nuovamente ritrovata et dall’antica lingua normanna tradotta nell’italiana in Venezia presso Lucio Spineda, nel 1609 in 8°, e in altro volume i libri secondo, terzo e quarto pe’ tipi stessi in detto anno (* Emmanuele Lamonaca nelle “”Memorie sull’origine di Castiglione e Francavilla).

Tale historia, ricordata dal Filoteo nella Descrizione della Sicilia, se pure è historia, è rarissima, ed è riportata dal Graesse nel Thesor de livres rares et precieux(*Dresda, 1864, tom.V, pag. 275), sotto il nome di M. Giulio Philoteo di Amadeo, Siciliano, pubblicata per la prima volta in Venezia per Michele Tramezzano, 1562, 3 Vol. in 8°. Ma che fosse stata opera del medesimo Antonio Filoteo non cade alcun dubbio, ove vorrà leggersi chiaro e tondo il sunto del romanzesco racconto di quegli avventurati giovani, qual trovasi ora in luce nella sua Descrizione della Sicilia (pagg.55. 57). Come poteva dunque Antonio conoscere il contenuto del romanzo il 1° Maggio 1557! Cioè cinque anni prima della sua pubblicazione?

Secondo il Castorina, Giulio ed Antonio furono due nomi della stessa persona, e Filoteo il cognome, De Homodeis o De Amodeis aggiunto come distintivo del casato.

 

Il Castorina centrava in pieno questo dilemma, che si trascina da 437 anni, in verità mai nessun storico del passato ha letto per intera l’opera dell’Amodeo: Angelina et i suoi amori con il delfino di Francia etc…perché nella dedica a Don Perrucchio Gioeni Marchese di Castiglione, sotto interamente trascritta, L’Amodeo (questo è il suo vero cognome) scrive a chiare lettere di averla letta nella lingua Normanna e tradotta in quella Italiana. Successivamente scrive: & pregato a dover publicarla con la stampa, parendomi, così per far fede, & chiaro testimonio della servitù mia, & dei miei, verso V.S……  non dovrebbero dunque esserci più dubbi sull’identità dello storico Castiglionese, ha assunto il nome di Giulio in onor di Giulio III Papa, o ancor a Giulio Sardo legati come detto da qualche ramo di comparatico o parentela, o dato in stampa col nome del figlio che appunto si chiamava Giulio sposato come dopo vedremo a Castiglione nel 1572, o morto lui, il figlio si appropriò dello scritto facendogli inserire il suo stesso nome cioè: Giulio.

Se gli storici del passato avessero realmente letto l’opera si sarebbero accorti che fu Antonio l’unico a leggere e tradurre  dalla lingua Normanna l’opera già citata nel 1550-52 anno in cui suo Figlio Giulio aveva appena 8 – 10 anni essendo nato nel 1542 circa a Castiglione di Sicilia come risulta dal libro dei matrimoni Archivio Parrocchiale SS.Pietro e Paolo Castiglione di Sicilia 1572.

Dunque improbabile o impossibile che ne sia l’autore il figlio vista la tenera età.

Questo monumentale romanzo cavalleresco di 2000 pagine, si proietta nel futuro anticipando di circa tre secoli i Promessi Sposi del Manzoni, questo come quello sono due romanzi che spiegano i fatti utilizzando però nomi diversi dei personaggi reali.

Ma che dentro ci sia della vera storia e fuori di ogni dubbio.

 

Nel primo volume così nella prefazione:

 

PIUS PAPA IIII

Motu proprio, e c. si..t accepimus, dilectus filius Michael Tramezinus, bibliopola Venetus, nobis nuper exponi fecerit, ad communem omnium studio sorum utilitatem sua propria impensa diversa opera latina e italica, ipsa Italica tam ex Latino, Gallico, e Hispanico idiomate translata, quàm Italica facere minimeq; translata, hactenus non impressa, imprimi facere intendat: dubiteq’; ne huismodi opera postmodum ab aljis sine eius licentia imprimantur, quod in maximum suum praeiudicium tenderet. Nos propterea eius indemnitati consulere volentes, Motu simili e certa scientia eidem Michaeli, ne praedicta opera hactenus non impressa, e per ipsum ab inquisitoribus loci illius examinata e approbata, nel si in urbe à magnifico sacri Palatji, imprimenda per decem annos post eorundem operum, nel cuiuslibet ipsorum impressionem, à quocunque sine ipsius licentia imprimi, aut ab ipsis nel aljis vendi, seu in eorum apotecis, vel alias, venalia, praeterquam, à dicto Michaele impressa vel imprimenda teneri possint, concedimus, e indulgemus inhibentes omnibus e singulis Christi fidelibus, tam in Italia, quàm extra Italiam existentibus, praesertim bibliopolis e librorum impressoribus, sub excommunicationis latae sententiae. In terris verò Sanctae Ecclesiae mediate, nel immediate subiectis etiam quingentorum ducatorum auri Camerae apostolicae applicandorum, e insuper amissione librorum paenis: toties ipso facto, e abjq; alia declaratione incurrendum, quoties contraventum fuerit, ne intra decemnium ab impressione dictorum operum, nel cuiuslibet ipsorum respective computandum, dicta opera, tam latina, quàm Italica hactenus non impressa, e per Michaelem imprimenda, sine eiusdem Michaelis expressa licentia, dicto decennio durante imprimere, seu ab ipsis, vel aljis, preterquàm à dicto Michaele impressa e imprimenda vendere, seu venalia habere, vel proponere, vel ea, ut supra, habere audeant. Man dantes universis venerabilibus fratribus nostris Archiepiscopis, eorumq’; Vicarjis, in spiritualibus generalibus, e in statu temporali Sanctae Romanae Ecclesiae, etiam legatis e vicelegatis sedis apostolicae, acipsius status gubernatoribus, ut quoties pro ipsius Michaelis parte fuerint requisiti, vel eorum aliquis fuerit requisitus, eidem Michaeli efficacis defensionis praesidio assistentes; praemissa ad omnem dicti Michaelis requisitionem contra inobedientes e rebelles per censuras ecclesiasticas: etiam saepius aggravando, e per alia iuris remedia auctoritate apostolica exequantur, innovato etiam ad hoc, si opus fuerit auxilio brachji seculoris. Et insuper, quia difficile admodum esset praesentem Motum proprium ad quemlibet locum deferri, volumus, e apostolica auctoritate decernimus, ipsius transumptis, vel exemplis, etiam im ipsis operibus impressis, plenam e eandem prorsus fidem ubiq; tam in iudicio, quàm extra,haberi, quae praesenti originali haberetur. Et eum absolutione à censuris ad effectum praesentium, e quòd sola signatura sufficiat. Et ne de praemissis aliquis ignorantiam praetendere possit, quòd praesens Motus proprius in acie Campi Floris, e in valuis Cancellariae apostolicae huius almae urbis affigatur, e ibidem per affixionem publicetur, e quòd sic affixus e in ipsis operibus per tempora impressus, ad omnium, quos tanget, notitiam deductum esse, ac si eisdem personaliter intimatum soret, expresse volum e mandamus irritum e inane censendum quicquid secus contigerit, praemissis omnibus constitutionibus e ordinibus apostolicis, ceterisq; in contrarium faciendis, non obstantibus quibuscunque.

 

Placet motu proprio 

 1561. die 29 Iulij in Rogatis.

 

Che sia concesso al fedel nostro Michiel Tramezin, che niun altro, che lui non possa per lo spatio di anni venti stampar, ò far stampare,ne stampato vender in questa città, ne nel dominio nostro l’opera intitolata innamoramento del Delfino di Franza, e di Angelina, sotto pena di ducati cento, e di perder essi libri per ogni volta, che contrafarà, uno terzo della qual pena sia dell’accusator, uno terzo dell’officio, che sarà l’essecutione, e l’altro terzo del supplicante, overo di chi harrà causa da lui, essendo però obbligato egli di osservar quanto è disposto in materia di stampa.

 

Aloysius Garzonius
Ducalis Notarius.

 

Ancora una volta, il Filoteo dimostra, anche se non lo scrive a chiare lettere, di appartenere a Castiglione, non avrebbe senso altrimenti la dedica iniziale sotto esposta:

ALL’ILLVSTRISSIMO

ET GENEROSO SIGNOR

DON PIRRVCCHIO DI

Giouenio, Marchese di Ca-

stiglione di Sicilia

 

Giulio Philotheo d’Amodeo

 

 

VEDVTO illustrissimo, & generoso signor quanto sia desiderato da molti studiosi Italiani, che la bella Historia di Angelina Loria (da alcuni chiamata Angelella) & de i felici successi dell’amor fra Filippo Delfino di Francia, & lei sia ridotta compitamente nella sua buona forma, & considerato la sua vaghezza di essa, & che sarebbe cosa inhumana lasciar perderla, solo per non aver chi pigli cura di rimetterla insieme, seguendo la verità, che di essa può haversi, havendo io letta quella ch’è scritta nella lingua Normanna (che più à giudicio di ogn’uno si accosta al vero) ho preso assonto di ridurla nella commun lingua nostra Italiana. & pregato à dover publicarla con la stampa, parendomi, così per far fede, & chiaro testimonio della servitù mia, & dei miei, verso V.S. Illustrissima, & sua generosa famiglia; come perche à niun’altro più si conviene la dedication di essa, che à lei, essendo questo amore avvenuto nella propria sua stanza, & Castello di Castiglione, ho voluto che sotto il nome suo, sia data in luce, à lei dedicandola. Supplicola adunque, che si degni accettarla con quel cuore, ch’io gliela dono, insieme con la perpetua servitù, che le ho dedicata. Da Roma il di primo di Luglio 1560.

 

Non ci sono altre dediche, perciò, presumo che il buon Filoteo non abbia ricevuto quella supplica che tanto desiderava: la messa in stampa. Lo dimostra il fatto che, un tale di nome Michele Tramezzino, riceve l’autorizzazione tramite atto notarile per la messa in stampa dell’opera. Come mai non è lo stesso Filoteo a darla in stampa? E se così fosse perché il marchese Gioeni non accetta la proposta del Nostro? Sappiamo però che l’Omodei nel 1570 da in stampa la Genealogia della Casa Gioeni, dunque è ancora vivo. Non solo, dimostra anche di non aver risentimenti nei confronti del Gioeni, ammesso che  il marchese non abbia voluto finanziare la stampa, o ahimè non ha recepito la dedica dello storico.

 

Ma vediamo dunque cosa contengono di meraviglioso le tavole del primo libro della Notabile et famosa Historia del felice innamoramento del delfino di Francia, & di Angelina Loria, nobile Siciliana.

 

Cap. 1 - Le qualità di Ruggero Loria,  nobil  cavalliere  Siciliano,  &  che    albergò  in  casa sua Giacchetto, ricchissimo mercante Francese, & quel che sentì della gran beltà di Angelina. Cap. I

 

Cap.2 - Che il Delfino di Francia per relazione, che Giacchetto gli fece della gran beltà di Angelina,si accese dell’amor suo, & e quel che fece.

 

Cap. 3 - La gran tempesta, che hebbero questi Principi in mare, & che furon dall’empito dè venti trasportati in diversi luoghi, l’un separatamente da l’altro & quel che avvenne al Delfino nell’Isola Baleari.

