MARIE CURIE

 

Marie Curie, o meglio Marya Sklodowska, nacque a Varsavia il 7 novembre 1867. In quel periodo la capitale polacca era occupata dai Russi, che stavano cercando di indebolire l’èlite locale, e si andava diffondendo la teoria del positivismo sostenuta da Auguste Comte e basata sul valore dell’esperienza scientifica applicato alla società; questa filosofia doveva lasciare una traccia indelebile sul carattere di Marya. Nata in una famiglia di insegnanti e cresciuta in un ambiente caratterizzato da una forte mancanza di fondi economici, cui poteva supplire solo un grande senso del dovere, condusse la più spartana delle vite. Studiò fino alla fine del Liceo nelle scuole del luogo e ricevette qualche nozione di tipo scientifico da suo padre. In seguito ella partecipò attivamente ad un’organizzazione rivoluzionaria studentesca e credette fosse prudente lasciare Varsavia, poiché la città si trovava in quella parte della Polonia dominata dai Russi e si recò a Cracovia, che a quel tempo faceva parte dei domini dell’impero austro-ungarico.

Allieva brillante e matura, dotata di una forte concentrazione, Maria coltivava il sogno di una carriera scientifica, un sogno inconcepibile per una donna a quel tempo. Ma la mancanza di fondi monetari fecero sì che dovesse limitarsi a divenire un’istitutrice. Fece sacrifici enormi affinché sua sorella Bronia potesse conseguire la tanto sognata laurea in Medicina alla Sorbona; secondo il patto stipulato dalle due sorelle, inizialmente Marya avrebbe spedito tutto il proprio stipendio di istitutrice a Bronia; una volta che questa si fosse laureata ed avesse trovato un lavoro, avrebbe dovuto a sua volta sostenere la sorella minore negli studi.

E così, nel 1891, la timida Marya arrivò a Parigi; ambiziosa ed introversa, aveva una grande ossessione: imparare. Si laureò in Fisica con ottimi voti e continuò a frequentare un corso di Matematica. Fu allora che un amico polacco le presentò il giovane Pierre Curie. Nel 1895, questo libero pensatore, noto per un suo lavoro sulla cristallografia e sul magnetismo, divenne suo marito. Un anno prima le aveva scritto quanto sarebbe stato piacevole trascorrere la vita l’uno accanto all’altra, tesi alla realizzazione dei nostri sogni: il vostro sogno patriottico, il nostro sogno umanitario ed il nostro sogno scientifico”.

All’inizio del 1896 Henri Becquerel , specializzato in fluorescenza, (l’emissione di raggi luminosi da parte di certi corpi dopo la loro esposizione alla luce), decise di procedere ad un esperimento; volle vedere se quel fenomeno non fosse accompagnato dalla produzione di nuovi raggi scoperti da Rontgen. Infatti, durante la sua applicazione, le pareti del tubo dei raggi x divennero fluorescenti. Allora, avvolse delle lastre fotografiche in un tessuto nero, le ricoprì di un foglio di alluminio e pose su questo foglio dei cristalli di solfato di uranile e di potassio, precedentemente esposti al sole. Dopo lo sviluppo, constatò che le lastre erano offuscate: si verificava, dunque, un’emissione di “radiazione penetrante”.

Quale oggetto migliore poteva esserci per Marie che provare a comprendere l’effetto sviluppato dall’energia di questi raggi? Anche Pierre se ne interessò subito. E così, insieme alla moglie, maneggiando tonnellate di minerali, notò che un’altra sostanza, il torio, era “radioattiva”, un termine coniato dalla stessa Marie.

Insieme, dimostrarono con un’importante scoperta che la radioattività non era il risultato d'una reazione chimica ma di una proprietà dell' elemento o, più specificamente, dell' atomo. Marie allora studiò la pechblenda, cioè l’uranio allo stato di minerale, in cui misurò un'attività molto più intensa di quella presente nell’uranio da solo. Così dedusse che esistevano altre sostanze molto radioattive oltre all’uranio, quali il polonio, chiamato così in onore della patria di Marie ed il radio, scoperto nel 1898. Essi riscontrarono che l’uranio allo stadio di minerale, detto anche pechblenda, conteneva un livello di radioattività superiore a quello che poteva essere attribuito alla sola presenza dell’uranio.

