Iniziati
gli studi universitari a Bonn, nel 1836 Marx si trasferì all' Università di
Berlino, dove conseguì il dottorato in filosofia nel 1841 con una dissertazione
dal titolo: Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di
Epicuro. Nel 1842 iniziò a collaborare con la "Rheinische
Zeitung" (Gazzetta renana) di Colonia, della quale divenne in breve tempo
caporedattore. I suoi articoli, incentrati sulla critica delle condizioni
sociopolitiche dell'epoca, gli crearono problemi con le autorità prussiane: il
giornale fu soppresso nel 1843. Marx si recò quindi a Parigi, dove stabilì
contatti con i movimenti socialisti e si dedicò ai primi studi di economia
politica. Nel 1844 incontrò Engels: entrambi si accorsero di essere pervenuti
per strade differenti alla teorizzazione della necessità storica di una
rivoluzione. Da quel momento Marx ed Engels collaborarono alla
sistematizzazione dei principi teoretici del comunismo, oltre che
all'organizzazione di un movimento operaio internazionale fondato su tali
principi.
Nei
cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx utilizza gli
strumenti della dialettica hegeliana per mettere a fuoco il tema del
"lavoro alienato" nella società capitalistica. Se fino a questo
periodo Marx appare vicino alla generazione dei filosofi della "sinistra
hegeliana", in particolare a Ludwig Feuerbach, in seguito se ne distanzia
per dare al suo pensiero un carattere più nettamente materialistico. È nell'Ideologia
tedesca, scritta in collaborazione con Engels nel 1845-46 (ma pubblicata
postuma nel 1932), che trova le sue basi il materialismo storico marxiano,
ossia una concezione che afferma la dipendenza di ogni fattore coscienziale (le
sovrastrutture ideologiche, religiose, politiche) dalle strutture economiche e
dalle condizioni materiali nelle quali gli uomini riproducono, nelle varie
epoche, la loro esistenza.
Espulso dalla
Francia nel 1845, Marx si stabilì a Bruxelles dove organizzò una rete
internazionale di gruppi rivoluzionari definiti "comitati di
corrispondenza comunista". Continua nel frattempo l'impegno teorico: del
1847 è la Miseria della filosofia, in cui Marx polemizza con le dottrine
economiche di Pierre-Joseph Proudhon e in generale dell'economia borghese.
Nello stesso anno la Lega dei comunisti chiese a Marx e a Engels di formulare
un manifesto di principi del comunismo; nacque così il Manifesto del Partito
comunista, pubblicato nel gennaio del 1848, alla vigilia dei moti insurrezionali
che sconvolsero l'Europa. Nella sezione centrale del Manifesto Marx
articola nuovamente la teoria del materialismo storico, che individua nel
sistema economico dominante di ogni epoca ciò che determina la forma di
organizzazione sociale e la configurazione storica e politica dell'epoca
stessa; inoltre il Manifesto evidenzia la nozione di lotta di classe
come processo dialettico che plasma il corso della storia. Da queste premesse
teoriche Marx concluse che, nell'epoca dominata dalla forma di produzione
capitalista, la classe dei capitalisti sarebbe stata eliminata da una
rivoluzione organizzata dal proletariato, che avrebbe "abbattuto" la
società esistente per costituire una società senza classi.
Manifesto del Partito comunista
Il frontespizio della prima edizione del Manifesto del Partito comunista, scritto da Karl Marx e Friedrich Engels, che lo pubblicarono nel 1848. Questo libro esercitò una profonda influenza sul pensiero del XIX secolo: ispirò i movimenti socialisti e comunisti di tutto il mondo e fu alla base di eventi fondamentali, come la Rivoluzione russa.
Dopo
la pubblicazione del Manifesto scoppiarono le rivoluzioni in Francia e
in Germania: il governo belga, temendo l'avanzata dell'onda rivoluzionaria,
bandì Marx, che tornò a Parigi e poi nuovamente a Colonia, dove fondò e diresse
il periodico comunista "Neue Rheinische Zeitung" (Nuova gazzetta
renana) e si dedicò all'attivismo politico. Nel 1849 fu arrestato e processato
con l'accusa di incitamento all'insurrezione armata; fu assolto, ma costretto a
lasciare il paese e a chiudere il giornale. Nel medesimo anno venne nuovamente
espulso dalla Francia; si trasferì quindi a Londra, dove rimase fino alla
morte.
