DONNE FUTURISTE:ASSONANTI SONORITA' O DISSONANTI SUSSURRI?

Esordendo fin dalla pubblicazione del Manifesto dei futuristi, che Marinetti fa stampare nel 1909 a Parigi su Le Figaro, l'evocazione dell'immagine femminile si configura immediatamente quale elemento di ossessione maschile. L'autore traduce la tensione spirituale di questa evidente inquietudine indicando nel "disprezzo" verso l’altro sesso il segno dell'eredità di D’Annunzio. "Noi vogliamo glorificare la guerra... le belle idee per cui si muore e

Rougena Zatkova (1885-1923)

il disprezzo della donna", recita il Manifesto, e proseguendo "...e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà..." Concetti del resto ribaditi dallo stesso leader futurista nello scritto coevo D'Annunzio futuriste et le méprise de la femme, nel più tardo Come si seducono le donne, e copiosamente attinti in testi e riferimenti posteriori del movimento, in cui l'identificazione tra donna e amore-sentimento diviene momento di rottura per l'affrancamento dell'uomo nuovo dall'emotività romantica. Sorprende, dopo tali premesse, che nel testo del '10 Contro l'amore e il parlamentarismo l'analisi marinettiana della struttura familiare riveli precisa coscienza di una subalternità femminile presente nelle convenzioni storico-morali e non a causa di pretesi meccanismi biologici. Ciò non impedirà poi di identificare nell'immagine trasgressiva (e piuttosto letteraria) della donna-amante o "femme fatale" la sola alternativa alla sottomissione patriarcale. Non esistono invece barriere create dalla biologia nell'universo di Valentine de Saint-Point, che col suo Manifesto della Donna futurista nel '12 irrompe nell’autoreferenziale monopolio maschile del movimento, accomunando l'intera umanità nel dichiarato "disprezzo" per la sua inappellabile "mediocrità". Nel Manifesto futurista della Lussuria, che la condurrà a indicare nella necessità dello stupro la "naturale espansione vitalistico-istintuale" dei vincitori in funzione riproduttiva, l'accertato dualismo dell'identificazione femminile, stretto tra ruolo riproduttivo nella funzione familiare (peraltro già sottoposto a dure contestazioni da coeve battaglie del movimento femminista internazionale, o addirittura negato, come nel caso di alcuni settori del suffragismo inglese

Sophie Tauber-Arp (1889-1943)

e dalle teorie di Alessandra Kollontaj) e spregiudicato soggetto amatorio, rimane sostanzialmente irrisolto, enfatizzando invece l'avvento di una "superfemmina", combattiva figura materna nella difesa filiale della razza o amante votata alla lussuria come volitiva esaltazione del desiderio sessuale della compagine futurista, a proposito dell'opuscolo di Marinetti Come si seducono le donne, infarcito di luoghi comuni e aforismi goliardici . La polemica accesa dal gruppo gravitante attorno alla rivista fiorentina L'Italia futurista, soprattutto con i puntuali

