Gli studi di
psicologia della religione oggi sono aumentati. Ciò nonostante permangono molte
difficoltà epistemologiche legate allo statuto di una disciplina in costruzione
e numerosi problemi relativi ai presupposti teorici ed alla stessa terminologia
necessaria per comprendere ed interpretare un argomento come quello religioso,
che di per sé tende a sfuggire a certe modalità di analisi.
La psicologia
della religione si propone di descrivere, comprendere e spiegare l'insieme dei
fenomeni religiosi alla luce dei dinamismi della personalità.
Afferma Vergote
che "la psicologia si è affermata come scienza autonoma e non esiste una
psicologia che sia religiosa quanto alla sua natura, tale può essere solo in
virtù del proprio oggetto"(1).
Prescindendo
dalla verità oggettiva della religione, essa si sente impegnata a cogliere
l'atteg-giamento soggettivo ed i relativi fattori genetici ed evolutivi e a
descrivere e valutare le modalità dell'esperienza. Nel far ciò, comunque, ha il
dovere di rimanere a contatto con la religione, senza pregiudizi e senza
invischiamenti e, al tempo stesso, di
definirla nella maniera più oggettiva possibile.
Scuole
differenti hanno elaborato teorie circa l'essenza della religione ed è
difficile trovare una definizione esaustiva.
Quella proposta
dal Vergote, comunque, appare la più completa, comprensibile e condivisibile:
"una relazione vissuta e praticata con l'essere o con gli esseri
sovraumani in cui si crede. La religione di conseguenza è un comportamento ed
un sistema di credenze e di sentimenti"(2).
La religione
così concepita è contemporaneamente sentimento e pensiero, abbraccia la vita
individuale e sociale delle persone e si esprime mediante atti che danno
all'esistenza individuale un particolare significato ed uno specifico
orientamento.
Il presente
lavoro è finalizzato non solo a delineare le posizioni di due autori (Freud e
Allport), ma anche e soprattutto a confrontare i loro contributi per
rintracciare eventuali concordanze.
Si ipotizza,
infatti, che i due, pure appartenenti ad indirizzi diversi (psicoanalitico
l'uno ed umanistico l'altro), giungano a conclusioni che solo in apparenza sono
contrastanti, mentre in realtà, se attentamente analizzate, si integrano
reciprocamente.
Poichè
l'interpretazione freudiana del fenomeno religioso aveva come fondamento
l'opzione per il positivismo scientifico, era inevitabile ridurre il fenomeno
religioso a compulsione nevrotica, a prodotto del complesso di Edipo, ad
illusione fantastica. Va, comunque, annotato, perché ha una importante
rilevanza, che Freud, pur non facendo mai mistero del suo ateismo, continuò ad
analizzare la natura e la dinamica della religione fino al termine della sua
vita e a manifestare sempre insoddisfazione per le conclusioni via ,via
raggiunte e tensione nella ricerca di nuove risposte interpretative.
L'interpretazione
Allportiana del fenomeno religioso, invece, si colloca nella psicologia
umanista, fondata in America negli anni cinquanta, e da essa attinge l'impianto
teorico ed i presupposti metodologici.
A fondamento
pone la concezione estremamente positiva della natura umana e considera il fenomeno
religioso come bisogno psichico, di livello superiore agli altri, avente una
sua funzione particolare: costruire la personalità. La tendenza a realizzare se
stessi è, per Allport, la motivazione centrale dell'uomo; essa anima, unifica
ed interpreta tutte le altre motivazioni, compresa quella religiosa.
Qual è l'origine
del sentimento religioso? Quali dinamiche psicologiche lo sostengono e lo fanno
evolvere?
Le risposte a
tali interrogativi possono essere elaborate riflettendo sulle concezioni di
religione messe a punto da due autori di diversa impostazione teorica: S.Freud,
fondatore della corrente psicoanalitica e G.W.Allport, rappresentante della
corrente umanistica.
1. La religione nelle opere di S. Freud
Freud non indaga
direttamente sul sentimento religioso, ma è possibile dalle sue osservazioni
sulla religione ricavare degli spunti per definire tale sentimento, ed è in
questo senso che le sue osservazioni sulla religione possono contribuire ad una
definizione del sentimento religioso presente nell'uomo ed ad analizzarne la
sua natura.
Nell'ambito
della riflessione freudiana la religione occupa un posto importante.
L'abbondanza degli scritti rivela che Freud fu interessato alla religione al di
là del suo ateismo dichiarato(1).
Jones, il suo
biografo ufficiale, scrive che Freud provò sempre un grande stupore di fronte
alla fede religiosa altrui tanto da volerne scoprire le ragioni(2).
Freud stesso
dichiara nel suo carteggio col pastore Pfister: "In se stessa la psicoanalisi non è più religiosa che irreligiosa.
E' uno strumento neutrale di cui possono servirsi sia religiosi, sia non
credenti (...) sono molto colpito di non aver pensato io stesso all'aiuto
straordinario che il metodo psicoanalitico può arrecare alla guarigione delle
anime"(3).
Ed ancora in
"Avvenire di un'Illusione" aggiunge: "Tutto ciò che ho detto qui contro il valore di verità della
religione non aveva bisogno della psicoanalisi (...) se dall'applicazione del
metodo psicoanalitico si ricavano nuove argomentazioni contro il contenuto di
verità della religione, tanto peggio per la religione. Comunque con lo stesso
diritto i difensori della religione potranno servirsi della psicoanalisi per
avvalorare in pieno il significato affettivo della dottrina religiosa"(4).
Freud non muta
lungo gli anni la sua posizione nei confronti della religione, e utilizza le
sue scoperte psicoanalitiche successive per giustificare e rafforzare la sua
posizione iniziale.
Per Freud la
religione è: nevrosi ossessiva, esito del complesso edipico ed illusione
1.a La
religione come nevrosi ossessiva
Nel breve saggio
del 1907, "Azioni Ossessive e Pratiche Religiose" Freud partendo
dall'analisi delle manifestazioni delle nevrosi ossessive, istituisce un
parallelo tra queste manifestazioni e determinati caratteri delle pratiche
religiose.
Egli inizia il suo saggio con queste parole:"Certo non sono io a mostrare la
somiglianza delle cosiddette azioni ossessive dei nevrotici con le pratiche
mediante le quali il credente attesta la sua devozione religiosa. Lo dimostra
il termine "cerimoniale" con il quale alcune di queste azioni
ossessive vengono designate. Tuttavia mi sembra che questa somiglianza non sia
solo superficiale e si può tentare, in base alla comprensione dell'origine del
cerimoniale nevrotico di trarre per analogia delle conclusioni circa i processi
psichici della vita religiosa"(5).