Analizzando l'intensità della radiazione emessa per mezzo di una camera di ionizzazione, essi riconobbero che i minerali dell'uranio, in modo particolare la pechblenda, avevano un'attività radioattiva maggiore rispetto ai sali usati da Becquerel. Poiché non esistevano elementi noti sufficientemente radioattivi da giustificare le radiazioni osservate, essi dedussero che i minerali analizzati fossero composti da sostanze ignote estremamente instabili.

La radioattività del torio venne osservata successivamente dalla stessa Marie Curie, mentre quelle di attinio e radon vennero scoperte nel 1899 rispettivamente dal chimico francese André Louis Debierne e dai fisici inglesi Ernest Rutherford e Frederick Soddy.

 

Nei loro esperimenti, Pierre osservò le proprietà della radiazione mentre Marie purificò gli elementi radioattivi. Entrambi condividevano la stessa tenacia, tanto più ammirevole date le loro circostanze di vita deplorevoli. Il loro laboratorio era niente più che un misero capannone, in cui durante l’inverno la temperatura scendeva ad intorno sei gradi, per cui le ricerche erano spesso eseguite in condizioni difficili, con poco materiale a disposizione; inoltre entrambi erano sfibrati dalle molte ore di insegnamento che erano loro necessarie per poter raggiungere uno stipendio ancorché minimo che consentisse loro di sopravvivere. Malgrado la loro difficoltà nell’ottenere dei prestiti, i coniugi Curie rifiutarono di registrare a loro nome un brevetto che li avrebbe assicurati finanziariamente; ai loro occhi, il permettere a tutti gli scienziati, francesi o stranieri che fossero, di conoscere la teoria della radioattività aveva la priorità sulle questioni di interesse economico.

Pierre esaminò gli effetti che il radio produceva sulla sua pelle. Esso gli causò un'ustione che poi divenne una ferita: fu così che vennero dimostrati gli effetti del radio sull' uomo. Presto il radio cominciò ad essere utilizzato per curare i tumori maligni: venne introdotta la terapia Curie.

 Marie ricevette, sempre con suo marito, la medaglia Davy da parte della Royal Society nel 1903, e nel 1921 il presidente degli Stati Uniti d’America, Harding, su richiesta delle donne americane, le donò un grammo di Radio quale riconoscimento del servizio da lei reso alla scienza. 

I Curie vinsero il premio Nobel del 1903 per la Fisica, grazie alla loro scoperta. Essi divisero il riconoscimento con un altro fisico francese, Antoine Henri Becquerel, che aveva scoperto la radioattività naturale. Madame Curie continuò il suo lavoro sugli elementi radioattivi e vinse un secondo premio Nobel nel 1911, questa volta per la Chimica.

La felicità dei coniugi Curie fu breve. Nel 1906, Pierre, indebolito dalle radiazioni e sovraccarico di lavoro, venne investito da un carro. Marie fu costretta a continuare da sola. S’incaricò dell’istruzione delle sue due figlie; successe a suo marito come direttrice del laboratorio di Fisica alla Sorbona e dopo la tragica morte di Pierre, ella prese il suo posto come Professore di Fisica Generale della Facoltà di Scienze, prima donna ad assumere tale ruolo. Sviluppò inoltre metodi per la separazione del radio da residui di natura radioattiva, in quantità sufficiente da permettere uno studio attento delle sue proprietà, soprattutto di quelle terapeutiche. Marie Curie, donna silenziosa, piena di dignità ma non superba, era tenuta in grande stima ed ammirazione dagli scienziati di tutto il mondo.

Dal 1911 divenne membro del Conseil du Physique Solvay, mantenne questa carica fino alla morte e dal 1922 entrò a far parte del Comitato a favore della cooperazione intellettuale tra le Nazioni. Il suo lavoro è ricordato in numerose pagine di varie pubblicazioni scientifiche ed ella è l’autrice di “Recherches sur les Substances Radioactives” (1904), “L'Isotopie et les Éléments Isotopes” e l’ormai  classico “Traité' de Radioactivité” (1910). L’importanza del lavoro di Madame Curie è evidente anche dai numerosi premi che ella ricevette, come anche dalle lauree onorarie in Medicina ed in Legge che le furono conferite.

