Parola di Boskov
"Senza dissiplina vita è dura"
 


Prefazione


In molti sostengono che Vujadin Boskov meriti un libro. In effetti il personaggio c’è tutto, dal campione della nazionale jugoslava dei tempi d’oro all’allenatore che ha girato, se non proprio il mondo, quanto meno l’Europa, dai paesi umidicci e settentrionali quali l’Olanda o la Svizzera alle terre solari, talvolta torride, inequivocabilmente mediterranee di Spagna e Italia. E ovunque Vujadin ha lasciato il segno. Un’impronta particolare, fatta di simpatia e di umanità prima ancora che di esaltazione. Ché a vedere bene i risultati di una vita in panchina sono buoni, sì, ma non così esaltanti. Ci sono i successi con il Real Madrid. Ci sono, soprattutto, gli anni della Sampdoria, meglio: della Sampd’oro, cioè del gioiello di Paolo Mantovani che arrivò, con Boskov in panchina, a raggiungere traguardi “impossibili” quali uno scudetto e una Coppa delle Coppe. Ma c’è spazio anche per il grande rammarico, per la Coppa dei Campioni persa due volte sul filo di lana: nell’´81 con il Real Madrid, piegato sul filo di lana dal Liverpool per una sbadataggine difensiva; e poi c’è il sogno, purtroppo soltanto accarezzato, con la Sampdoria a Wembley; un sogno che prima ancora di infrangersi su quel pallone scagliato da “Rambo” Koeman a velocità folle alle spalle di Pagliuca, finì alle ortiche per la serata storta di Roberto Mancini e le occasioni mancate, per un maledetto soffio, da Gianluca Vialli. Poi tante avventure, magari anche minori, quali ad esempio la promozione-record in serie A con l’Ascoli negli anni Ottanta, le belle stagioni a Saragozza, Gijon, Rotterdam, Den Haag, Ginevra...

Questo per dire che non ha vinto tutto, Vujadin; non ha neppure vinto moltissimo, in fondo. Eppure la sua fama è indiscutibile. Segno che ci dev’essere dell’altro, qualcosa che prescinde e trascende dal successo, qualcosa che “è” sport allo stato puro, l’essenza del calcio. Forse, azzardiamo, è la sua competenza, la sua conoscenza, del calcio e della vita, a renderlo unico. Come uomo. Come personaggio. Anche come allenatore, certo, ma questo avviene di conseguenza.

Per questo, forse, abbiamo sì voluto farlo, un libro su Boskov. Ma in maniera particolare: non una biografia classica, quanto una specie di album, fatto di ricordi ma anche di attualità. Una sorta di vademecum, meglio di breviario di quella filosofia popolare e schietta che Boskov, almeno in italiano, trasmette attraverso una parlata colorita e se volete un po’ strampalata. Verbo che fa sorridere, magari ridere lì per lì (il che non è mica un guaio, anzi) ma che, subito dopo, ti invita a riflettere. Ché l’espressione spesso folkloristica, a volte così indiscutibile da confondersi con il banale, rivela fondi pro-fondi di verità e di saggezza quasi insospettati, e insospettabili dietro il sorriso di Vujadin, quel sorriso sospeso a metà fra il fanciullesco e l’astuto.

Con quello stesso sorriso, con quella stessa simpatia, Vujadin ha accolto l’idea del libro, ha accettato di raccontarsi in una lunga intervista (che rappresenta la parte forse più ghiotta di questo volumetto) spiegando più nel dettaglio la sua vita, il suo mondo, il suo modo di vedere le cose e di esprimerle attraverso concetti tutti suoi.

Alcuni suoi modi di dire hanno fatto epoca, in particolare quel “Rigore è quando arbitro fischia” ormai abusato. A noi però è sempre piaciuta un’altra frase, di Boskov: “Pallone entra quando Dio vuole”. Una piccola-grande verità. Anzi, verità verità, come direbbe Vujadin. Perché è così che va il calcio. E così va la vita. E forse, anzi, il calcio piace soprattutto per questo: per essere lo sport che più di altri si avvicina alla vita. Lo puoi giocare in qualsiasi modo, con qualsiasi fisico, il calcio: un tracagnotto piccoletto può diventare Gerd Müller, uno spilungone lento può rivelarsi Ernst Ocwirk, o Roberto Bettega. Quale altro sport offre tali, illimitate possibilità? E poi ancora. Nel calcio si segna poco, il gol non è la logica conseguenza di ogni azione. Anche per questo è uno sport avvincente: non sempre vince il migliore, a volte segna chi gioca peggio, sia egli il più fortunato o il più furbo. Né più né meno di come accade nella vita di tutti i giorni: dove pallone entra quando Dio vuole.


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