In
Inghilterra Marx collaborò con quotidiani sia europei sia americani, come il
"New York Tribune", con articoli sugli eventi politici e sociali, e
scrisse Il Capitale (vol. 1, 1867; voll. 2 e 3, a cura di Engels e
pubblicati postumi nel 1885 e 1894), un'analisi sistematica e storica dei
meccanismi di produzione e di distribuzione della ricchezza entro il sistema
capitalistico, effettuata con l'intento di enuclearne le contraddizioni e di
individuare le tendenze economiche che conducono al superamento di questo
sistema. In questa opera Marx presenta la teoria dello sfruttamento della
classe operaia da parte dei capitalisti: questi ultimi pagherebbero agli operai
solo una parte del valore prodotto nel ciclo di produzione delle merci,
realizzando un "plusvalore" frutto del "pluslavoro" estorto
all'operaio.
Dopo
la scioglimento della Lega dei comunisti nel 1852, Marx mantenne i contatti con
centinaia di rivoluzionari con i quali fondò a Londra nel 1864 l'Associazione internazionale
dei lavoratori (la Prima internazionale; vedi Internazionale
socialista), di cui tenne il discorso inaugurale, redasse lo statuto e diresse
il consiglio generale. Nel 1871 pubblicò La guerra civile in Francia
(1871), in cui analizzò l'esperienza della Comune di Parigi – il governo
rivoluzionario istituito a Parigi durante la guerra franco-prussiana –
interpretando questa esperienza come una conferma storica della necessità per i
lavoratori di impadronirsi del potere politico con un'insurrezione armata e di
distruggere poi lo stato capitalistico. Queste idee sono presentate anche nella
Critica del programma di Gotha (1875).
La
fortuna delle dottrine di Marx si accrebbe dopo la sua morte con l'affermarsi
del movimento operaio e la nascita di una delle principali correnti del
pensiero contemporaneo, il marxismo. La sua analisi dell'economia capitalista e
la sua teoria del materialismo storico, della lotta di classe e del plusvalore
sono alle fondamenta del socialismo moderno. Rilevanti rispetto all'azione
rivoluzionaria sono le teorie dello stato capitalista e della dittatura del
proletariato, riprese in seguito da Lenin. Queste idee costituirono il cuore
del bolscevismo e della Terza internazionale.
Nel
1889, centenario dello scoppio della Rivoluzione francese, Parigi ospitò
contemporaneamente due congressi socialisti, uno dei quali, ispirato al
Manifesto comunista di Marx ed Engels, inaugurò la Seconda internazionale: si
trattava di una federazione di partiti di massa con un ufficio di coordinamento
costituito nel 1900. Durante il congresso di Londra del 1896 gli anarchici
furono espulsi, lasciando i marxisti in una posizione di predominio indiscusso,
anche se questi ultimi, soprattutto in Germania e in Francia, cercavano ora di
attuare le riforme nel rispetto del sistema giuridico dello stato.
Al primo
congresso altri ne seguirono: a Bruxelles (1891), a Zurigo (1893), a Londra
(1896), a Parigi (1900), ad Amsterdam (1904), a Stoccarda (1907), a Copenaghen
(1910) e a Basilea (1912). Questi congressi riaffermarono il principio della
«lotta di classe» nel campo politico e ribadirono la necessità di non accettare
«l'ordine costituito» e le istituzioni care alla classe dominante se non come
un espediente per raggiungere alcuni fini immediati e meglio preparare la
vittoria finale del socialismo. Si propose la data del 1º maggio per una festa
annuale dei lavoratori di tutto il mondo; si diede inizio all'organizzazione di
un proletariato rurale accanto a quello dei centri industriali; si proclamò
l'opposizione radicale dei lavoratori alla guerra in genere e in particolare al
colonialismo sfruttatore dei popoli poveri. Nel corso di un ventennio i partiti
socialisti finirono per prevalere sulle organizzazioni prettamente operaie, con
la conseguenza di alimentare accesi dibattiti sulle grandi questioni politiche.
Ma le divisioni tattiche e strategiche tra i vari partiti socialisti
indebolirono la Seconda Internazionale che allo scoppio della I guerra mondiale
entrò definitivamente in crisi. La componente antibellicista tentò inutilmente
(conferenza di Zimmerwald del 1915, di Kiental del 1916 e di Stoccolma del
1917) di organizzare una Commissione socialista internazionale mentre i partiti
socialisti di sinistra si andavano orientando verso l'Internazionale comunista
(1919) e quelli moderati si impegnavano vanamente nel rilancio della Seconda
Internazionale (Berna 1919, Ginevra 1920). Tra queste due posizioni
inconciliabili prese corpo, nel 1921 a Vienna, l'Unione dei partiti socialisti
per l'azione Internazionale detta anche Internazionale due e mezzo.