E dopo aver
sottolineato la somiglianza tra queste pratiche religiose e le nevrosi conclude
che: "In base a queste coincidenze
ed analogie ci si potrebbe arrischiare a concepire la nevrosi ossessiva come un
equivalente patologico di una formazione religiosa ed a descrivere la nevrosi
come una religiosità individuale e la religione come una nevrosi ossessiva
universale"(6).
La religione
deriverebbe quindi dal senso di colpa e dal bisogno, come per il nevrotico, di
comporre degli atti per ridurre il suo stato di ansia e di paura, e sarebbe una
conseguenza di una eventuale omissione di tali atti: "sembra che alla base della formazione della religione vi sia la
repressione, la rinuncia a certi moti pulsionali: essi non sono però come nel
caso della nevrosi componenti soltanto sessuali, ma pulsioni egoistiche,
socialmente dannose alle quali generalmente non manca peraltro anche una
componente sessuale. Il senso di colpa conseguente alla continua tentazione,
l'angoscia d'attesa come paura della punizione divina, ci sono noti nel campo
della religione ben prima che in quello della nevrosi"(7).
Si può notare
con il Zunini, che tale tipo di confronto presenta una base assai limitata e ristretta
e che pertanto va messa in discussione e non può essere accettata: "Da parte nostra notiamo come queste
definizioni procedono da una attività religiosa particolare (il cerimoniale)
assunta come l'espressione completa della religione, e, dopo un confronto
prevalentemente formale colla nevrosi ossessiva, si concludono in una
formulazione di principio in termini psicopatologici. Sembra una base troppo
stretta per una costruzione così impegnativa"(8).
1.b La
religione come esito del complesso edipico
E' nell'opera
'Totem e Tabù' del 1913 che prende corpo il pensiero freudiano sulla religione.
Questo libro costituisce un tentativo globale di chiarire l'origine psichica
della religione.
Le
argomentazioni di Freud investono due diversi
campi: l'origine della religione nella specie e l'origine della
religione nell'individuo.
Entrambe, egli
dice, vanno ricercate nel complesso edipico e ad esso raccordate.
Precedentemente
in un'opera del 1910, "Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci",
Freud aveva già affermato l'incidenza del complesso parentale nel comportamento
religioso:"La psicanalisi ci ha
insegnato a riconoscere l'interconnessione esistente tra il complesso paterno e
la fede in Dio; ci ha indicato che il Dio personale non è altro,
psicologicamente parlando, che un padre innalzato, e ci pone ogni giorno sotto
gli occhi i casi di giovani che perdono la fede religiosa appena crolla in loro
l'autorità paterna. Nel complesso parentale noi riconosciamo la radice del
bisogno di religione: il Dio onnipotente e giusto, la natura benigna, ci
appaiono come grandi sublimazioni del padre e della madre, anzi repliche e
reintegrazioni delle immagini che il bambino piccolo ha di entrambi. (...) la
protezione contro la malattia nevrotica che la religione garantisce ai suoi
fedeli si spiega facilmente col fatto che essa li solleva dal complesso
parentale al quale è legato il senso di colpa, così del singolo come
dell'intera umanità e lo risolve in vece loro"(9).
Questo tema del
complesso parentale è poi ripreso in 'Totem e Tabù'.
Qui Freud
accoglie la tesi darwiniana(10) secondo cui il primo
nucleo di convivenza umana sarebbe costituito da un'orda primitiva dominata da
un padre dispotico e assolutista che teneva per sé tutte le donne impedendo ai
figli l'appagamento dei propri istinti sessuali. Nell'orda primitiva il gruppo
dei figli adulti aveva verso il padre un atteggiamento ambivalente: lo
rispettava e lo amava, ma insieme lo odiava e lo temeva a causa del divieto di
avere rapporti con le donne finché "Un
certo giorno i fratelli scocciati si riunirono, abbatterono il padre e lo
divorarono, ponendo così fine all'orda paterna (...); che essi abbiano anche
divorato il padre ucciso è cosa ovvia trattandosi di selvaggi cannibali. Il
progenitore violento era stato senza dubbio il modello invidiato e temuto da
ciascun membro della schiera dei fratelli. A questo punto nell'atto di
divorarlo essi realizzarono l'identificazione con il padre, ognuno si appropriò
di una parte della sua forza. Il pasto totemico, forse la prima festa
dell'umanità, sarebbe la ripetizione e la conservazione di questa memoranda
azione criminosa che segnò l'inizio di tante cose: le organizzazioni sociali,
le istituzioni morali, la religione"(11).
Come si è detto,
i figli erano animati da sentimenti ambivalenti e perciò dopo il delitto si
pentirono di ciò che avevano fatto e si impedirono l'incesto, come il padre
aveva comandato loro, e introiettarono in sé l'autorità paterna: "morto il Padre divenne più forte di
quanto fosse stato da vivo... ciò che egli aveva impedito con la sua esistenza
i figli se lo proibirono ora spontaneamente nella situazione psichica della
"obbedienza retrospettiva" che conosciamo bene attraverso la
psico-analisi. Rievocarono il loro atto dichiarando proibita l'uccisione del
sostituto paterno, il totem, e rinunciarono ai suoi frutti interdicendosi le
donne che erano diventate disponibili. In questo modo prendendo le mosse dal
loro filiale senso di colpa, crearono i due tabù fondamentali del totemismo,
che proprio perciò dovevano coincidere con i due desideri rimossi del complesso
edipico"(12).
A livello del
singolo appare ancora più chiaro, secondo Freud, come tale sentimento religioso
scaturisca dal complesso edipico(13).
Il bambino ha
bisogno di una immagine dilatata del padre, a cui riferire il suo bisogno di
superare il sentimento di colpa che prova nei riguardi del padre terrestre.
Freud afferma chiaramente che in ciascun
soggetto si nota lo stesso processo: "Dalla
ricerca psicoanalitica condotta sul singolo individuo risulta con particolare
insistenza che il Dio si configura per ognuno secondo l'immagine del padre, che
il rapporto personale con Dio dipende dal proprio rapporto con il padre
carnale, oscilla e si trasforma in lui, e che in ultima analisi, il Dio altro
non è che un padre a livello più alto"(14).
Così l'immagine
del padre celeste facilita la soluzione del complesso di Edipo. Essa risulta
così da un processo di sublimazione e di proiezione che nasce dall'Edipo ed è
funzionale a quello, funzionale allo sviluppo dell'io debole e infantile, come
quello delle società primitive. Un tale Dio deve essere rifiutato dall'uomo
adulto e liberato, conscio delle sue possibilità umane e dei suoi limiti(15).
