San Marco in Lamis, un paese tutto da scoprire, è situato nella valle del torrente Jana: una conca carsica, lungo la "Via Sacra Langobardorum" tra il santuario di S. Maria di Stignano ed il convento di San Matteo già monastero di San Giovanni de Lama. Le origini della città risalgono al nono secolo per opera di pastori che erano riusciti a trovare rifugio tra le paludi (lamae) della zona per sfuggire alle incursioni dei saraceni. Fin qui la tradizione, ma le origini documentate risalgono al sec. XI, nel periodo di maggiore espansione della badia e del dissodamento delle terre operato dai benedettini di San Giovanni in Lamis. Il nome di San Marco de Lama compare per la prima volta in un diploma bizantino, emanato dal normanno conte Enrico nella seconda metà dell'anno Mille, e precisamente nel 1095. Il casale di San Marco è riconosciuto dipendenza feudale del vicino e potente monastero. Nei secoli successivi, le fonti non segnalano nulla di rilevante fino al 1559, quando per opera dell'abate commendatario di San Giovanni in Lamis, Vincenzo Carafa, sulla base di un precedente atto notarile del 1537, vengono riconosciuti e concessi con un regolamento i diritti civili ai cittadini di San Marco. Questo documento, importante per la storia futura del casale, è riprodotto su lastre di pietra situate attualmente in un corridoio del palazzo municipale. Esso non sancisce soltanto il riconoscimento delle giuste rivendicazioni della universitas sammarchese, ma rappresenta "una rilevante pagina di diritto feudale", che contempla il rispetto dei più elementari diritti di una comunità e la disciplina dell'esercizio degli usi civici (la raccolta delle ghiande e della legna secca nella Difesa, il pascolo e l'abbeveraggio degli animali al Cutino, la facoltà di portare a casa un "ceppone" per il Natale, l'autorizzazione del mercato periodico). Altro merito storico da ascrivere ai Carafa è la cessione del convento ai Frati Minori nel 1578 con una convenzione approvata dal Papa Gregorio XIII. Il contemporaneo trasferimento della sede badiale dal convento a San Marco in quel palazzo badiale ("lu Trone"), dove oggi ha sede il Comune, pone le basi dell'autonomia del paese. Anche Innocenzo XII, al secolo Antonio Pignatelli (1615-1700), fu abate Commendatario del nostro paese proprio prima di ascendere al soglio pontificio. Nel 1782, essendo abate N. Colonna, la badia è dichiarata di regio patronato con l'allontanamento degli abati commendatari; nel 1793 diventa città con regio diploma. Di questo periodo storico è da ricordare Francesca De Carolis, che dà il nome alla nostra scuola. I fatti, documentati attraverso gli scritti storici locali, sono i seguenti; si diffuse la notizia che a Napoli il 23 gennaio 1799, era stato issato il Tricolore (nel Castel Sant'Elmo) e fu proclamata la Repubblica. Sorsero delle Repubbliche satelliti nella Puglia e Basilicata ad opera di Giacobini locali, sotto la spinta delle armate rivoluzionarie e modellate sull'esempio francese. Dopo la fuga da Napoli in Sicilia di Ferdinando IV e Maria Carolina, fu innalzato sulle piazze di vari paesi della Puglia e della Basilicata, l'albero della libertà. Numerosi gli episodi di eroismo misti a violenza tra coloro che combattevano per la libertà e la Repubblica e quelli che, sorretti da eserciti russi, inglesi, turchi, austriaci, miravano al ripristino dell'Ancien Regime. In questo clima si inserisce l'azione di Francesca De Carolis, nobile figura di eroina che accettò di pagare con l'estremo sacrificio della vita la propria incrollabile fede nella libertà. Nacque in San Marco in Lamis il 5.12.1754 da un'agiata e notabile famiglia, andò sposa all'avvocato Scipione Cafarelli di Tito in provincia di Matera. All'epoca dei fatti di cui sopra, l'avvocato Cafarelli era sindaco della municipalità di Tito. Ma la repressione fu terribile. Il Cafarelli