Fondata da M. Adler e P. Faure, mirava a favorire l'unità d'azione del
proletariato internazionale sulla discriminante anticapitalista prescindendo dalle
scelte del metodo democratico propugnato dalla Seconda Internazionale. o
rivoluzionario sull'esempio bolscevico della Terza Internazionale. Un nuovo
tentativo di riunificare il fronte socialista si ebbe ad Amburgo (1923), con la
costituzione dell'Internazionale operaia e socialista, ma il persistere di
vecchie divisioni che già avevano minato la Seconda Internazionale resero
sterile quest'organismo che si sciolse nel 1940. Solo nel 1951, con la
conferenza di Francoforte sul Meno, si ricostituiva una nuova Internazionale
socialista, su basi, però, completamente diverse dalle precedenti. Tuttora in
vita, espressione dei moderni partiti socialdemocratici, essa, lungi dal
propugnare la distruzione del capitalismo, si pone l'obiettivo di realizzare la
giustizia sociale nel quadro delle libertà economiche e della democrazia
politica.
Sebbene il movimento socialista fosse
ideologicamente a favore della pace e della fratellanza tra lavoratori di ogni
paese, il dissidio sorto nell'ambito dell'Internazionale indebolì gli sforzi
volti a evitare una guerra in Europa. Quando, nel 1914, ebbe inizio la prima
guerra mondiale, gli interessi nazionali si dimostrarono molto più forti dei
legami di classe tra lavoratori e parte dei socialisti sostenne la politica
militare dei propri governi. Questa circostanza segnò la fine della Seconda
internazionale, sebbene i tentativi di ricostituire l'unità del movimento
continuassero fino al 1920.
Rosa
Luxemburg nacque a Zamosc, in Polonia, nel 1870, da un’agiata famiglia ebraica
di commercianti colti e di idee liberali ed antizariste. Cominciò a militare
nel partito socialista rivoluzionario polacco Proletariat non appena terminato
il liceo. Nel 1895 fu costretta, per sfuggire alle persecuzioni poliziesche
zariste, ad abbandonare la Polonia russa e a rifugiarsi in Svizzera. A Zurigo
seguì gli studi universitari presso la facoltà di scienze politiche, ed ebbe
modo di approfondire i propri studi su Smith, Ricardo e su Marx. Inoltre si
impegnò attivamente affinché il movimento socialista polacco fosse
riorganizzato e nel 1893 partecipò al congresso dell’Internazionale socialista.
Nel 1897 si trasferì in Germania, dove concluse un matrimonio di comodo con un operaio tedesco per ottenere la
cittadinanza tedesca (1898). A Berlino aderì al Partito socialdemocratico
tedesco schierandosi
subito con l'ala marxista antirevisionista, capeggiata da Babel e da Kautsky (SPD),
prendendo le distanze dal revisionismo di Eduard Bernstein.
Nel libro Sozialreform
oder Revolution? (Riforma sociale o rivoluzione?), contestò le idee di
Bernstein, asserendo che vi fosse una “necessità storica” di socialismo e che
esso non dovesse essere considerato semplicemente come una “possibilità”
desiderabile da un punto di vista puramente etico, inoltre la Luxemburg fece
notare che Bernstein nel formulare le sue ipotesi si basava su dati empirici e
pertanto non fosse in grado di cogliere l’insieme dei fenomeni reali, e
soprattutto che insita nel capitalismo vi era una contraddizione tra la
crescita della potenzialità produttiva e la limitata possibilità di smercio dei
prodotti e questa porta a continue crisi politiche ed economiche che avrebbero
finito con lo sfociare in guerre inter-imperialistiche, tesi questa, che
sostenne anche ne L’accumulazione del capitale. Il tentativo di compiere una divisione fra i lati
“positivi” e quelli “negativi” del capitalismo venne considerato come assurdo
ed fu definito con molta ironia come l’idea “di trasformare il mare
dell’amarezza capitalistica in un mare di dolcezza socialistica, con la
semplice aggiunta di qualche bottiglia di limonata socialriformistica”.
Ella riaffermò con forza l’idea della “catastrofe” della società borghese anche
nell’epoca imperialistica, condannando la scelta di una transizione
riformistica verso il socialismo rispetto alla via rivoluzionaria, ritenuta
sempre più inattuabile.
Inoltre la
Luxemburg contestò il meccanicismo evoluzionistico di Kautsky, il quale
riteneva che le lotte sindacali e politiche compiute quotidianamente dagli
operai si dovessero mantenere completamente divise dalla meta finale verso cui
sarebbe dovuto giungere il socialismo. Ella al contrario asseriva che il
riferimento all’eliminazione della classe borghese all’interno della lotta
corrente della classe operaia non dovesse mai venir posto in secondo piano,
affinché la “grande riforma del mondo” non si trasformasse in un ideale
meramente astratto.
