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Un amore di
Parpot
un romanzo di Alain Monnier
Le prime pagine
Sig. Jean Loup Lavalière
Domaine de Lastours 31890 St Orens De Gameville
all’attenzione di
Egr. Sig. Bertrand de Pellepoix
Ministero degli Affari Interni
Place Beauvau – 75700 PARIGI
1 ottobre 1996
Egr. Sig. Capo Gabinetto e Caro Amico,
Sono a conoscenza della quantità di lettere di raccomandazione che ogni giorno
invadono il suo Gabinetto, e delle astuzie che deve inventare per non deludere
simili richieste, non possedendo, purtroppo, il privilegio permanente di
soddisfare tutti.
Io stesso, all’epoca della mia permanenza in Marina, al servizio dell’Ammiraglio
Destrumelles, ho dovuto piegarmi a questo esercizio a volte faticoso, così
nell’arco di tre anni, non le ho mai domandato l’ombra di un favore.
Oggi mi permetto di sottoporle il caso della Sig.na Chauvière, di cui troverà il
curriculum vitae qui allegato, in seguito alla domanda del nostro Amico comune,
che non ha osato parlargliene direttamente, per uno di quegli oscuri misteri che
coltiva intorno alla sua persona.
La situazione medica e sociale della Sig.na Chauvière è grave, e il suo
inserimento in uno dei posti della Quota disabili del Ministero sarebbe, senza
dubbio, un gesto di grande carità.
Il Nostro Amico non ha esitato a dirmi quanto si sentirebbe obbligato se lei
potesse rendergli un simile servizio. Non sono stato in grado di intuire se in
questo modo regolava un debito d’onore, o se ordiva una di quelle trappole di
cui conserva il segreto. Ma questo, in verità, ha poca importanza.
Contando sulla sua benevolenza e sul suo senso del dovere,
La prego di ricevere, Sig. Capo Gabinetto e Caro Amico, i miei più devoti
saluti.
Jean Loup Lavalière
Diario di Elsa Chauvière
Uhao, ci risiamo, questo mi capita ogni
volta che ricevo una bella notizia. L apostrofo mi scappa tra le dita; è folle
ma dall incidente, non mi controllo più. Così, quando provo una forte emozione,
come in un momento di grande gioia, persino le lettere rischiano diperdersi.
Allora in vista della mia assunzione al Ministero, le parole che hanno già perso
l apostrofo, sidevono comportare bene, seno iostessa avrò delle difficoltà
arileggermi. Pausa.
Inspirazione/Espirazione.
Inspirazione/Espirazione.
Va già meglio. Fortunatamente, perché con tutto quello che scrivo, se non posso
rileggermi, sto male. Ancora un po’ di calma.
Inspirazione/Espirazione.
Straordinario, un funzionario del Ministero, un certo Sig. Durand, è venuto a
trovarmi. In cravatta e abito grigio chiaro, con un tono gentile, estremamente
cortese, evidentemente un pezzo grosso. Mi ha chiesto se ero Elsa Chauvière,
senza “s” finale, 28 anni, residente 3 rue Pernety 75014 Parigi, nubile, senza
figli. Ho annuito, mostrando la targa sulla porta. Ha avuto l’aria soddisfatta.
Dopodiché ha impiegato solo delle formule di circostanza, senza lasciarsi
scappare nessuna promessa, ma seloro mandano qualcuno, allora c è da sperare.
Generalmente hanno la tendenza a comunicare tramite formulario fotocopiato. Non
perdiamo la testa, altrimenti la delusione sarà troppo grande.
È da due anni che aspetto questo momento. La prima volta che mi è venuta l’idea,
mi trovavo ancora a Bagnères, nel bel mezzo delle trappole, con l’eunuco che
gridava dietro di me “Spinga”, poi “Tiri”. Gli avrei sparato, se avessi potuto.
Mi mordevo le labbra per trattenere le grida. Sono passati dei secoli così. Le
sedute duravano dei pomeriggi interi. Vivevo incollata contro lo Skaï verde dei
letti della sofferenza, sotto lo sguardo annoiato dei fisioterapisti che si
interessavano solo al loro prossimo week-end. Ho detto centinaia di preghiere
affinché si sfracellassero con la loro bicicletta in fondo a un burrone, per
ritrovarsi il lunedì seguente sul lettino vicino al mio. Giusto per vedere lo
stupore nei loro occhi!
