Un amore di Parpot
 
un romanzo di
Alain Monnier


Nota introduttiva
 

di Silvia Fiorini

Barthélémy Parpot è tornato! Lo avevamo lasciato, in Firmato Parpot, alle prese con la sua adorata “Claudine Courvoisier del novembre 1990” e in cerca di lavoro; lo ritroviamo, in questo secondo romanzo di Alain Monnier, con un impiego presso la Quota lavoratori disabili del Ministero degli Interni e un nuovo amore, la bella Elsa Chauvière, giovane ventottenne sicura di quello che vuole dalla vita: vendicarsi di chi l’ha ridotta su una sedia a rotelle.

Romanzo epistolare polifonico che sfugge a qualsiasi classificazione, Un amore di Parpot affida l’intrigo, sottilmente orchestrato, a una successione di lettere, di confessioni intime, di circolari amministrative e altri documenti disparati che coinvolgono il lettore in un gioco di rivelazioni incalzanti, a cui lui stesso è chiamato a dare forma. È il lettore, infatti, che appropriandosi degli indizi disseminati in una successione apparentemente casuale, diventa la voce narrante all’interno di questo universo di voci dove l’una progredisce grazie all’altra, dove l’una racconta l’altra. Secondo il principio delle scatole cinesi, ogni lettera contiene e anticipa qualcosa delle altre: le lettere di Parpot ci fanno conoscere la storia di Elsa, quelle di Elsa fanno progredire la storia di Parpot e della Signora Jouve, le confessioni di quest’ultima aggiungono nuovi particolari alla storia di Elsa e Parpot.
Da queste pagine emerge il mondo interiore dei personaggi che la penna di Alain Monnier indaga con impietosa lucidità: c’è lo scompiglio della vita fatta di cocci e frammenti che i ricordi aiutano a ricomporre, c’è l’ironia tragica del destino che si diverte a invertire i ruoli della grande commedia umana e a fare delle nostre certezze le nostre più fragili illusioni, c’è la vendetta di chi guarda l’esistenza da dietro le sbarre del proprio corpo, e c’è l’amore di chi è pronto a diventare strumento di quella vendetta, senza rendersi conto di esserne a sua volta vittima.

È attraverso la parola che il lettore riconosce la fisionomia, le sfumature, il ritmo di queste voci; il loro raccontarsi diventa opportunità, per Alain Monnier, di esplorare le risorse della scrittura che è porsi ogni volta degli ostacoli, guardare al limite per superarlo, è insomma una sfida. La parola apre un passaggio ed è sufficiente sporgersi per accorgersi, come nello specchio di Alice, che è facilissimo andare dall’altra parte, in quel mondo oltre lo specchio dove la parola diventa creazione, sperimentazione, gioco. Il risultato è un viaggio originale e divertente nell’universo della scrittura alla scoperta di regioni sconosciute come le frasi a incastro di Parpot, con le parole che seguono il flusso dei pensieri, completamente estranei alla realtà che lo circonda, con il suo linguaggio ridicolo e patetico dove la punteggiatura stessa sembra perdersi nei vicoli senza uscita di una scrittura claudicante; come le ciniche riflessioni della Signora Jouve che il segno imprime direttamente nelle pagine bianche della coscienza, il suo costante interrogarsi per non sentire il rumore assordante del silenzio che ormai ha invaso la sua esistenza; come il linguaggio di Elsa popolato di parole abortite, di frasi senza soggetto e senza apostrofo, come i suoi esercizi di stile vicini all’Oulipo dove le parole font l’amour, si incastrano, si mescolano e si invertono, fino a sfidare il senso.

Alain Monnier ci invita a partecipare al gioco della lettura, un gioco che in fondo ci rende tutti complici, perché pur sapendo di leggere opere di finzione, in realtà è lì che cerchiamo “una formula che dia senso alla nostra vita. In fondo noi cerchiamo, nel corso della nostra esistenza, una storia originaria, che ci dica perché siamo nati e abbiamo vissuto”. (Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, 1994)
 


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