R. Aufheben
Genova, fine 1539, chiesa di San Giovanni di Pre dopo il Vespro Il sacerdote osservò defluire le poche persone fuori dal portale. L’eco della benedizione che egli aveva impartita ad un gruppuscolo di pellegrini “in nomine Patri Fioque et Spirictu Sancti” echeggiava ancora fra le tre piccole navate. Si inframmezzava tra i due ordini di quattro colonne cilindriche, senza fronzoli, che le ripartivano, accarezzava l’ogiva delle volte. Sembrava sostenesse fisicamente quell’edificio sacro più delle pietre ed i mattoni che l’ordine dei Cavalieri di San Giovanni aveva acquistato per ristrutturarla e rinforzarla. Guardò le spalle caduche dell’ultimo fedele mentre ripensava a come aveva officiato la messa. All’antica. Leggendo in latino. Senza azzardarsi a commentare la Parola. Non sapeva quanto quella gente di passaggio, la medesima che egli poco dopo avrebbe nutrito nel refettorio dell’ospizio della Commenda giovannita di Pre, avesse compreso. Forse nulla. Il latino ecclesiastico unificava sempre meno l’Europa dei poveri, l’ignoranza sempre di più. Ormai neppure loro, i pellegrini ed i disperati delle campagne, la sacca forte della fede cieca, speravano nei miracoli sotto casa ed andavano a cercarseli a Gerusalemme e verso i Luoghi Santi. Volevano vedere com’era il Cristo, o almeno il Santo Sepolcro, con gli occhi propri, non con quelli forniti dall’immaginario del prete di un paese tedesco, o francese, o ancora lombardo o di qualsiasi luogo d’occidente. Erano stufi di versare oboli e decime, di servire in guerra questo o quel sovrano perché se uno era “cistianissimo”, l’altro era “cattolicissimo”. E così la Commenda di Pre era continuamente rifornita di ospiti misti per lingua, provenienza, desideri, scopi. Certamente invece unificati dalle toppe ai tabarri. Quell’esile e giovane prevosto era stato presto invecchiato dalla rovina della Chiesa in cui tanto un tempo aveva creduto, una rovina così grave che il Santo Padre stava cercando di risanarla con l’organizzazione di un Concilio, un grande Concilio con il quale il papa avrebbe dato nuove regole più rigide ai suoi ministri e rispolverate quelle norme canoniche cadute nel disuso semi ereticale. Pochi erano sicuri che quel Concilio si sarebbe fatto. Non conveniva e non lo voleva quasi nessuno. Dai sovrani ai parroci di periferia. L’odore che il sacerdotino respirava era quello che si sente prima delle lotte civili, quando non sai mai di chi puoi fidarti. Il suo scetticismo era poi stato alimentato da una vicenda personale. Limitarsi a leggere la Parola, non azzardare spiegazioni. Lo dicevano i padri della cristianità già trecento anni prima. Ed egli aveva sperimentato su di sé quanto contraddirli fosse pericoloso. Tuttavia come un giunco di medie dimensioni si era presentato ancora una volta di fronte a volti che di genovese avevano assai poco. Lentiggini danesi, trecce di fieno germanico, spenti sguardi – si diceva dovuti ad una terra poco capace di ben nutrire chi la coltivava – provenienti dal basso Pedemonte. Oramai il suo ministero si svolgeva in modo meccanico, come un lavoro qualsiasi; maniscalco, cocchiere, lava ponte di uno sciabecco. Di una vocazione fervida e volta al trascendente gli uomini e l’umana condizione avevano fatto pezzi minutissimi e li avevano gettati nella limaccia del porto. Padre Villani non si era ancora abituato alla pedissequa lettura latina durante l’officio. Si doveva forzare per non gesticolare e non intersecare nella manipolazione dell’aria qualche frase in uno dei variegati idiomi dei pellegrini. Ma ogni volta che la propria indole lo portava verso l’apertura dei libri sacri, all’illuminazione della semplicità e lo spingeva alla divulgazione minuta del Verbo per la collettività, ciò che sarebbe stato, come in passato spesso fu stato, quasi opera magica – non osava dirsi miracolosa – per le facce istupidite che invece era uso vedersi di fronte e palesare assoluta incomprensione di un qualcosa del significato oppure genericamente del senso delle litanie che egli recitava sempre uguali, ogni volta che la perversa tentazione di infrangere l’ermetismo della Parola scritta lo pervadeva, un ricordo recente gli faceva da ottimo freno. Così proseguiva con la cantilena mentre alcuni lo guardavano scaccolandosi, altri parlavano d’affari, e qualche cane passava tra panche e sgabelli. D’altronde il sacerdote aveva pagata cara la tensione verso la vera evangelizzazione. Una giovane donna, Jezebel, figlia del ghetto ebraico di Genova aveva preso ad interessarsi alle omelie di quel giovane magro ma tanto energico padre cristiano. Si era messa a frequentare ogni messa. La cosa non era andata giù a nessuno. Non agli ebrei del ghetto, e massimamente assai meno alle alte sfere del clero genovese. La giovane era presto scomparsa dalle messe comunicative di San Giovanni di Pre ed il prete era stato risucchiato in un infame processo per “fornicazione con una schiava ebrea”. Aspettando la sospensione dagli uffici ecclesiastici ed un’improbabile grazia pontificia che pur tempestivamente aveva chiesto alla Santa Sede, proseguiva il proprio compito impaurito da tutto e da tutti. Soprattutto da quelle che bonariamente aveva considerato fino ad allora pecore del suo gregge, e che invece gli si erano rivelati lupi, branchi di lupi imprevedibili. Galleggiando nella propria vertigine morale quasi non si accorse di aver riposto le particole, scacciato nel vicolo un paio di bestiole abituate a passare la giornata tra la chiesa e la sacrestia e spento le candele. Non restava che chiudere e sprangare la porta della navata centrale. Ma una visita a sorpresa gli diede il cardiopalmo. Inusuale, inaspettato, perfino sospetto ed