Il mio ginocchio, nel giro di una settimana, arrivava a flettersi di un grado,
alcune volte di due, su un totale di novanta gradi da recuperare. Quelli che non
hanno avuto traumi cranici, soffrivano molto di più, ma recuperavano più in
fretta. Io, al solo concentrarmi sul senso del movimento sudavo già
abbondantemente, così la più piccola insinuazione licenziosa di questi idioti,
vanificava i miei sforzi. Non si perdevano un’occasione, con la scusa che ero la
più graziosa. I più schifosi, i più frustrati venivano ad appoggiarsi con la
spalla sulla mia tibia, per aiutarmi a spingere, e con questa scusa posavano le
loro sporche mani sul mio sedere. La nonna, che ogni pomeriggio era sul lettino
vicino al mio, lo sguardo pieno di smarrimento, non subiva questi oltraggi
rimborsati dalla Previdenza Sociale. Soltanto qualche volgare richiamo, urlato
dal fondo della corsia. Ai miei grugniti astiosi, e per vendicare i loro
fallimentari tentativi di fottermi, aggiungevano una spinta più violenta, che mi
procurava un urlo di dolore, seguita da un’osservazione di disprezzo per la mia
mancanza di coraggio. Li odiavo tutti, con la loro morale e la loro sofferenza
redentrice. Forti del loro diploma da rugbista, si sentivano autorizzati a
dispensare spiegazioni sul senso della vita a quei quindici rottami, lì distesi,
in balia del loro potere: tutta un’accozzaglia di pensieri da scaricatore di
porto e di massime da giocatori incalliti, recitate a pappagallo col tono di una
paternale.
L assurdità di quei discorsi… Che stiano zitti!
Mache sicucino la bocca, insomma. Avrei voluto ucciderli. Tutti. Uno per uno.
Fargli inghiottire la loro bicicletta con tutte le ruote. Avevo detto che non l
avrei più fatto, che non ci avrei più ripensato fino a questa sera. Difficile,
ma devo riuscirci. Devo riuscirci. Devo dimenticare Bagnères. Dimenticare
Bagnères. Definitivamente.
Barthélémy Parpot
19 avenue de Verdun – 92000 Nanterre
all’attenzione di
Ministero degli Affari Interni
Place Beauvau – 75700 PARIGI
9 ottobre 1996
Egr. Signor Ministro,
Non è mia abitudine lamentarmi, anche se a volte la vita è difficile, nonostante
gli aiuti del governo che sono sempre utili. Abbiamo un bel paese, rispettabile
e ben amministrato da persone competenti come lei, e bisognerebbe essere proprio
degli ingrati per non accettare le piccole cose che non vanno, anche quando si
tratta di cose gravi.
Io ho un lavoro presso il suo Ministero, cosa eccezionale di questi tempi,
addirittura insperata dal momento che faccio parte di una Quota disabili da
inserire obbligatoriamente nel 3% degli effettivi. Oltre il 3% sembra che siamo
noi stessi a diventare un handicap per il servizio, per questo sono molto
attenti a non superare il limite previsto. Questo perché tutti sanno che ci sono
falsi invalidi assunti tra gli effettivi normali che non rientrano nella
percentuale prevista, ma non voglio fare della delazione, anche se alle volte
non sarebbe fuori luogo.
Come lei sa, gli invalidi che rientrano in graduatoria sono ciechi, paraplegici,
muti e altro ancora; ma sono tutti così a causa di un incidente o per nascita, e
proprio per questo bisogna stare attenti, poiché con la carenza di posti di
lavoro e la disoccupazione, certe persone si inventano degli handicap per
ottenere l’alloggio e l’impiego al Ministero. Nella Quota invalidi, i ritardati
mentali sono rari e io stesso sono stato ben raccomandato per farne parte, ma
non posso troppo vantarmene, a causa di tutti quegli invidiosi che in questo
momento si aggirano davanti alle porte. Infatti, ho avuto due disgrazie che sono
state un vero colpo di fortuna, come in matematica, in terza media, quando
“meno” per “meno” fa “più”. Ma è giusto che sappia che non sono un ritardato
mentale grave, e ho meno disturbi alla testa rispetto a quelli che si suppone
abbiano solo dei problemi fisici. D’altronde sono io ad essere stato nominato
Capo Invalidi della Quota, e non un altro, dal momento che la Direzione si
impegna ad assegnare bene gli incarichi, infatti non ci sono dei muti al
centralino o dei ciechi come fattorini. Bisogna dirlo, perché spesso si sente
parlare la gente di quello che non va e allora è anche giusto dire quello che va
bene, come al Ministero, che può essere portato ad esempio sulla piazza pubblica
di Beauveau.