1.c La
religione come illusione
Nel 1927 e 1930,
Freud si interroga con due opere fondamentali: "L'Avvenire di
un'Illusione" e "Il Disagio della Civiltà", sulla religiosità
dell'uomo adulto, nell'ambito di una più vasta analisi della situazione civile
della società umana e tende a dimostrare come le rappresentazioni religiose
siano parte dell'inventario psichico della civiltà, siano fondate sulla
rinuncia alla istintualità individuale e si costruiscano sulla base della
repressione e della frustrazione: "La
civiltà crea queste rappresentazioni religiose, la civiltà le mette a
disposizione dei suoi membri"(16).
La tesi
principale che Freud sostiene è che: "L'illusione
è la religione e che il suo avvenire è in realtà quello di non avere avvenire,
di scomparire dal bagaglio degli atteggiamenti umani man mano che la mentalità
infantile, delirante, pre -scientifica dell'uomo religioso cederà il posto alla
lucida acquisizione razionale di una vita ostile, ma reale, senza illusioni.
Man mano che nell'uomo verrà attuandosi il primato dell'intelletto che è
senz'altro in un futuro molto, molto lontano, ma probabilmente non
infinitamente lontano"(17).
La religione
quindi scaturisce da un desiderio intenso ed è stata creata dall'uomo per
soddisfare il proprio desiderio. Perciò Freud si augura che presto la scienza
riesca a smascherare la religione in quanto ostacolo al progresso e alla
libertà umana: "Tutte le dottrine
religiose sono delle illusioni perché è impossibile e proibito verificarle con
la realtà"(18).
Le
rappresentazioni religiose nascono per Freud dal disagio che l'uomo prova di fronte
alle grandi frustrazioni dell'umanità.
Queste si
possono riassumere nell'impotenza di fronte alle ostilità della natura, nella
legge del destino che sovrasta l'uomo, ed in particolare nella morte e nei
disagi inerenti allo stesso vivere sociale; nonché nel bisogno di rifugiarsi in
una immaginazione rassicurante.
La religione, di
conseguenza, assumerebbe questo compito: "Gli
Dei detengono la loro triplice funzione: esorcizzare i terrori della natura,
riconciliare l'uomo con la crudeltà del destino soprattutto quale si rivela
nella morte e compensare le sofferenze, le privazioni che la vita comunitaria
civile ha imposto all'uomo"(19).
L'uomo nelle
difficoltà della vita regredisce ad uno stadio di sviluppo infantile e si
figura l'esistenza di un Padre ingigantito (Dio) il cui rapporto, pur segnato
dall'ambivalenza del padre edipico, ispira fondamentalmente fiducia e
sicurezza.
Anche qui Freud
sottolinea la dipendenza della religiosità da quel momento precoce dello
sviluppo umano che è il Complesso di Edipo: "Il
desiderio ardente del padre coincide pertanto con il bisogno di protezione
contro le conseguenze della debolezza umana; la difesa contro l'insufficienza
infantile si riflette, con i suoi caratteri, nel modo di reagire dell'adulto
contro la fatale impotenza si riflette cioé nella formazione della
religione"(20).
Il richiamo al
"padre buono" è allora l'illusoria proiezione di un desiderio
infantile di fronte alle grandi difficoltà della vita, per cui la
rappresenta-zione religiosa per Freud "non
sono esiti dell'esperienza o il risultato conclusivo di un'attività di
pensiero, ma sono illusioni, appaga-mento dei desideri più antichi, più forti,
più pressanti dell'umanità. Il segreto della loro forza sta nella forza stessa
di questi desideri"(21).
1.d L'evoluzione
del pensiero di Freud sulla religione
Nell'ultima
opera sulla religione: "L'uomo Mosé e la religione monoteistica"
Freud continua a studiare la religione da un punto di vista sociale.
Gli Ebrei
assassinarono Mosé, egiziano e sacerdote monoteista, dopo che divenne loro
capo.In seguito lo divinizzarono ed avvertirono sensi di colpa e desideri di
espiazione, che tradussero in una religione caratterizzata da leggi rigide.
La supposizione
dell'assassinio di Mosé offre a Freud la possibilità di istituire un parallelo
fra l'origine della nevrosi nell'individuo e l'origine della nevrosi
nell'umanità: entrambe hanno in comune il parricidio e sono determinate dalla
religione. Come aveva già affermato,
anche qui ribadisce che la religione e la morale nascono dal senso di colpa.
E' ormai
assodato, tuttavia, che le affermazioni di Freud non hanno alcuna base
scientifica valida dal punto di vista antropologico. Lo stesso Freud riconosce
di non essere certo dei fatti in suo possesso ed in un primo tempo parla del
suo Mosé come di una novella storica.
E' importante
notare, però, che tutte le sue affermazioni fondamentali sulla religione
possono prescindere dalle novelle storico-antropologiche con cui sono state
collegate.
Lo stesso Freud
in ultima analisi afferma: "Potrei
dunque terminare e riassumere questa rapida ricerca rilevando che nel complesso
di Edipo si ritrovano i principi insieme della religione, della morale, della
società, dell'arte e ciò in piena conformità con i dati della psicoanalisi che
vede in questo complesso il nocciolo di tutte le nevrosi, per ciò che della
loro natura siamo riusciti finora a penetrare"(22).
E al tempo
stesso ammette che l'insieme di tutti gli elementi psicologici che
costituiscono una religione è sempre inadeguato, se non rende
contempora-neamente conto della profondità veramente unica del sentimento
religioso: "tutto ciò che concerne
la creazione di una religione presenta qualcosa di grandioso che forse le
nostre spiegazioni non hanno chiarito. Ad esso deve partecipare qualche altro
elemento che ha pochi analoghi e nessun parallelo: qualcosa di unico,
all'altezza di ciò che ne è derivato"(23).
In quest'opera
Freud fa un passo avanti nella sua riflessione sulla religione ed arriva a
riconoscere l'esistenza di un altro "elemento", ovvero di
"qualcosa di Unico" che caratterizza la religione.
"Non c'è da temere che la psicanalisi si lasci
indurre nella tentazione di far discendere da un'unica origine qualcosa di così
complesso come la religione"(24).
Pertanto
attestata l'esistenza di un elemento indicibile, la psicanalisi deve rinunciare
alla pretesa di dire tutto sulla religione e sulla sua origine ed è proprio a
questa conclusione che Freud giunge al termine della sua vita e della sua
ricerca sulla religione.