interventi di Rosa Rosà ed Enif Robert, pur nel "garbato rispetto" per il leader della compagine, rigetta la misoginia dell'originario manifesto di fondazione, riaffermando il rifiuto femminile a rispecchiarsi nell'immagine mistificante di oggetto sessuale e. "Svalutiamo con forza questa ossessione di debolezza, di fragilità, di preda, che è tanto volentieri accettata da un numero sempre più esiguo di donne..." dichiarerà difatti Robert, cui Rosà aggiungerà "...le donne avvertono gli uomini... Stanno per acquistare coscienza di un libero "io" immortale, che non si dà a nessuno e a nulla." Nel '19 la pubblicazione capitolina Roma futurista ospita un nuovo dibattito di donne aderenti alla formazione, che trae motivo dall'appello al ricompattamento lanciato dalla componente maschile del gruppo, e risente di urgenze di riorganizzazione imposte dai grandissimi cambiamenti seguiti agli eventi bellici, come l'esigenza di costituirsi in partito politico e inserirsi nel clima ideologico determinato dalle frustrazioni nazional-irredentiste per la "patria mutilata" (di cui si renderà interprete l'iniziativa dell'arditismo dannunziano con l'impresa di Fiume, partecipata ed entusiasticamente accolta dai futuristi italiani). L'attivo ruolo cui le donne, su dichiarate "basi paritetiche", sono chiamate alla serrata emergenziale, trova risposte che pur nella ribadita autonomia (di cui si rimarca comunque la diversa natura rispetto ad istanze rivendicative simili avanzate dal femminismo contemporaneo) di uno status conquistato in seno al gruppo connotano quella femminile come condizione di minorità psicofisica, e le proposte modalità di riappropriazione di un'operante soggettività mistificano un inglobato progetto d'appiattimento di quella specificità altrimenti conclamata. Ne testimoniano le ostentate posizioni di recupero dell'eroico archetipo "superfemminino" di Saint-Point, declamate da Fulvia Giuliani e Futurluce (Elda Norchi), che nella loro figura della "virago" riflettono l'emulo spirito dell'ardito combattente, evocato mito futurista degli anni venti. In controcanto sussistono invece posizioni di ripiego, tendenti alla salvaguardia della supposta "emancipazione" per amministrare una relazione col maschile che attesta una visione limitativa delle capacità di gestione femminili, come denunciano gli interventi di Anna Questa Bonfadini, Vetta, e della "combattentista" fiumana Fiammetta. L'avvento e lo scorrere del ventennio fascista dispersero gli stimoli aggregativi che avevano caratterizzato gli sviluppi di una declinazione femminile in seno al futurismo, indebolendone persino l'indole sperimentale in

Varvara Stepanova (1884-1958)

ambito letterario, seguendo d'altronde una tendenza dell'intero movimento, avviluppato tra ricerca di autonomi spazi artistici, e pretese ufficializzazioni del valore storico incarnato dall'attività del gruppo (ottenuto solo simbolicamente con la giubilazione di Marinetti quale Accademico d'Italia, nel '29). L'incalzante epica colonialista, col suo connubio di esotismo estetizzante ed eroismo aviatorio, tra anni trenta e quaranta sposta l'epicentro della cultura artistica sulla mitizzazione del“vincente”, personaggio di natura esclusivamente maschile. In tale periodo non appare compatibile una presenza "narrante" di segno femminile, soprattutto con l'inizio dei rapporti nazi-fascisti e nel clima creato dall'approssimarsi degli eventi bellici.

Ancora nel '21 col Manifesto del Tattilismo,grazie alla mediazione teorico-elaborativa della sua compagna Benedetta Cappa (si veda la figura in apertura), figura fondamentale nella costruzione d'immagine femminile dell'ultimo ventennio attivo del movimento (esauritosi nel '44 con la morte del proprio leader, repubblichino a Salò), Marinetti poteva auspicare una "luminosa" apertura nella concezione futurista delle relazioni uomo-donna, secondo una prassi affettiva misconosciuta dal proclamato anti-sentimentalismo. Già dalla fine del decennio tale possibilità viene schivata  con il reinserimento della donna nel ruolo di sostegno al progetto del regime, orientato all'abbandono di ogni solidarietà extra-domestica nel tentativo di mettere in armonia gli sforzi demografici con gli obiettivi dell'autarchia economica.

 

 

 

Kathe Köllwitz

 

 

 

 

 

 