Collaborò con la
Sächsiche Arbeiterzeitung, la Leipziger Volkszeitung
e con il Die Neue Zeit, l'organo ufficiale del partito, scrisse
importanti opere di dottrina economica marxista, tra le quali (1889), Massenstreich,
Partei und Gewerkschaffen (1906; Sciopero generale, partito e
sindacato), Durante la Rivoluzione russa del 1905 si recò a Varsavia per
partecipare alla lotta, ma venne arrestata. Dopo il suo rilascio insegnò
economia politica alla scuola dell'SPD a Berlino (1907-1914); in questi anni
pubblicò la sua opera principale, Die Akkumulation des Kapitals
(L'accumulazione del capitale) in cui si allontanò dalle tesi di Karl Marx
sulla crisi del capitalismo, provocando un'aspra reazione critica da parte sia di Lenin sia
di Kautsky; La Luxemburg riteneva che l’accumulazione del capitale, all’interno
del metodo di produzione capitalistico descritto da Marx, dove venivano
considerate soltanto la classe operaia e quella padronale, incontrasse un
limite nel fatto che gli operai non erano in grado di acquistare tutte le merci
prodotte. Una parte veniva acquistata dagli artigiani e dai contadini, due
strati precedenti alla rivoluzione industriale e che, secondo l’interpretazione
marxista, si andavano riducendo mano a mano che si sviluppava il capitalismo.
Era necessario perciò l’allargamento dei mercati verso i paesi
precapitalistici, le cui immense risorse avrebbero sopperito alle difficoltà
cicliche del capitalismo: di qui, sosteneva la Luxemburg, aveva origine la spinta aggressiva
dell’imperialismo, che era perciò espressione del processo di accumulazione del
capitale nella lotta concorrenziale per l’accaparramento del mercato nei paesi non
ancora capitalistici. Quando anche queste aree saranno divenute capitaliste, il
capitalismo si avvierà alla fine, in quanto verranno meno le sue condizioni di
espansione. Pertanto andava considerato come ineluttabile il crollo della
società occidentale, che avrebbe semplicemente finito per essere posta davanti
a due possibilità: la degenerazione del capitalismo in anarchia o la nascita di
una civiltà socialista. Impegnata nella lotta contro il revisionismo marxista
(Bernstein), la Luxemburg entrò in polemica anche con Lenin riguardo alla
concezione centralista del partito, da lei vista come possibile causa di
degenerazioni autoritarie, e, dopo la Rivoluzione d'ottobre, si scontrò col
gruppo dirigente bolscevico sull'azione rivoluzionaria e sulla “pratica” della
dittatura del proletariato, esprimendosi contro la visione leninista di un partito di
rivoluzionari professionisti, sostenendo la necessità di un partito basato
sulla spontaneità elementare delle masse, che sfruttasse lo sciopero generale
come strumento di lotta. (Die russiche Revolution. Eine Kritische Würdigung,
postumo, 1921; La rivoluzione russa. Un esame critico). Già nel che fare
del 1902 ella si era posta in contrasto con le tesi di Lenin, il quale
affermava che l’intervento di un partito socialdemocratico fosse necessario
alla classe proletaria, poiché quest’ultima, lasciata a se stessa, non sarebbe
mai stata in grado di acquisire un’effettiva coscienza di classe, limitandosi a
semplici rivendicazioni tramite manifestazioni di tipo luddista, le quali non
avrebbero mai potuto portare alla scomparsa dei ceti borghesi. La Luxemburg
riteneva invece che le masse rivoluzionarie dovessero di intraprendere una
lotta di classe autonomamente, tramite un proprio movimento, anche a costo di
commettere errori, piuttosto che mantenere un ruolo di subordinazione ad un
partito centralizzato e diretto da un’esigua percentuale dei suoi iscritti,
ovviamente quella più acculturata, di cui difficilmente sarebbero potuti
rientrare degli operai, e mantenendo di fatto una disparità non più tra ceti
sociali, ma tra differenti ceti culturali.
