DONNE FUTURISTE:ASSONANTI SONORITA' O DISSONANTI
SUSSURRI?
Esordendo fin dalla pubblicazione del Manifesto dei
futuristi, che Marinetti fa stampare nel 1909 a Parigi su Le Figaro, l'evocazione dell'immagine femminile
si configura immediatamente quale elemento di ossessione maschile. L'autore
traduce la tensione spirituale di questa evidente inquietudine indicando nel
"disprezzo" verso l’altro sesso il segno dell'eredità di D’Annunzio.
"Noi vogliamo glorificare la guerra... le belle idee per cui si muore e
Rougena Zatkova
(1885-1923)
il disprezzo della donna", recita il Manifesto, e
proseguendo "...e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro
ogni viltà..." Concetti del resto ribaditi dallo stesso leader futurista
nello scritto coevo D'Annunzio futuriste et le méprise de la femme, nel più tardo Come si seducono le donne, e copiosamente attinti in testi e riferimenti posteriori
del movimento, in cui l'identificazione tra donna e amore-sentimento diviene
momento di rottura per l'affrancamento dell'uomo nuovo dall'emotività
romantica. Sorprende, dopo tali premesse, che nel testo del '10 Contro l'amore e il
parlamentarismo l'analisi
marinettiana della struttura familiare riveli precisa coscienza di una subalternità
femminile presente nelle convenzioni storico-morali e non a causa di pretesi
meccanismi biologici. Ciò non impedirà poi di identificare nell'immagine
trasgressiva (e piuttosto letteraria) della donna-amante o "femme
fatale" la sola alternativa alla sottomissione patriarcale. Non esistono
invece barriere create dalla biologia nell'universo di Valentine de
Saint-Point, che col suo Manifesto della Donna futurista nel '12
irrompe nell’autoreferenziale monopolio maschile del movimento, accomunando l'intera
umanità nel dichiarato "disprezzo" per la sua inappellabile
"mediocrità". Nel Manifesto futurista della Lussuria, che la condurrà a indicare nella necessità dello stupro la
"naturale espansione vitalistico-istintuale" dei vincitori in
funzione riproduttiva, l'accertato dualismo dell'identificazione femminile,
stretto tra ruolo riproduttivo nella funzione familiare (peraltro già
sottoposto a dure contestazioni da coeve battaglie del movimento femminista
internazionale, o addirittura negato, come nel caso di alcuni settori del
suffragismo inglese
Sophie Tauber-Arp (1889-1943)
e dalle teorie di Alessandra Kollontaj) e spregiudicato
soggetto amatorio, rimane sostanzialmente irrisolto, enfatizzando invece
l'avvento di una "superfemmina", combattiva figura materna nella
difesa filiale della razza o amante votata alla lussuria come volitiva
esaltazione del desiderio sessuale della compagine futurista, a proposito
dell'opuscolo di Marinetti Come si seducono le donne, infarcito di luoghi comuni e aforismi goliardici . La
polemica accesa dal gruppo gravitante attorno alla rivista fiorentina L'Italia futurista, soprattutto con i puntuali
interventi di Rosa Rosà ed Enif Robert, pur nel
"garbato rispetto" per il leader della compagine, rigetta la
misoginia dell'originario manifesto di fondazione, riaffermando il rifiuto
femminile a rispecchiarsi nell'immagine mistificante di oggetto sessuale e.