In morte di Karl Liebknecht - 1919

Talvolta la definizione culturale di un'identità artistica offre campi di visibilità sovrapposta tra la sua personalità individuale e il prodotto della sua realizzazione estetica: la parabola esistenziale di Kathe Köllwitz configura appunto l'emergere di spinte autoriflessive, adibite al recupero dei segnali che vengono dalle pulsioni interiori, strettamente correlate alle strategie collocative della coscienza, e da queste guidate nell'elaborazione delle scelte tematiche affidate alla sintesi creativa. Questo carattere emotivo, che attinge dai "moti dell'animo" per tradurre la ricezione del dato naturale in espansione della sensibilità soggettiva,si affermerà soprattutto in Germania, dove la fioritura delle correnti espressioniste alimenterà un atteggiamento di rigetto nei confronti dello scambio mercificato indotto nell'emergente società di massa dai processi organizzativi dell'edificazione capitalistica. Un vibrante sentimento di solidarietà sociale, dettato da aperta comprensione ma anche da una plateale e dolente partecipazione, traspare nell'intera opera di Köllwitz, che recependo la nota dell'impegno etico-critico già in ambito familiare (soprattutto nel fratello Konrad, amico di Engels e attivo collaboratore del primo giornale socialista tedesco "Avanti"), individua nelle oggettive condizioni di miseria e sfruttamento in cui versava la negletta umanità delle classi subalterne il referente privilegiato cui affidare il volto emotivo dell'espressione artistica, dichiarando così una posizione duramente polemica verso le implicazioni ideologico-politiche sottese ai valori consumistici della "civiltà" borghese-industriale. Un atteggiamento avvertito come dovere morale, una scelta univoca effettuata in un momento storico di marcata contrapposizione politica, quando le istanze socialistico-marxiste inquadravano gli urgenti bisogni dei ceti non abbienti e si apprestavano a guidare speranze di giustizia. Nelle sue composizioni, almeno da Congedo del 1892, si evince l'esigenza di un impegno profuso all'autoassunzione di ruolo testimoniale attraverso la celebrazione iconografica della vita lavoratrice, estrinsecata anche con l’osservazione dei sentimenti affettivi comunicati nell'ambito domestico, e mantenuta anche in opere tarde come Gioia materna, del 1931. Ma in quest'ottica di denuncia etica, anche un tema amoroso come quello esplicato in Coppia di amanti, datato 1913, diviene meditazione sulla solitudine, in cui effusione affettiva degli amanti sembra "sorreggere" il sentimento di vuoto dello spazio interiore. Iniziata la sua formazione ancora quattordicenne presso un incisore nella città natale di Königsberg, ove vide la luce nel 1867, Kathe Schmidt continuò gli studi a Berlino e Monaco negli anni ottanta, avendo così occasione di conoscere e avvicinarsi all'opera grafica dello scultore Max Klinger, affascinata soprattutto dalla serie incisoria Un guanto, presentata appena qualche anno prima. Ma pur avendo decisivamente influito sulle tecniche compositive dell'artista tedesca, l'orizzonte di Klinger appariva assai distante dagli orientamenti verso l'evidenza rappresentativa di Köllwitz, che ne scartava le soluzioni indirizzate alla definizione virtuosistica del tratto formale e al controllo rigido del segno per dirigere l'espansione della linea al recupero di visibilità di una concreta situazione di disagio collettivo, inoltrando nelle modalità dell'offerta iconografica una denuncia veemente dei costi sociali tributati dalle classi lavoratrici all'affermazione politica dell'egemonia borghese. Il nucleo dei suoi soggetti iconografici s'incentrava soprattutto su figure di donne e bambini appartenenti ai ceti umili, tra i quali aveva lungamente vissuto a Berlino aiutando il marito-medico Karl Köllwitz, che aveva scelto di curarli. A queste raffigurazioni veniva affiancato il tema della responsabilità materna, imperniato sull’eroismo della femminile nel fronteggiare una gestione familiare caratterizzata dalla precarietà di un'emergenza economica dettata dalla permanente ingiustizia delle condizioni materiali. Ma l'originalità delle protagoniste köllwitziane si esprimeva nell'affrancamento dalla passività per inserirsi nel corso storico degli eventi e tentare di rovesciarne l'interna logica delle gerarchie politico-sociali. Nell'importante ciclo incisorio La guerra dei contadini, attuato nel periodo 1902-1908 e ispirato alla rivolta condotta contro le dure condizioni di miseria in cui i feudatari avevano ridotto le campagne tedesche nel cinquecento riformista-luterano, la figura di Anna la Nera assurge a ruolo-guida nell'insurrezione, occupando ben quattro pannelli su sette e comunicando quell'idea trascinante di tensione interiore che l'artista assegnava alle qualità organizzative dell'autonomia femminile. In particolare, il personaggio della donna anziana in Affilando la falce si colloca quale immagine inquietante e addirittura demoniaca di nemesi storica, incarnando una volontà ancestrale di giustizia volto a riscattare il dramma silenzioso dei vinti. Se l'orizzonte stilistico di Kathe Köllwitz si riconnette all'immaginario collettivo del socialismo umanistico ottocentesco, unito alla suggestiva esemplarità della tradizione populistica declinata dalla letteratura russa con Tolstoj, Gogol e Dostoevskij, richiamando energicamente analoghe scelte tematiche afferenti alla graffiante esperienza critico-sociale di Daumier o al patetismo dei Mangiatori di patate in Van Gogh, mostra invece ascendenti diretti col linguaggio del compatriota scultore-drammaturgo Ernst Barlach, mutuato dalla lettura espressionistica offerta dall'inquieta carica del goticismo medievale.