 

Cap. 4 - Che il principe di Francia s’incontrò di notte con un cavalliere, che lodava la beltà di una donzella, che ebbe con lui gran battaglia per gelosia di amore, & quel che gli avvenne con un altro caualiere.

 

Cap. 5 – Quel che adiuenne al Delfino con un Caualliere uicino al fonte delle marauiglie d’Amore, che gli uoleua impedire l’imprefa di combattere col gigante, & che uidde il fonte, & fi disfidò con Calamandro.

 

Cap. 6 – Che il Principe di Francia uccife il gigante Calamandro in tempo, che il compagno haueua uccifo l’altro caualliere, la gran cura, che fi prefe la donzella Mora per la salute del suo creduto amante, & come dopo l’effer guarito, si misero tutti a mirare il marauiglioso fonte. Etc.. etc…

 

 

LETTERA RITRO,

VATA NEL PRINCIPIO

Del libro, così intitolata.

 

L’AUTTORE A’ MADONNA

Fragola del caualliere senza cuore

Da Monterosolo.

 

Quando mi souuenne, rubiconda, & soauissima Fragola, che’l caualliero senza cuore, per una nuoua auentura, ammaeftrato dalla gran fauia fenza nome, con una fola Fragola, nata fotto’lnome di Monterofolo, ricuperò la gia perduta uita, la quale, fotto l’ombra del uerde ramo d’Apolline, mancò poco, che fmarrito non foffe più per rihauere l’abbandonato fpirito,fenza l’honorato fragore, foauiffimo odore, & dolciffimo gusto di si eccellentissimo, & delicato frutto, donde con una sola uiua Fragola fortificò la fua fragil uita; & uenendomi ancora à memoria, che effendosi d’amendue in questa mia piaceuole historia alquanto ragionato, mi piacque indirizzare questo mio folazzeuole difcorso pien di fioretti, à uoi uera fragola, nata nel cuore di chi tanto ui ama, per la fola rimembranza di quel fiorito Monterofolo, donde tra l’uno, & l’altro tanta soauità infeparabilmente nacque. Et perciò effendo quella, laquale degnafte il primo giorno del quarto mefe, nel di à Marte sacro, & à me cotanto contrario, consecrando la Tomba de L’Achafino, suscitare il uostro caualliero senza cuore, per farlo uiuere senza altra uita, che con la sola nostra rimembranza: io mi sono parimente deliberato in tutto, à uoi sola raccomandarmi, accioche passando questo mio rozzo discorso Normanno, per l’altrui mano, col solo uostro fauore, & honorato titolo di si bella Fragola, dia solazzo à chi dopo cena, di Fragole, & di uarie herbette, & fiori si diletta; pregandoui amicheuolmente, che degnate nella uostra fontuosa cena accettare ancora questa mia insalatuccia, come gli antichi osseruauano, accioche suggellando il uostro stomaco, ripieno dè cibi delicati, gli si aggiunga un nuouo appetito, & desiderio dell’altre cose diletteuoli, cauandone quelle herbette, & fiori, che al uostro gusto non dilettassero, per conferuarmene il mio desiderato cibo. & mi ui raccomando. Dal uostro ridotto à 15 del quarto mefe 1200.

 

Voglio riportare anche qualche breve passo del Primo libro:

 

Nell’anno della salute nostra MCLXXI.& del mondo 5115 sedendo Alessandro terzo Pontefice Massimo, & reggendo l’Imperio Occidentale Federigo cognominato Barbarossa, Emanuello quel di Costantinopoli, & il Regno di Francia Lodouico Settimo con Filippo Delfino suo figliuolo, detto Deodato, regnaua nell’Isola di Sicilia Guiglielmo Normanno, soprannominato il Malo, per i suoi empi costumi, & abomineuol natura, che datosi all'o’tio, oltre l'ingorda auaritia fua, permetteua che i popoli del suo Regno fossero fatti preda de i suoi maluagi ministri. Etc. etc…

 

Analisi dei personaggi e dei loro nomi.

 

Il romanzo e la storia.

Angelina ( hanno riportato il nome di Angelica molti studiosi che non hanno visto            il romanzo forse anche influenzati dell'Angelica dell'Ariosto) è un tipico nome Siciliano.

Anche Angiolella, come figura in qualche luogo, è nome tipico meridionale.

Ma anche il cognome, che univocamente è detto Loria, in seguito è diventato Lauria.

Da qui forse è nata la paternità di Ruggero di Lauria. Tra i personaggi storici compaiono Guglielmo il Malo, Guglielmo il Buono, e forse anche Ruggero di  Lauria.

Ruggero di Lauria nacque a Lauria o a Scalea in Calabria nel 1245. Dopo la sconfitta di Manfredi si trasferì alla corte d'Aragona, dove nel 1283, scoppiata la guerra del Vespro, venne posto da re Pietro a capo della sua flotta. Ruggero ottenne una lunga serie di vittorie e nello stesso tempo ricevette numerosi feudi insieme al mero e misto impero, tra cui in Sicilia Castiglione, Francavilla,  Novara,  Linguaglossa,  Aci,  San  Pietro Patti,  Ficarra, Tortorici  e  Tremestieri.  Altri  ne ottenne in Spagna. Alla morte di Pietro rimase al servizio del successore Giacomo, che voleva restituire la Sicilia agli Angiomi. Si entrò allora in guerra aperta con i siciliani che avevano eletto re Federico III fratello di Giacomo. Ruggero, rimasto fedele al re di Spagna, venne più volte sconfitto e i suoi beni in Sicilia vennero confiscati. Morì in Catalogna nel 1305.

Ma la biografia di Ruggero di Lauria contrasta con il resto del romanzo, in quanto si crede ambientato all'epoca di Guglielmo il Malo e Guglielmo il Buono.

Guglielmo il Malo è nato nel 1120 da Ruggero II e da Elvira di Castiglia. Fin dall'inizio del suo regno, che  ottenne nel 1154,dovette fronteggiare una situazione molto precaria per l'attacco portato alle coste  pugliesi dall'imperatore Manuele I  Comneno. Guglielmo,   malgrado la mancanza di aiuto del Barbarossa, ebbe la meglio e nel 1158 stipulò la pace con Manuele. In seguito al quasi contemporaneo attacco con gli Almohadi  (1155) perse quasi tutti i domini africani.  Una congiura portò all'uccisione del gran Cancelliere Maione e  alla proclamazione di  Ruggero figlio  di  Guglielmo come re. Ma  Guglielmo  spense spietatamente  nel  sangue  la  congiura  tanto  da meritargli l'appellativo di Malo, rafforzando il suo potere.Morì nel 1166. A  lui  successe  il  secondogenito  Guglielmo  il Buono,  figlio  di Margherita di  Navarra,  nel  1166. Giunto minorenne al trono,  assunse i poteri appena raggiunse  la  maggiore  età.  Guglielmo  seguì  la politica d’alleanza del padre con il papa Alessandro III contro Federico Barbarossa, mentre ruppe l'amicizia con Manuele I Comneno dopo il fallimento di un travagliato progetto di matrimonio tra Guglielmo e la figlia dell'imperatore bizantino. Nel 1177 invece sposò la figlia del normanno Enrico II d'Inghilterra, consigliato in ciò dal papa che temeva un avvicinamento del re con l'imperatore di Germania. Alla morte del papa, infatti, la sorella di Guglielmo, Costanza, andrà in sposa ad Enrico VI. Allora Guglielmo poté riprendere la sua politica di espansione ai danni dell'impero bizantino che culminò con la conquista di Durazzo e Tessalonica, ma alla fine si concluse con la sconfitta. Guglielmo per rifarsi incoraggiò e finanziò la terza crociata,  nelle  prime  fasi  della  quale  la  flotta Siciliana ebbe modo di distinguersi. Morì nel 1189.

Qualche attinenza si ha tra la Historia e la vita dei  due Guglielmo. Anzi i personaggi del romanzo potrebbero nascondere personaggi dell'epoca normanna. D'altronde l'autore stesso dice si tratta di una storia normanna, da Lui stesso tradotta, ma per traduzione non si intende una traduzione letterale bensì, una trasposizione di personaggi  reali in altri inventati.  La  Historia potrebbe essere una trasposizione quindi di fatti realmente accaduti e rielaborati dalla mente dell'autore. Ruggero non è il Lauria, anche se prende tale cognome, perché non è un ammiraglio, ma è il padre di Guglielmo il Malo. Angelina figlia di Ruggero è la moglie di Guglielmo e quindi Guglielmo non rappresenta che Filippo il marito di Angelina. Filangio è il figlio di Angelina e non è altro che Guglielmo il Buono, il quale fa un trattato con i bizantini, vuole sposarne la figlia, e alla fine tutto va a monte. Il figlio di Filangio, Guistelio, non può diventare re di Sicilia perché si andrebbe contro la storia ed ecco quindi dopo l'incantesimo che Tancredi assume il potere.

I punti comuni con la storia normanna sono:

1) Rapporti con l'impero bizantino.

2) Rapporti con i pagani e quindi con gli arabi.

3) Le varie conquiste: Normandia, Sicilia, Russia.

Il romanzo dunque è inscenato durante il regno di Guglielmo il Malo i personaggi più importanti sono Angelina di Loria figlia di Ruggero barone delle Terre di Castiglione, Filippo il Delfino di Francia, Giacchetto il mercante francese che vista per la prima volta Angelina, e rimasto colpito dalla sua bellezza, una volta ritornato in Francia ragguagliò il Delfino che venutosene segretamente a Castiglione conobbe Angelina, la rapì, e la condusse in Francia per farla sua sposa.

Sempre nel primo libro sono descritte le disavventure del Delfino, di suo cugino l’erede al trono d’Inghilterra.