Profondamente
contraria alla guerra fin dal Congresso di Stoccarda del 1907, dove aveva collaborato a
elaborare le tesi pacifiste della II Internazionale, la Luxemburg organizzò una
serie di manifestazioni antimilitariste incitando i soldati alla diserzione e,
dal 1913, venne più volte arrestata, rimanendo quasi sempre in carcere durante il
periodo bellico; mentre si trovava in carcere scrisse Die russiche Revolution. Eine Kritische Würdigung, postumo, 1921; (La
rivoluzione russa. Un esame critico) dove analizzava la struttura della nuova Russia rivoluzionaria
criticando quello che sosteneva essere un eccesso di tattiche autoritarie a
causa della riduzione apportata nell’apporto delle masse all’interno dei
soviet. Soprattutto la forte centralizzazione del partito incontrava lo sfavore
della Luxemburg, in quanto secondo lei la dittatura del proletariato avrebbe
dovuto fare in modo che a tutti i membri della società fosse garantita la libertà
di stampa e di pensiero e non solo ai componenti del partito, come era avvenuto
in Russia. Certamente molte delle “storture” commesse in Russia andavano
imputate alla difficile situazione in cui i bolscevichi si erano trovati, in
quanto reduci non solo dalla dittatura zarista, ma anche dalla prima guerra
mondiale, ma proprio in quanto azioni imposte dalla necessità esse non andavano
considerate (come sosteneva Lenin) quali modelli da imitare da parte delle
organizzazioni proletarie degli altri paesi. “La libertà”, affermava Rosa
Luxemburg, “è sempre soltanto libertà di chi la pensa diversamente”.
Nel 1916,
insieme al socialista tedesco Karl Liebknecht, a F. Mekring e C. Zetkin ella
organizzò un gruppo rivoluzionario all'interno dell'SPD, la cosiddetta Lega di
Spartaco (la Spartakusbund), che si poneva all'estrema sinistra
della socialdemocrazia tedesca ed in polemica con l'atteggiamento di
quest’ultima favorevole a prendere parte alla guerra. Il movimento auspicava al
contrario un'azione congiunta dei lavoratori di tutti i paesi in guerra, al
fine di porre fine al conflitto per concentrarsi invece nella lotta al sistema
capitalista. Perseguitato, il gruppo degli spartachisti passò alla
clandestinità, quindi aderì nel 1917, come frazione autonoma, al Partito
Socialista Indipendente nato dalla scissione della sinistra e del centro dalla
socialdemocrazia; finché, nel 1918, partecipò alla rivoluzione che vide il
crollo dell'Impero germanico e dette origine nel dicembre al Partito Comunista
Tedesco, il cui programma rivendicava il potere ai consigli, che si stavano
formando su iniziativa degli operai, e la cui struttura era pressoché simile a
quella dei Soviet. Dopo l'istituzione della Repubblica tedesca nel novembre del
1918, la lega di Spartaco (che assunse questo nome allorché Liebknecht pubblicò
alcuni articoli pacifisti sotto lo pseudonimo di Spartaco, il capo della
celebre rivolta degli schiavi scoppiata nell'antica Roma) mise in atto una
violenta opposizione contro il governo socialista del moderato Friedrich Ebert;
in seguito alle insurrezioni armate spartachiste del gennaio del 1919, i
dirigenti governativi appoggiati dall'esercito e dai gruppi reazionari,
promossero una dura repressione durante la quale la Luxemburg fu catturata da un reparto militare del
vecchio esercito imperiale, uccisa insieme con Liebknecht prima ancora di
essere portata in carcere. Il corpo venne gettato in un canale, da cui
riaffiorò solo dopo alcuni mesi.
L'Illuminismo
e la rivoluzione industriale contribuirono a creare in Europa un clima
favorevole allo sviluppo del femminismo, sull'onda dell'influenza dei movimenti
riformatori a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo. In Francia, durante la
Rivoluzione francese, le associazioni repubblicane delle donne invocarono
l'estensione universale dei diritti di libertà, eguaglianza e fraternità senza
preclusioni di sesso. Nel 1789 iniziò infatti la pubblicazione dei Cahiers
de doléances des femmes, una forte testimonianza del senso di esclusione
provato dalle donne nel processo rivoluzionario, di cui esse si sentivano
invece parte integrante. In quegli anni Mary Godwin Wollstonecraft scrisse in
Gran Bretagna un pamphlet intitolato Vindication of the Rights of Women (1792;
Rivendicazione dei diritti delle donne), in cui denunciava la forte
discriminazione nei confronti delle donne nella società del suo tempo,
richiedendo l'eguaglianza fra i generi.
PROLETARIE E BORGHESI
Durante la rivoluzione industriale il passaggio dal lavoro
artigianale (che le donne avevano svolto tradizionalmente in casa e senza
essere retribuite) alla produzione di massa fece sì che le donne entrassero in
fabbrica come salariate. Ciò rappresentò, pur tra grandi contraddizioni
sociali, il primo passo verso la conquista di una maggiore autonomia. Fu
nell’ambito della fabbrica che infatti si svilupparono le lotte per ottenere la
parità di salario con gli uomini, migliori condizioni di lavoro e riduzioni
dell’orario di lavoro, che si saldarono a quelle per il suffragio condotte
dalle donne di classe media e alta.
