Banche armate alla guerra
L'intrigo politico - finanziario
dietro la guerra infinita
 

un libro di Simone Falanca


Introduzione

  Noi prosciugheremo i conti dei terroristi.
Chi ha rapporti d’affari con i terroristi o con chi li
supporta o li finanzia, non potrà più intrattenere
rapporti con gli Stati Uniti d’America.

George Bush, 24 settembre 2001

Ogni volta ci impediscono di investigare sui sauditi.
Fonte anonima proveniente da intelligence Usa
a un giornalista del “Guardian”, 7 novembre 2001


          Il progetto Banche Armate nasce dalla mia esperienza quotidiana di webmaster di Zaratustra.it e di mediattivista anche per altri media indipendenti italiani. Esperienza questa che mi ha impegnato e per certi sensi “obbligato” a informarmi con particolare attenzione in quest’ultimo anno, sugli aspetti ancora poco noti dell’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre. Già mentre assistevo in diretta alla televisione e subito dopo su Internet, a quel “bombardamento non convenzionale” ho cominciato a pormi delle domande: come è potuto succedere? Dove era la CIA? L’Fbi?
          L’ipotesi che l’organizzatore di tutto ciò fosse solamente il barbuto e folkloristico Osama bin Laden già non stava in piedi. Eppure la gran cassa di risonanza mediatica globale additava perentoria il suo indice di condanna verso il regime afghano dei talebani e l’onnipresente “rete del terrore” di Al Qaeda. Eppure nessuno dei presunti dirottatori dell’11 settembre era afghano, la maggior parte era saudita, gli altri nord africani. E allora come era possibile non accorgersi di questa situazione?
          In questo libro dimostreremo come non sia vero che le autorità americane – comprese le intelligence – non fossero a conoscenza dei piani dei dirottatori di Al Qaeda. Smonteremo, una ad una, le versioni ufficiali fornite dal governo Usa e dai principali network mondiali schieratisi acriticamente dalla parte della guerra al terrorismo.
         Non troverete in questo libro teorie complottistiche o certe strane e astruse leggende metropolitane che girano su internet da diverso tempo (tipo quella dell’aereo che non si sarebbe schiantato sul Pentagono o quella delle spie israeliane sui tetti di Manhattan a godersi lo spettacolo delle torri che cadono). Abbiamo deciso di riportare e citare solo le tesi più documentate e serie che trovano riscontro nei documenti ufficiali e nella realtà effettuale dei fatti.
          Inoltre analizzeremo come e perché, politicamente ed economicamente, l’America ha avuto bisogno dell’11 settembre per portare avanti i suoi progetti geopolitici e finanziari di accaparramento delle ultime risorse energetiche del pianeta e di rilancio dell’industria bellica nazionale.
          Non solo. La verità è che già dal 12 settembre 2001 molti governi (democratici e non) di molti paesi del mondo, con la scusa della lotta al terrorismo, hanno eliminato molti oppositori interni. Non passava giorno senza che venissimo a sapere che una nuova presunta cellula di Al Qaeda era stata eliminata, dopo essere stata trovata in possesso di una cartina-delle-torri-gemelle-e-di-un-manuale-di-volo.
          Ogni giorno ci servivano lo stesso mantra. Ogni pretesto era buono pur di reprimere il dissenso.
         Ma l’11 settembre non serviva solo a zittire i dissidenti. L’11 settembre veniva bene anche per mettere a posto i conti delle maggiori multinazionali mondiali, con la scusa della congiuntura sfavorevole molti governi avrebbero potuto finanziare e mettere a posto i conti delle Grandi Società che cominciavano a sentire il peso della recessione, antecedente di un anno al Grande Attentato.
          Ma si sbagliavano. Non avevano ancora capito che il bluff della new economy aveva i giorni contati, non potevano ancora darla a bere a tutti quanti. Dietro l’angolo c’era lo scandalo Enron, lo scandalo della società di revisione dei conti Andersen, e poi un’infinità di società che sono letteralmente implose con la caduta a picco dell’indice Nasdaq.