A pagina 72 mentre il Delfino di Francia con Riccardo, Giacchetto, Vandomo e Pindaro aspettano che gli venga servita la cena, il Filoteo, così descrive la scena dentro la sala d’armi del castello:

La bella Angelina vedendosi cofì attentamente mirare da questo nobil giouinetto, le cui, fattezze, & bei fembianti erano stati da lei effamìnati, & per la nouita', che fi fentì nel cuore, con la fua uista fe gli era molto inclinata, non ne hebbe difpiacere, ma  fi come fu questa una delle honefte donzelle del fuo tempo, non ne mostrò fembiante alcuno. Venuto, che fu Ruggiero in fala, & falutati tutti, non tardò lo fcalco a' uenir con la faluietta in fpalla ad annuntiargli, che erano le prime uiuande in tauola , onde leuatifi in piedi tutti, entrarono in una camera honorata, chiamata la flellata, fine al di d' hoggi, il tetto della quale era ornato di marauigliofo artificio , perche ui fi uedea fculpito a' oro il Zodiaco con tutti i fegni celefti, che diceuano effer ritratto del gran Matematico Archimede de Siracufano. Le parete delle mura erano dal mezzo in fu dipinte di uarie figure, che dauano riguardanti nel mirarle, infinito diletto, & dal mezzo in giu erano ornate di finiffimi panni di oro, & di feta contefti con le figure di tutte le antiche historie di Sicilia , il ratto di Proferpina, la gelofia di Giunone contra Aetna, & in qual modo effendo grauida, foffe à prieghiere di lei dalla terra inghiottita, & come nel tempo del parto, aprendofì l'ifteffo terreno, nacquero i due fanciu1li chiamati Delli, o' Pa!ici, & ui fi fcorgea uicino , il lago, che quivi rimafè , doue fi giuraua con tanta ueneratione. Vedeufi in un’altra banda con tanta arte ritratta l’historia di Aretufa, & Alfeo, che à duro poteua conofcerfi, fe fosse finta, ò uera. Et in difparte uedeuanfi tutti i fecreti del monte Mongibello, la fucina di Vulcano, è il fuo tempio in Mongibello cinto di fuogo, guardato da i feroci cani, liquali à tempo dè gentili, per opra del demonio, accarezzando coloro, che puramente ui giuano, mordendoli ne discacciauano, & teneuan da lungi gli scelerati, & di animo peruerso, la guerra di Polifemo, la crudeltà dè Lestrigoni, & molte altre diletteuole historie……

 

Questo, è invece, quello che il Pitrè scrive sul Nostro:

 

Giulio, detto anche Antonio, Filoteo degli Omodei compilò nella prima metà del secolo XVI e finì nel 1557 una Descrizione della Sicilia, la quale, per circostanze che qui è superfluo rassegnare, rimase medita e quasi ignota ai cultori

di cose siciliane; e lo sarebbe ancora oggi se nel 1876 il Di Marzo non l'avesse compresa nella sua lodata Biblioteca storica e letteraria di Sicilia.

Avendo io più volte percorsa quest'opera, che ha tanta somiglianza e in molti luoghi anche identità di forma con quella De Rebus Siculis del Fazello, stampata in Palermo nel 1558, ho potuto trarre da essa no curiose di costumanze e tradizioni, certamente udite dall'Autore nei viaggi per l'Isola.

Delle quali alcune poche misi già a profitto in qualche libro della mia Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane; e queste, insieme con altre non mai fin qui rilevate da nessuno, e da me spigolate un'ultima accurata lettura della Descrizione, mi piace di ripubblicare ora ad utilità degli studiosi di folklore.

Poco sappiamo dell'Omodei, e quel poco ce lo dice egli stesso in fugaci accenni esistenti nel suo libro.

Da calcoli approssimativi egli sarebbe nato in Castiglione (Etneo) verso il 1515.

Presso che ventenne, avrebbe fatto un'ascensione dell’Etna, essendo nel Siculorum Gymnasium di Catania studente di diritto, specialmente ecclesiastico, nel quale poi acquistò bella riputazione. Fu testimonio nio oculare della eruzione del 23 marzo 1536; e dell'Etna, che salì tre volte di cinque in cinque anni, (1535, 1540, 1545), lasciò una pregevole Topographia, edita dapprima dal padovano N. Oddo in Venezia nel 1591, ripubblicata più tardi nella Italia illustrata, e tradotta in italiano da Leonardo Orlandini.

Venne e dimorò in Palermo verso il 1546, quando nella contrada di Maredolce si scoprirono certe ossa che si vollero di giganti nel 1549 si recò a Roma a sollecitar la dispensa apostolica per le nozze di  Lorenzo figlio di Giovan Tommaso Gioeni, primo marchese di Castiglione  suo benefattore, con Caterina, figliuola di Alonso di Cardona marchese di Giuliana e di Eleonora Gioeni.

Sul territorio di Castiglione la Descrizione ha particolarità preziose non così sul resto della Sicilia, di cui tanto l'Omodei quanto il Fazello dicono sovente le medesime cose ed offrono le stesse notizie; di che la ragione probabile potrebbe ricercarsi in un largo rimaneggiamento dall'Omodei all'opera sua dopo veduta quella De Rebus Siculis.

Di altri lavori lasciati dall'Omodei non accade far menzione qui, tanto non hanno nulla di comune col folklore.

Giova piuttosto ricordare il romanzo sulla bella Angiolella o Angiolina, che egli, come può vedersi dallo spoglio che segue, riassunse nella sua Descrizione della Sicilia ed in poche righe nel quarto libro di essa sotto il “ Sommario degli uomini illustri di Sicilia ”.

E giova ricordarlo, perché ci richiama ad una gentile leggenda tuttora viva nella bocca popolo di Castiglione, ove, parecchi anni sono, venne raccolta per le Fiabe, Novelle e Racconti popolari siciliani.

Le spigolature che seguono son documento della importanza che i nostri antichi storici davano alla tradizione, e fan testimonianza di usi e racconti che entravano nella vita fisica e morale del popolo siciliano.

 

La bella Angiolella, in Castiglione

 

Aveva questo castello (di Castiglione) molte bellissime stanze (come si vede) di sassi quadrati e ben lavorati.

Quindi fu menata via la bella Angiolella, o pure Angiolina, figlia unica (come per tradizione degli antichi) di Ruggiero Loria, barone d'essa terra, dal delfino di Francia al tempo del re mal Guglielmo.

Imperciocché, come anche oggi per tutta Sicilia si dice, e da noi altrove a longo è stato scritto, avendo Ruggiero di Loria, uomo ricco e liberale, albergato in questo castello certi mercanti francesi, uno dei quali era chiamato Giacchetto, gli faceva grandissime accoglienze, com'era suo costume. Laonde, avendo Giacchetto veduta la bella Angiolella, di stupenda bellezza, ritornando in Francia, ne ragguagliò il delfino, il quale, innamorato solamente per fama, se ne venne sconosciutamente a Messina ed indi a Castiglione in compagnia di Giacchetto, dove albergato similmente dal barone, vidde la sua bella figliuola, e tanto operò per mezzo d'una vecchia chiamata Franca, balia della donzella, che, senza venire ad altro effetto giovenile ed amoroso, contrassero tra loro segretamente sposalizio, promettendole il delfino, prima di partire di Sicilia, darsi a conoscere per Delfino di Francia, ed indi ritornare il mese d’agosto prossimo a menarsela via in Francia e farla regina, prima che consumasse il matrimonio, con farle il segno col fuoco sopra un monte sopra la sponda del fiume Cantara; lungi da questo castello circa due miglia.

Il che gli venne fatto; imperciocché, facendosi una gran festa a Palermo, in una giostra si diede a conoscere; ed indi andato in Francia, e ritornato il mese d'agosto in Sicilia con alcune galere nella riviera di Tauromena, smontò a terra a Schisò, e venendo in questo monte, vi fece il segno; il quale subito veduto da Franca, che per far la guardia quella notte stava vigilante, av­visatane la donzella, subito s'accostò sotto la camera di Angiolella, donde scendendo con una scala di corda legata ad un pilastro di marmo, che eri nella finestra (che anche oggi si vede), via la condusse; ed arrivato in Francia, la fece regina.

Ed indi ritornato in Sicilia, per liberalità e grazia del re buon Guglielmo fece edificare sopra quel monte, dove aveva fatto il segno, una terra, la quale in memoria di Franca chiamò Francavilla; perciocché si dice, che Angiolella quella notte, facendo stare Franca alla vedetta, altro non le andava dicendo che: O Franca, veglia. E per le franchigie, che il re le concesse, fu detta Francavilla. Della quale istoria pure ella è istoria) se ne vedono molte congetture e segni. Laonde, per fama di ciò, pochi anzi rari sono quei principi forestieri, che venghino Sicilia e non vogliano vedere questo castello e le stanze, dove ella abitava il  quale soprastà a Francavilla, che pare veramente che vi si potesse una lunga fune: benché nissuno degno autore, che io abbia veduto.

Di ciò ne faccia memoria, eccetto un certo Catanese chiamato Antonio d’Oliverio a Padova, che la scrisse a lungo in versi volgari circa l'anno 1462; e vi si opponga, che Ruggieri di Loria fu padrone di Castiglione dopo il Vespro Siciliano, fatto contro li Francesi al tempo del re Pietro d'Aragona quale fu ammiraglio molti anni dopo la morte del buon Guglielmo.

Nondimeno potrebbe esser che fosse stato un altro Ruggieri di Loria, dal quale fosse disceso quest'ultimo Ruggieri, che fu padrone di Castiglione, della Roccella, di Francavilla, Tripi, Noara, del castello di Giace (Aci) Palagonia ed altri castelli.

Il Raccuglia, parlando di Giulio, e credendolo l'autore della Notabile et famosa historia dice che “ad accettare l'ipotesi del Di marzo, noi dovremmo riflettere innanzi a tutto, che è un assurdo lo immaginare una persona che si firmi con due nomi differenti, che si spacci ora per Giulio, ora per Antonio, e che anzi si dica Antonio in tutte le sue opere, tranne che in una: la Notabile et famosa historia... Chi firma Giulio quindi non può essere Antonio, come non può essere un Giulio chi firma Antonio” (pag.175). E conclude che diversi devono essere gli autori che firmarono la Descrizione della Sicilia e la Notabile et famosa historia e che noi dobbiamo ragionevolmente pensare che l'autore di esso (Notabile  et  famosa  historia)  sia  diverso  dallo Antonio, specialmente quando vediamo che questo nome Giulio è identico nelle due edizioni che di questo libro si conoscono, cioè, in  quella del  1562  e nell'altra del 1609 opere stampate entrambe a Venezia.

Ma già il Raccuglia si chiede come spiegare il fatto che il Di Marzo nel suo codice della Descrizione abbia trovato Giulio e l'accenno che nel corpo del testo si fa di identità di autore con la Notabile et_famosa  historia.

Il Raccuglia risolve il problema vedendo nella leggenda di Angelina, una interpolazione, dovuta ai copisti successivi che hanno voluto qua e là modificare o correggere qualche passo di modo da lasciare il proprio nome in qualche copia di esso.“In altre parole scrive il Raccuglia, ritenendo che lo Antonio, morendo non molto dopo del 1566, in cui se ne hanno le ultime notizie, lasciasse ad un suo figliolo il manoscritto della sua Sicilia Restorata e che costui, che era il Giulio autore della Notabile historia, vi angiungesse qualcosa del suo, tra cui  l'accenno  al  suo  romanzo”(p177).  Tale  tesi  è comprovata dal fatto, secondo lui, che mentre in calce del libro Antonio scrisse di averla finita il 1^ maggio 1557, molti passi sono simili o addirittura compendiati dalla  prima  deca  del  Fazello  pubblicato  l'anno successivo.  Giulio quindi,  secondo il Raccuglia non solo si è appropriato dell'opera, ma addirittura si è preso la briga di manometterla. Chi quindi ha plagiato il De rebus Siculis non è stato Antonio, come sostiene il Dì Marzo, ma Giulio.

“Giulio Filoteo di Amadeo quindi non sarebbe tutta una persona con l'Antonio, ma soltanto il di lui figliuolo”. Questa ipotesi non è comunque interamente del Raccuglia,  come dice lui stesso perché “il castiglionese Emmanuele Lamonaca... a proposito della Notabile ecc. afferma senza alcun'ombra di dubbio che il suo autore fu il figliuolo dello Antonio e non lo stesso Antonio”(p.177).