 

Anche lei dovette combattere i pregiudizi della sua epoca: la xenofobia  ed il sessismo che, nel 1911, le impedirono di far parte dell’Accademia delle Scienze. Ma, subito dopo, fu onorata dal premio Nobel per la Chimica, poiché ella aveva isolato il radio e ne aveva studiato le proprietà chimiche, determinandone così il peso atomico. In seguito anche sua figlia Irene venne insignita il Nobel per la Chimica, assieme a suo marito, Frederic Joliot.

Ma le sue più grande gioie, furono dovute alla fondazione dell' istituto del radio dell' università di Parigi, di cui fu la prima direttrice e all'Istituto di Pasteur  che nel 1914 le permise di compiere il suo sogno umanitario. Fu allora che scoppiò la guerra. Ella, assieme alla figlia Irene, che fu sempre al suo fianco, credette che i raggi X potessero aiutare i medici nell’individuare dei proiettili che avevano causato ferite profonde e che erano rimasti all’interno del corpo del paziente, facilitando le operazioni chirurgiche. Anche non spostare il ferito era molto importante, così ella creò delle speciali automobili, munite delle apparecchiature e del personale necessari affinché ovunque nelle zone di combattimento si potessero raccogliere feriti e gli esami radiologici si potessero effettuare immediatamente. Queste automobili furono subito soprannominate “le piccole Curie”. Ella riuscì a convincere 150 donne a lavorare con lei. Poiché l’unica protezione dai raggi X in uso a quel tempo era costituita da uno schermo e da un paio di guanti, tutto ciò di cui aveva bisogno era di convincere i medici reticenti e di educare delle manipolatrici.

L’entusiasmo che Marie provava nei confronti della scienza non si affievolì mai ed ella si adoperò personalmente affinché fosse fondato un laboratorio per lo studio della radioattività nella sua città natale, Varsavia; fu a favore di questo laboratorio che il presidente americano Hoover le consegnò la somma di 50000 dollari, donata dall’associazione degli American friends of science.

Subito dopo la guerra, tornò a lavorare nel suo istituto con Irene al suo fianco. Marie guidava il laboratorio di ricerca, mentre il Dottor Claudius Regaud faceva capo al laboratorio di biologia applicata. La loro cooperazione si dimostrò armoniosa, poiché i due avevano ideali molto simili e possedevano lo stesso disinteresse nei confronti delle questioni economiche. Fisici e chimici provvedevano ad isolare il radio, ed i medici lo somministravano ai loro pazienti. Marie si adoperò per trovare fondi e materiale, recandosi anche negli Stati Uniti; ma trovava duro da accettare che fossero gli interessi economici a prevalere.

 

Marie morì a Savoy, in Francia, di leucemia, il 4 Luglio del 1934, esausta e quasi cieca, con le dita bruciate dal “suo” caro radio. Questa donna di sessantasette anni, che, secondo il Dottor Claudius Regard “sotto un’apparenza fredda e riservata (…)  nascondeva in realtà un’abbondanza di sentimenti delicati e generosi”, era stata esposta ad un’incredibile quantità di radiazioni. Altri ricercatori dopo di lei, tra cui sua figlia avrebbero pagato lo stesso prezzo. In gennaio, assieme a suo marito Frédéric Joliot, Irene, che aveva lavorato nello stesso laboratorio di sua madre e con la stessa determinazione, scoprì la radioattività artificiale; a seguito di questa scoperta anch’ella fu insignita del premio Nobel.

La radioattività è il punto di partenza per la cura del cancro, per stabilire la data a cui risalgono rocce, oggetti antichi, lo stesso universo, come nello studio della biologia molecolare e nella moderna scienza genetica; è anche la sorgente dell’energia nucleare e della bomba atomica. L’altra faccia della medaglia….

A poca distanza dal Pantheon si trova l’istituto chiamato Curie. La sua missione è il promuovere la collaborazione fra le scienze e fra gli scienziati, avendo come obiettivo ultimo la prevenzione, la diagnosi ed il trattamento del cancro. Non meno di 400 persone lavorano alla ricerca e novecento alla divisione medica. Il lavoro di ricerca si focalizza sulle aree principali dello studio della biologia molecolare e cellulare dei tumori, dei geni, e dei meccanismi che sviluppano l’immunità, inoltre sulla sintesi e lo sviluppo di nuove molecole.

Radioterapia

 

 

 

Un paziente si sottopone a un'applicazione di radioterapia per la cura di un cancro spinale. Questo tipo di trattamento consiste nella distruzione dei tessuti cancerosi per mezzo di raggi gamma emessi da una sorgente di cobalto 60 e indirizzati nel punto esatto da un apposito dispositivo laser.