Di fronte ad una
religione che esaudisce così precisamente i desideri dell'uomo sull'esistenza
di un creatore del mondo, di una provvidenza benigna, di un ordine morale
universale e di una vita ultraterrena, Freud, che personalmente crede che tutta
la religiosità si riduca alla sua motivazione psicologica, si esprime con una
frase intrisa di scetticismo: "è
almeno molto strano che tutto ciò sia come non possiamo fare a meno di
desiderare che sia"(25).
In conclusione
allora si può dire che la religione per Freud è fondata sulla nostalgia di un
padre consolatore e sarebbe un delirante sistema di dottrine e di processi che
offre all'uomo un'interpre-tazione rasserenante del mondo, retto da una
provvidenza benevola, che tutto spiega e che a tutto viene incontro. Il perno
di questa illusione è la fissazione o regressione ad un infantilismo psichico.
La religione perciò sarebbe un freno ed un ostacolo alla maturazione
dell'individuo e della collettività, al progresso scientifico, allo sviluppo di
un maturo senso critico, alla ricerca della felicità umana(26)
Uno dei maggiori
esponenti della corrente umanistica, sorta in America negli anni del
dopoguerra, è G.W. Allport.
In tutta
l'abbondante produzione di questo autore, l'interesse religioso occupa un posto
di rilievo.
Secondo Ronco(27),
però, la religione costituisce oggetto di riflessione specifica e attenta
soprattutto nel periodo della maturità scientifica.
In particolar
modo Allport espone sistematica-mente la sua visione di una psicologia della
religione in "The Individual and His Religion" del 1950(28),
in cui affronta inizialmente il pregiudizio positivista che giudica indegno di
uno scienziato l'interesse per la religione, affermando "Gli psicologi ai quali si presume non ripugni alcun aspetto della
natura umana sono inclini a rinchiudersi in se stessi allorquando si affronta
siffatto argomento (...). Essi infatti si occupano del sesso con la franchezza
di un Freud o di un Kinsey, ma arrossiscono ed ammutoliscono quando sono in causa
i sentimenti religiosi. Qualsiasi autore di manuali psicologici riserva si e no
due paginette a questo assunto anche se la religione, come il sesso è un motivo
d'interesse pressoché universale per l'umanità"(29).
Secondo Allport le radici della religione
sono molteplici e profonde. Essa, infatti, appartiene all'ordine dei sentimenti
e come tale non può essere spiegata da un singolo fattore, da un singolo
istinto, da una singola emozione, poiché comprende "Una gamma differenziata di esperienze che possono essere
concentrate su un oggetto religioso"(30).
Le radici
psicologiche di quella esperienza vanno rintracciate nel disagio che la persona
avverte di fronte ai limiti posti alle sue capacità, e nel bisogno che essa ha di unificare la propria vita
intorno ad una "intenzione" generale che dia significato a tutta
l'esistenza. La religione diventa così per Allport motivo unificatore della
vita di un individuo.
E
"l'intenzionalità"(31), come ha un ruolo
importante nello studio della personalità, così ha ripercussioni decisive nello
studio del sentimento religioso.
Il sentimento
religioso è posto da desideri che sono conseguenze non solo di semplici
impulsi, ma anche di situazioni orientate (la tensione verso un mondo migliore,
la perfezione personale, la relazione gratificante con il mondo), nelle quali
confluiscono aspetti dell'intelletto e del pensiero.
La religione
appartiene, di conseguenza, a quelle caratteristiche della personalità che sono
"funzionalmente autonome" e che hanno un potere motivazionale proprio,
pur essendo derivate da fattori biologici e condizionamenti ambientali: "La concezione religiosa è sommamente
derivata quanto alle sue origini. Nata dal tumulto organico del desiderio
egoistico, nella interpretazione finale subisce non di meno un'ampia
trasformazione. Come una quercia nella propria crescita frantuma ed elimina la
ghianda, da cui ha tratto il proprio nutrimento. La vitalità che acquisisce
diventa autoritaria al di là dei motivi da cui nacque"(32).
In un'altra
opera afferma ancora: "La
personalità matura non edificherà quindi la sua religione traendola da qualche
frammento della sua vita emotiva, ma ricercherà una teoria dell'essere in cui
tutti i frammenti siano ordinati in modo significativo. Perciò non possiamo
conoscere la natura del sentimento religioso ad un livello evoluto
richiamandoci alle sue molteplici origini empiriche. Non si tratta
semplicemente di un atteggiamento di dipendenza, di un rivivere situazioni
tipiche della famiglia e dell'ambito culturale in genere (...) nella sua
maturità il sentimento religioso è la sintesi di questi e di molti altri
fattori, costituenti tutti un atteggiamento comprensivo la cui funzione è di
porre in rilievo l'individuo con la totalità dell'essere"(33).
Questa
concezione non dispensa evidentemente da una adeguata analisi dei
condizionamenti psichici e sociali della religiosità, anzi essa si impone
perché si possa discernere l'autentico atteggiamento religioso da parvenze
religiose di origine infantile e nevrotica.
In concreto,
secondo Allport, la religione soggettiva si determina in funzione di quattro
elementi da cui trae la sua origine costitutiva: "La religione dell'individuo è stata derivata: a) dalle sue
necessità corporee, b) dal suo temperamento e capacità mentale, c) dai suoi
interessi e valori psicogenici, d) dalla sua ricerca di spiegazione naturale e
dalla sua risposta alla cultura- ambiente"(34).
Ciascuno di
questi fattori costitutivi può essere analizzato singolarmente, ma solo la loro
sintesi dà origine al sentimento religioso.
Per Allport
nella vita di un individuo è importante considerare la funzione del desiderio
attorno a cui orbita tutta la vita e individuare i desideri fondamentali (in
particolare: cibo, acqua, abitazione, ecc.)(35).
In molti soggetti
il sentimento religioso riemerge quasi d'improvviso, quando la vita diventa
precaria ed il pericolo sembra incombere: "La
consapevolezza religiosa è avvertita solitamente nei periodi critici della vita
nei quali il desiderio è più intenso. Molti sono religiosi solo nei periodi di
crisi"(36).
Nella religione
allora possiamo mettere a fuoco i vari motivi e desideri di una vita
inappagata. Tali desideri, poi, possono anche determinare la stessa concezione
di Dio, come abbiamo già visto in Freud e così come Allport afferma: "E' inutile esaurire l'elenco dei
desideri concorrenti. La loro molteplicità è indicata dalle varianti concezioni
delle divinità possedute dagli individui e da un solo e medesimo soggetto in
diversi periodi cronologici"(37).