"Svalutiamo con forza questa ossessione di debolezza, di fragilità, di
preda, che è tanto volentieri accettata da un numero sempre più esiguo di
donne..." dichiarerà difatti Robert, cui Rosà aggiungerà "...le donne
avvertono gli uomini... Stanno per acquistare coscienza di un libero
"io" immortale, che non si dà a nessuno e a nulla." Nel '19 la
pubblicazione capitolina Roma futurista ospita un
nuovo dibattito di donne aderenti alla formazione, che trae motivo dall'appello
al ricompattamento lanciato dalla componente maschile del gruppo, e risente di
urgenze di riorganizzazione imposte dai grandissimi cambiamenti seguiti agli
eventi bellici, come l'esigenza di costituirsi in partito politico e inserirsi
nel clima ideologico determinato dalle frustrazioni nazional-irredentiste per
la "patria mutilata" (di cui si renderà interprete l'iniziativa
dell'arditismo dannunziano con l'impresa di Fiume, partecipata ed
entusiasticamente accolta dai futuristi italiani). L'attivo ruolo cui le donne,
su dichiarate "basi paritetiche", sono chiamate alla serrata
emergenziale, trova risposte che pur nella ribadita autonomia (di cui si
rimarca comunque la diversa natura rispetto ad istanze rivendicative simili
avanzate dal femminismo contemporaneo) di uno status conquistato in seno al
gruppo connotano quella femminile come condizione di minorità psicofisica, e le
proposte modalità di riappropriazione di un'operante soggettività mistificano
un inglobato progetto d'appiattimento di quella specificità altrimenti
conclamata. Ne testimoniano le ostentate posizioni di recupero dell'eroico
archetipo "superfemminino" di Saint-Point, declamate da Fulvia Giuliani
e Futurluce (Elda Norchi), che nella loro figura della "virago"
riflettono l'emulo spirito dell'ardito combattente, evocato mito futurista
degli anni venti. In controcanto sussistono invece posizioni di ripiego,
tendenti alla salvaguardia della supposta "emancipazione" per
amministrare una relazione col maschile che attesta una visione limitativa
delle capacità di gestione femminili, come denunciano gli interventi di Anna
Questa Bonfadini, Vetta, e della "combattentista" fiumana Fiammetta.
L'avvento e lo scorrere del ventennio fascista dispersero gli stimoli
aggregativi che avevano caratterizzato gli sviluppi di una declinazione
femminile in seno al futurismo, indebolendone persino l'indole sperimentale in
Varvara Stepanova
(1884-1958)
ambito letterario, seguendo d'altronde una tendenza
dell'intero movimento, avviluppato tra ricerca di autonomi spazi artistici, e
pretese ufficializzazioni del valore storico incarnato dall'attività del gruppo
(ottenuto solo simbolicamente con la giubilazione di Marinetti quale Accademico
d'Italia, nel '29). L'incalzante epica colonialista, col suo connubio di
esotismo estetizzante ed eroismo aviatorio, tra anni trenta e quaranta sposta
l'epicentro della cultura artistica sulla mitizzazione del“vincente”,
personaggio di natura esclusivamente maschile. In tale periodo non appare
compatibile una presenza "narrante" di segno femminile, soprattutto
con l'inizio dei rapporti nazi-fascisti e nel clima creato dall'approssimarsi
degli eventi bellici.
Ancora nel '21 col Manifesto del Tattilismo,grazie alla mediazione teorico-elaborativa della sua
compagna Benedetta Cappa (si veda
la figura in apertura), figura fondamentale nella
costruzione d'immagine femminile dell'ultimo ventennio attivo del movimento
(esauritosi nel '44 con la morte del proprio leader, repubblichino a Salò),
Marinetti poteva auspicare una "luminosa" apertura nella concezione
futurista delle relazioni uomo-donna, secondo una prassi affettiva
misconosciuta dal proclamato anti-sentimentalismo. Già dalla fine del decennio
tale possibilità viene schivata
con il reinserimento della donna nel ruolo di sostegno al progetto del
regime, orientato all'abbandono di ogni solidarietà extra-domestica nel
tentativo di mettere in armonia gli sforzi demografici con gli obiettivi dell'autarchia
economica.