Ma la cervellotica costruzione del Raccuglia ci sembra molto azzardata. In maniera più semplice invece chi ha trascritto il manoscritto della biblioteca di Palermo ha notato ad una lettura superficiale, che esisteva una discrepanza tra quanto è detto nel corso dell'opera, in cui si dice che la Descrizione è scritta da Antonio, e il lungo romanzo su Angelina. Ma il romanzo di Angelina pubblicato nel 1562, figura col nome di Giulio e allora il copista per correggere un supposto errore ha messo all'inizio del testo Giulio, dimenticando che nel corso dell'opera stava scritto Antonio.

A nostro avviso però come pensa il Mongitore e come scrive il Raccuglia sono due persone diverse. Per risolvere il problema possono sopperire gli atti di battesimo e di matrimonio esistenti nella chiesa madre di Castiglione e come in seguito vedremo.

Che età poteva avere  Giulio nel 1562 quando  venne  pubblicata l'Historia?

E come mai Amadeo sì è trasformato in Homodeis? Alla prima domanda, è da rispondere con diverse ipotesi. La più probabile è che Giulio abbia ristampata l'opera del padre mettendovi erroneamente o volutamente il suo nome, ma può anche Giulio essere il padre di Antonio o ancora il padre può aver scritto l'opera e poi l'ha pubblicata a nome del figlio  ventenne  volendo che intraprendesse la sua carriera culturale.

Alla  seconda  domanda  è  da rispondere che si tratta di un nome d'arte derivato non da  cattiva conoscenza del greco,  come  sostiene  il Raccuglia, ma da una logica conseguenza: chi ama Dio (Amadeo) è uomo di Dio   (Homodei).

Si tratta semplicemente di due nomi d'arte, o accademici, come si soleva fare soprattutto nel Seicento e Settecento, dal momento che inequivocabilmente nei registri dell'epoca compare il solo cognome Amodeo, anche se i cognomi a quei tempi subivano facilmente modifiche, raramente tra i nobili, più facilmente tra la gente comune.

 

Data di nascita secondo Di Marzo

Considerazioni - Patria.

 

ANTONIO FILOTEO DEGLI OMODEI, al dire del Di  Marzo, nacque nel 15l5.

Io ritengo invece che 1'Omodei sia nato nel primo decennio del XVI secolo e a sostegno di questa mia tesi mi avvalgo di quanto questo storico scrive a pag. 133 nella Descrizione della Sicilia nel XVI secolo (pub­blicata a cura dell’abate Gioacchino Di Marzo Bibliotecario di Casa Professa a Palermo nel 1876),VI° della 2^ serie della biblioteca storica e letteraria di Sicilia.

L' Omodei così scrive:

(Anzi mi ricordo aver inteso nella città di Randazzo nella mia prima età da certi vecchi, già sono ormai anni 40, che furono gettate certe bruttezze e molta segatura di tavole in questo fiume, le quali furono vedute nel Giudicello di Catania)….....

Facciamo un calcolo: é cosa certa ed inconfutabile che lo storico castiglionese termina la sua opera il primo Maggio 1557 visto che alla fine di detta opera si legge la seguente frase: Fine della Descrizione della dell’Isola di Sicilia terminata oggi Primo Maggio l557; dunque, sottraendo dal 1557 i quaranta anni, come Lui stesso asserisce, avremo la prima età dello storico: il calcolo ci dà l’anno 1517 e poiché il Di Marzo lo fa nascere nel 1515, l’Omodei dovrebbe avere due anni d’età quando si trovava a Randazzo a sentire certe cose da alcuni vecchi; ciò vuol dire che l'Omodei chiama la sua prima età quella in cui egli conta appena due anni!

Considerazione non accettabile quella del Di Marzo.

L' Omodei nel fare la descrizione del Mongibello, che cita pure nella sua opera (La Descrizione della Sicilia nel XVI Sec.)a pag. 160, così scrive: (Che ai miei tempi già sono più di 36 anni) il Sig. Gio. Michele Spadafora, signore della Roccella…)Dico di volo che non mi fu possibile per quante ricerche abbia fatte, sia nella “ Sicilia Nobile>> del Villabianca, come nella “ Cronologia>> di V. Auria, trovare G. Michele Spadafora, signore della Roccella, e ciò, s’intende, per avere più sicure notizie intorno ai tempi  dello storico, malgrado abbia rinvenuto tracce della famiglia Spadafora, nella quale autorevolissimo un tal Vincenzo.(Barbagallo Giuseppe-Antonio Filoteo degli Omodei Pag.8 Tip.Francesco Macherione – Giarre 1903).

Ma il Barbagallo purtroppo si lascia prendere dal suo zelo, facendo delle considerazioni affrettate perchè: A Giovannello Spadafora seguì Giovanni Michele Spadafora che ebbe per donazione paterna i feudi di Maletto e Machinese dei quali si investì di Barone in data 18 Giugno 1510.

S’investì dei feudi di Caccione e Roccella il 19 Gennaio del 1516.

Sposò Violante del Bosco e contrasse seconde nozze con Lucrezia Moncada. Riconfermò la sua precedente investitura in data 17 Novembre 1557.(Gaetano Vecchio–Roccella Valdemone che paese è? La Grafica editoriale Messina Agosto 1987).

Il Nostro storico castiglionese essendo contemporaneo ai fatti, era molto bene erudito e preciso nelle sue asserzioni.

Come si vede è gioco forza dunque ritornare sui nostri passi e calcolare questi 36 e più anni sul 1557 e si avrà il 1521, cioè i miei tempi dell' Omodei.

Non é possibile che lo storico chiami i suoi tempi quelli in cui, secondo il Di Marzo, conta due anni d'età. Per il Fazello (i miei tempi)sono quelli dell’adulto, ma noi non la pensiamo tuttavia come il grande storico di Sicilia e riteniamo piuttosto che i miei tempi siano quelli della età giovanile, gli anni di cui si serba più o meno grata memoria, per esem­pio i 16 o i 20 anni.

Per queste ragioni, che potrebbero essere non lon­tane dal vero, io ritengo che l’Omodei sia nato nei primi anni del secolo XVI.

Aggiungerò altre brevi ragioni per corroborare quanto ho asserito intorno alla data di nascita.

Il can. Pasquale Castorina, in quella sua dissertazione, pubblicata nell'an­no 1876 dell'Archivio Storico Siciliano, non so su quali documenti, chiama lunga la vita dell'Omodei, il quale, secondo quando scrive il Mongitore, a pag.66 della sua  Biblioteca Sicula (tomo 1°) muore nel 1566; visto che diamo allo storico più di 60 anni di vita ed il Di Marzo che gliene dà 51, siamo noi che ci avviciniamo di più all'opinione del Casto­rina, il quale, sebbene faccia talvolta delle ardite supposizioni, si deve ritenere tuttavia come un ottimo conoscitore delle cose della nostra Sicilia.

Chi parla dell'Omodei deve parlare del Fazello, che si può annoverare tra i più autorevoli degli storici siciliani; s’è fatto, e lo vedremo più avanti, del primo un rivale del secondo, accusandolo non sen­za ragione, di plagio sul secondo: or bene il Fazello nacque a Sciacca nel 1498 e la nostra data 1500-1506, quale anno di nascita dell' Omodei, mette costui più vicino al grande storico di Sicilia.

Ho voluto rilevare queste brevi ragioni, le quali mi convincono che 1'Omodei sia nato tra il 1500 e il 1506.

Egli nacque a Castiglione di Sicilia, che, nella sua citata opera, chiama castrum leonum, quasi fortezza di leoni.

Rileviamo la sua patria da una espressione contenuta “Nella Descrizione della Sicilia… a pag.54: nel destro lato del fiume (Alcantara) vi è Castiglione, mia patria, fondata sopra un altissimo monte,… .

Nome di battesimo

Antonio Filoteo di Amodeo nato verso il 1500 – 1506 morto nel 1573 circa.

 

Il figlio Giulio nato il 1540 – 1542 circa si sposa il 30 Agosto 1572;

Come si evince dai registri di battesimo Giulio di Amodeo generò tre figli:

Anteo, Barbara (incerta) il terzo figlio non viene nominato, forse lo chiamò Antonio come il nonno. E qui gli atti parlano chiaramente.

 

La figlia Giulia nasce verso 1553  circa si sposa l’11 Gennaio 1575;

 

Nell’atto di matrimonio datato 11 Gennaio 1575 così si legge:

 

<<Io don Francesco Badalato inguagiai e spusai a Salvo di Jesi e a Giulia di Amadeo nella chiesa di S. Pietro giusta la forma del concilio tridentino, presenti lu preti Theodoru Finocchiu, lu Magnificu Giuliu Amodeo et altri>>. Viene nominato soltanto il magnifico Giuliu, evidentemente molto vicino alla sposa, mentre Antonio che era il padre non è minimamente citato, forse, perché era già morto.

 

Anteo Amadeo nasce il 16 Giugno del 1575, trattasi di quell’Anteo che il 27 Febbraio 1610 durante le trattative per il riscatto del Mero e Misto Impero, insieme ad altri giurati dell’Università di Castiglione (allora Lui era Sindaco della città) si recarono a Palermo per riscattare la città di Castiglione.

 

Barbara nata il 28 Giugno 1584;

 

Antonio nato il 12 Novembre 1585;

 

Anna nata il 18 Settembre 1610;

 

Antonio nato il 28 Aprile 1612;

 

Giulio nato il 28 Aprile 1614;

 

Giovanna Lucrezia nata il 7 Aprile 1617.

 

Il pomo della discordia, per dir così, lo ha lanciato il Mongitore, distinguendo un Antonius Philoteus de homodeis da un Julius Philoteus de homodeis. Ha sciolto il nodo il Di Marzo, il quale con una accurata osservazione, fece cadere di peso la distinzione messa avanti dal Mongitore, dileguando ogni dubbio.

Il Mongitore fa 1'Omodei Antonio, autore di tutte le opere del vero ed unico Omodei ed Omodei Giulio, autore solamente degli (Amori di Angelina Loria col Delfino di Francia.) Ma quando a pag. 55 della Descrizione della Sicilia nel secolo XVI l’Omodei Antonio, toc­cando di essi amori, dice: (Imperciocchè, come anche oggi per tutta Sicilia si dice, e da noi altrove a longo è stato scritto)ha creduto giustamente il Di Mar­zo e noi con lui, che lo storico Antonio Filoteo degli Omodei sia lo autore, come di tutte le altre opere, così della Notabile e famosa historia de’ felici amori del Delfino di Francia e di Angelina di Loria, Nobile Siciliana.

Aggiungo che è poco attendibile la distinzione del Mongitore, perché egli sconosce di entrambi la pa­tria.

Riteniamo dunque col Di Marzo che l'Omodei  si sia nomato Anton-Giulio .come si dice Giovan - Battista, Gian- Giacomo, Gian-Alessandro, Marco - Antonio ecc...

 

Cenni biografici

 

Antonio Filoteo di Amodeo nacque a Castiglione l’anno 1500 –1506 circa.

Ai suoi tempi fu uomo di grande importanza non solo a Castiglione ma anche fuori; meritò grande stima da amici e conoscenti e in special modo dalla Famiglia  Gioeni prima Marchesi, dopo principi di questa terra (Mia Patria), i quali affidarono spesso, delicate missioni da compiere, che il Filoteo condusse sempre a fine con lode e disinteresse.