 

 

Il Claudius Regaud Hospital, con il suo dipartimento di radioterapia ben equipaggiato, ha una grande efficienza. Ogni anno, l’ospedale fornisce 70,000 consultazioni e 6,000 pazienti ricevono qui delle cure; vi è anche un ostello dove possono stabilirsi i genitori dei bambini ricoverati.

Ad Orsay, alla periferia di Parigi, anche l’Istituto Curie offre un centro di terapie usato per curare con le radiazioni, quei tumori non facilmente raggiungibili con delle operazioni chirurgiche, e tentando di preservare la salute generale dei pazienti. Infine, nell’Istituto vengono anche condotti dei test sulla terapia genica.

 

RADIOATTIVITA’

 

 

Disintegrazione spontanea di nuclei atomici, con emissione di particelle subatomiche e di onde elettromagnetiche. Il fenomeno fu scoperto nel 1896 dal fisico francese Antoine-Henri Becquerel, il quale osservò che l'uranio emetteva delle radiazioni capaci di impressionare una lastra fotografica, benchè protetta da uno schermo opaco ai raggi luminosi.

Le ricerche iniziate da Becquerel vennero riprese dai Curie, i quali scoprirono che la proprietà di emettere radiazioni penetranti era una proprietà dell'atomo e non dipendeva dallo stato chimico o fisico dell'elemento, e diedero al fenomeno il nome di radioattività.

Si comprese subito che la radioattività era la sorgente di energia più concentrata fino ad allora mai osservata. I Curie misurarono il calore associato al decadimento del radio, e stabilirono che 1 g di radio produce circa 420 J di energia all'ora, e che tale effetto prosegue incessantemente.

 Si ricordi, per confronto, che la combustione di 1 g di carbone produce un totale di 33.600 J di energia. A seguito di questi risultati, la radioattività attirò l'attenzione degli scienziati di tutto il mondo e nei decenni successivi molti aspetti del fenomeno vennero studiati ampiamente.

 

TIPI DI RADIAZIONI

 

Ernest Rutherford scoprì che vi sono almeno due componenti nelle emissioni radioattive: le particelle alfa, che penetrano solo per alcuni millesimi di centimetro nell'alluminio, e le particelle beta, caratterizzate da un potere penetrante 100 volte maggiore. Esperimenti successivi, nei quali la radiazione fu sottoposta a campi elettrici e magnetici, rivelarono la presenza di una terza componente ad alta energia, i raggi gamma. In un campo elettrico le particelle beta vengono fortemente deflesse verso il polo positivo, quelle alfa sono deflesse in misura minore verso il polo negativo, mentre la traiettoria dei raggi gamma non risente dell'effetto del campo. Ne deriva che le particelle beta sono dotate di carica negativa, le particelle alfa trasportano cariche positive (e hanno massa maggiore delle particelle beta) e i raggi gamma sono elettricamente neutri.

La scoperta che il radio decade producendo radon fu la prova conclusiva che il decadimento radioattivo è accompagnato da una trasformazione chimica dell'elemento instabile. In seguito si dimostrò che le particelle beta sono elettroni e che i raggi gamma sono radiazioni elettromagnetiche ad alta energia.

 

L'IPOTESI NUCLEARE

 

 

La scoperta della radioattività segnò l'inizio di una serie di sistematiche ricerche sulla natura dei costituenti della materia.

 

Evoluzione del modello atomico

 

 

Il modello atomico attuale è il risultato di successivi miglioramenti ottenuti dai fisici grazie alla disponibilità di dati sperimentali sempre più accurati. Il modello di Thompson prevedeva che gli elettroni fossero distribuiti in una sfera di carica positiva. Rutherford fu il primo a comprendere che la carica positiva era invece concentrata al centro dell'atomo (nucleo), mentre riteneva che gli elettroni orbitassero nello spazio ad essa circostante. Bohr andò oltre, introducendo il concetto di quantizzazione delle orbite elettroniche. Schrödinger infine rivoluzionò l'idea di orbita elettronica intendendola non più come la traiettoria fisicamente percorsa dall'elettrone, ma come regione di spazio che possiede la più alta probabilità di essere occupata dall'elettrone.

