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Intervento di Kolja Canestrini
alla conferenza "Diritti Fondamentali e Globalizzazione"
organizzata dalla
Commissione Internazionale d'inchiesta
per la salvaguardia dei diritti fondamentali
nella globalizzazione
6 aprile 2002, Genova
dal sito
internet del
Centro Studi per la Pace
Corre innanzitutto l'obbligo di ringraziare gli organizzatori e i membri di
quest'alta Commissione per l'attenzione che dedica ai risvolti giuridici dei
fatti del G8, che da molti mesi stanno impegnando tutti gli amici e colleghi dei
Giuristi Democratici e del Genoa Legal Forum.
Prima di entrare nello specifico del tema del mio intervento, vorrei prendere
spunto da quelle giornate per fare alcune riflessioni di ordine generale.
Innanzitutto Genova ci ha obbligato a riflettere sul contenuto reale del diritto
della libera manifestazione del pensiero, garantito dalla nostra Costituzione e
da numerose Convenzioni internazionali.Infatti, un diritto la cui violazione non
è adeguatamente punita - e che sembra anche essere del tutto sottovaluta se si
sentono certe dichiarazioni, anche recentissime, di esponenti del governo -
rischia di trasformarsi in un simulacro, in una inutile dichiarazione di
principi.
Vi è poi la difficile riflessione sulla funzione di tutela del diritto penale,
funzione che rischia di essere vanificata quando la lesione dei diritti
fondamentali è ascrivibile ad appartenenti "deviati" delle forze dell'ordine.
Ciò per una ragione pratica: l'impossibilità di identificarli, impossibilità che
- attraverso la fusione con il giusto principio della responsabilità penale
personale - rischia di introdurre nell'ordinamento italiano una immunità
sostanziale del tutto incompatibile con il nostro ordinamento democratico.
In terzo logo - ed è una riflessione che non riguarda solo i giuristi ma tutti
noi - abbiamo dolorosamente dovuto constatare che non vi sono diritti scontati,
che ogni giorno anche i più fondamentali dei diritti vanno conquistati.
Prima di affornatre il tema specifico del mio intervento, e cioè i gas
lacrimogeni alla miscela di CS, vorrei ringraziare il senatore Martone per gli
apprezzamenti rivolti sul punto a tutti noi del GLF: a Martone va invece in
grande merito di avere sollevato, sui media ma anche in Parlamento - con una
interrogazione a risposta scritta che credo ad oggi sia rimasta lettera morta -
questo tema, attirando l'attenzione dell'opinione pubblica.
I gas lacrimogeni sono classificati come mezzo di repressione non letale delle
masse, in uso alle polizie di mezzo mondo, da Seattle a Waco, dalla Palestina al
Perù.
Anche a Genova nel luglio del 2001 ne è stato fatto abbondante uso, dato che
dagli atti della commissione parlamentare risulta ne siano usati più di 6200
candelotti in soli due giorni.
Due sono le questioni connesse all'uso del gas, ed in particolare del famigerato
gas o componente chimico CS (ortoclorobenzalmalonitrile per gli addetti ai
lavori):
è legale? Vi è cioè una valida norma di copertura che ne autorizzi l'uso da
parte delle forze dell'ordine?
è legittimo? In quali condizioni il gas può e deve essere impeigato?
1. SULLA LEGALITÀ.
Il quadro che si presenta agli occhi degli osservatori è variegato, ed è tuttora
al vaglio del GLF.
E' però certo che il CS entra a far parte dell'armamento standard in dotazione
alle forze di pubblica sicurezza nel 1991, con il DPR 5 ottobre 1991, n. 359 (in
Gazz. Uff., 11 novembre, n. 264), rubricato Regolamento che stabilisce i criteri
per la determinazione dell'armamento in dotazione all'Amministrazione della
pubblica sicurezza e al personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di
polizia.
In particolare, l'articolo 12, comma 2, del citato DPR stabilisce che "gli
artifici sfollagente si distinguono in artifici per lancio a mano e artifici per
lancio con idoneo dispositivo o con arma lunga. Entrambi sono costituiti da un
involucro contenente una miscela di CS o agenti similari, ad effetto
neutralizzante reversibile."