In morte di Karl Liebknecht - 1919
Talvolta la definizione culturale di un'identità
artistica offre campi di visibilità sovrapposta tra la sua personalità individuale
e il prodotto della sua realizzazione estetica: la parabola esistenziale di
Kathe Köllwitz configura appunto l'emergere di spinte autoriflessive, adibite
al recupero dei segnali che vengono dalle pulsioni interiori, strettamente
correlate alle strategie collocative della coscienza, e da queste guidate
nell'elaborazione delle scelte tematiche affidate alla sintesi creativa. Questo
carattere emotivo, che attinge dai "moti dell'animo" per tradurre la
ricezione del dato naturale in espansione della sensibilità soggettiva,si
affermerà soprattutto in Germania, dove la fioritura delle correnti
espressioniste alimenterà un atteggiamento di rigetto nei confronti dello
scambio mercificato indotto nell'emergente società di massa dai processi
organizzativi dell'edificazione capitalistica. Un vibrante sentimento di
solidarietà sociale, dettato da aperta comprensione ma anche da una plateale e
dolente partecipazione, traspare nell'intera opera di Köllwitz, che recependo
la nota dell'impegno etico-critico già in ambito familiare (soprattutto nel
fratello Konrad, amico di Engels e attivo collaboratore del primo giornale
socialista tedesco "Avanti"), individua nelle oggettive condizioni di
miseria e sfruttamento in cui versava la negletta umanità delle classi subalterne
il referente privilegiato cui affidare il volto emotivo dell'espressione
artistica, dichiarando così una posizione duramente polemica verso le
implicazioni ideologico-politiche sottese ai valori consumistici della
"civiltà" borghese-industriale. Un atteggiamento avvertito come
dovere morale, una scelta univoca effettuata in un momento storico di marcata
contrapposizione politica, quando le istanze socialistico-marxiste inquadravano
gli urgenti bisogni dei ceti non abbienti e si apprestavano a guidare speranze
di giustizia. Nelle sue composizioni, almeno da Congedo del 1892, si evince
l'esigenza di un impegno profuso all'autoassunzione di ruolo testimoniale
attraverso la celebrazione iconografica della vita lavoratrice, estrinsecata
anche con l’osservazione dei sentimenti affettivi comunicati nell'ambito
domestico, e mantenuta anche in opere tarde come Gioia materna, del 1931. Ma in quest'ottica di denuncia etica, anche un
tema amoroso come quello esplicato in Coppia di amanti, datato 1913, diviene meditazione sulla solitudine, in cui
effusione affettiva degli amanti sembra "sorreggere" il sentimento di
vuoto dello spazio interiore. Iniziata la sua formazione ancora quattordicenne
presso un incisore nella città natale di Königsberg, ove vide la luce nel 1867,
Kathe Schmidt continuò gli studi a Berlino e Monaco negli anni ottanta, avendo
così occasione di conoscere e avvicinarsi all'opera grafica dello scultore Max
Klinger, affascinata soprattutto dalla serie incisoria Un guanto, presentata appena qualche anno prima. Ma pur avendo
decisivamente influito sulle tecniche compositive dell'artista tedesca,
l'orizzonte di Klinger appariva assai distante dagli orientamenti verso
l'evidenza rappresentativa di Köllwitz, che ne scartava le soluzioni
indirizzate alla definizione virtuosistica del tratto formale e al controllo
rigido del segno per dirigere l'espansione della linea al recupero di
visibilità di una concreta situazione di disagio collettivo, inoltrando nelle
modalità dell'offerta iconografica una denuncia veemente dei costi sociali
tributati dalle classi lavoratrici all'affermazione politica dell'egemonia
borghese. Il nucleo dei suoi soggetti iconografici s'incentrava soprattutto su
figure di donne e bambini appartenenti ai ceti umili, tra i quali aveva lungamente
vissuto a Berlino aiutando il marito-medico Karl Köllwitz, che aveva scelto di
curarli. A queste raffigurazioni veniva affiancato il tema della responsabilità
materna, imperniato sull’eroismo della femminile nel fronteggiare una gestione
familiare caratterizzata dalla precarietà di un'emergenza economica dettata
dalla permanente ingiustizia delle condizioni materiali. Ma l'originalità delle
protagoniste köllwitziane si esprimeva nell'affrancamento dalla passività per
inserirsi nel corso storico degli eventi e tentare di rovesciarne l'interna
logica delle gerarchie politico-sociali. Nell'importante ciclo incisorio La guerra dei contadini, attuato nel periodo 1902-1908 e ispirato alla rivolta
condotta contro le dure condizioni di miseria in cui i feudatari avevano
ridotto le campagne tedesche nel cinquecento riformista-luterano, la figura di
Anna la Nera assurge a ruolo-guida nell'insurrezione, occupando ben quattro
pannelli su sette e comunicando quell'idea trascinante di tensione interiore
che l'artista assegnava alle qualità organizzative dell'autonomia femminile. In
particolare, il personaggio della donna anziana in Affilando la falce si colloca quale immagine inquietante e addirittura demoniaca
di nemesi storica, incarnando una volontà ancestrale di giustizia volto a
riscattare il dramma silenzioso dei vinti. Se l'orizzonte stilistico di Kathe
Köllwitz si riconnette all'immaginario collettivo del socialismo umanistico
ottocentesco, unito alla suggestiva esemplarità della tradizione populistica
declinata dalla letteratura russa con Tolstoj, Gogol e Dostoevskij, richiamando
energicamente analoghe scelte tematiche afferenti alla graffiante esperienza
critico-sociale di Daumier o al patetismo dei Mangiatori di patate in Van
Gogh, mostra invece ascendenti diretti col linguaggio del compatriota
scultore-drammaturgo Ernst Barlach, mutuato dalla lettura espressionistica
offerta dall'inquieta carica del goticismo medievale.