riuscì a rifugiarsi con alcuni amici a Piceno, mentre la moglie Francesca venne catturata e condannata a morte per essersi rifiutata di fornire notizie sui suoi familiari. Trascinata in piazza dove vide la testa del figlio Giuseppe infilata su di una picca, se avesse gridato "viva il re", le sarebbe stata commutata la pena. Ma ella, salda nella sua convinzione, tornava a gridare "viva la Repubblica" e veniva fucilata. Nel 1954, bicentenario della nascita, il Comune di San Marco in Lamis faceva scoprire una lapide sulla facciata della casa dove si presume che ella nacque. Fu eroina, assieme alle più ben note Eleonora Pimentel e Luisa Sanfelice, vittime della repressione operata a Napoli. Nel secolo XIX sono da ricordare la presenza di un'attiva "vendita" carbonara, le lotte contadine per l'occupazione delle terre (1847-48), le complesse e contraddittorie vicende connesse al plebiscito unitario del 1860, il fenomeno del brigantaggio. Anche il nostro paese, all'indomani della conquista garibaldina del Sud, visse il grave disagio e il degrado morale e civile come conseguenza del processo di unificazione nazionale. All'epoca più di due terzi della popolazione, circa 12.000 abitanti, era dedita alla lavorazione dei campi e ben presto un'ingente massa analfabeta e diseredata divenne strumento di lotte nelle mani di prepotenti borbonici e decisi preti locali da aizzare contro il giovane governo liberale. Il giorno in cui il Sindaco, attraverso un bando affisso per le vie del paese invitava, per il ripristino della legalità, a rinunciare all'occupazione abusiva di terre, pene severe per i sovversivi, il paese divenne teatro di violenti e sanguinosi scontri. Un clima di paura, di terrore e diffidenza dominava nel paese. Indetti i comizi per procedere al plebiscito nessuno si presentò, in quanto molti briganti istigati dai signori si erano appostati nelle vicinanze del municipio con l'intento di scoraggiare la partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Regnava un completo stato d'assedio: le vie principali e le uscite del paese erano controllate da soldati impedendo a tutti i cittadini di uscire dalle proprie case. La lotta tra le forze militari e i ribelli nei boschi, nelle campagne e sulle montagne fu cruenta e feroce, facendo registrare, nell'arco di un anno, un calo demografico di quattrocento unità. Per reprimere lo sconcertante fenomeno sempre più acuto anche per aiuti e soccorsi esterni, il governo inviò dai comuni vicini rinforzi militari ai liberali sammarchesi, costruendo addirittura una strada rotabile tra San Severo-San Marco in Lamis per favorire l'arrivo delle truppe; deciso a reprimere con ogni mezzo i briganti, stanchi, sfiduciati e privi anche dell'appoggio di cittadini, promise taglie a chi avesse consegnato vivo o morto Nicandro Polignone, il più feroce e risoluto tra i briganti. Certamente con il passare dei giorni le perlustrazioni e i controlli divennero più incessanti e proficui per i vili tradimenti o amicizie ambigue di alcuni briganti, come la cattura di Angelo Villani alias "Récchie-muzze", considerato l'ultimo spietato brigante. Sono da ricordare anche le epidemie di colera del 1837, 1865 e 1886: in quest'ultima occasione alla locale Associazione della Croce Rossa fu conferita la Medaglia d'oro dell'allora Ministro dell'Interno Francesco Crispi. Nell'ultimo scorcio del XIX secolo questa terra ha dato manodopera bracciantile agli Stati Uniti ed al Canada. La crisi sempre più crescente della piccola agricoltura e dell'artigianato ha costretto ancora tanti lavoratori ad espatriare in Australia o nei paesi più a nord del "Vecchio Continente". Popolarono New York e Toronto, Sidney e Melbourne, Charleroi e Boussu, Basilea e Zurigo, Göppingen e Köln, Macon e Lione. Da tempo i Sammarchesi sono cittadini d'Europa e del mondo.

San Marco in Lamis

 
 
Palazzo Badiale