Mentre
nei paesi di religione cattolica la Chiesa si oppose duramente al femminismo,
in quanto riteneva che distruggesse la famiglia patriarcale, nei paesi di religione
protestante (come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti d'America) il movimento
femminista ebbe maggiori possibilità di svilupparsi. Alla sua guida si posero
donne istruite e riformiste, come Lucrezia Coffin Mott, personaggio di primo
piano nella lotta contro la schiavitù, Elizabeth Cady Stanton ed Emmeline
Pankhurst.
Emmeline Pankhurst
Femminista inglese, Emmeline Pankhurst si batté per ottenere riforme legislative e sociali che garantissero alle donne gli stessi diritti, fra cui il suffragio, riconosciuti agli uomini. Arrestata più volte, è qui fotografata mentre viene condotta in prigione.
Negli Stati Uniti nel 1848 più di cento
persone tennero la Convenzione di Seneca Falls, che chiese la piena parità di
diritti tra uomini e donne e l'estensione a queste del suffragio.
Le
femministe inglesi invece si riunirono per la prima volta nel 1855 per ottenere
pari diritti di proprietà. In Gran Bretagna, inoltre, l'opera Schiavitù
delle donne, del filosofo John Stuart Mill, influenzata probabilmente dalle
conversazioni con la moglie Harriet Taylor Mill, richiamò l'attenzione sulla
questione femminile e portò alla concessione nel 1870 dei diritti di proprietà
alle donne sposate. In seguito furono introdotte le leggi sul divorzio, sul
mantenimento e sul sostegno nella cura dei figli, e la legislazione del lavoro
introdusse minimi salariali e limiti all'orario di lavoro.
In Italia il movimento delle donne fece la sua comparsa
all’indomani dell’Unità e si sviluppò per opera di Anna Maria Mozzoni, Anna
Kuliscioff, Carlotta
Clerici, Linda Malnati ed Emilia Mariani tra le altre.
Anna Kuliscioff
Anna Kuliscioff , dopo aver combattuto il
regime zarista fu esule in Svizzera e quindi in Italia, dove si unì ai circoli
socialisti. Compagna di Andrea Costa e successivamente di Filippo Turati,
insieme a questi diresse la rivista "Critica sociale", dando un
contributo fondamentale al socialismo italiano. Il suo impegno fu altrettanto
attivo sul fronte dell’emancipazione femminile, battendosi per l’estensione del
suffragio alle donne.
I
primi a introdurre ampi programmi per i diritti delle donne, che inclusero tra
l'altro strutture di assistenza per i bambini, furono negli anni Trenta i
governi socialisti della Svezia.
Il movimento
per il suffragio femminile ebbe origine negli Stati Uniti dove, anche prima
della Guerra d'indipendenza, le donne avevano preso parte alla vita politica
più attivamente che in Europa. Già il Congresso continentale discusse
ampiamente la questione del voto alle donne, rinviando però la decisione ai
singoli stati, in sede di formulazione delle rispettive leggi elettorali.
Durante
la prima metà del XIX secolo, il movimento, guidato da Lucretia Coffin Mott e
da Elizabeth Cady Stanton, si sviluppò, nonostante incomprensioni e pregiudizi
antifemministi, all'interno di quello abolizionista; vi furono sostenitori
maschili di tali iniziative, come Wendell Phillips e il filosofo e poeta Ralph
Waldo Emerson, ma fu Elizabeth Stanton la prima a rivendicare il suffragio
universale esteso alle donne nella Convenzione di Seneca Falls nel 1848.
Le
incomprensioni tra suffragiste e movimento abolizionista culminarono nello
scontro sul 15° emendamento alla costituzione proposto dagli abolizionisti nel
1868, nel quale si chiedeva di estendere le garanzie costituzionali a tutti gli
americani senza distinzioni di razza, fede religiosa o colore della pelle, ma
non si menzionava il diritto di voto alle donne; gli abolizionisti temevano
infatti che le richieste delle donne avrebbero messo a rischio l'approvazione
dell'emendamento.
Per
la Stanton e per Susan Anthony, altra protagonista del femminismo americano,
ogni dilazione era tuttavia inaccettabile e nel 1869 costituirono la National
Woman Suffrage Association (NWSA, Associazione nazionale femminile per il
suffragio); l'associazione, aperta alle sole donne, aveva l'obiettivo di
ottenere una legge federale sul voto alle donne.
Giornale The Suffragette
Nell'ottobre del 1912, Christabel Pankhurst diede alle stampe la prima copia di "The Suffragette", il giornale della Women's Social and Political Union pubblicato per sostituire "Votes for Women". Quest'ultimo continuò a essere pubblicato, ma "The Suffragette" divenne la pubblicazione settimanale ufficiale della Union.
