LA STRAGE AD OPERA DELLA BELVA NAZISTA

IL 12/08/1943 A CASTIGLIONE DI SICILIA.

Il 10 Agosto 1943 l’esercito tedesco si trovava ancora accampato in contrada Sciambro de Luca, in attesa di un definitivo ordine di ritirata verso lo stretto di Messina e quindi la reale possibilità di ritornare in Germania.

     Con molta probabilità erano state allentate le misure di sorveglianza, perché tra le file tedesche regnava odore di ritorno in patria. Fu proprio nella tarda serata che qualche facinoroso, non necessariamente castiglionese, come dopo si saprà, (alcuni degli scampati opinano fosse di Cesarò)  rubò o rubarono un camion di generi alimentari proprietà dei tedeschi.

     La mattina del 11 agosto alle prime luci dell’alba, con freddezza e ferocia teutonica, le truppe naziste fecero ingresso nel paese annunciate da un crepitio continuo di colpi di fucili mitragliatori (Schmeisser) arma micidiale usata per l’assalto dalle truppe della Schutzstaffeln o meglio conosciuti col nome di SS.

     Il paese assopito, credette che il rumore provenisse come di consueto, dai bombardamenti aerei che giornalmente scaricavano il loro pesante e micidiale carico nelle campagne circostanti a Castiglione.

     Le cose purtroppo non andarono così, quaranta militari appartenenti alla belva nazista, capeggiati da un ufficiale, trasportati da un autocarro e scortati da un carro armato irruppero contro il nostro paese armati fino ai denti con mitragliatori, pistole, bombe a mano. Un atto di guerra dunque.

     Già nelle campagne viciniori ed al centro, essi sparavano senza preavviso contro persone o cose che si muovessero lungo il loro cammino, cercando di colpire al capo o al ventre. Uno fu assassinato nelle immediate vicinanze della fontana di Galluzzo, mentre scappava terrorizzato dalla presenza delle truppe tedesche; uno perché trovato a rubare fra un mucchio di rifiuti, due o tre scatolette vuote; alcuni mentre si trovavano pacificamente in mezzo alla strada.

     Quando poi giunsero nell’abitato, schieratisi attorno al carro armato, avanzarono velocemente uccidendo chi malauguratamente si trovasse sulla loro strada; sparavano contro i balconi, contro gli usci, e persino col cannoncino che si trovava sul carro armato per incutere ancora paura e terrore tra gli abitanti.

Chi atterrito, tentava istintivamente di scappare, o chi tentava di salvare i propri familiari in difficoltà veniva abbattuto come carne da macello.

Dopo questo primo irragionevole sfogo di ferocia e senza un motivo apparentemente plausibile, la situazione incominciò ad avere una linea: vollero che si sgomberasse il paese; che le case fossero lasciate aperte; che le donne si rifugiassero fuori dell’abitato; e presero tutti gli uomini che riuscivano a trovare, giovani e vecchi, come ostaggi senza nulla far trapelare circa la sorte che li attendeva, snidandoli dalle case, brutalmente separandoli dalle donne e dai figli.

Li arrestarono e sotto stretta sorveglianza armata, minacciandoli continuamente di morte li rinchiusero in un vicolo cieco di via R. Margherita all’altezza dell’attuale Casa del Pesce e, dopo aver ultimati i rastrellamenti li trascinarono con forza in località Cannizzu ammassati dentro un lurido ovile.

Inizialmente non potevano dar altro che una minuscola scatoletta di carne come pranzo e cena, ma l’incubo peggiore però era quello di non poter sapere il motivo del loro arresto e l’eventuale fine a loro riservata. Decimazione o fucilazione in massa?

Quegli uomini s’erano visti strappati dalle loro famiglie senza che si desse loro il tempo di indossare qualcosa di decente o almeno una giacca; erano stati derubati degli orologi e di quant’altro di prezioso avessero seco; avevano visto uccidere quanti di loro per paura s’erano permessi di non muoversi per non aver capito la lingua tedesca, come il Sig. Damico Giovanni di 82 anni in Via G. Marconi.