          La bolla era esplosa, ragazzi tutti a casa. Forse è esattamente quello che ha pensato Dick Cheney, il vero cervello dell’amministrazione Bush. L’uomo che ha dato la svolta in campo economico sul versante “old economy”, basando l’incremento annuo della produzione interna in investimenti in armamenti, aumentando le riserve strategiche di petrolio e sostenendo, con massicci finanziamenti statali, tutte le industrie pesanti. Alla faccia del libero mercato.
          Il 14 dicembre 2001 il Congresso Usa ha approvato un bilancio della Difesa 2002 da 344 miliardi di dollari. Si tenga conto che, negli ultimi cinque anni, secondo il Sipri, l’Istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma, la spesa militare statunitense non aveva mai superato i 300 miliardi di dollari. Il progetto National Missile Defense, lo “scudo spaziale”, costerà – secondo uno studio del Council for a Livable World Education Fund – 273 miliardi di dollari, sia pur in vent’anni.
          I 4 principali fornitori del Pentagono: oggi il 90% della produzione mondiale di armamenti è concentrato in 10 paesi e metà della produzione è statunitense. E sono gli Usa ad avere sviluppato e finanziato più di qualsiasi altro paese le tecnologie più sofisticate per i grandi sistemi militari. Non soltanto quindi gli Stati Uniti sono i big spender in questo settore (il 37% delle spese militari mondiali), ma sono anche quelli che in questi anni hanno continuato a investire in ricerca e sviluppo di nuove armi.¹ Tutta questa corsa agli armamenti non avrebbe senso se non ci fosse la ferma intenzione di usarli, per investire ancora e ancora.
          E se un nemico come l’Afghanistan non è sufficiente a giustificare tali spese c’è sempre il pretesto della guerra al terrorismo, la guerra preventiva condotta contro nemici più immaginari che reali. First Strike è lo slogan della nuova linea di politica estera americana, in Italia l’avremmo chiamata legge del più forte o legge della giungla.
          L’America aveva intrapreso il suo Warfare Plan. Il “warfare plan” diceva che per 1 dollaro investito in armi il PIL sarebbe cresciuto circa di 2,5 dollari. Citando Sbancor: “il Warfare aveva funzionato già diverse volte. In Corea, nel Vietnam, in Iraq, in Kosovo. Warfare funzionava anche se la guerra non si faceva. ‘Lo scudo stellare’ l’aveva dimostrato”.² Ma se si aumentasse la produttività, grazie all’uso di nuove tecnologie e nuove organizzazioni del lavoro, se si mettesse al lavoro il “general intellect”, e contemporaneamente non si accrescesse la domanda aggregata, i prezzi crollerebbero rovinosamente. L’America aveva capito che il nemico peggiore di tutti, la deflazione, era dietro l’angolo, qualcuno malignava persino che si avvicinasse sempre di più una crisi bancaria oltreché finanziaria. Questi pericoli restano e son diventati sempre più forti. » per questo che Bush Junior dopo l’Afghanistan colpirà in Iraq?
          La guerra all’Iraq non è una mossa geopolitica estemporanea. Gli Usa per riavviare la propria economia in recessione, parallelamente agli investimenti in armamenti, hanno la necessità di aumentare vertiginosamente il consumo di petrolio, riducendone però i costi. Come fare? L’unica via possibile è quella di spezzare il fronte del cartello dei paesi produttori di petrolio. Aprire contemporaneamente due fronti di guerra all’Opec. Il primo fronte nel continente americano contro il Venezuela (principale fornitore del petrolio statunitense), il secondo in Medio Oriente (in Iraq). In questo modo, riportando il petrolio iracheno e venezuelano sotto l’alveo Usa, l’America riuscirebbe a prosciugare il reddito e quindi l’influenza politica ed economica dei paesi produttori ostili (Arabia Saudita, Iran, Russia). Tutto ciò porterebbe a una vitale iniezione di liquidità nelle casse americane e produrrebbe conseguenze politiche non trascurabili, come per esempio il ridimensionamento del ruolo economico e politico dell’Europa che da sempre mira a ottenere una propria sfera di influenza nell’area mediorientale, e servirebbe a mandare un segnale forte a Riad: o vi sottomettete alla nostra sfera di influenza o procederemo a un cambio di regime in favore della famiglia haschemita.