E a tale proposito
ancora aggiunge: "Gli attributi
divini si conformano chiaramente al panorama del desiderio, sebbene l'individuo
di rado sia consapevole che il suo accostamento alla divinità è determinato dai
suoi bisogni del momento"(38).
Per Allport la
religione dipende anche dal temperamento di una persona, in quanto la realtà
personale può incidere sensibilmente sulle credenze, gli atteggiamenti, i riti
collegati a quella esperienza.
Ciò, secondo
Allport, è confermato dal fatto che mentre la vita di alcuni uomini trascorre
all'insegna della sofferenza e della melanconia, quella di altri è
contraddistinta dalla fiducia e dall'ottimismo; gli uni sottolineano gli
aspetti più sinistri di tutto ciò in cui si imbattono e colorano il loro
sentimento religioso con il loro senso di abbandono disperato, gli altri invece
propendono a conservare una visione ottimistica anche nei momenti di
vicissitudine: "Tanto i soggetti
melanconici, quanto gli euforici possono essere interessati all'iniquità della
vita e cercare una modalità religiosa per correggerla, ma le loro strade
saranno separate. Le loro preferenze teologiche e ritualistiche saranno
differenti, secondo le soglie emozionali, la qualità dello stato d'animo
prevalente, la tendenza ad espiare e rafforzare il sentimento"(39).
Ed aggiunge
ancora che: "Le radici della
religione situata nel temperamento sono comprese solo scarsamente"(40) e che tale terreno resta ancora
inesplorato dalla psicologia.
Allport
distingue tra desideri 'viscerogenici' concernenti il corpo e altri
'psicogenici', che trascendono i limiti
corporei e sono di natura differente.
I primi
forniscono delle soddisfazioni organiche e se vengono ostacolati possono
stimolare indirettamente il desiderio religioso; i secondi sono oggettivati
perché si riferiscono alla verità, al bene, al bello: "orbene a qualunque cosa che produca una soddisfazione o per cui
un uomo può raggiungerla, diamo il nome di valore. I valori viscerogenici o
corporei precedono cronologicamente i valori psicogenici o spirituali poiché
perveniamo gradualmente a considerare la bontà, la bellezza, la verità, la
santità, come categoriali. Esse esistono fuori di noi, in un dato campo di
essenze e determinano gli oggetti verso i quali è diretta gran parte del nostro
sforzo"(41).
Non tutti gli
interessi psicogenici sono poi socialmente o spiritualmente appetibili: "I mondi dell'arte, delle scienze, come
pure l'universo sociale attorno a noi sono implicati nella produzione di
valori, capaci tanto di appagarci, quanto di allargare il nostro orizzonte.
Diventiamo solleciti a che nessun valore perisca (...); siffatta linea di
pensiero condusse l'Hoffding a sostenere che tutta la religione è maturata dal
desiderio del singolo di conservare il valore. Ciò che egli desidererà
conservare, dipende dai suoi bisogni che variano da individuo a individuo, da
nazione a nazione, da momento a momento"(32).
La religione
nasce allora dal bisogno di custodire e diffondere i valori proprio nel momento
in cui gli stessi vengono minacciati e assolve ad un compito di conservazione: "avviene quindi che in condizioni di
paura, di malattia, lutto, colpa, privazione, insicurezza, si ricerca
abitualmente il ripristino dei valori per il tramite della religione"(33).
Mentre i tre
fattori sopra esaminati si riferivano all'aspetto emozionale, la ricerca del
significato si riferisce all'aspetto poetico dell'uomo. Va, tuttavia, precisato
che nella psicologia umanistica di Allport, la vita mentale deve essere intesa
come una realtà composita, intessuta di sentimento e di ragione, di cognizione
e di affetto.
Per Allport il
sentimento religioso possiede un particolare valore esplicativo e offre una
visione del mondo serena e coerente: "ne
consegue che la religione soggettiva, come tutti i sentimenti normali, deve
essere vista come un miscuglio indistinguibile di emozione e ragione, di
sentimento e di significato"(44).
L'uomo va alla
continua ricerca di un significato da dare alla sua vita e si pone degli
interrogativi a cui non riesce a trovare risposte.
Per molti allora
la religione potrebbe nascere dal bisogno di trovare una conoscenza completa di
una verità esaustiva, che soddisfi i propri interrogativi esistenziali.
Afferma a tale
proposito Allport: "Ci avvediamo ben
presto che i nostri desideri frustrati non sono soddisfatti in nessun modo,
letterale o diretto attraverso la religione. Il cibo, le bevande, la dimora
terrestre, sono ancora necessari per sopravvivere; la giustizia, la bellezza,
la verità, sono ancora tutt'ora oggetto di ricerca; eppure ci domandiamo perché
abbiamo siffatto desiderio, quale sia lo scopo del ricercarne il
soddisfacimento, in definitiva a che cosa miri tutto ciò. Nella vita di molti
domande simili sono assai insistenti e la curiosità che provocano, come l'edera
rampicante, imperiosamente richiede un sostegno"(45).
La propensione
razionalizzante insita nel sentimento religioso, secondo Allport, non può
essere assimilata al pensiero prelogico
dell'uomo primitivo, come alcuni
hanno fatto, altrimenti rimangono insoluti molti problemi della nostra civiltà:
"se il pensiero religioso fosse
identico a quello prelogico non potremmo rendere ragione di molti fatti
nell'evoluzione della nostra cultura. La storia ci mostra che con un numero
relativamente basso di eccezioni, le stesse istituzioni religiose hanno
favorito l'incremento della logica, della matematica, del metodo
scientifico"(46).
Un esempio
potrebbe essere il problema della creazione e della esistenza del male, che
interessa il pensiero religioso di un gran numero di individui: "Gli scopi della creazione e del male
sono problemi appaiati di significato che attraverso le età sono stati
assegnati ai sistemi religiosi per la loro soluzione. Virtualmente in ogni
esistenza questi problemi coesistono l'uno accanto all'altro"(47).
Accanto poi a
questa tendenza all'intelligibilità, palese in tutti i processi mentali e che
sollecita il soggetto a cogliere significati e soluzioni, nonostante le
antitesi e le asperità, ritroviamo altrettanto forte l'inclinazione
all'ottimismo, in virtù della quale l'uomo continua a sperare, a vivere e a
fare progetti. Intelligibilità e ottimismo diventano, per molti, i motivi su
cui costruire se stessi ogni giorno: "Fino
a tanto che l'individuo non trova una soluzione approssimata o parziale a
questi problemi molesti la sua intera vita è spostata sino ad un certo punto
nella direzione dell'intelligibilità e dell'ottimismo"(48).