Un altro
gruppo, guidato da Lucy Stone e da Henry Ward Beecher, fondò la American Woman
Suffrage Association (AWSA, Associazione americana femminile per il suffragio)
e appoggiò l'emendamento. Nello stesso anno il Wyoming concesse il voto alle
donne.
Nel
1890 i due movimenti suffragisti si fusero nella National American Woman
Suffrage Association (NAWSA), alla quale aderì, tra gli altri, la scrittrice
Harriet Beecher Stowe. Numerosi stati concessero allora il suffragio alle
donne, in gran parte per effetto dell'azione del movimento. Nel 1919 il
Congresso approvò il 19° emendamento, che vietava all'Unione, come ai singoli
stati, di negare o limitare il diritto di voto ai cittadini degli Stati Uniti
in base al sesso.
La prima
figura di rilievo del femminismo britannico fu Mary Wollstonecraft, autrice di A
Vindication of the Rights of Woman (1792, Una rivendicazione dei diritti
della donna), uno dei più importanti documenti femministi apparsi prima del XIX
secolo. Tra il 1830 e il 1850 circa il movimento delle suffragette guadagnò
l'appoggio dei cartisti che si battevano per un ampio programma di riforme.
Negli anni seguenti il tema fu sostenuto da politici liberali tra cui il
filosofo John Stuart Mill, John Bright e Richard Cobden. Mill, in particolare,
contribuì a fondare la prima associazione inglese per il suffragio femminile.
Il movimento ebbe tuttavia tenaci avversari come i primi ministri William
Gladstone e Benjamin Disraeli e la stessa regina Vittoria.
Un
ruolo determinante nell'affermazione delle lotte femministe ebbe il movimento
delle suffragette, che fiorì dal 1860 al 1930, riunendo donne di diversa classe
sociale e di diversa istruzione attorno al comune obiettivo del diritto di
voto. Nonostante le mobilitazioni di massa, la richiesta del diritto di voto,
divenuto irrinunciabile per le femministe britanniche e statunitensi, incontrò
durissime resistenze.
Movimento femminista che ai primi del
Novecento si batté in Gran Bretagna per il diritto delle donne al voto nelle
elezioni generali. La prima a parlare di suffragio femminile fu la scrittrice
Mary Wollstonecraft nel libro Rivendicazione dei diritti della donna
(1792). Intorno al 1840 la rivendicazione fu sostenuta dai cartisti e nel
decennio successivo dal filosofo John Stuart Mill. Tuttavia, i disegni di legge
presentati al Parlamento furono scartati in parte perché uomini politici quali
William Gladstone e Benjamin Disraeli si sentirono comunque obbligati nei
confronti della regina Vittoria, fiera oppositrice del suffragio femminile, e
in parte per timore che i voti femminili potessero, in qualche modo, produrre
influenze imprevedibili sui risultati elettorali.
Il persistente rifiuto al diritto di
voto per il Parlamento (le donne avevano ottenuto nel 1869 quello per il
municipio e nel 1880 quello per la contea), spinse la suffragetta Emmeline
Pankhurst a fondare nel 1903 l'Unione politica e sociale delle donne, che portò
a decise forme di protesta. Nel 1907, infatti, la Pankhurst guidò una marcia
verso la sede del Parlamento, durante la quale decine di donne s’incatenarono
lungo Downing Street, dove risiedeva il primo ministro. In seguito, numerose
suffragette, colpevoli di atti di vandalismo, furono imprigionate, altre che
attuavano uno sciopero della fame furono costrette con la forza a nutrirsi; nel
1913 una si uccise gettandosi sotto il cavallo del re durante il torneo di
Derby.
Nel 1914, allo scoppio della prima
guerra mondiale, l'Unione abbandonò la campagna militante per sostenere lo
sforzo bellico. Nel 1918, in parte a causa di tale valido sostegno, le
argomentazioni contro il suffragio femminile non avevano più fondamento, così
le donne di età superiore ai 30 anni ottennero il diritto di voto. Nel 1928 il
diritto di voto fu concesso a tutte le donne che avessero compiuto 21 anni.
Nel
Lombardo-Veneto e in Toscana, prima del 1861, le donne proprietarie, escluse
dalle elezioni politiche, godevano di una forma limitata di diritto di voto alle
elezioni amministrative, che persero però con l'unificazione dell'Italia; negli
anni seguenti furono inoltre bocciate diverse proposte di legge miranti a
sancire il diritto di elettorato attivo delle donne.