Affilando la falce - 1905 (dal
ciclo "La guerra dei contadini" 1902 - 1908)
Questo influsso si farà più preciso nei cicli
xilografici degli anni venti, come La guerra del '22-23 e Il Proletariato del
'25, in cui la plateale teatralità del gesto riflette e "sonorizza"
la densità devastante delle ferite morali subite coi patimenti e le sofferenze,
proiettandone all'esterno il dolore inferto al valore del sentimento affettivo.
Riconoscimento verso gli stimoli del maestro costituirà nel '40 il Compianto per la morte di Ernst
Barlach, in cui il cordoglio della
perdita (legata anche all'evento di morte del marito, avvenuta nello stesso
anno) viene compresso e "avvinto" all'interno della tensione formale
affermata dall'energia plastica dell'intensità chiaroscurale. Ma la spinta
iniziale di quell'inquieta solitudine esistenziale, che si riscontra nello
sviluppo delle linee direttrici asserite dall'espressionismo nord-europeo, non
poteva sottrarsi agli influssi scaturiti dai segni ambigui della coscienza coi
suoi permanenti e vorticosi conflitti interiori, riflessi attraverso la pittura
di Edvard Munch e recepiti dalla Köllwitz già nel 1892 con la prima esposizione
dell'artista norvegese in Germania. Alla terribile incontrollabilità di
scatenamento delle forze cosmiche e alla lettura angosciosa dell'incoerente
consapevolezza di un'identità dai confini sempre più incerti, comunicate dal
pittore nordico, l'artista tedesca oppone invece il ripristino di una speranza
materiale, inserita nell'ambito della trasformazione temuta dalle possibilità
umane e dunque avvertita della volontà di attrezzarsi allo svolgimento di
un'azione politica. L'opposizione strenua al dramma bellico e alle sue insite
implicazioni etiche amplificano l'evidenza del dato autobiografico,
rispecchiando l'amarezza sofferta con la morte del secondogenito figlio Peter
nel '14 durante le operazioni di guerra nelle Fiandre. Accanto agli incisivi
stilemi di Barlach si profilano anche quelli del pittore tedesco Wilhelm Leibl,
mediati dalla lezione realistica di Courbet, che denunciano un'inclinazione
verso il patetismo di una vena populistica ancorata alle emanazioni
tardoromantiche attive in Germania nelle rappresentazioni di genere rurale.
Agli antipodi della visione idealizzata di bellezza desunta dall'autorità
classica, patrocinata ancora dalla concezione tardoromantica klingeriana, e pur
rimanendo legata alla spiritualità sublimata di Goethe, Köllwitz ne condivide,
però con effetti antitetici, l'interesse a varcare gli orizzonti della realtà
oggettiva, ma mentre egli innesca meccanismi criptici della dimensione
sensibile in cui il piano dell'azione si confonde con l'evocazione di
riferimenti simbolici, che tendono a legittimare l'esistenza di spazi
inconoscibili dell'umano sulla scorta delle prime teorie di Freud, la grafica
tedesca trascende la raffigurazione del naturale per richiamare invece con la
distorsione espressionistica il carattere alterato della percezione emotiva
sulla drammaticità invasiva del tema sociale, stigmatizzandone così
l’importanza della presenza storica. Alla visionarietà del dato naturale, che
trasforma i parametri di significazione della logica mediante l'interpretazione
individuale della realtà sensibile, Köllwitz oppone dunque una lettura
"ipermaterializzata" della rappresentazione. Impermeabile, per sua
stessa ammissione, alle sperimentazioni coeve dell'avanguardia, percorse
soprattutto nelle importanti esperienze locali di "Die Brücke" a
Berlino e "Blaue Reiter" a Monaco, la scultrice tedesca rimane
attestata sulla riproposizione veristica del progetto artistico, e pur avendo
collaborato graficamente alla famosa rivista di satira
"Semplicissimus" nel primo decennio del secolo, si differenzia dallo
spirito di rielaborazione grottesca degli eventi messo poi in atto
esemplarmente dalla carica corrosiva di Max Beckmann, Otto Dix o George Grosz,
che aggrediscono il costume politico attraverso il cinismo dissacrativo e
l'accentuazione caricaturale della critica sociale. Il suo
"conformismo" artistico produceva un immediato distacco verso
l’eterodossia dell'espressione formale, manifestata chiaramente nel '13, in occasione
della prima esposizione berlinese di Matisse, nel vuoto di comprensione per il
linguaggio astrattivo del pittore francese. Eppure, proprio una feconda
permanenza a Parigi del 1904 (un'altra era precedentemente avvenuta nel '97) e