Tale visione va
al di là di una tipica visione religiosa della vita. Indipendentemente dal
nostro credere o non credere, siamo propensi a stereotipare il mondo in cui
viviamo, e l'individuo religioso, non meno di quello non religioso, fa progetti
per un approdo felice della propria vita: "così
vediamo perché sia errato far risalire l'origine della ricerca religiosa al
desiderio di fuga dalla realtà. E' vero che la religione tende a definire la
realtà come congeniale alle forze e alle aspirazioni dell'individuo, ma così fa
anche ogni principio attivo che sostiene lo sforzo umano"(49).
In conclusione,
Allport ribadisce la singolarità del sentimento religioso rispetto a tutti gli
altri: l'eterogeneità delle sue origini e l'incidenza differente che esercita
sulla vita degli individui. Tale complessità non deve stupire nessuno ed è a
causa di essa che dobbiamo poi attenderci le maggiori discordanze
sull'argomento.
Secondo lo
psicologo americano una simile conclusione, se ben compresa, sarà di giovamento
non solo ai cultori delle scienze positive, ma anche ai teologi, purché siano
disposti a riconoscere che l'esperienza religiosa presenta in ciascun credente
aspetti inconfondibili: "L'atteggiamento
religioso soggettivo di ogni individuo, nei suoi aspetti tanto essenziali,
quanto accessori, è diverso da quello di qualunque altro. Così numerose sono le
radici della religione, così molteplice il peso del loro influsso sulla vita
dei singoli, così infinite le forme d'interpretazione razionale che
l'uniformità del prodotto risulta impossibile (...) giacché poi nessun campo della
personalità è soggetto ad uno sviluppo più complesso di quanto non sia il
sentimento religioso, proprio in questo settore dobbiamo attenderci di reperire
le divergenze ultime"(50).
Come non esiste
nessun modello comune di contenuto nell'esperienza religiosa soggettiva, così
non esiste un'origine comune del sentimento religioso ed un sostegno
psicologico all'idea di un unico e specifico istinto religioso.
"Così numerose sono le radici della religione
così molteplice il peso del loro influsso sulla vita dei singoli, così infinite
le forme di interpretazione razionale, che l'uniformità del prodotto risulta
impossibile"(51).
Il sentimento
religioso fa dunque riferimento alla religione soggettiva ed è la modalità di
risposta personale dell'individuo alla religione. Esso varia enormemente da
persona a persona ed assume forme diverse: "In alcuni uomini è frammentario, superfi-ciale, addirittura vacuo; in
altri è profondo, dilagante, saldamente ancorato all'intera struttura
dell'essere. Il sentimento religioso varia non soltanto in profondità e
ampiezza bensì anche nel suo contenuto e nelle sue modalità operative. In
effetti giacché ogni personalità è unica, il sentimento religioso nella vita di
ognuno deve assumere una forma irripetibile"(52).
3. Freud ed Allport a confronto
Possono le
posizioni di Freud e di Allport, riguardo all'origine del sentimento religioso,
integrarsi e completarsi a vicenda?
In primo luogo,
va annotata la visione di uomo sottesa ai due autori. Entrambi partono dal
comune presupposto che non vi è distinzione tra la persona malata e la persona
sana, anche se poi approdano a conclusioni differenti.
Freud stesso
dichiara di aver indagato sull'uomo comune e non solo sulle persone malate."Il mio scritto l'Avvenire di
un'Illusione, verteva assai meno sulle fonti più profonde del sentimento
religioso che su ciò che l'uomo comune intende per religione"(53).
In questo studio
"sull'uomo comune", Freud è interessato tanto all'uomo nevrotico,
quanto al sano, anche se poi ha considerato come normale la religiosità vissuta
nelle sue forme patologiche e inadeguate.
D'altra parte
Allport, contesta che la condotta religiosa sia tipica della struttura della
personalità patologica, immatura e incompleta. E ammette al tempo stesso che ci
possono essere situazioni in cui la religione coalizza determinati disturbi
psichici, servendo così da sfogo alle personalità anormali.
"A questo proposito dobbiamo respingere
l'opinione secondo cui tutti gli impulsi religiosi di una vita sono infantili,
regressivi o meccanismi di evasione, anche se non vi sono dubbi che una tale
religione estrinseca esista"(54).
Freud e Allport
si sono posti il problema di indagare sul sentimento religioso per purificarlo
dai condizionamenti psichici e sociali, al fine di recuperare un autentico
atteggiamento religioso.
"La lotta iconoclasta della psicanalisi può
essere assunta come un utile strumento di purificazione della fede. Scoprendo
le radici meramente psicologiche della religiosità infantile, mette in guardia
contro l'inadeguatezza di una condotta religiosa non maturata, attraverso il
progressivo superamento della problematica infantile. In tal modo Freud ci
mette sulla strada per scoprire quanto vi sia di psicologicamente inadeguato in
molte condotte religiose segnate dal narcisismo e dagli esiti negativi
dell'Edipo"(55).
Ed ancora
riguardo ad Allport si può notare che: "Questa
concezione della religione non dispensa evidentemente da un'adeguata analisi di
condizionamenti psichici e sociali della religiosità, anzi impone una tale
analisi perché si possa sceverare l'autentico atteggiamento religioso, come
ricerca del significato ultimo dell'esistenza, da parvenze religiose di origine
infantile o nevrotica"(56).
In secondo
luogo, va rilevata la modalità con cui
il sentimento religioso si inserisce nella persona considerata nella sua
totalità e globalità. Le due posizioni, proprio perché sottolineano momenti
diversi dello sviluppo della personalità, possono integrarsi tra loro in una
prospettiva di continuità.
Mentre lo studio
di Allport è più indirizzato alla religiosità matura ed è meno attento al
discorso dell'origine psicologica, quello di Freud insiste sull'aspetto
genetico ed indaga in modo particolare sulla religiosità infantile.
"Tale approccio di Allport sembra pertanto
carente quando si applica allo studio dell'origine psicologica della religione
e ciò sarà ancora più evidente quando si confronterà questo tipo di analisi con
il discorso portato avanti dalla psicanalisi, per la quale l'origine spiega la
natura e la funzione della condotta religiosa. Allport invece sottovaluta
questo momento genetico privilegiando il concetto di autonomia funzionale"(57).
Sottolineando
però il concetto di autonomia funzionale, Allport non esclude il momento
genetico, cerca solo di superare delle interpretazioni restrit-tive della
psicanalisi, che tende a valutare la religiosità solo in base a significati
originari riferiti al periodo infantile. Sostiene, invece, l'esistenza di una
radicale trasformazione con l'apparire degli stadi di sviluppo più avanzati e
perciò rifiuta l'interpretazione della religione in termini di infantilismo
fissato o regredito: "nessun campo
della personalità è soggetto ad uno sviluppo più complesso di quanto non sia il
sentimento religioso"(58).