Negli
ultimi decenni del XIX secolo, tuttavia, il movimento per l'emancipazione della
donna, grazie soprattutto ad Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff, si intrecciò
strettamente a quello operaio e socialista e con il congresso delle donne
indetto nel 1908 a Roma dal Consiglio nazionale delle donne nacque il
suffragismo femminile italiano. Una proposta per allargare il diritto di voto
alle donne, avanzata nel 1919, fu travolta insieme con le istituzioni liberali
dall'avvento del fascismo. Le donne votarono per la prima volta nel 1946.
Fu
la Nuova Zelanda il primo paese a estendere il diritto di voto alle donne nel
1893. In altre nazioni del mondo ciò avvenne soltanto dopo la prima guerra
mondiale, anche come concreto segno di riconoscimento del contributo dato dalle
donne durante la guerra sia come lavoratrici sia come volontarie. In Italia le
donne iniziarono a votare soltanto nel 1946. In Svizzera invece furono escluse
dal voto federale sino al 1971. Ancora oggi le donne non votano in molti paesi
islamici.
Durante
gli anni Sessanta i profondi mutamenti politici, economici, sociali e culturali
portarono in tutto l'Occidente a una rinascita dei movimenti femminili e alla
diffusione di istanze che superavano la fase della rivendicazione della parità
tra i sessi per affermare con forza la specificità dell'identità femminile.
Essi si ispiravano a opere come Il secondo sesso (1949) di Simone de
Beauvoir, La mistica femminile (1963 ) di Betty Friedan e La politica
sessuale (1969) di Kate Millet.
Betty Friedan
Betty Friedan accanto a Gloria Steinem nell'agosto del 1977, mentre firma un ERAgram diretto al presidente Jimmy Carter, con la richiesta di sostegno dell'emendamento sulla parità di diritti. Il libro di Betty Friedan Mistica della femminilità, pubblicato nel 1963, sostenne che le donne possono sentirsi felicemente realizzate anche grazie a una carriera lavorativa che escluda le cure familiari. La Friedan divenne una delle guide del movimento femminista e nel 1966 fondò l'American National Organization for Women (NOW) che ancora oggi si batte per rivendicare la parità di diritti tra uomini e donne.
Il
movimento femminista mise in discussione le istituzioni sociali e i valori
dominanti, fondando le proprie critiche su una vasta produzione teorica raccolta
intorno ai women’s studies (studi delle donne), che affrontava la
condizione femminile dai vari punti di vista della discriminazione, della
famiglia, della sessualità, dell’istruzione, del lavoro ecc. Il nuovo
femminismo indicava nel sovvertimento della società patriarcale e sessista la
strada per affermare l’identità e la libertà della donna e definiva il
linguaggio stesso, in quanto "specchio linguistico" del tradizionale
predominio maschile, uno strumento attraverso il quale si perpetuava la discriminazione.
Gloria Steinem
Verso il 1960, le condizioni sociali ed economiche aprirono alle donne possibilità di lavoro al di fuori dello spazio domestico. Questa situazione convinse molte di loro a unirsi in movimento, prima negli Stati Uniti d'America e poi in Europa, per chiedere il riconoscimento della parità di diritti rispetto agli uomini. Diressero il movimento, fra le altre, Gloria Steinem, Betty Friedan e Kate Millett. La Steinem fondò la rivista "Ms" e collaborò alla nascita dell'American National Women's Political Caucus e della Women's Action Alliance.
L’obiettivo
delle donne non era più quindi l’emancipazione, ma la “liberazione”,
rivendicata già a partire dalla denominazione che il movimento prese nella gran
parte dei paesi occidentali: “movimento di liberazione della donna”.
Inizialmente legato anche ai tradizionali movimenti, partiti e sindacati di
sinistra – con i quali condusse varie battaglie, tra cui quella per la
legalizzazione dell’aborto o contro la violenza sessuale –, il femminismo si
mostrò presto irriducibile a organizzazioni gerarchiche e a strategie che non
ponevano al primo posto la differenza, e quindi la contraddizione, ritenuta
principale: quella cioè tra l’uomo e la donna.
Negli
anni Ottanta e Novanta il femminismo ha perso parte della sua radicalità, ma
nello stesso tempo ha continuato a produrre una grande messe di studi,
soprattutto di storia delle donne, e a sviluppare la propria rete organizzativa
con un cospicuo numero di riviste, centri di documentazione, di ricerca e di
studi finalizzati a estendere la ricerca sulle questioni legate alla
soggettività femminile. Ha poi continuato a rivolgere l'attenzione ai fenomeni
che favoriscono la discriminazione. Libri come Il mito della bellezza (1990)
di Naomi Wolf e Riflusso (1992) di Susan Faludi hanno analizzato i
processi attraverso cui le conquiste dei movimenti femministi vengono
progressivamente erose nelle società occidentali.