Tale norma va comunque coordinata con la Legge 18 aprile 1975, n.110, rubricata
Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle
munizioni e degli esplosivi, all'articolo 1 stabilisce che "Agli effetti delle
leggi penali, di quelle di pubblica sicurezza e delle altre disposizioni
legislative o regolamentari in materia sono armi da guerra le armi di ogni
specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere
destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego
bellico, nonché le bombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi
chimici, i congegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie o gli
involucri esplosivi o incendiari."
Secondo l'ordine di classificazione normativa gli "aggressivi chimici" sono
dunque la terza categoria di armi da guerra. La giurisprudenza annovera in
questa categoria tutte le sostanze gassose, liquide o solide, che, diffuse
nell'area e sparse sulle acque o sul terreno, producono negli esseri viventi
lesioni anatomico - funzionali di varia natura, tali da compromettere, in via
definitiva o solo anche temporanea, l'integrità dell'organismo umano. In
relazione agli effetti che si producono sull'organismo medesimo, tali sostanze
si distinguono in asfissianti (cloro, bromo, perossido di azoto), tossiche
(acido cianidrico), vescicatorie (iprite), nervine, irritanti (cloroacetofenone),
come i lacrimogeni (Cassazione 30.1.1982, Boscarolo in Cass. pen. 1982 pag.
2058). Sono dunque compresi nella categoria delle armi da guerra i "candelotti
lacrimogeni" (Cassazione 30.1.1982 citata).
L'uso della miscela a base di CS, una vera e propria arma da guerra in quanto
arma chimica, deve tuttavia coordinarsi con una serie di altre norme, sia di
diritto internazionale che di diritto interno:
Il diritto interno
L'adozione del CS tra l'armamento in dotazione standard alle forze di Polizia
dovrebbe essere preceduta da una autorizzazione da parte del Ministero della
Sanità. Non siamo ancora riusciti ad acquisire tale documento, ma in ogni caso
mi chiedo - se l'autorizzazione esiste - se si è tenuto conto degli studi
scientifici che da molti anni ormai denunciano la altissima pericolosità di
tale sostanza, cancerogena, mutagena, altamente tossica e - da quanto mi
segnalano i chimici - dagli effetti ancora in parte sconosciuti. Il
rappresentante del SIULP giustamente segnalava la preoccupazione delle stesse
forze dell'ordine ad essere esposti a tale micidiale aggressivo chimico.
Del resto, lo stesso Ministero della Sanità a seguito dell'11 settembre mostra
di conoscere molto bene gli effetti nocivi del Gas, dato che con la circolare ad
alta priorità dell'Unità di Crisi 400.3/120.33/4545 12 ottobre 2001 metteva in
guardia i presidi sanitari per un attacco terroristico con uso di aggressivi
chimici. Fra le sostanze segnalate per la loro pericolosità era compreso anche
il gas CS - che viene tuttavia tranquillamente usato come mezzo di repressione
"non letale" nelle manifestazioni!
Ancora, ci si deve chiedere se la miscela al CS sia compatibile con l'articolo
12, comma II, del DPR 359 testé citato, il quale espressamente parla di effetto
neutralizzante reversibile. Vi sono notizie inquietanti di un ragazzo morto
nello scorso febbraio in Svizzera a seguito - sembra - dell'esposizione
massiccia al CS: si tratta di notizie ancora prive di un riscontro medico certo,
e dunque non voglio entrare ulteriormente nel merito.
Posso però affermare senza paura di essere smentito che vi sono in Italia casi
conclamati di persone che hanno subito danni permanenti per effetto diretto del
gas CS, gravemente compromessi nelle loro vie respiratorie, con patologie
persistenti alla cute e agli occhi. Sembra dunque che il requisito della
reversibilità non sia compatibile con il gas CS, almeno se usato in determinate
circostanze ed a concentrazioni troppo alte.
Il diritto internazionale
In ambito internazionale, l'uso di armi chimiche è da tempo oggetto di normativa
restrittiva.