I suoi primi anni, brancolano nel buio, a parte le due notizie, già considerate per accertare la data della nascita.

Studiò all’Università di Catania dove per lunghi dieci anni, maturò crescendo insieme agli studi di leggi civili e canoniche.

 

“ E’ Catania, scrive a pag. 89 della sua storia, città clarissima, anche per lo studio delle scienze, dove io per dieci “ anni attesi allo studio delle leggi civili e canoniche,  “nel tempo che gran violenza mandò fuori il fuoco“ circa l'anno 1536, come in Mongibello diremo ” Mi sia concesso tornare un po' indietro.

 

Se ammettiamo che il 1536 sia l'ultimo dei dieci anni di studio com­piuti dallo Omodei in Catania, giacché sappiamo da una sua notizia, che leggeremo più avanti, come nel 1537 si trovi già a Castiglione e pare che abbia persino fi­nito gli studi, troveremo chiaramente che lo storico viene a Catania a studiarvi diritto civile e canonico nel 1526, cioè quando, come vuole il Di Marzo, egli conta 11 anni d'età, visto che l’erudito abate opina che lo storico Castiglionese nacque nel 1515.

Durante i dieci anni di sua permanenza a Ca­tania, l’Omodei contrae numerose ed importanti amicizie e per ben tre volte sale in compagnia di altri galantuomini sull'Etna.

Una prima volta, come, scrive nella sua opera “Aetnae topographia” nel 1533, una seconda nel 1545 ed una terza nel 1548.

Non si può ben precisare quale sia stato l'ultimo anno della sua residenza a Catania per gli studi, e dico l’ultimo dei suoi studi, perché a Catania lo vediamo sovente, anche quando l’Omodei, a giudicare dal tenore di vita che conduce, non da più l’aria dello studente.

Si trova a Catania nel 1537, come si rileva a pag. 88 della “Storia di Sicilia” quando vide gettare le fondamenta del Bastione dal viceré don Ferrante “Gonzaga.” Pare che dopo il 1537 egli finisca la vita di studente e che conseguita utrius iuris la lau­rea, si dia ad una vita di moto, viaggiando con di­versi scopi, per luoghi e città della Sicilia, raccogliendo appunti e documenti per la storia dell'isola che egli ha certamente in mente di scrivere.

E’ appunto per questo che l'Omodei abbellisce anche la sua descrizione di particolari, che egli, attraversando l'isola, effettivamente vide coi propri occhi.

Nel 1537 lo troviamo anche a Castiglione sua pa­tria, dove, come dice a pag. 100 della sua opera: circa l’anno 1537, ritrovandomi debilitato della coscia destra per una ferita, che mi feci con una lunga forbice sul lacerto volendo serrare una lettera, vi sono andato, dove allora v’erano più di duemila persone…, si recò da solo nella fontana sulfurea presso Castroreale, dove c’era un'acqua miracolosa e “ solamente ” egli scrive “ per essermi tre volte bagnato ed anche aver bevuto di quell'acqua, riacquistai la sanità del corpo.

Dopo nove anni circa e precisamente nel 1546 è an­che a Castiglione, dove, come scrive a pag. 72 <<con molta fatica feci uno dei molini che si vedono nella pianura sottostante ad essa città.>> Questa notizia ci fa comprendere che l'Omodei non è più studente, ma anzi un uomo d'affari, perché fece fabbricare un mu­lino, con ciò si suppone che il gesto significhi investimento, perciò trarne dei profitti.

Nello stesso anno si trova a Palermo, perché, narrando d'un corpo gigantesco trovato in una grotta dice, a pag. 181 “ circa l’anno 1546, ritrovandomi io in Palermo, un certo Liontinese, maestro di fare il salnitro, volendo cavare di quella terra, ritrovò un corpo gigantesco, di statura circa 18 o 20 cubiti,……”

Nel 1548, il di 9 maggio, si trova in Aidone e assiste al letto di morte l'amico suo e pro­tettore Tommaso Gioeni, nel 1559, a pag. 70, citata opera, va a Roma, o­ve scrive <<ottenni la dispensa apostolica per il ma­trimonio da contrarsi tra don Lorenzo Iuenio e Ca­terina di Cardona.>>

Intorno a quest'epoca (a pag. 75) egli si trova a Castiglione: quindi a giorni nostri un villano della Motta di Camastra, chiamato Pasquale Pafume, per un debito di due scudi, che doveva ad uno di Castiglione, detto Giovanni Catanzaro, mentre che ambidue venivano a me in Castiglione, mandati dal signor Giliberto Sardo, barone della Motta, per definire la loro differenza, il perfido debitore, conoscendo avere il torto, rispingendo l’incauto e misero creditore, lo mandò giù ad affogarsi in questo profondissimo baratro…….. .”

Da ciò si può argomentare che l'Omodei dopo il 1540 è persona di grande fama, visto che lo si sceglie per andare a Roma e perché a Castiglione fa già da ma­gistrato e conciliatore.

Mi sorprende tuttavia che 1'Omodei, così dotto, così autorevole e così stimato da meritare in dono dal suo amico e protettore Tommaso Gioeni “ un tenimento di terreni di salmate 14 di terra ” come si legge a pag. 71 citata opera, non copra alcuna carica pub­blica.

A pag. 54, tomo  della  Sicilia Nobile del Villabianca e a pag. 263 della “ Cronologia ” dei Lauria, si parla di tre Omodei, notai del regno di Sicilia, rispettivamente negli anni 1515 - 1518 - 1526;

Il primo Antonio Omodei, il secondo Antonino Omodei, il terzo Puccio Omodei.

Costoro certamente nulla hanno a che vedere col nostro Omodei, probabilmente saranno suoi antenati.

Di lui dopo il 1549 non abbiamo notizie, ne altri dati che ci diano sue notizie, nessuno degli scrittori parla di Antonio Filoteo degli Omodei, nessuno ac­cenno di lui nel Fazello, nessuno accenno di costui nell'Omodei, non sembrerebbe dunque da escludere, che dopo questo periodo sia iniziato per lo storico castiglionese un’epoca intensa d’attività let­teraria, come, parlando delle sue opere, tenteremo di dimostrare.

Il Mongitore lo da per morto nel 1566.

Ma nel 1570 pubblicherà a Roma la Genealogia della casa Gioeni e se trattasi dello stesso Antonio, il Nostro, era dunque ancora vivo.

Considerato però, che mancano i docu­menti come prova inconfutabile, la considerazione della cosa può accettarsi come logica.

In conclusione, quanto sopra abbiamo rilevato, ci prova come la famiglia degli Omodei, non del tutto scomparsa a Castiglione, abbia avuto fama onorata ai suoi tempi e come il Nostro storico sia stato te­nuto in conto di bravo giurista ed insigne letterato di questa terra di Castiglione, visto che è anche la mia terra e come ebbe a scrivere il Villabianca, parlando di Castiglione e dei signori Gioeni nella sua “Sicilia Nobile”.

Non nascondo la mia meraviglia, d'altro canto, non trovarlo pretore del Regno  il nostro storico, che è uno degli autorevoli fra gli Omodei: posteriormente al 1526, dopo di Puccio Omodei, non c'è, presso i due autori suddetti, altri di quel cognome.

Certamente la sua vita libera, la sua indipendenza da uf­fici di sorta, allontanarono dalle cariche pubbliche lo storico, a cui forse, più che il vano fumo, tornava più gradito il recarsi da un luogo ad un altro, sia pure per affari: infatti, come dicemmo, nel 1548 si trova in Aidone, nel 1549 a Roma e poi in S. Filippo d'Agira, ove si reca da Catania per vedere i miracoli di quel santo; più spesso lo vediamo a Catania, a Castroreale e in diversi punti dell'isola, dove lo storico non tralascia anche l'occasione di raccogliere materia per illustrare la sua storia di Sicilia, arricchirla di fatti, di circostanze, e particolari. che nella maggior parte egli apprese da sé.

 

Cultura.

 

A che punto era la cultura nell'isola all'epoca dell’Omodei?

Il palermitano Pietro Ranzano, (1428-1492) insigne grecista, aveva scritto i suoi Annali, giovandosi di fonti greche e latine; egli diede un grande impulso agli studi viaggiando per l'isola, investito di elevate cariche ecclesiastiche.

Valenti maestri di latino sono in varie parti dell'isola: oltre di Tommaso Schifaldi e Niccolò Valla nell'occidente dell'isola, abbiamo in Messina un dotto uomo, del cui ingegno meraviglio­samente versatile, si dovrebbe lungamente ragionare:

Francesco Maurolico.

Parco, studiosissimo, consumò la sua vita negli studi.

Pubblicò un numero conside­revole di libri eccelse in matematica, in astro­nomia, in letteratura ed anche nella storia. Insigni latinisti messinesi poi erano Francesco Faraone e Francesco Giannello.

Ma la caratteristica certa del momento è, come vedemmo parlando del Ranzano e del Maurolico, il nobile desiderio di illustrare la natia terra.

Fra questa schiera di eletti ingegni 1'Arezzo, il Selvaggio, il Maurolico, il Fazello, va collocato il nostro Omodei, che ebbe di comune con quelli lo studio delle fonti greche e latine per illustrare i luoghi dell'isola e una costante tinta enciclopedica.

L' Omodei vuol parlare di tutto e di tutti: non c'è' luogo tradizione che egli non tratti, si da riuscire, sempre originale e dilettevole, ma talvolta anche non esatto.

 

Opere di Antonio Filoteo degli Omodei.

 

Diamo la parola al Mongitore.

Questi a pag. 66, torno 1° della sua Biblioteca Sicula da un elenco delle opere dello storico Omodei.

 

Antonius Philotheus de Homedeis, siculus incertae patriae, iuris utriusque  doctor   ...edidit:

 

1)  Aetnae topographiam incendiorumque aetneo­rum historiam.

 

2) Compilationem decretorurn et canonurn sacro­sancti oecumenici et generalis Tridentini 'Concilii.

 

3) Vita della beata Chiara di Montefalco.

 

4) Siciliam restauratam et illustratam ut iudicat in opuscolo de Aetna.

 

5) In italicam vertit linguam: Historiam Siciliae Hugonis Falcandi.

 

6) Della notabite e famosa istoria dei felici amori del Delfino di Francia e di Angelina Loria, nobile siciliana.

 

E’ inutile ripetere qui quanto dicemmo nelle pagine prima, parlando del nome di battesimo dell’Omodei, che cioè, il Mongitore ritiene autore dell'ultima opera Iulius Philoteus de Homodeis e non Antonius, contrariamente a quando crede il Di Marzo, di cui an­che noi accettammo 1'opinione.

Il Mongitore nella sua Biblioteca Sicula lo da di incerta patria, forse perchè si riferiva alla stampa della notabile et famosa storia etc. etc..del 1562 ammesso che l’abbia visto o letto.

Di queste opere le più importanti sono L'Aetna-topographia la Sicilia illustrata e ristorata oppure semplicemente la Descrizione della Sicilia nel XVI sec.

e la Notabile et famosa historia del felice innamoramento del Delfino di Francia, & di Angelina Loria, nobile Siciliana.

Daremo uno sguardo a queste opere considerandone il valore storico e fermandoci particolarmente sulla Storia di Sicilia, da cui la topografia dell'Etna può dirsi compresa.