 

Nel 1911, a seguito degli esperimenti di diffusione di particelle alfa da parte di lamine metalliche, Rutherford ipotizzò che l'atomo fosse composto da un nucleo centrale nel quale era concentrata la maggior parte della massa, mentre gli elettroni orbitavano intorno al nucleo stesso, coprendo una regione di spazio circa 10.000 volte maggiore, che perciò risultava pressochè vuota.

Da allora, l'ipotesi nucleare si è sviluppata in una teoria complessa della struttura atomica, che spiega in modo soddisfacente l'intero fenomeno della radioattività. Si è trovato che l'atomo è costituito da un denso nucleo centrale, circondato da una nuvola di elettroni; a sua volta il nucleo è composto da protoni, di numero pari a quello degli elettroni (per bilanciarne la carica negativa), e da neutroni, che sono particelle neutre aventi approssimativamente la stessa massa dei protoni. Una particella alfa è composta da due neutroni e due protoni e pertanto può essere emessa solo dal nucleo di un atomo.

Particelle alfa

Una particella alfa è costituita da due protoni e due neutroni, esattamente come un nucleo di elio. Viene emessa in un processo radioattivo, detto decadimento alfa, da nuclei atomici instabili relativamente pesanti. In seguito al decadimento, questi ultimi cambiano natura chimica riducendo il proprio numero atomico di due unità.

 

Quando un nucleo decade perdendo una particella alfa, si forma un nuovo nucleo, più leggero del precedente. Un isotopo dell'uranio con numero di massa 238, ad esempio, si trasforma nell'atomo dell'elemento con numero di massa 234, avente due protoni e due neutroni in meno, ovvero in un isotopo del torio. Il torio 234 è a sua volta un elemento instabile e decade con emissione di particelle beta. L'emissione è dovuta alla trasformazione di un neutrone in un protone, per cui comporta un aumento della carica nucleare (o equivalentemente numero atomico) di un'unità.

Poiché la massa dell'elettrone è trascurabile rispetto a quella dei nucleoni, l'isotopo che proviene dal decadimento del torio 234 ha numero di massa 234 e numero atomico 91 ed è pertanto un isotopo del protattinio.

 

RADIAZIONE ALFA, BETA E GAMMA

 

Decadimento beta

 

 

Il decadimento beta può avvenire in due forme distinte. A sinistra è rappresentato il decadimento beta meno: un neutrone si trasforma in un protone, un elettrone (particella beta meno) e un antineutrino. Nel decadimento beta più (a destra), un protone decade in un neutrone, un positrone (particella beta più) e un neutrino. Dunque, un nucleo che decade beta acquista o perde un protone, trasformandosi in un elemento adiacente della tavola periodica.

 

 

 

Nei decadimenti alfa e beta vengono di solito emessi quasi simultaneamente anche raggi gamma. Questi ultimi non posseggono né carica né massa, quindi la loro emissione non causa un cambiamento delle proprietà chimiche dell'atomo, ma solo la perdita di una determinata quantità di energia sotto forma di radiazione.

L'emissione di raggi gamma è una compensazione da parte del nucleo allo stato instabile in cui si viene a trovare a seguito dell'emissione di particelle alfa e beta.

Alcuni isotopi decadono con pura emissione gamma. Questa situazione si verifica quando un isotopo esiste in due diverse forme, chiamate isomeri nucleari, che hanno numero atomico e numero di massa identici, ma differente energia. L'emissione di raggi gamma accompagna la transizione dell'isomero di alta energia a quello di energia minore. L'isotopo protattinio 234, ad esempio, esiste in due distinti stati energetici, e l'emissione di raggi gamma segnala la transizione da uno stato all'altro.

La velocità delle particelle alfa e beta emesse durante un decadimento è estremamente alta. In particolare, a ciascun isotopo di un elemento chimico corrisponde una determinata velocità delle particelle emesse: così, le particelle alfa prodotte dal decadimento del polonio 210 compiono nell'aria un percorso di circa 4 cm prima di arrestarsi, mentre quelle del polonio 212, nelle medesime condizioni, viaggiano per 8,5 cm. La misurazione della distanza percorsa dalle particelle alfa permette dunque di identificare gli isotopi emittenti.

 

Isotopi dell'idrogeno

 

Gli isotopi sono atomi di uno stesso elemento aventi un ugual numero di protoni ma un diverso numero di neutroni. La forma isotopica più abbondante dell'idrogeno (prozio) è costituita da un solo protone intorno al quale orbita un unico elettrone. Ne esistono però altre due: il deuterio, che ha un neutrone nel nucleo, e il trizio, che ne ha due.