Già nell'antichità venivano usate sostanze chimiche-batteriologice a scopi
bellici: una delle prime azioni di guerra batteriologica viene fatta risalire al
1743, quando alcuni coloni americani distribuirono coperte contaminate dal virus
del vaiolo a una tribù indiana, con il deliberato scopo di sterminarla.
La nascita delle moderne armi chimiche è da far risalire al 22 aprile 1915,
quando l'esercito tedesco, durante un attacco a Ypern, fece uso di gas di cloro
provocando la morte di 5.000 uomini e lesioni ad altri 10.000. Nel 1916 venne
impiegato per la prima volta un aggressivo chimico specificamente sviluppato per
scopi militari (il fosgene, sostanza velenosa con azione a livello polmonare).
In sequenza sempre più rapida vennero poi sviluppate e impiegate nuove sostanze:
veleni per via cutanea e per inalazione, nonché sostanze irritanti e capaci di
penetrare nelle maschere. Fino al termine del primo conflitto mondiale furono
complessivamente 125.000 gli aggressivi chimici impiegati, che causarono la
morte o il ferimento di 1.300.000 uomini.
1925: Protocollo di Ginevra: La pressione esercitata dall'opinione pubblica
mondiale, pervasa dall'orrore della "Guerra chimica" appena superata, portò il
17 giugno 1925 alla firma del Protocollo per la proibizione dell'uso in guerra
di gas asfissianti velenosi o di altri gas e dei metodi batteriologici di
guerra, firmato a Ginevra il 17 giugno 1925 (cd. Protocollo di Ginevra), con il
quale si vietava sì l'impiego di armi chimiche come mezzo di aggressione,
tuttavia non lo sviluppo, né la loro produzione.
Pertanto questo Protocollo, relativamente debole, non poté evitare il ripetersi
dell'impiego di armi chimiche negli anni 30, sia in Abissinia (da parte
dell'esercito italiano), sia in Cina (da parte del Giappone) e nel Sinkiang (da
parte dell'Armata Rossa). Nel 1937, il Dr. Gerhard Schrader, lavorando nella più
assoluta segretezza, mise a punto la formula del primo gas nervino, il Tabun.
Nel 1938, seguì la scoperta del Sarin (il gas asfissiante di Tokyo) e nel 1944
del Soman.
Del resto, il richiamo al Protocollo di Ginevra si espone alla facile obiezione
che esso si riferisce evidentemente solo all'uso in guerra dei gas: trovo però
sorprendente che la stessa sostanza non possa essere usata contro i "nemici", ma
sia invece in dotazione delle forze dell'ordine quando si tratta di colpire i
cittadini che - come in gran parte è successo a Genova - stavano esercitando
pacificamente i loro diritti.
Biological and Toxin Weapons Convention del 1972 (BWC): La BWC, o Convenzione
sulla proibizione dello sviluppo, produzione ed immagazzinamento delle armi
batteriologiche (biologiche) e tossiche e loro distruzione, firmata a Londra,
Mosca e Washington il 10 aprile 1972 si è spinta oltre al divieto di impiego
delle armi chimiche, vietando lo sviluppo, la produzione, l'acquisizione, lo
stoccaggio e il possesso di tutte queste armi. Tuttavia, la Convenzione non
contempla procedure di verifica, una scappatoia che ha permesso agli stati
aderenti di continuare senza ostacoli il proprio programma di guerra biologica
per altri venti anni.
Chemical Weapons Convention del 1993 (CWC): A questo problema vuole ovviare la
Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinamento ed uso
di armi chimiche e sulla loro distruzione, conclusa a Parigi il 13 gennaio 1993,
la Convenzione sulle armi chimiche del 1993 (in sigla CWC - Chemical Weapons
Convention), ratificata in Italia nel 1995 ed entrata in vigore con il deposito
del 65mo strumento di ratifica il 29 aprile 1997, la quale stabilisce rigorose
procedure di controllo e verifica sulle armi chimiche.