Dal momento che ho già avuto molta fortuna, mi dico che non posso pretendere
niente di più, anche se in realtà non tutto va come dovrebbe, e l’agitazione mi
scombussola la mente tutte le notti. Qui, naturalmente, con la banda di menomati
che mi circonda, non posso lamentarmi; ma tuttavia la sera, nel mio appartamento
delle case popolari, solo davanti alla televisione, con un telefono che non
squilla mai, mi domando qual è lo scopo di tutto questo e non trovo mai una
risposta. Prima facevo finta di niente, ma adesso ho difficoltà a credere alle
storie che mi racconto per rassicurarmi, tanto la solitudine ha preso il
sopravvento. Sento il silenzio che mi circonda. Nel mio appartamento,
all’infuori di me, non c’è anima viva che sposti gli oggetti, come succede
invece nelle altre case. Certe volte lascio i guanti sul bordo del comò, li
osservo, ma potrei attendere così dei mesi, anche degli anni, che sarebbero
ancora là, esattamente così, e questo mi fa venire le lacrime agli occhi.
Ecco, Signor Ministro, questo sarebbe giusto il momento di chiederle la cosa per
la quale le scrivo, ma ho l’impressione che la mia lettera sia già troppo lunga,
e occupato com’è, comprendo che non può leggere delle lettere troppo lunghe, del
resto è più che normale. Così è meglio che mi fermi qui per riscriverle magari
tra qualche giorno, poiché non le nascondo che quello che devo chiederle è
piuttosto imbarazzante e particolare. Nell’attesa e per questa sera, la prego di
accettare, Signor Ministro, i miei più cordiali saluti.
Barthélémy Parpot
Diario di Elsa Chauvière
Al centro di Rieducazione, tutti hanno
pensato di buttarsi dalla finestra. Almeno una volta. Nessuno lo ha fatto. Non
so perché. Spirito di sopravvivenza o paura del vuoto? Vigliaccheria, molto
semplicemente. Se non si ha il coraggio di farla finita, si deve accettare la
realtà senza lagnarsi.
Forse c’è sempre la speranza, malgrado tutto?
Contro tutto. Contro il neurologo che agita le vostre lastre come delle maracas
per mostrarvi, attraverso una macchia più grigia delle altre, che tutto dipende
da quello. La vostra vita, la vostra disgrazia. Tutto a causa di quella macchia
grigio scuro. Lui andrà via contento, lo aspetterà una donna o una cena con
amici. Del grigio topo o del grigio antracite, lui se ne frega. La consultazione
costa 420 franchi. E a causa del verdetto di questo burattino da 420 franchi,
bisognerebbe smettere di credere? Emiplegia parte destra secondo stadio e
colonna vertebrale leggermente interessata, ha annunciato. E intanto vi riviene
in mente quel bel servizio su Lourdes o quel meraviglioso film di Steven
Spielberg con quel finale delizioso, o il nome di quel famoso guaritore di
Corrèze. Non c’è differenza.
A me hanno detto che c’era la speranza di recuperare, a condizione che avessi la
volontà di combattere. La volontà di combattere è viscerale in me. Ma non sono
sicura che parliamo della stessa cosa. Per il resto si contano i gradi di
rotazione guadagnati in tutti i sensi. Quelli del collo, quelli del ginocchio,
quelli degli occhi… C’è da credere di essere una trottola.
Voglio ritrovare la vita normale!
All’ospedale i vecchi mi ricordavano continuamente, con bramosia, che avevo solo
venticinque anni. Come se l’età fosse un antidoto contro la carne lacerata e le
ossa frantumate. Di certo questi rimbambiti a vent’anni correvano nei campi e
baciavano le ragazze; altrimenti non avrebbero questi ricordi che gli strappano
le lacrime, e non se ne uscirebbero con cretinate simili.
Tutti i mesi ritorno al Centro e trovo la nuova macchina che misura i miei
progressi. Il test Parkin-Alter, così si chiama. È come un videogioco, c’è una
sinusoide verde e un’altra rossa.
All’inizio si sovrappongono, poi divergono. Tanto che alla fine ci saranno degli
scarti, andrà sicuramente così. Tre mesi senza miglioramento e sarà la fine. La
verità. A che scopo ingannarsi, ad ogni controllo c è langoscia di otto giorni
senza dormire. Lorale della maturità moltiplicato mille. È difficile parlarne
senza perdere l’apostrofo e sconnettere le lettere.
Calmarmi. Respirare. E lo specialista, saggio e posato, esamina tutto questo con
lo stesso interesse che proverebbe davanti alla carta dell’Istituto Geografico
Nazionale della Tanzania Orientale. Lo odio, ma non posso combattere tutte le
battaglie. Ce ne è una innanzi tutto, una sulla quale devo concentrare tutte le
mie energie.
In seguito si vedrà.
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