Affilando la falce - 1905 (dal ciclo "La guerra dei contadini" 1902 - 1908)

Questo influsso si farà più preciso nei cicli xilografici degli anni venti, come La guerra del '22-23 e Il Proletariato del '25, in cui la plateale teatralità del gesto riflette e "sonorizza" la densità devastante delle ferite morali subite coi patimenti e le sofferenze, proiettandone all'esterno il dolore inferto al valore del sentimento affettivo. Riconoscimento verso gli stimoli del maestro costituirà nel '40 il Compianto per la morte di Ernst Barlach, in cui il cordoglio della perdita (legata anche all'evento di morte del marito, avvenuta nello stesso anno) viene compresso e "avvinto" all'interno della tensione formale affermata dall'energia plastica dell'intensità chiaroscurale. Ma la spinta iniziale di quell'inquieta solitudine esistenziale, che si riscontra nello sviluppo delle linee direttrici asserite dall'espressionismo nord-europeo, non poteva sottrarsi agli influssi scaturiti dai segni ambigui della coscienza coi suoi permanenti e vorticosi conflitti interiori, riflessi attraverso la pittura di Edvard Munch e recepiti dalla Köllwitz già nel 1892 con la prima esposizione dell'artista norvegese in Germania. Alla terribile incontrollabilità di scatenamento delle forze cosmiche e alla lettura angosciosa dell'incoerente consapevolezza di un'identità dai confini sempre più incerti, comunicate dal pittore nordico, l'artista tedesca oppone invece il ripristino di una speranza materiale, inserita nell'ambito della trasformazione temuta dalle possibilità umane e dunque avvertita della volontà di attrezzarsi allo svolgimento di un'azione politica. L'opposizione strenua al dramma bellico e alle sue insite implicazioni etiche amplificano l'evidenza del dato autobiografico, rispecchiando l'amarezza sofferta con la morte del secondogenito figlio Peter nel '14 durante le operazioni di guerra nelle Fiandre. Accanto agli incisivi stilemi di Barlach si profilano anche quelli del pittore tedesco Wilhelm Leibl, mediati dalla lezione realistica di Courbet, che denunciano un'inclinazione verso il patetismo di una vena populistica ancorata alle emanazioni tardoromantiche attive in Germania nelle rappresentazioni di genere rurale. Agli antipodi della visione idealizzata di bellezza desunta dall'autorità classica, patrocinata ancora dalla concezione tardoromantica klingeriana, e pur rimanendo legata alla spiritualità sublimata di Goethe, Köllwitz ne condivide, però con effetti antitetici, l'interesse a varcare gli orizzonti della realtà oggettiva, ma mentre egli innesca meccanismi criptici della dimensione sensibile in cui il piano dell'azione si confonde con l'evocazione di riferimenti simbolici, che tendono a legittimare l'esistenza di spazi inconoscibili dell'umano sulla scorta delle prime teorie di Freud, la grafica tedesca trascende la raffigurazione del naturale per richiamare invece con la distorsione espressionistica il carattere alterato della percezione emotiva sulla drammaticità invasiva del tema sociale, stigmatizzandone così l’importanza della presenza storica. Alla visionarietà del dato naturale, che trasforma i parametri di significazione