l'incontro conseguente con la cultura francese, avevano decretato la
propensione della grafica tedesca per una maggiore espansione delle masse
plastiche, scaturita soprattutto dai contatti con la scultura di Rodin. Anche
il suo soggiorno in Italia, successivo a una presenza isolata alla Biennale di
Venezia del 1899 ed effettuato tra 1907 e 1908 in occasione della vincita del
premio fiorentino Villa Romana (offerto da Klinger), che la condurrà a
deliberare una visita di Roma a piedi, perverrà solo al rafforzamento di già
esibite letture naturalistiche, senza segnare alcun ripensamento nelle sue
coordinate espressive. Lo spirito "ottocentesco" di Köllwitz rifiuta
l'involuzione del sentimento, e mantiene la convinzione di un agire
contestualizzato legato all'efficacia del confronto mediante gli attributi
simbolici pertinenti alle parti in causa, limpidamente distinte dalla
definizione delle loro qualità rappresentative, che impegnando le opposte
fazioni (borghesia-proletariato) in un ineluttabile conflitto di lungo corso
risulti alla fine vincente per le "forze positive della storia", così
confermando la superiorità delle virtù etiche assegnate al campo dagli
oppressi, in grado di ribaltare anche le condizioni più sfavorevoli. La
trasparenza delle intenzionalità emotive diventa per l'artista motore
essenziale dello sviluppo storico, e questa fiducia stoica nella forza
qualitativa dei sentimenti connota già nel '90 le incisioni illustrative di Germinal, il romanzo omonimo di Zola sulle condizioni dei minatori in
lotta per rivendicare maggiore equità nei diritti lavorativi, e il primo ciclo
compositivo giovanile L'insurrezione dei tessitori, compiuto nel periodo 1895-98 per il dramma "I
tessitori" di Gerhart Hauptmann, che analogamente al posteriore La guerra dei contadini riflette l'intensità delle
implicazioni morali nello scoppio dei moti popolari contro la crudezza di un
potere oppressivo.
Torre delle madri - 1937-38
L'effetto drammatico di quest'opera ebbe un impatto fortemente
politico, a tal punto che il Kaiser ne ordinò il ritiro dalla mostra annuale
della Secessione berlinese per l'evidente messaggio turbativo, in un momento
caratterizzato da forte preoccupazione per l'insorgenza dei movimenti
socialisti, nonostante essa fosse stata proposta per il premio della medaglia
d'oro, concesso comunque due anni dopo in seguito all'acquisto della collezione
di Stato di Dresda. L'interesse alla riflessione esistenziale di Köllwitz si
evince particolarmente nell'esplorazione autoritrattistica, documentata
attraverso la quantità copiosa delle composizioni autosoggettive, che
scandiscono ad intervalli ravvicinati le trasformazioni psico-fisiologiche
della sua vita, almeno dall'età diciottenne, quando si raffigurò in un disegno a
penna. Ma la severa attitudine realistica non cede a ripensamenti,
esercitandosi sul registro facilmente compiacente della potenziale vanità
personale, confermando l'integra coerenza di una collocazione definitivamente
assolta nella schietta consapevolezza dell'immagine veristica. Già nell'Autoritratto del '93 ella si rappresenta seduta al tavolo da lavoro munita
di lampada a olio per la luce, giovane ma coscientemente assorta nel suo carico
di responsabilità. Lo sguardo non comunica gaiezza, né indulge a pensieri
leggeri, concentrato invece sull'espressione assoluta di una fin troppo matura
essenzialità. Anche quello del '10 esplica un'intensa qualità riflessiva,
costruita su un'interiorità razionale compresa nei travagli esistenziali. E la
gioia della maternità appare esprimere primariamente questa collocazione attiva
della coscienza, teneramente avvinta in un'immagine del sentimento che si
libera istintivamente dei vincoli sovrastrutturali per dedicarsi all'espansione
amorosa, come dichiara nel '16 Madre con bambino in braccio o ancora Gioia materna, oppure si
erge compatta per riaffermare l'inesauribile ruolo protettivo della sua
presenza, come mostra nel '37-38 la suggestiva scultura Torre delle madri. Più spesso però è la condizione sociale dei
"reietti" ad emergere prepotentemente sulla scena storica, lasciando
alle vibrazioni affettive del "sentire femminile" l'orizzonte critico
di una gestione emotiva insostenibile, angosciata dalle sorti ineluttabili
della miseria economica con le sue terribili conseguenze di malattia e morte.