          Ci è stato detto come questa “guerra al terrorismo” dovrebbe essere una guerra nuova. Ma prendendo spunto da un articolo di Gianni Barbacetto, possiamo tranquillamente affermare come non sia vero che queste prime guerre del terzo millennio siano assolutamente incomparabili con i conflitti precedenti:
          “L’Occidente ha già sostenuto una guerra per alcuni aspetti simile a quella che ora ha iniziato contro il ‘terrorismo’: la ‘guerra non ortodossa’ contro il comunismo. Certo, lo scenario era completamente diverso perché allora esisteva un nemico di tipo tradizionale, con un territorio e un esercito alle spalle: l’Unione Sovietica. Ma poiché quel nemico aveva ‘quinte colonne’ dentro i paesi democratici, e il conflitto tradizionale era proibito dal pericolo atomico, la guerra è stata combattuta per decenni anche con metodi ‘non tradizionali’: di ‘guerra psicologica’, ‘controguerriglia’, ‘controterrore’, dicevano i suoi teorici. Ora che quella guerra è finita, dovremmo serenamente imparare a evitare di ripeterne gli errori: l’ossessione anticomunista, le limitazioni e le sospensioni dei diritti civili e delle regole democratiche, l’utilizzo di personale sbagliato (i fascisti, la criminalità organizzata), gli ‘effetti collaterali’ (gli assassinii e le stragi). E non solo perché tutto ciò è immorale (e fortemente illegale), ma perché si è dimostrato controproducente: invece di sconfiggere più rapidamente il comunismo, lo ha nutrito, lo ha alimentato, ha fatto diventare comunisti milioni di persone che semplicemente volevano lavoro e democrazia, che erano indignate per i metodi antidemocratici, le manovre sotterranee, gli omicidi di Stato, le stragi nelle banche, sui treni, nelle stazioni”.³
          Siamo capaci di non ripetere quella storia? Abbiamo memoria?
         Evidentemente no. A poche ore dall’attacco all’Iraq, mentre mi accingo a concludere l'introduzione di Banche Armate, apprendo dalle pagine del “New York Times” del 17 gennaio 2003) dell’approvazione di un piano riservato degli Stati Uniti, il National Strategic Plar for the War on Terrorism, redatto dagli stati maggiori e approvato dal ministro della difesa statunitense, in cui si sostiene che l’intervento armato Usa per eliminare i focolai del terrorismo internazionale, dovrà durare non meno di venti anni prima di dare risultati soddisfacenti. Il mondo, per i prossimi venti anni, è avvisato: “Niente intralci o guerra preventiva”.
          Quello che è successo a Manhattan l’11 settembre 2001 sta cambiando la vita di milioni di persone e la storia di molte nazioni, per sempre. O forse no, forse l’11 settembre è stato solo il tragico pretesto che è servito agli Stati Uniti per completare un disegno geopolitico e finanziario che ha le sue origini molti anni prima del crollo delle torri. Sarà la Storia in futuro a gettare luce su fatti e protagonisti. Noi oggi dobbiamo fare i conti col presente, fatto di guerre umanitarie e missili intelligenti. Stiamo percorrendo una strada senza via d’uscita, che potrebbe essere l’ultima.

Simone Falanca
gennaio 2003

 

Note
1 Francesco Terreri, Tempi di recessioni, www.altreconomia.it
2 Sbancor, Matrix e le disavventure del pensiero unico, Rekombinant.org
3 Barbacetto, La piovra di Osama, “Diario”, 28 settembre 2001


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