della logica mediante l'interpretazione individuale della realtà sensibile, Köllwitz oppone dunque una lettura "ipermaterializzata" della rappresentazione. Impermeabile, per sua stessa ammissione, alle sperimentazioni coeve dell'avanguardia, percorse soprattutto nelle importanti esperienze locali di "Die Brücke" a Berlino e "Blaue Reiter" a Monaco, la scultrice tedesca rimane attestata sulla riproposizione veristica del progetto artistico, e pur avendo collaborato graficamente alla famosa rivista di satira "Semplicissimus" nel primo decennio del secolo, si differenzia dallo spirito di rielaborazione grottesca degli eventi messo poi in atto esemplarmente dalla carica corrosiva di Max Beckmann, Otto Dix o George Grosz, che aggrediscono il costume politico attraverso il cinismo dissacrativo e l'accentuazione caricaturale della critica sociale. Il suo "conformismo" artistico produceva un immediato distacco verso l’eterodossia dell'espressione formale, manifestata chiaramente nel '13, in occasione della prima esposizione berlinese di Matisse, nel vuoto di comprensione per il linguaggio astrattivo del pittore francese. Eppure, proprio una feconda permanenza a Parigi del 1904 (un'altra era precedentemente avvenuta nel '97) e l'incontro conseguente con la cultura francese, avevano decretato la propensione della grafica tedesca per una maggiore espansione delle masse plastiche, scaturita soprattutto dai contatti con la scultura di Rodin. Anche il suo soggiorno in Italia, successivo a una presenza isolata alla Biennale di Venezia del 1899 ed effettuato tra 1907 e 1908 in occasione della vincita del premio fiorentino Villa Romana (offerto da Klinger), che la condurrà a deliberare una visita di Roma a piedi, perverrà solo al rafforzamento di già esibite letture naturalistiche, senza segnare alcun ripensamento nelle sue coordinate espressive. Lo spirito "ottocentesco" di Köllwitz rifiuta l'involuzione del sentimento, e mantiene la convinzione di un agire contestualizzato legato all'efficacia del confronto mediante gli attributi simbolici pertinenti alle parti in causa, limpidamente distinte dalla definizione delle loro qualità rappresentative, che impegnando le opposte fazioni (borghesia-proletariato) in un ineluttabile conflitto di lungo corso risulti alla fine vincente per le "forze positive della storia", così confermando la superiorità delle virtù etiche assegnate al campo dagli oppressi, in grado di ribaltare anche le condizioni più sfavorevoli. La trasparenza delle intenzionalità emotive diventa per l'artista motore essenziale dello sviluppo storico, e questa fiducia stoica nella forza qualitativa dei sentimenti connota già nel '90 le incisioni illustrative di Germinal, il romanzo omonimo di Zola sulle condizioni dei minatori in lotta per rivendicare maggiore equità nei diritti lavorativi, e il primo ciclo compositivo giovanile L'insurrezione dei tessitori, compiuto nel periodo 1895-98 per il dramma "I tessitori" di Gerhart Hauptmann, che analogamente al posteriore La guerra dei contadini riflette l'intensità delle implicazioni morali nello scoppio dei moti popolari contro la crudezza di un potere oppressivo.