 

Aetna topographia

 

Quest’opera cinquecentesca dell’Omodei, è stata recentemente pubblicata (1992) dalla Sanfilippo Editore.

E’ un’accurata descrizione del Monte, particolareggiata, talvolta anche minuziosa sì da sembrare che l'Omodei trasandi spesso le cose im­portanti per occuparsi delle meno importanti.

Egli poté conoscere il Vulcano nelle sue tre salite compiute in compagnia di altri amici nel 1533, nel 1545 e nel 1548.

Le eruzioni e i fenomeni analoghi, di cui l'Omodei ci sembra appassionato osservatore, determinavano le sue ascensioni: egli vuol parlare di tutto, vuole spiegare tutto, onde le sue dissertazioni non sono scevre degli errori del tempo.

Tuttavia la sua Aetnae topographia fece fortuna, anzi parve, e non senza ragione, un lavoro pregevole e sin da quel tempo, il Di Marzo lo afferma (6), quest'opera fu compresa nell'Italia illustrata (Francoforte 1600) e poi tradotta in italiano da Leonardo Orlandini e ristampata in Palermo nel 1614.

Sembra che l’Omodei l' abbia scritta mentre la­vorava intorno alla Storia di Sicilia, perché a pa­gina 87 di detta Storia, parlando di Catania, così si esprime: “ Fu ancora in Catania la sepoltura di A­napia ed Anfinamo, fratelli, dei quali da noi in Mongibello Aetnae topographia, si ragionerà ” e con ciò fa supporre logicamente che egli ha in capo di  descrivere Mongibello, ma non l'ha descritto ancora.

A pag. 163, citata opera, parlando ancora della Val Demona, 1'Omodei scrive “Finalmente per conclusione di questo monte Mongibello), del quale più copiosamente abbiamo ragionato nella nostra topografia latina dello stesso monte...”ed è chiaro che egli ha compiuto 1'altra opera Aetnae topografia, la quale cade anche nel corso degli anni 1556-1557.

É bene notare che 1'Omodei fu il primo a darci una vera e propria storia del Vulcano, adornandola in modo che si può leggere anche oggi con piacere ed interesse dagli amanti di alpinismo.

Anche se Pietro Bembo, (Veneto) dopo il suo soggiorno in Sicilia (1491-1494) pubblicherà nel 1496 un poemetto latino intitolato De Aetna una sorta di dialogo tra l’autore ed il padre Bernardo, dedicato però, ad Angelo Gabriele.

Non potevamo logicamente aspettarci dallo Storico castiglionese un’opera scientifica nel vero senso della parola, poiché egli non fu mai uno scienziato: il suo lavoro però è ammirevole sia come significato, sia per cultu­ra, e la descrizione non è scevra di grazia, vivacità e naturalezza, appunto perché egli scrive di cose, che ha visto coi propri occhi e, di cui è ge­niale indagatore: ciò senza dubbio a quei tempi apportò fama e fortuna il lavoro dell' Omodei.

Senza contare che diffondendo la descrizione esatta dell’Etna, servì non solo come aiuto alla conoscenza, ma anche a sfatare tutte le leggende e le superstizioni esistenti  attorno al vulcano.

 

Vita della Beata Chiara da Montefalco

 

Di questo libro si sono perse completamente le tracce, anche se in alcune biblioteche sembrerebbe che il libro sia esistente.

La biblioteca Angelica di Roma possiede il libro. Foligno 1563 ristampato però da un cappuccino di cui non si conosce il nome. Nella prefazione il libro viene dedicato all’autore, Agostino da Montefalco (forse Agostino Morelli al secolo?) Il libro è stato ristampato almeno secondo le informazioni avute, con alcune aggiunte la collocazione: X.9.94. Dovrebbe esistere un’edizione di stampa avuta a Palermo nel 1556 che la Biblioteca Angelica non possiede, il cui autore è Filoteo degli Omodei, la notizia è tratta da un repertorio di scrittori Siciliani.

 

Biblioteca Angelicum di Roma prima Agostiniani.

 

MSE – 38 cartella 1565. Antonio Filoteo degli Omodei forma di dialogo manoscritto preparato per la stampa su incarico di Anacleto e Pier Simone Egidi da Montefalco, appartenne a S. Filippo Neri.

 

Piergili Battista ha pubblicato :Vita della Beata Chiara detta della Croce da Montefalco. In Foligno, appresso Agostino Alterij, 1640

 

La seconda edizione di Piergili Battista fu pubblicata da Vincenzo Michilli in Foligno, appresso gli eredi di Agostino Alterij nel 1663. L’edizione del 1556 è introvabile, (ammesso che esista) si potrebbe vedere nelle altre due opere del Piergili che sembra contenere quella dell’Omodei, io personalmente non l’ho mai veduta.

 

Compilationem Decretorum, & Canonum SS. Oecumenici & Generalis Tridentini Concilii.

 

Il libro contiene 624 pagine, fu stampato a Venezia presso Apud Damianum Zenarom nel 1573 è dedicato ad  Hyppolito Estensi S.R.E. Cardinali Ampliss.:

 

Questo dovrebbe essere stato l’ultimo libro scritto dallo storico Castiglionese, omettendo però la Genealogia dei Gioeni, che io personalmente non calcolo come libro ma come notizie sulla famiglia stessa.

Il libro fu stampato per la prima volta a Venezia nel 1566, ma andò subito a ruba tanto che qualche anno dopo, il libro, fu ristampato a Venezia presso Apud Damianum Zenarom – 1573 è dedicato ad  Hyppolito Estensi S.R.E. Cardinali Ampliss.:

 

Cum ea, Pater amplissime, quae a’ Patribus, in Tridentino Concilio, non fine Dei Opt. Max. numine, decreta sunt, in hunc, quem vides ordinem, non sine labore redegissem: e pro studiosorum commoditate, in lucem dare constituissem: consentaneum esse duxi, aliquem ex nostri temporis principibus deligere, in cuius nomine, hoc opus tutò appareret.

Itaque cùm plures e divitiarum magnitudine, e generis claritate insignes in mentem venerint, te caeteris iure optimo praeferendum censui. Nam preter fortunae munera, quibus abundas, e praeter antiquissima tue familiae nobilitatem, de qua longum esset verba facere, tanto virtutum comitatu septus es, ut qui te non admirentur, e suspiciant, ex hominum coetu dirimendi mihi sedulò vedeantur. Nam ut taceam de probis moribus tuis, in quibus ne una quidem deprehen di labecula potest, tanta uteris in literatos viros benignitate, tanto q; Literatum studia amore prosequeris, ut nullus dies sit, (quamuis varia te occupent negotia) quo non aliquid ex antiquorum scriptis attento animo percurras, e eum doctis e eruditis hominibus, quorum domi tuae vivit copia, disceptis; e que perlegisti communices.

Proinde accipe libenter munusculum hoc amplissime Pater, e me in tuorum numerum tua pro liberalitate ascribe. Si hoc enim facies, ut spero te facturum, adijgis sanè calcarea, ut sim posthac maiorem in dies laborem suscepturus; Quo pro exiguis ingenij mei viribus, reip. prodesse posim.

Vale Romae Calen. Septemb. “MDLV”.

Il libro si trova presso la Biblioteca Recupero Ursino di Catania

 

Sicilia Illustrata e Ristorata.

 

É l'opera più importante dell' Omodei e proprio quella per cui Egli va collocato fra gli storici che scrissero della nostra Isola.

Il lavoro è diviso in tre parti ed ognuna di essa contiene la descrizione di una delle tre valli nelle quali la Sicilia è stata, quasi da tutti gli storici, divisa.

Nella prima parte è compresa la descrizione di Valle Demona, perché vi sorge il Vulcano che incute spavento con le sue eruzioni agli abitanti.

Nella seconda parte è descritta la Valle di Noto e nella terza la Valle di Mazara.

La Sicilia illustrata e ristorata non può dirsi meno ricca dei pregi, che adornano la precedente opera, di cui testé parlammo: la descrizione infatti procede spe­dita, vivace e naturale e riesce poi interessante quan­do tratta dei luoghi, e non sono pochi, che 1' autore ha visitato e percorso.

Per questa ragione a priori noi affermiamo che la prima parte, la quale contiene la descrizione della Val Demone, è di gran lunga superiore alle altre due parti, perché quella regione poté il no­stro storico spesso ed accuratamente percorrere ed esplorare, sia per essere nato in Castiglione, sia per la mitezza del clima e la bellezza dei siti.

Egli dice nel proemio. della sua opera di <<trasportare dagli antichi e moderni autori quel tanto, che di ciò prima di noi hanno ordinatamente scritto, con tutto quello ancora che con la presenza abbiamo veduto e dagli altrui veri e fedeli avvisi conosciuto>>.

Le fonti a cui egli attinge sono per lo più le opere di Cicerone, quelle di Livio, fra i latini, e di Plutar­co, Dionigi D' Alicarnasso, Strabone, Polibio, Dio­doro, fra i greci.

Contro di lui i posteri hanno giu­rato, per dirla con frase moderna, la guerra del si­lenzio, nè io per quanto abbia letto e spolverato ho rinvenuto il nome del castiglionese, quale autore di una storia di Sicilia, se togli 1'Amico, che muove quella lagnanza da noi riportata nella prefazione del presente lavoro ed il Villabianca che parlando di Castiglione, nella sua “ Sicilia Nobile ” dice che Antonio Omodei fu un insigne letterato di quella terra.

Non vi è dubbio che la storia del Fazello, pubbli­cata nel 1558, cioè un anno dopo che 1’Omodei pubblicò la sua, l'opera del Nostro si ecclissò, nè sapremmo dire se a ragione, poiché non è nostro compito: ci riserbiamo però di manifestare sul riguar­do la nostra opinione, dovendo in seguito parlare dell'opera del grande storico Fazello, che non a torto viene chiamato il padre degli storici di Sicilia, col quale il Nostro storico Omodei non può mai essere para­gonato.

Loderemo tuttavia nell' Omodei, i pregi ed anche qualche difetto, come per altri storici dell'epoca, come una tal quale ostinazione nel respingere tutto quanto di favoloso viene narrato dai suoi predecessori: egli prima che assimili quanto apprende, ci si ferma sopra, discute e ragiona con un metodo che può essere anche lo­devole e non lontano dalla critica.

Con vero amore di storico vuole che tutto ciò che scrive porti la sua impronta, cosicché non raramente leggiamo nella sua opera << come io vidi >>, << come io intesi >>.

Spesso egli tenta di spiegare la derivazione di un nome moderno con antiche scene mitologiche, seguendo 1' esempio di altri insigni storici dell'epoca, quale il caposcuola italiano, Biondo; ma non colto abbastanza in glottologia, quando ancora questa parte della letteratura non aveva fatto i passi odierni, il Nostro ci riesce in malo modo. Volendo spiegare il nome Cen­turipe ad esempio, così ragiona a pag. 134-135 della sua opera: è forse da Sterope, benché per la troppa discor­danza della voce non ardisco affermarlo, ebbe il nome Centorbe, che fu chiamata e si chiama dal­li detti autori Centoripe, cioè che primieramente  fosse stata detta Sterope e corrottamente Ceterope e poi corrottamente Centerope e mutandosi sola­mente la vocale e in o e 1' ultima o in i: da Cen­terope Centoripe; quell'ostinata e persistente corruzione e tutto il brano insomma è di una consi­derevole amenità.