inquietante. Perché una persona di quel calibro avrebbe dovuto scendere dalle
sale dell’arcivescovado per presentarsi all’improvviso in una chiesa
dell’angiporto? Padre Lionello ne fu atterrito. Cos’altro si voleva ancora da
lui? L’uomo si avvicinò acconciato come un capitano di ventura, stivaloni,
brache larghe, corazza ed elmo, mentre i suoi soldati perquisirono rapidamente
ogni angolo dell’edificio vuoto e ne occuparono gli anfratti oscuri. Il giovane
sacerdote si scoprì ancora bambino, ammaliato da quello splendido arcangelo
ingentilito da broccato olandese e ceselli di sapienti armaioli di Spagna. Si
rivide per un attimo tra le gambe del padre osservare attonito quel grande uomo
gesticolare dall’altare e far echeggiare in cattedrale una voce grave che
ammutoliva e convinceva. Si riebbe; era di fronte al responsabile della sua
rovina. Colui che aveva lasciato il buon nome dei Villani scivolare nella
pastoia della maldicenza e dello scandalo. 5 marzo 1539, Genova Alla Reverendissima Eccellenza Innocenzo Cibo, Cardinale in Genova. La grande esperienza che alberga in voi, uomo santo e prudente, ebbe colto il seme della verità allorché mi aveste inviato nella parrocchia di Lionello Villani, che si confermò il demone e l’eresiarca che aveste sospettato. Tuttavia il dubbio di fede e la tentazione verso l’orrido errore ammorbano la nostra aria più dei fumi estivi di palude. È necessario che si bonifichi l’anima degli uomini. il vostro servo R. Aufheben
14 aprile 1539, Genova Alla Santissima Eccellenza Innocenzo Cibo, Cardinale di Genova. La macchina terrena della benedetta casa di Dio è talvolta opulenta di scrupoli, nell’ossequio del Verbo, ed il Santo Padre come novello Giobbe possiede settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine e molto numerosa è la sua servitù (Libro di Giobbe 1, 3). Tra leve di ingranaggi giusti e implacabili ma gioco forza lenti troppe volte sfugge il ratto di fogna. Talvolta è necessaria una tempestiva Punizione: ‘il Signore parlò a Manasse dell’idolatra e al suo popolo ma non gli badarono. Allora il Signore mandò contro di loro i capi dell’esercito del re assiro; essi presero Manasse con uncini, lo legarono con catene di bronzo e lo condussero in Babilonia’” (Le Cronache 33, 10). Il vostro servo R. Aufheben
7 settembre 1539, Albenga Alla Santissima Eccellenza Innocenzo Cibo, Cardinale in Genova. ‘Tu sai bene quello che ha fatto Saul: ha eliminato dal paese i negromanti e gli indovini’ (Primo Libro di Samuele 28, 9). Il vostro Succedaneo Ufficiale sorregge una diocesi tanto antica quanto gloriosa. Egli è persona dottissima in merito alle sacre scritture dei Padri e si porta in maniere ineccepibili e rigorosissime; forse più consono gli sarebbe un alto loco deserto dove compiere un’esistenza di ascesi. Ad altri più decisi il timone della nave dell’Onnipotente! Sotto di lui, nei vichi della città, nelle campagne dell’interno dilaga la magia e la stregoneria. Sorregga Domineddio la mia mano di umile Giosia che ‘…fece poi scomparire anche i negromanti, gli indovini, i penati, gli idoli e tutti gli abomini…’ (Libro dei Re 23, 24). Il vostro servo R. Aufheben
“… donna di anni circa trentacinque, volto allungato, naso affilato, zigomi sporgenti, capelli legati sulla nuca, corporatura magra. Nessun segno sul corpo tranne una ferita prodotta con stiletto o punteruolo affondato sotto lo sterno con andamento a salire che ne causò la morte… donna di anni circa diciotto, volto rotondo, naso piatto, complessione robusta. Nessun segno sulla cute all’eccezione di una ferita inferta con punteruolo o stilo, sotto lo sterno, dal basso verso l’alto in direzione del cuore, che ne causò la morte… donna di anni circa sessanta, volto rotondo, naso largo, capelli diradati sul cranio, corpo mingherlino e asciutto. Cute della schiena segnata da vecchie cicatrici prodotte da nerbate o frusta di sorta. Ferita causata da stiletto o punteruolo al di sotto dello sterno con direzione obliqua verso il mento, che ne procurò la morte. Sondando con specillo la ferita incontrai ostacolo ed estrattolo trovai esser minuscola reliquia dei Santi Cosma e Damiano, autenticata dalla Santa Sede. È lecito ipotizzare che colui che produsse il ferimento allocò l’oggetto nel tragitto”. Le ispezioni mediche dei cadaveri non lasciavano spazio a dubbi. Una sola mano. |