Torre delle madri - 1937-38

L'effetto drammatico di quest'opera ebbe un impatto fortemente politico, a tal punto che il Kaiser ne ordinò il ritiro dalla mostra annuale della Secessione berlinese per l'evidente messaggio turbativo, in un momento caratterizzato da forte preoccupazione per l'insorgenza dei movimenti socialisti, nonostante essa fosse stata proposta per il premio della medaglia d'oro, concesso comunque due anni dopo in seguito all'acquisto della collezione di Stato di Dresda. L'interesse alla riflessione esistenziale di Köllwitz si evince particolarmente nell'esplorazione autoritrattistica, documentata attraverso la quantità copiosa delle composizioni autosoggettive, che scandiscono ad intervalli ravvicinati le trasformazioni psico-fisiologiche della sua vita, almeno dall'età diciottenne, quando si raffigurò in un disegno a penna. Ma la severa attitudine realistica non cede a ripensamenti, esercitandosi sul registro facilmente compiacente della potenziale vanità personale, confermando l'integra coerenza di una collocazione definitivamente assolta nella schietta consapevolezza dell'immagine veristica. Già nell'Autoritratto del '93 ella si rappresenta seduta al tavolo da lavoro munita di lampada a olio per la luce, giovane ma coscientemente assorta nel suo carico di responsabilità. Lo sguardo non comunica gaiezza, né indulge a pensieri leggeri, concentrato invece sull'espressione assoluta di una fin troppo matura essenzialità. Anche quello del '10 esplica un'intensa qualità riflessiva, costruita su un'interiorità razionale compresa nei travagli esistenziali. E la gioia della maternità appare esprimere primariamente questa collocazione attiva della coscienza, teneramente avvinta in un'immagine del sentimento che si libera istintivamente dei vincoli sovrastrutturali per dedicarsi all'espansione amorosa, come dichiara nel '16 Madre con bambino in braccio o ancora Gioia materna, oppure si erge compatta per riaffermare l'inesauribile ruolo protettivo della sua presenza, come mostra nel '37-38 la suggestiva scultura Torre delle madri. Più spesso però è la condizione sociale dei "reietti" ad emergere prepotentemente sulla scena storica, lasciando alle vibrazioni affettive del "sentire femminile" l'orizzonte critico di una gestione emotiva insostenibile, angosciata dalle sorti ineluttabili della miseria economica con le sue terribili conseguenze di malattia e morte. Questo quadro distruttivo si propone nella cruda essenzialità di opere come Disoccupazione del 1909, con la tragedia familiare che incombe al capezzale di una donna morente, accanto alla muta inconsapevolezza dei propri piccoli, o in La morte e una donna, dell'anno successivo, in cui la morsa inevitabile dell'ultima "ancella" strappa letteralmente una madre dalle braccia disperate del proprio bambino, oppure Madri del '19 e Pubblico ricovero del '26, incentrate su temi sostanzialmente identici. Negli ulteriori autoritratti, dagli anni venti fino alla morte, s'innesta progressivamente un cupo sentimento di sconfitta, in cui la visibilità del peso morale asserito dalla rappresentazione iconografica traduce un disagio dei fermenti vitali osservato attraverso l'impietoso decadimento dei connotati esteriori, e verifica inoltre una situazione di effettivo peggioramento delle condizioni sociali e politiche, d'altronde segnate dall'avvento nazista e dalle conseguenze inquietanti del prefigurato disegno hitleriano sui destini europei. Non casualmente l'ultimo ciclo litografico della grafica tedesca viene titolato nel 1934-35 La morte, assurgendo a considerazione estrema sugli effetti inesorabili dell'ultimo atto, quando vengono meno le forze di sostegno morale (oltre che economico), e l'abbrutimento della vecchiaia o della malattia propongono quasi stancamente, ma anche prepotentemente per i più giovani e gli indifesi, l'irreversibile passaggio esistenziale. In questo recupero di immagini munchiane, soprattutto in La morte ghermisce un gruppo di bambini e Morte sulla strada (o Morte del vagabondo), l'alterazione espressionistica della fisicità tratteggia umane e allucinate figure larvali, soffocando qualsiasi volontà vitale. L'esemplarità e la costanza del suo impegno nella propaganda politica, attestata anche dai progetti grafici stilati per campagne contro la fame, la guerra, e altre tematiche sociali, riceveranno opportuno riconoscimento nel '27 con l'invito ufficiale in Unione Sovietica per le celebrazioni del decimo anniversario della Rivoluzione.

Coppia di amanti - 1913

Connotazione suggestiva di questo indirizzo militante rimane In morte di Karl Liebknecht, incisione effettuata nel '19 dopo l'assassinio del leader spartachista insieme a Rosa Luxemburg da parte della polizia governativa, che anche aldilà dell'omaggio politico esprime il raggelato sgomento per una speranza perduta e la pietà indicibile di un sentimento affannoso: l'avvilito corteo in cui quell'umanità derelitta sfila davanti alla bara del morto sembra davvero comunicare l'assoluta solitudine del mondo. Prima donna ad essere eletta membro dell'Accademia Artistica Prussiana nel 1919, Kathe Köllwitz ne assume nel '28 la direzione del settore grafico, che conserverà fino al '33, quando l'incombente minaccia del nazismo la indurranno a dimettersi dalla carica onoraria e ad esercitare quasi clandestinamente l'attività artistica, avviata ormai verso il campo preferenziale della scultura, pur senza abbandonare l'antica pratica incisoria. Soltanto dopo il bombardamento dello studio berlinese durante l'ultima guerra, in cui molte opere andarono oltretutto perdute, l'artista decise di trasferirsi definitivamente nella cittadina di Moritzburg, presso Dresda, dove finirà i suoi giorni nel 1945 quasi ottantenne.

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