Questo quadro distruttivo si propone nella cruda essenzialità di opere come Disoccupazione del 1909, con la tragedia familiare che incombe al capezzale
di una donna morente, accanto alla muta inconsapevolezza dei propri piccoli, o
in La
morte e una donna, dell'anno
successivo, in cui la morsa inevitabile dell'ultima "ancella" strappa
letteralmente una madre dalle braccia disperate del proprio bambino, oppure Madri del '19 e Pubblico ricovero del '26, incentrate
su temi sostanzialmente identici. Negli ulteriori autoritratti, dagli anni
venti fino alla morte, s'innesta progressivamente un cupo sentimento di
sconfitta, in cui la visibilità del peso morale asserito dalla rappresentazione
iconografica traduce un disagio dei fermenti vitali osservato attraverso
l'impietoso decadimento dei connotati esteriori, e verifica inoltre una
situazione di effettivo peggioramento delle condizioni sociali e politiche,
d'altronde segnate dall'avvento nazista e dalle conseguenze inquietanti del
prefigurato disegno hitleriano sui destini europei. Non casualmente l'ultimo
ciclo litografico della grafica tedesca viene titolato nel 1934-35 La morte, assurgendo a considerazione estrema sugli effetti
inesorabili dell'ultimo atto, quando vengono meno le forze di sostegno morale
(oltre che economico), e l'abbrutimento della vecchiaia o della malattia
propongono quasi stancamente, ma anche prepotentemente per i più giovani e gli
indifesi, l'irreversibile passaggio esistenziale. In questo recupero di
immagini munchiane, soprattutto in La morte ghermisce un gruppo di bambini e Morte sulla strada (o
Morte
del vagabondo), l'alterazione espressionistica della fisicità tratteggia
umane e allucinate figure larvali, soffocando qualsiasi volontà vitale.
L'esemplarità e la costanza del suo impegno nella propaganda politica,
attestata anche dai progetti grafici stilati per campagne contro la fame, la
guerra, e altre tematiche sociali, riceveranno opportuno riconoscimento nel '27
con l'invito ufficiale in Unione Sovietica per le celebrazioni del decimo
anniversario della Rivoluzione.
Coppia di amanti - 1913
Connotazione suggestiva di questo indirizzo militante
rimane In
morte di Karl Liebknecht, incisione
effettuata nel '19 dopo l'assassinio del leader spartachista insieme a Rosa
Luxemburg da parte della polizia governativa, che anche aldilà dell'omaggio
politico esprime il raggelato sgomento per una speranza perduta e la pietà
indicibile di un sentimento affannoso: l'avvilito corteo in cui quell'umanità
derelitta sfila davanti alla bara del morto sembra davvero comunicare
l'assoluta solitudine del mondo. Prima donna ad essere eletta membro
dell'Accademia Artistica Prussiana nel 1919, Kathe Köllwitz ne assume nel '28
la direzione del settore grafico, che conserverà fino al '33, quando
l'incombente minaccia del nazismo la indurranno a dimettersi dalla carica
onoraria e ad esercitare quasi clandestinamente l'attività artistica, avviata
ormai verso il campo preferenziale della scultura, pur senza abbandonare
l'antica pratica incisoria. Soltanto dopo il bombardamento dello studio
berlinese durante l'ultima guerra, in cui molte opere andarono oltretutto
perdute, l'artista decise di trasferirsi definitivamente nella cittadina di
Moritzburg, presso Dresda, dove finirà i suoi giorni nel 1945 quasi ottantenne.