R. Aufheben
di Roberto Pellerey Tre città italiane, Albenga, Bologna e
Genova, diventano tra 1539 e 1542 il palco di una storia il cui intreccio,
intessuto dai movimenti, dai viaggi e dalle decisioni dei protagonisti che tra
queste città si spostano, permette al lettore di scoprire, o di ricordare, quali
dibattiti, e quali scontri storici e teologici, avvenissero in quegli anni. Nel
romanzo che possiamo ora leggere con il titolo R. Aufheben, un Torquemada in
Albenga il lettore segue la vicenda umana di un sacerdote cinquecentesco che
incontra buoni motivi per cambiare le proprie credenze e le proprie opinioni, e
con esse anche la sua identità, e nello stesso tempo s’inoltra in un’indagine
complessa, che richiede al detective incaricato studi e ricerche di tipo medico
e anatomico, all’epoca a rischio di eresia e di condanna, tanto che di queste
scienze sarà costretto a sapersi intendere almeno quanto basta per farsi credere
un medico. Per seguirle, la sua avventura finisce per intrecciarsi ancora con la
storia del secolo e con i suoi conflitti principali, attraverso gli scontri
politici e teologici tra città, sovrani e dottrine religiose, e poi nello
scontro tra nuova scienza della natura e dottrina teologica, tra conoscenza e
riflessione raccolta in libri di scienziati e certezza dottrinale che sovrasta i
destini degli individui. Storia delle coscienze individuali, avventura
investigativa alla ricerca del colpevole di numerosi delitti forse collegati da
una ragione nascosta, storia politica e sociale dell’Europa dell’epoca:
ingredienti che si mescolano in una storia che, come accade in questo caso,
richiede di essere controllata con maestria e con cognizione del momento storico
e culturale. Seguendo il modo narrativo e lo stile colto e avventuroso
inaugurato nel 1980 da Umberto Eco nelle lettere italiane con Il nome della
rosa, Cennamo si pone in una sorta di nuova tradizione che ha dato finora
esiti felici. Se Il nome della rosa è stato tradotto finora in 40 lingue
(tra cui il tailandese, il bielorusso, e il lituano, ma anche, nel 1991,
nell’arabo di una traduzione pirata intitolata Sesso nel monastero) la
stessa fortuna si può augurare meritatamente a questo romanzo, che pur senza
svolgersi tutto in un unico monastero, centro forzato d’incontro di uomini
dediti allo studio, alla riflessione e alla meditazione, ne ritrova i contrasti,
i conflitti e le opposte fortissime volontà dispiegate in un viaggio in tre
città che diventano a loro volta protagoniste e palcoscenico degli eventi.
Descrivendo vita e abitanti di tre città cinquecentesche, si scopre cosa
fossero, cosa volessero, cosa pensassero gli uomini del Cinquecento, e quanto
potessero essere diversi tra loro: eppure il collezionista erudito di libri
scientifici e il persecutore implacabile di sospetti eretici vivono nella stessa
città, nello stesso anno, nelle stesse strade, e per poco non frequentano le
stesse osterie (ma lo fanno i loro amici e famigli). Nel racconto di queste
vite, Cennamo utilizza fonti storiche e documentarie, che gli permettono di
ricostruire con precisione l’ambiente e il contesto da cui scaturiscono gli
eventi. L’apparato di note testimonia questo metodico lavoro di ricostruzione, e
resta a disposizione del lettore che voglia rapidamente prendere conoscenza
della realtà storica di riferimento. Ma Cennamo utilizza nel racconto anche
fonti e dati che appaiono in citazione nascosta o trasfigurata, come il mugnaio
inconsapevolmente eretico Giovanni di Pianoro, che ci rimanda alla figura del
mugnaio Menocchio, così ben raccontato da Carlo Ginzburg in Il formaggio e i
vermi, e a cui si allude e si rinvia per complemento nella storia di
Giovanni qui narrata nel capitolo nove. O Ulisse Aldrovandi, qui citato nella
figura di un omonimo collaterale minore, ma che è ricordata nella storia della
cultura scientifica moderna per l’immane sforzo enciclopedico universalistico
dell’indomito collezionista e naturalista, creatore a Bologna di uno dei primi
musei scientifici al mondo e fondatore delle scienze naturali moderne. |