Ed ancora in
'Divenire' afferma: "L'errore della
concezione psicanalitica della religione consiste nel collocare la fede
religiosa esclusivamente nelle funzioni difensive dell'io anziché nella parte
più intima e centrale nella sostanza dell'io in processo di sviluppo"(59).
D'altro canto,
però, anche per Freud lo sviluppo religioso rientra nella globalità evolutiva
dell'indi-viduo, specialmente a livello inconscio.
"Freud è pertanto incline a considerare la
religiosità come un movimento evolutivo normale, legato a modi essenziali dello
sviluppo ed orientato in modo prevalente illusorio" ed ancora aggiunge che
"occorre fare una precisazione sul carattere globale dello sviluppo
religioso: esso non è qualcosa di specifico entro lo psichismo umano, ma è
legato agli stessi processi di sviluppo che caratterizzano la crescita
psicologica (...); la religiosità è funzione di tutti i processi che tracciano
l'uomo in via di crescita"(60).
Freud quindi non
esclude un discorso di sviluppo religioso, anche se sottolinea maggiormente
l'aspetto genetico e si sofferma su una particolare fase della crescita, la
fanciullezza. In tal senso, si può dire che le posizioni in linea dei due
autori sono molto vicine e si completano a vicenda, anche se ciascuno
privilegia, nell'analisi, specifici aspetti.
Anche in ordine alla
definizione ed origine del sentimento religioso possono essere rintracciati
motivi per integrare le due posizioni.
Per Freud
all'origine del sentimento religioso esistono solo fattori biologici o ambientali o inconsci; per Allport invece
esistono anche fattori di natura cognitiva culturale e spirituale.
"Perciò non possiamo conoscere la natura del
sentimento religioso ad un livello evoluto richiamandoci alle sue molteplici
origini empiriche (...) nella sua maturità il sentimento religioso è la sintesi
di questi e molti altri fattori costituenti tutti un atteggiamento comprensivo
la cui funzione è di porre l'individuo con la totalità dell'essere"(61).
In questa
prospettiva, nella definizione di sentimento religioso che ne deriva, assumono
particolare importanza anche le componenti cognitive e vengono respinte le
pregiudiziali psicoanalitiche che assegnano invece la preponderanza nello
spiegare l'origine della religiosità e la sua funzione solo a fattori affettivi
e per lo più inconsci.
CONCLUSIONI
Anche se diversi
tra loro,si può dire che esiste la
possibilità di “conciliare” le posizioni dei due orientamenti,espressi
rispettivamente da S. Freud e G.W. Allporrt, che si collocano in una linea di
continuità e di reciproca integrazione.
Il fatto che Freud
privilegi la dimensione emotiva e affettiva, soprattutto nei suoi risvolti
patologici, non significa che escluda del tutto e a priori quelli
cognitivi. Lo stesso può dirsi di
Allport, anche se costui è più
esplicito ed orienta la sua riflessione
prevalentemente su situazioni, per così dire, di normalità. In tal senso le due
posizioni, lungi dal contrastarsi e dall’escludersi a vicenda, si integrano, si
equilibrano e contribuiscono ad una più completa e profonda conoscenza
dell’origine, natura ed espressione del sentimento religioso.
Il merito di
Freud è quello di aver evidenziato che la religione nelle persone può assumere
funzioni diverse da quelle che le sono proprie. Proprio perché il sentimento
religioso non è qualcosa di specifico entro lo psichismo umano, anche se legato
agli stessi processi di sviluppo che
caratterizzano la crescita psicologica , la religiosità si
configura come una possibilità,
inscritta nelle molteplici alternative,che il soggetto può avere per risolvere
i suoi problemi .
Il merito di Allport è quello di aver recuperato la religione come capace di favorire lo sviluppo della personalità. Se infatti il sentimento religioso pervade tutte le dimensioni della persona, la religione è al tempo stesso spinta alla crescita ed è espressione di maturazione.
Il confronto può
continuare su altri aspetti dello stesso problema e certamente produrrà
interessanti risultati se, in fase di analisi, le persone riusciranno a ridurre
gli effetti della tendenza, abbastanza diffusa, ad accentuare le differenze,
che pur esistono e sono una risorsa, e a lasciarsi sfuggire le somiglianze e,
comunque, gli spunti concordanti.
0 CARLO LAVERMICOCCA, professore
incaricato di psicologia della religione nell’ISSr di Bari.
Articolo pubblicato in , “ Odegitria” Annali ISSR – Bari anno VIII-2001 pp.84- 104
(1) VERGOTE A., Psicologia
religiosa, Torino, 1967, p.20.
(2) Ibid., p.27.
(1) Azioni ossessive e pratiche religiose (1907) Toteme Tabù (1913) Il Mosé di Michelangelo (1914) L'Avvenire di un'Illusione (1927) Una esperienza religiosa (1928) Mosé e il Monoteismo (1929). Altre opere contengono ampie parti dedicate a problemi religiosi come: I disagi della Civiltà (1930) Prefazione a Problemi di psicologia religiosa del dott.Th.Reick (1919) Lettere al Dr. O.Pfister (1909-1939) Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci (1910).
(2) JONES E., Vita e Opere di Freud, trad. it. di A. NOVELLETTO, Il Saggiatore, Milano, 1964, Vol.III, pp.413-423.
(3) FREUD S., Psicanalisi e fede, carteggio col pastore Pfister, trad.it. di D. SILVANO, Boringhieri, Torino, 1970, p.17.
(4) FREUD S., L'Avvenire di un'Illusione, in Opere, Boringhieri, vol.X, Torino, p.467.
(5) FREUD S., Azioni Ossessive e Pratiche religiose, in Opere, Bo-ringhieri, Torino, vol.V, p.341.
(6) Ibid., p.349.
(7) Ibid., pp.347-348.
(8) ZUNINI G., Homo Religiosus, Il Saggiatore, Milano, 1966, p.21.
(9) FREUD S., Un ricordo d'Infanzia di Leonardo da Vinci, in Opere, Vol.6, pp.262-263.
(10) Altre ipotesi sono ricavate da Atkinson, Robertson, Smith, Frazer e altri.
(11) FREUD S., Totem e Tabù, in Opere, vol.7, pp.145-146.
(12) Ibid., p.147.