Alla pagina 137 si legge: quivi sono molte acque e molti molini ed è il paese di tanta ameni­tà, che veramente si suol chiamare Valcorrente, quasi Mel-corrente.

Ma a parte i difetti, che, come i pregi, rileveremo più avanti, 1'opera dell'Omodei merita benevola considerazione per la esatta indicazione dei luoghi: descrive con scrupolosa e matematica esattezza tutta la riviera da Messina al di là di Siracusa: relativamente poi alla Valle d'Alcantara, il Nostro esplorò tutto nel modo più minuzioso e particolareggiato, la qual cosa ci induce a credere che lo storico viaggiò per quei luoghi ed ebbe a constatare di persona quanto formò poi materia del suo lavoro.

L' Omodei merita ancora benevola considerazione perché spese pochi anni a compilare la sua storia, laddove il Fazello impiegò, dice il Mongitore nella sua biblioteca sicula, 20 anni, percorrendo totam Siciliam quater ac plus, cosicché il Fazello ebbe una grande possibilità visti gli anni di scrivere una grande' opera.

 

Il Plagio.

 

Molto se parlato del plagio dell' Omodei sul Fazello: io non posso in verità escludere che plagio non ci sia, anzi, affinché si possa più agevolmente vedere di che natura sia il plagio, riporterò qui alcuni passi dell'una e dell'altra storia, dalle quali si potrà dedurre se abbia fondatezza o meno 1'accusa  che si fa all' Omodei.

E’ bene però dare prima qualche delucidazione in merito.

Come mai è stato possibile all' Omodei poter estrarre dal Fazello, se il predicatore pubblicò posteriormente la sua opera?

E a questo punto, poiché non si può non escludere il plagio, ha efficacia quanto pensa il Di Marzo, cioè che allo storico Castiglionese fu dato di avere tra mano 1'opera del Fazello o viceversa, o per assurdo che entrambi abbiano avuto per  le mani gli Annali di Pietro Ranzano scrittore palermitano nato nel 1428 e morto a Lucera nel 1492.

 

I due storici infatti iniziano le loro opere nel seguente modo:

 

FAZELLO

pag. 56 < De rebus siculis>

Il    Peloro, Promontorio di Sicilia, è quello che risguarda l'Italia, ed è volto verso Le­vante non altramente, che sia volto verso Ponente il Ceni, Promontorio di Calabria, il qua­le al mio tempo è dimandato coda di Volpe.

 

OMODEI

a pag. 770 <Sicilia illustrata e ristorata.

Peloro dunque egli è quel promontorio, che vicino all' I­talia risguarda 1' estate al nascer del sole, piegandosi Contro il promontorio Cenis così da­gli antichi detto, oggi chiama­to il capo della Coda di VoI­pe dai paesani.

 

Vediamo come spiegano il Peloro dato al promontorio:

 

Fazello  = Stessa pagina (Questo Promontorio fu domandato Peloro da un Nocchiero, il quale fu quivi da Annibale ammazzato e sepolto, perchè fuggendo Annibale dai romani vittoriosi, e partendosi da Pertilia, castel della Luca­nia, per venirsene in Africa e guardando i liti da lontano e non gli parendo divisi, ma ap­piccati insieme e pensando es­sere tradito da questo Peloro, suo Nocchiero, l'ammazzò e quivi lo fece sotterrare.

 

Omodei: come fermamente  stimando Annibale, cartaginese, fuggendo la potenza dei Roma­ni dalla città Pitilia, (oggi Belcastro nella Magna Grecia) e veggendosi quivi guidato da Peloro, sua guida, l'uccise sti­mandosi tradito e ridotto in luogo serrato.

 

Parlano di Anasila, tiranno di Messina e della sua ­giustizia.

 

pag. 65. Fazello:

 

solamente Anasila reggeva la città di Messina con somma prudenza e giustizia.

Morto Anasila gli successe Micito, come tutore dei pupilli e si portò con tanta prudenza e tanta fede, ch' ei fece di maniera, che nessuno per 1'avvenire s'ebbe a vergognare più del nonie di tiranno-.

 

pag. 20. Omodei:

 

La qual città, per industria d'Anasila, che diligentemente osservò la giustizia e con som­ma prudenza governava là re­pubblica, divenne potente.

Finalmente morto Anasila, avendo raccomandato i suoi figliuolini a Nicito, suo servo, al quale lasciò per testamento l'u­niversale amministrazione dell'impero, fu la città con tanta modestia governata da costui, che pareva veramente essere di somma gloria ai principi chiamarsi più presto servi che signori.

 

Ecco come spiegano entrambi il nome di Taormina.-

 

pag. 76. Fazello:

 

Fu adunquè nominata questa città Taormina quasi volendo dire, fortezza di Toro, perchè Menos in lingua greca vuoi di­re quel medesimo che fortez­za in latino, onde le mura della città sono dette latinamente Menia.

 

pag. 40. Omodei:

 

Tauromenio quasi tauro for­tificato, perciocchè menos, appo i Gregi importa fortezza, ovvero Taurus cintus moenibus, tauro cinto di mura.

 

Ricordo qui che il nostro storico fa una lunga digressione per dimostrare come dalle cannemele si tragga lo zucchero, e dice ragiono per il curiosi.

 

Parlando di Catania ecco cosa scrivono:

 

Pag. 94. Fazello:

 

Eranvi anche gli acquedotti, fatti di pietra nera, lavorata in quadro, i quali conducevano l'a­cque quasi 20 miglia distante, da una fonte chiamata oggi vol­garmente la Butta, la quale sor­ge poco lontano dal Castel di Partenione, presso al monaste­ro di S. Maria di Licodia.

 

Pag. 89. Omodei:

 

Erano ancora in questa città li maravigliosi acquedotti di gran pietre nere lavorate, per li quali sopra altissimi archi si conduceva I' acqua nella città da un luogo detto la Botte, vi­cino Paternò appo il monaste­ro di S. Maria di Licodia per lo spazio di più di 20 miglia.

 

Parlano del tempio di Minerva a Siracusa.

 

Pag. 123. Fazello:

 

Eravi ancora un altro tempio consacrato a Minerva, ed era ornatissimo e bellissimo, in cima del quale era posto lo scudo di Minerva (come dice Ateneo nel per autorità di Palemone) ed era tanto grande ch' era veduto dai navigan­ti ch'erano in alto mare.

Co­loro che partivano dal porto di Siracusa, come gli erano tanto discosto che non potevano ve­der più quello scudo, essi pi­gliavano un bicchiere o una taz­za di terra, la quale toglievano a parte dagli altari degli Dei, ch'era fuor delle mura, presso al tempio d'Olimpo e empien­dola di miele, d'incenso e di altre specierie e di fiori la get­tavano in mare in onor di Nettuno e di Minerva.

Et haven­do fatto questo sacrifizio se ne andavano allegri a lor viaggio.

In questo tempio erano nel muro di centro appiccate certe ta­vole dove era dipinta da buon

maestro, la battaglia fatta a cavallo da Agatocle, come narra Cicerone - Eranvi ancorà con ­27 tavole, dove erano ritratti dal naturale tutti i tiranni di Sicilia.

 

 

 

Pag. 310. Omodei:

 

Eravi ancora un altro mirabile tempio di Minerva. Era in questo tempio (come dice Ci­cerone) la battaglia e giostra del re Agatocle con tanta ec­cellenza dipinta in tavole che sommamente gli uomini dilettavano.

Eranvi 27 quadri in tavole, nei quali erano al natu­rale ritratte le immagini dei re e tiranni di Sicilia che sommamente dilettavano.

Era ancora nella cima di questo tempio (come dice Ateneo per autorità di Palemone) lo scudo di Minerva, di tanta gran­dezza che molto da lungi dai naviganti si scorgeva e coloro i quali navigando partivano da Siragusa, pigliavano uno schifo di terra, a ciò ordinato, dall'altare appresso il tempio di Giove Olimpico e quando erano a luogo dove cessava di potersi più vedere questo scudo, 1o riempivano di miele, d'incen­so, di cose aromatiche ed odo­riferi fiori e lo gettavano in mare ad onore di Minerva e di Nettuno e ciò fatto, con somma allegrezza seguivano il loro viaggio.

 

Parlando di un'alluvione avvenuta in Palermo co­si si esprimono:

 

Fazello:

 

Questo fiume avendo fatto più volte paura a Palermo, a l'ultimo l'anno 1557 gli fece grandissimo danno perocchè es­sendo state serrate impruden­temente le bocche dell'acque­dotto ed essendo piovuto 4 giorni continui, l'acque che erano scorse quivi, non trovan­do I' esito fecero intorno alle mura un lago, il quale crebbe per tanto che ai 27 di settembre a un' hora di notte col suo empito ruppe le mura vicino al palazzo Regio ... tutte quelle chiese, o palazzi e monasteri ch'egli trovò per quella via, d’onde passò che furono più di due mila case rovinò, portò con seco molta roba e annegò forse da tre mila persone e io vidi questo diluvio e questa rovina.

 

Omodei

 

Ma alla fine oltre li spaventi che apportò, un lunedì sera, circa un'ora di notte in quest'anno 1557, alli 27 di settembre, avendo piovuto più dì tre giorni continui, fu tanto l'impeto di detto fiume che ritrovando quelle bocche serrate ed avendo riempite tutte le fosse attorno le mura della città dalla mano destra del palazzo Regio, entrò con tanta furia nella città che tra le case che rovinò e quelle che sfondò ed oppresse furono poco di due mila con aver affogato più di tre mila persone.

 

E cosi ritengo che i passi riportati siano sufficienti a dare una idea chiara del plagio, su cui noi non facciamo commenti e passiamo alla parte ultima del nostro lavoro.

 

Distrazioni ed inesattezze

 

Non possiamo infine nella parte ultima del nostro lavoro non rilevare alcune distrazioni ed inesattezze nelle quali incorse il Nostro storico Omodei, a causa forse di particolareggiare persino il superfluo.

1^ A pag. 140 della Sicilia illustrata e ristorata si legge che l' Omodei salì per la prima volta sul monte Etna nell'anno 1535, mentre era studente in Catania: a pag. 9 dell' “ Aetnae topographia ”, così scrive:  Già l'anno della salute presso che a mil­lecinquecento trentatré (1533) era pervenuto quando io coi miei amici salimmo il monte ”.

È evidente 1' anacronismo non potendosi affermare se la salita sul monte sia avvenuta nel 1535 o nel1533.

2^  Nella stessa pagina della  Sicilia illustrata e ristorata sotto la data 1536, l'Omodei registra una eruzione del Monte Etna, della quale poi narra nel­la topografia dell'Etna citandola sotto la data 20 febbraio 1536.