 

 

 

Le particelle beta vengono espulse a velocità molto elevate e quindi percorrono nella materia distanze maggiori, anche se il meccanismo che ne determina l'arresto è sostanzialmente simile.

 La distribuzione delle energie delle particelle beta ha reso necessaria l'ipotesi dell'esistenza di una particella neutra e priva di massa chiamata neutrino, che accompagna ogni decadimento beta.

I raggi gamma sono dotati di un elevato potere penetrante, e in alcuni casi possono attraversare parecchi centimetri di piombo prima di subire un sensibile rallentamento.

La radiazione alfa, beta e gamma interagisce profondamente con la materia, provocando un’intensa ionizzazione. Questo fenomeno, estremamente accentuato per le particelle alfa, meno per le beta e ancora meno per le gamma (essendo radiazione neutra, non riesce a indurre facilmente la ionizzazione), è particolarmente evidente nei gas. Sull'effetto ionizzante della radiazione si basa il principio di funzionamento di molti strumenti, come il contatore di Geiger-Müller e altre camere a ionizzazione, che vengono usati per misurare le intensità delle singole radiazioni e le velocità di decadimento delle sostanze radioattive.

La velocità di disintegrazione di un elemento instabile viene misurata in Curie, dove Curie è uguale al numero di disintegrazioni primarie cui dà luogo un grammo di radio nell'intervallo di tempo di un secondo. Il valore è stato determinato sperimentalmente: il risultato, pari a 3,71 × 1010, è stato arrotondato a 3,7 × 1010 e reso indipendente da ogni successiva misura.

 

 

TEMPO DI DIMEZZAMENTO

 

 Decadimento del bosone Z0 (vista longitudinale)

 

 

 

Un evento di decadimento di un bosone Z0 in molte particelle, attraverso una coppia quark-antiquark. L'evento è ottenuto dall'esperimento ALEPH, uno dei quattro che stanno raccogliendo dati al collisore leptonico LEP del CERN dal 1989. L'evento è visto in una sezione longitudinale dell'apparto rivelatore. Dalla sua messa in funzione, il LEP ha prodotto molti milioni di Z0, permettendo ai fisici di misurarne la massa con estrema precisione. I risultati dei quattro esperimenti combinati hanno fornito come risultato 91,1884 GeV, con un errore del 2,2 per mille.

 

 

 

 

 

Il decadimento di alcune sostanze, come l'uranio 238 e il torio 232, sembra continuare indefinitamente senza una sensibile diminuzione del numero di disintegrazioni al secondo. Altre sostanze radioattive mostrano invece una decisa riduzione dell'attività di decadimento col passare del tempo; tra queste vi è l'isotopo torio 234 (originariamente chiamato uranio X), la cui velocità di disintegrazione si dimezza in 25 giorni. Questo intervallo di tempo, caratteristico di ogni specie radioattiva, viene detto "tempo di dimezzamento" ed esprime il tempo nel quale (in media) una determinata quantità di un elemento instabile si riduce a metà del valore originario. Il tempo di dimezzamento può essere talmente lungo da non essere misurabile con precisione con i metodi disponibili: il torio 232, ad esempio, ha un periodo di semitrasformazione di circa 14 miliardi di anni. Spesso, anzichè il tempo di dimezzamento, si indica la "vita media" di un elemento, che equivale al periodo di tempo necessario affinchè il numero di atomi si riduca a circa il 37% del suo valore iniziale (Emivita).

 

SERIE RADIOATTIVE

 

Quando l'uranio 238 decade, emettendo una particella alfa, si forma il torio 234; questo a sua volta decade con emissione di una particella beta formando il protoattinio 234. Il protoattinio 234 emette una particella beta, e si trasforma in un nuovo isotopo dell'uranio, con numero di massa 234. Quest'ultimo si disintegra con emissione alfa per formare il torio 230, che a sua volta decade emettendo delle particelle alfa e formando il radio 226.

Questa serie radioattiva, chiamata serie dell'uranio, prosegue in modo analogo, e attraverso ulteriori cinque emissioni alfa e quattro emissioni beta, arriva al prodotto finale, un isotopo non radioattivo (stabile) del piombo, con numero atomico 82 e numero di massa 206. Ogni elemento della tavola periodica situato fra l'uranio e il piombo è rappresentato in questa serie, e ogni nuclide è caratterizzato dal suo caratteristico tempo di dimezzamento.