(13) Il complesso edipico definisce nella teoria freudiana il
com-plicato nodo di dinamiche psichiche che si instaurano nei rapporti tra
genitore e figlio intorno al terzo anno di età e che è destinato a segnare in
maniera definitiva la strutturazione della personalità. A quell'età, il bambino
comincia a percepire la figura paterna come un fattore disturbante della sua
relazione unica e tendenzialmente esclusivista con la madre, La libido che
finora si era canalizzata liberamente sull'oggetto materno, seguendo unicamente
il principio del piacere, trova un ostacolo e un limite nel padre. Questi è più
potente del bambino, ed è prima di lui nel possesso affettivo della madre. Il
figlio avverte la sua impotenza ed è costretto, con profonda frustrazione, a
piegarsi al principio del reale, riconoscendo nel padre una superiorità che gli
interdice la libera espansione delle sue cariche libidiniche. Il bambino si
trova così in una situazione ambivalente rispetto al padre. Da una parte lo ama
e lo ammira, in quanto incarna e realizza ciò che vorrebbe essere, dall'altra
lo odia, in quanto lo obbliga a reprimere la libido. In questa situazione di
amore-odio, il padre è percepito contemporaneamente come legge ed ideale,
limite e modello di sviluppo, fonte di castrazione attuale e di realizzazione
futura.
Cfr. MILANESI G., Psicologia, Psicanalisi e fede, Dehoniane, Bologna, 1992, p.79.
(14) FREUD, Totem e Tabù, op.cit., p.150.
(15) MILANESI, Psicologia, psicanalisi, fede, op.cit., p.80.
(16) FREUD S., Avvenire di un'Illusione, op.cit., p.451.
(17) Ibid., p.482.
(18) Ibid., pp.456-459 Freud chiarisce cosa intende per illusione e precisa
che illusione non è necessariamente un errore: "una illusione non è la
stessa cosa di un errore e non è necessariamente un errore (...).
Caratteristica dell'illusione è il suo derivare dai desideri umani, sotto
questo profilo essa si avvicina alle idee deliranti note alla psichiatria,
differisce tuttavia anche da queste (...). L'illusione non è necessariamente
falsa, cioé irrealizzabile o in contraddizione con la realtà". Ed aggiunge
sulla base di tale orientamento che "le dottrine religiose sono tutte
illusioni indimostrabili e che non può essere costretto a considerarle vere e a
crederci (...) e come sono indimostrabili sono anche inconfutabili". Cfr. ibid.,
pp.460-461.
(19) FREUD, Avvenire di un'Illusione, op.cit., p.448.
(20) Ibid., p.454.
(21) Ibid., p.461.
(22) FREUD S., L'uomo Mosé e la religione monoteistica, in Opere, Vol.X, p.221.
(23) Ibid., p.445.
(24) FREUD, Totem e Tabù, op.cit., p.105.
(25) Ibid., p.463.
(26) FIZZOTTI E., Verso una
psicologia della religione, EllediCi, Torino, 1992, Vol.I, p.132.
Del resto che la religione potesse ridursi ad un tentativo di risposta illusoria ai desideri umani era stato già affermato da Freud in "Psicopatologia della Vita quotidiana", dove sostiene che gran parte della concezione mitologica del mondo, che si estende diffondendosi sino alle religioni più moderne non è altro che "psicologia proiettata sul mondo esterno" (p.279) e prima ancora in una lettera a Fliess del 12 Dic. 1887, dove asserisce che l'immortalità, la ricompensa eterna, l'aldilà non sono altro che dei prodotti, dei desideri della psiche e che costituiscono una "psico-mitologia".
(27) RONCO A., introd. a: G.W.Allport, Psicologia della personalità, Las Roma, 1977, p.XXII.
(28) ALLPORT G.W., L'individuo e la sua religione, trad.it. di N. Galli, La Scuola, Brescia, 1985.
(29) Ibid., p.46.
(30) Ibid., p.46.
(31) Nota: Con il termine 'intenzionalità' Allport denota la prospettività
delle tendenze ed è appunto in ciò la differenza tra la sua posizione e quella
dei maggiori psicologi contemporanei.
Per Allport l'intenzione rappresenta una forma di motivazione imprenscindibile nello studio della personalità. Essa implica processi intellettivi ed emotivi convergenti in uno stimolo integrale, un dinamismo capace di orientare il soggetto al futuro, una tensione indotta da uno scopo a lungo termine, la presenza di caratteristiche essenziali, nella cui scia si possono meglio intendere quelle elementari.
(32) Ibid., p.126.
(33) ALLPORT G.W., Divenire, trad.it. di G. Tassinari, Ed. Univer-sitaria, Firenze, 1963, pp.132-133.
(34) L'individuo e la sua religione, op.cit., p.55.
(35) Cfr., ZUNINI G., G.W.ALLPORT, Le radici della Religione, trad. it. di G. Zunini, in Orientamenti pedagogici, 1957, 4, pp.158-174.
(36) ALLPORT, L'individuo,
p.57.
(37) Ibid., p.57.
(38) Ibid., pp.57-58.
(39) ALLPORT, L'individuo,
p.59.
(40) Ibid., p.60.
(41) ALLPORT, L'individuo, op.cit., p.63.
(42) Ibid., pp.63-64.
(43) Ibid., p.64.
(44) Ibid., p.69.
(45) Ibid., p.66.
(46) Ibid., p.69.
(47) Ibid., p.71.
(48) Ibid., p.71.
(49) Ibid., p.73.
(50) Ibid., p.78.
Nota: A riguardo dell'influenza della cultura all'origine della religione Allport sostiene che: "il conformarsi della cultura specialmente nel periodo della fanciullezza è effettivamente una importante origine della ricerca religiosa. Dappertutto la formazione sociale guida il fanciullo a trasformare il rito tribale in abitudini personali"(74) ma aggiunge che: "la persona che si adegua ad una consuetudine religiosa lo fa per ragioni sue particolari e desume dalla propria conformità un significato speciale per la sua vita individuale"(78).
(51) ALLPORT, L'individuo..., op.cit., p.78.
2) Ibid., p.273.
(53) FREUD, Il disagio della civiltà, op.cit., p.566.
(54) ALLPORT, Psicologia della personalità, op.cit., p.258.
(55) MILANESI, Psicologia della religione, op.cit., p.88.
(56) RONCO A.,Introduzione a: Psicologia della personalità, op.cit., p.XXII.
(57) MILANESI, Psicologia della religione, op.cit., pp.32-33.
(58) ALLPORT, L'individuo.., op.cit., p.78.
(59) ALLPORT, Divenire, op.cit., p.134.
(60) MILANESI, Psicologia..., op.cit., p.48.
(61) ALLPORT, Divenire, op.cit., pp.132-133.