Or di eruzioni sotto la data 20 febbraio non si ha traccia alcuna nella storia del Fazello, nè in altre storie di Sicilia, che registrano le eruzioni del vulcano a partire da epoche anteriori: solamente l'a­bate Amico, che io cito perché autorevole fra tanti scrittori di cose della nostra isola, parla, a pag. 425 della sua Storia dell'eruzioni dell'Etna dalla me­tà del secolo decimoquinto a tutto il secolo decimo sesto di un' eruzione avvenuta il 23 marzo 1556; quello che ci meraviglia si è, che la descrizione di Mongibello (Aetnae topographia), come dicemmo, è contenuta nella descrizione di Val Demona, che è la prima parte della storia di Sicilia, nella quale è la data 23 marzo 1536, mentre, lo ripetiamo nella topographia Aetnae si legge la data 20 febbraio 1536: evidentemente al tempo stesso 1'Ornodei si contraddice e ciò si deve per lo meno a distrazione dello storico.

3^ A pag. 86 Sicilia illustrata e ristorata 1'O­modei, scrivendo di Catania, dice, che da essa città, Gerone, tiranno di Siracusa, dopo che l'ebbe presa, scacciò i veri catanesi e la diede ad abitare a 70 mila persone, raccolte, dalle città di Megara, Gela e Siracusa: or la cifra di 70 mila è completamente immaginaria, poiché Catania in quei tempi non poteva contenere fra le sue mura tanto numero d'anime.

Il Villabianca, parlando della città di Catania, le assegna una popolazione di 16222 anime con 4760 fuochi e ciò in tempi più recenti e più prosperi di quelli del tiranno Gerone.

Fatto un calcolo, paragonando Catania con Zanclea, Syracusae, Gela, Hennia, Leontium Agrigentum e Panormus relativamente alla rispettiva loro impor­tanza nell' isola, giovandoci di uno studio di G. Beloch, pubblicato nell'anno 1876 dell'Archivio storico siciliano, non possiamo assegnare a Catania che una popolazione oscillante tra i 6 e 10 mila abitanti, tra schiavi e liberi.

Il Nostro Filoteo ha non poco esagerato, se si deve credere ad altri storici e fra essi al Fazello, il quale parlando di Catania nella sua storia di Si­cilia, non dà ad essa città più di dieci mila anime.

Infatti ecco come scrive il Fazello nella prima deca della Storia di Sicilia: Ma in successo di tempo avendo Jerone tiranno di Siracusa, superato Catania e cacciatine i catanesi, la diede ad abitare a 10 mila persone, tra Megaresi, Geloi.e Siracusani, anzi vi si legge che questi dieci mila erano cinque mila peloponnesiaci e cinque mila di diversi paesi.

Nessuno degli storici scrive che Catania poteva contenere ai tempi di Gerone 70 mila abitanti, solo 1'Omodei, facendo giuoco della sua fantasia, ha vo­luto scrivere in quel modo.

4^ I Catanesi, cacciati da Gerone, ritornarono, dopo la morte del prepotente titanno; ad abitare la loro natia città, e ne scacciarono i 10 mila Geloi, Megaresi e Siracusani.

Espulse da Catania queste popolazioni fabbricarono una città, di cui, così il Fazello come 1' Omodei, si occupano a lungo.

Il primo pone questa a dodici miglia da Catania verso levante sul territorio della odierna Mascali.

L' Omodei parla di essa città, riporta 1'opinione di altri storici, conforme a quella del Fazello, e quindi a pag. 86 della Sicilia illustrata e ristorata scrive:

Io stimo che Etneosia (così fu chiamata la città in questione) sia stata non molto lungi da Centuripe, dalla quale fu detta poi Nicosia.

Io non so, prima di tutto, perché da Centuripe poté chiamarsi Nicosia la città dei Megaresi e dei Geloi: l' Omodei solo forse sa darne la ragione.

Ma quale delle due opinioni si deve accettare?

Quella del Fazello potrebbe essere la più attendibile se non fosse la questione delle 12 miglia, perché Mascali a differenza di Nasso, altra antica città, a levante di Catania, e di cui non rimangono avanzi, sono molto più di­stanti che dodici miglia da Catania: Mascali dista più e non meno di 30 chilometri, cioè più e non meno di 20 miglia; ancor più lontana era Nasso, collocata, come dicemmo, concordemente dagli storici, nella pia­nura sotto Taormina dal lato sud.

Il Fazello sostiene la sua opinione aggiungendo a pag. 93, tomo 1° della sua storia (1^ deca): presso Mascali, dove si vedono le vestigia e le reliquie d'una città rovinata.

Anche ciò sarebbe esatto: il sito e la topografia dell'odierna Mascali, che non è se non l'antica, alcune fontane di antichissima costruzione, gli avanzi di alte torri cadenti, che si vedono a fianco della città, e nelle campagne limitrofe taluni avanzi di antiche co­struzioni, confermano 1'opinione che Mascali fu un tempo più estesa e più importante, tanto da dare il nome alla estesa e fertilissima pianura che oggi si potrebbe più propriamente chiamare Piana di Giarre che di Mascali.

Per parte nostra rimane erronea 1'opinione del Fazello, oltre che per la distanza, anche perché Ma­scali ha avuto una storia propria e cosi sempre si è chiamata dagli scrittori di storia dell'isola nostra.

Non possiamo accettare 1'opinione dell'Omodei, la quale, ritenendo Nicosia la città fondata dai Megaresi, dai Geloi e dai Siracusani, cacciati dai Cata­nesi, non va scevra di minori incertezze, che quella dello storico contemporaneo.

5^ A pag. 77 (11) 1'Omodei descrivendo la pianura di Cerro, così detto per un grosso albero di tal nome che corrisponderebbe alla quercus cerris, che ivi cresceva, scrive, che mentre esso piano è <<secco, nei mesi di giugno e luglio, subito vi si semina il grano, il quale, in quaranta giorni vi si matura:>>

questa asserzione dell' Omodei può dirsi un para­dosso.

Anche in Sicilia sonvi ancora locali feracissimi, irrigati da abbondanti acque, in quel di Calatabiano, sulle sponde dell'Alcantara, nella piana di Taormi­na, dove anche oggi sonvi terre che producono due volte all'anno, ma ciò che afferma il nostro Filoteo significa  correre molto avanti nel tempo, poiché mai si è saputo o detto che in quaranta giorni il grano seminato possa ar­rivare ad essere maturo, quando nei terreni più fertili per la maturazione del grano occorrono almeno quattro mesi.

6^ A pag. 133, 1' Omodei parlando del fiume che scorre per il piano della Correda, presso Randazzo, dice che esso fiume <<trapassando per sotterrane caverne presso Mongibello, va a sboccare nel terri­torio di Catania, formando 1' odierno Giudicello>>.

Il Fazello, il più dotto, il più completo degli sto­rici di Sicilia, a pag. 89, prima deca, della sua <<storia di Sicilia >>, se n'esce col dire, che questo fiume “ nasce dalle radici del monte Etna e non : s’essendo potuto trovare il suo principio....

Ma 1'Omodei si mostra sicuro del fatto suo e rac­coglie come fonte storica ciò, che è opinione comu­ne, volgare, dei Randazzesi e trova subito l'origine del Giudicello.

Anche io ho sentito affermare con sicurezza da far piacere questa opinione da vecchi e giovani abitanti di Randazzo, ma invece di spacciare ardite sup­posizioni, sarebbe cosa più lodevole il tacere: il Filoteo si mostra un credenzone della più bel a­cqua ed è un piacere ancora sentirlo parlare dei miracoli operati da S.Filippo di Agira, mentre non v'ha chi ignori come simili cerimonie siano la nota, comica della festa di questo santo e come chi vi assista faccia delle allegre risate alle spalle di tanti sventurati, che bastonati, legati e tenuti fermi da gente spiritosa o fanatica se vuolsi, attendono con calma eroica, malconci per le battiture, tra schia­mazzi e grida assordanti, che il santo operando il miracolo, li sollevi dai loro mali.

7^ Nell'Aetnae topographia, l'Omodei parlando del­1' altezza del Vulcano che descrive, lo dice alto 25 miglia, come conferma a pag. 140 della << Sicilia illu­strata e ristorata.>>

A pag. 86 stessa opera dice che <<Mascali è lungi da Catania 20 miglia.>>

Facciamo adesso una considerazione: 1'Omodei ha calcolato 1'altezza del Vulcano e la distanza che passa tra Mascali e Catania con l'identico sistema di misura: cioè col termine miglio.

Or bene dimostrerò con semplici calcoli come l'Omodei abbia creduto il Vulcano più alto di quanto possa essere lontana Mascali da Catania.

A tale scopo riscontrai il << Codice del sistema me­trico di Sicilia>>  pubblicato nel 1812 dalla stampe­ria dell'Università di Catania.

Alla fine della prima parte di detto codice, vi sono le tavole sinottiche delle misure di lunghezza, di capacità, di superficie, usate in Sicilia, e singolarmente per ogni città e regione nei tempi trascorsi, ed ogni misura ha il corri­spondente termine di rapporto nelle misure poste­riormente stabilite da appositi Commissari per tutto il Regno di Sicilia.

Trovai nelle su dette tavole che un miglio corrisponde a 5760 palmi, un palmo a 26 cm. circa: fat­te le operazioni aritmetiche, che seguono, ottenni un Risultato di Km. 29,952, quale distanza tra Mascali e Catania, e questa distanza corrisponderebbe alla vera, alla reale: ma non così per l'altezza del Vul­cano, il quale, fatto lo stesso calcolo, verrebbe nien­temeno che ad essere alto 37 Km:

 

DISTANZA TRA MASCALI E CATANIA

 

Miglia 20X5760 = palmi 115200

Palmi 115200X26 = cm. 2995200

cm. 2995200 = Km. 29,95200

 

ALTEZZA DELL'ETNA

 

Miglia 25X5760 = palmi 144000

Palmi 144000X26 = cm. 3744000

cm. 3744000 = Km. 37,44

 

Cosa dire? Nella ipotesi più benigna dovremmo ritenere che l'Omedei abbia adottato diverse misu­re unitarie: anche ammesso questo, l'Omodei ha un gran torto.

Non si può neanche dire che lui si sia servito di misure di altri paesi e non del suo, perché le antiche misure di Castiglione, lineari, come si rileva dalla tavola III^  e VIII^ di detto codice, parte 2^, sono lievemente difformi da quelle di altre città dell' isola: in Castiglione la canna comune, paesana, corrisponde a 7 palmi invece di 8:. come si vede, anche con que­ste nuove cifre, il calcolo non subirebbe che lievi variazioni.

Non c'inganneremo quindi affermando come  l'Omodei sia caduto in una grave distrazione!...

 

Ho finito il mio lavoro, soddisfatto se riuscirò a dare un'idea delle principali opere di Antonio Filoteo degli Omodei, così come i chiari natali che a Lui si convengono.

Abbiamo visto che egli ha i suoi pregi ed ha anche i suoi difetti. Ma chi non ne ha? Tutto sommato egli rifulse ai suoi tempi sia come onesto cittadino sia come insigne letterato, profondo conoscitore della lin­gua latina ed elegante scrittore in lingua volgare.

Fra i dotti del suo tempo egli è notevole per la grazia che lo rende accetto e gradito a qualsiasi lettore.

Dunque si abbia dagli stessi lettori i giusti rimproveri, conservando però ugualmente quella stima e rispetto che a fecondo e dotto scrittore si conviene