I membri della serie hanno tutti una caratteristica comune: i loro numeri di massa (divisibili esattamente per quattro, una volta che sia stato loro sottratto il numero 2) possono essere espressi dalla semplice formula 4n + 2, dove n è un numero intero.

Altre serie naturali sono quella del torio, detta serie 4n perché i numeri di massa di tutti i suoi membri sono esattamente divisibili per 4, e quella dell'attinio, o serie 4n + 3. Il capostipite della serie del torio è l'isotopo torio 232 e il suo elemento finale è l'isotopo stabile piombo 208.

La serie dell'attinio comincia con l'uranio 235 (chiamato attinuranio dai primi ricercatori) e si conclude col piombo 207.

DATAZIONI

 

 

 

 Datazione al radiocarbonio

 

Il metodo di datazione al radiocarbonio è applicabile unicamente ai fossili di natura organica che abbiano un'età dell'ordine delle migliaia di anni. Mentre in vita la quantità di carbonio viene mantenuta costante attraverso la respirazione e l'alimentazione, dopo la morte la frazione di isotopo radioattivo 14C inizia a decadere in 14N, dimezzandosi ogni 5730 anni circa. Convertendo il carbonio del fossile in anidride carbonica è possibile misurare con un contatore la quantità di 14C. Mettendola in relazione a quella dell'isotopo stabile 12C, noto il periodo di dimezzamento, si può risalire a una buona stima dell'età del fossile.

 

 

 

 

 

 

Il fenomeno della radioattività naturale, ovvero del decadimento di specie atomiche instabili esistenti in natura, permette di stabilire l'età del nostro pianeta. Un metodo di datazione delle rocce si basa sul decadimento dell'uranio e del torio; il processo di disintegrazione di questi due elementi è iniziato fin dalla formazione dei loro minerali e ha prodotto particelle alfa che sono rimaste intrappolate (come atomi di elio) all'interno delle rocce stesse. Determinando accuratamente le quantità relative di elio, uranio e torio contenute in una roccia è possibile calcolare da quanto tempo è in atto il processo di decadimento, e quindi l'età della roccia.

Un altro metodo è basato sulla determinazione dei rapporti tra le concentrazioni degli elementi iniziali e finali delle serie radioattive; in particolare si misura il rapporto tra uranio 238 e piombo 206 o tra torio 232 e piombo 208 presenti nella roccia.

Questi e altri metodi attribuiscono alla Terra un età di circa 4,65 miliardi di anni, valore confermato sia dall'analisi di meteoriti cadute sulla superficie terrestre, sia dai campioni di rocce lunari prelevate dall'Apollo 11 – durante l'allunaggio del luglio 1969 – che forniscono un età molto simile anche per tutti gli altri pianeti del sistema solare.

APPLICAZIONI

Lo studio delle reazioni nucleari e le ricerche sulla radioattività artificiale, specie fra gli elementi pesanti, sono all'origine della scoperta della fissione nucleare e del conseguente sviluppo della bomba atomica. Queste ricerche hanno però trovato applicazioni anche nel settore scientifico, industriale e militare. Sono stati scoperti elementi chimici che non esistono in natura e, grazie allo sviluppo dei reattori nucleari, sono stati prodotti radioisotopi di quasi tutti gli elementi della tavola periodica, utilizzati principalmente (come sorgente di radiazione e come traccianti) nella ricerca chimica, biologica e medica.

Particolarmente importante tra gli isotopi radioattivi artificiali è il carbonio 14, che ha periodo di dimezzamento di 5730 ± 40 anni. La disponibilità di questa sostanza ha permesso lo studio di numerosi aspetti dei processi biologici, ad esempio la fotosintesi. Inoltre, una piccola quantità di carbonio 14 è presente nell'atmosfera terrestre e tutti gli organismi viventi ne assorbono tracce durante la loro vita. Dopo la morte, questo assorbimento cessa, e la concentrazione del carbonio radioattivo diminuisce rispetto ai valori iniziali. Stime dell'età dei reperti archeologici, come ossa e mummie, sono state possibili mediante misurazioni della concentrazione del carbonio 14 in essi contenuta.

 

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