Suora Amelia Casini il 15/08/1943 scrisse nel suo diario gli avvenimenti di cronaca perpetrati nella nostra Castiglione:

La mattina dell’11 agosto 1943, sotto le finestre dell’orfanotrofio Regina Margherita, si sente un vocìo affannoso ed insistente: "Suore Suore, i tedeschi hanno portato via i nostri uomini per fucilarli". In quel momento entra l’Arciprete, Giosuè Russo: "Suore, voglio salvare i miei parrocchiani, per carità venitemi in aiuto..". Suor Amelia Casini dell’Ordine delle Figlie di S. Anna, risponde: "Sono pronta! Andiamo..." e in compagnia di un’altra suora (Suora A. Speranza Trapanotto e con l’allora Vice Parroco Don Salvatore Savoca Zumbo), fregiata con la fascia della Croce Rossa al braccio, scesero in Piazza S. Martino dove si trovavano i 300 ostaggi. In quale stato li abbiamo trovati…. In un salone, (l’attuale casa dove trova sede la camera del lavoro: C.G.I.L.) pigiati come un branco di pecore, tutti anziani; alcuni, in pigiama, di fronte avevano cinque sentinelle con le mitragliatrici al fianco. Noi, con tanta sottomissione, abbiamo chiesto di lasciarli liberi, ma non ci capivano. Fortunatamente con gli ostaggi c’era un ingegnere di Palermo (Leanza) che sapeva parlare il francese e quindi, col permesso delle sentinelle, l’abbiamo fatto venire in mezzo a noi per fare da interprete.  D’accordo con le sentinelle abbiamo liberato il Podestà (Ignazio Travagliante) e un vecchio del paese (Giuseppe Platania), pure hanno acconsentito di tenere a nostra disposizione i due dottori del paese, il sanitario (Mario Pagliaro) e il medico condotto (Gaetano Vaccarella) e il farmacista (Gino Tuccari) per portare i feriti all’ospedale. Così, con le barelle, abbiamo girato tutto il paese (sempre con l’interprete vicino a noi) e quanti morti abbiamo trovato lungo la strada.

Fra un’incursione ed un’altra, si andava nelle gallerie dove erano rifugiati i bambini e le donne, si portava il pane che facevano le orfanelle con la farina offerta da tutte le famiglie del paese, dato che avevamo il permesso di entrare nelle loro case a prendere qualsiasi provvista; la si portava con tanta premura senza badare al pericolo dei frequenti bombardamenti. Il giorno dopo gli ostaggi li trasferirono nelle campagne di San Vincenzo ove c’era una mandria di pecore.

Qui ricevettero generi di conforto, grazie al coraggio e alla magnanimità dell’allora Presidente di Azione Cattolica Giovanna Reggio che, assieme all’Arciprete Russo, riuscirono ad attenuare le resistenze dei tedeschi.

Finalmente, dopo tre giorni e tre notti di questa vita di andirivieni, arriva il capitano da Randazzo (che spavento!!!), sporco di fango fino nel viso...  faceva ribrezzo...

Dopo il pranzo l’interprete cominciò il dialogo con il capitano, cioè, dicendo che i colpevoli erano fuggiti; anche noi, con cenni, affermavamo ciò che diceva l’interprete.

Durante il periodo che i tedeschi si trovavano a Castiglione, i paesani avevano ucciso cinque soldati perché devastavano le campagne e spadroneggiavano a più non posso (sembravano tanti signorotti), quindi, per cinque dei loro morti ne dovevano uccidere trecento.

L’interprete girava intorno al capitano con insistenza, ripetendo le stesse parole, cioè: “I colpevoli sono fuggiti”; ma il capitano sempre più si ostinava e con le mani alzate e le dita aperte gridava: “Cinque me ne hanno uccisi: fucilate subito, subito”: Insomma in nessun modo si voleva piegare. Allora io sentii in me una forza soprannaturale, feci un passo avanti di fronte al capitano, pronunciando queste parole: “Mi offro io per loro; si... si..., io dò la mia vita... uccidetemi, date la libertà a quei poveretti”. In quel momento così difficile non mancarono le suppliche dell’Arciprete Russo e le buone maniere  dell’ingegnere Lenza nel tradurre le nostre povere parole.

Il capitano ci guardò a lungo e dopo una breve pausa pronunciò queste parole: Domani alle 6 sono liberi”. In quel momento erano le undici di sera del 13.08.1943.

Il giorno seguente, andammo tutti in chiesa a ringraziare la Madonna della Catena Patrona del Paese di Castiglione di Sicilia.

 

Le vittime:

Giuseppe Damico;

Nicola Camardi;

Francesco Cannavò;

Giuseppe Carciopolo;

Antonino Celano;

Nunzio Costanzo;

Giovanni Crifò;

Francesco Di Francesco;

Salvatore Di Francesco;

Giuseppe Ferlito;

Vincenzo Nastasi;

Salvatore Portale;

Santo Purello;

Giuseppe Rinaudo;

Carmelo Rosano;

Giuseppe Seminara.