La Convenzione di Parigi, strumento di grande rilevanza nell'ambito del processo
di disarmo internazionale, "considerando che i risultati nel campo della chimica
dovranno essere usati esclusivamente a beneficio dell'umanità", prevede in primo
luogo l'impegno da parte degli Stati firmatari a cessare la produzione e l'uso
di armi chimiche; in un secondo momento, si dovrà procedere alla distruzione
degli arsenali esistenti ed allo smantellamento degli impianti per la produzione
di tali armi. Per vigilare sul rispetto dei patti concordati, è stata istituita
un'autorità soprannazionale (l'Organizzazione per la Proibizione delle Armi
Chimiche) i cui organi sono dotati di penetranti poteri di controllo ed
ispezione.
Alla Convenzione sono allegate, tra l'altro, tre tabelle di specificazione delle
armi chimiche, classificate a seconda della loro pericolosità: si noti che per
alcuni di questi composti chimici (contenuti nella Tabella 1 allegata alla
Convenzione citata) è escluso l'uso anche per il cd. "law enforcement", cioè per
il mantenimento dell'ordine pubblico.
Solo dopo una accurata analisi dei composti contenuti nei micidiali candelotti
al CS utilizzati a Genova, e dopo avere determinato con certezza quali
"prodotti" nascono dallo sprigionarsi nell'ambiente di tale miscela, potremo
sapere quali elementi chimici sono stati usati, e se sono o meno ammessi dalle
Convenzioni esistenti.
Vorrei però citare - per nostra tranquillità - le parole che compaiono sul sito
del Ministero degli Esteri dello Stato Italiano: "Per quanto riguarda le armi di
distruzione di massa, l'Italia mira al rafforzamento del regime internazionale
esistente (…). In tale prospettiva, l'obiettivo dell'Italia è innanzitutto
quello di favorire l'universalità e la completa applicazione delle disposizioni
previste dalla Convenzione per il Bando delle Armi Chimiche,
(…)"(http://www.esteri.it/polestera/organismim/italiaedisarmo.htm).
Sempre per completezza di informazione, devo prendere atto che il servizio
sanitario del GSF ha invece rilevato che "durante le manifestazioni di piazza di
venerdì e sabato sono stati fatti continui interventi a seguito dell'uso
massiccio di lacrimogeni e gas urticanti che, oltre agli effetti irritativi alle
mucose e sulla cute, hanno causato numerose crisi broncostenotiche grave impatto
psicologico nell'immediatezza e disturbi gastro-intestinali nei giorni
successivi. Sono state inoltre segnalate ustioni al capo ed al tronco dovute
all'impatto diretto con i candelotti che venivano regolarmente sparate ad
altezza d'uomo".
2. SULLA LEGITTIMITÀ.
Ammettendo che a seguito delle verifiche in corso, per le quali speriamo in una
fattiva collaborazione da parte delle forze politiche e della magistratura, il
gas CS risulti armamento autorizzato, dobbiamo tuttavia soffermarci sulle
condizioni poste dalla legge per l'uso legittimo del gas, che ci richiama, in
quanto arma da guerra, alla legittimità all'uso delle armi nel nostro
ordinamento.
Il problema è quello della punibilità delle forze dell'ordine che eventualmente
ne abbiano fatto uso indebito. Abbiamo tuttavia già accennato al vero punctum
dolens della questione, e cioè di quell'anonimato che rischia di generare una
serie di richieste di archiviazione perché sono ignoti gli autori dei
fatti-reato. Così si aggiungerebbe ingiustizia ad ingiustizia, una vergogna che
è stata giustamente sottolineata anche dalla rappresentate di Amnesty
International pochi minuti fa.
La nostra indignazione sul punto è forte, aggravata dal fatto che dal settembre
dell'anno scorso giace inutilmente in Parlamento un Disegno di Legge che
vorrebbe introdurre anche nel nostro ordinamento il diritto di sapere chi sta
rappresentando lo Stato in uno delle sue massime prerogative, l'uso (si presume)
legittimo della forza.
Ammettendo tuttavia che gli agenti potessero venire identificati, vorrei qui
doverosamente distinguere tra i vari livelli di responsabilità, dato che
certamente non si vuole trovare un facile capro espiatorio negli agenti presenti
in piazza in quei giorni, agenti che hanno probabilmente pagato colpe che non
sono a loro interamente attribuibili.
Vorrei dunque introdurre una ripartizione di responsabilità tra agenti ed i loro
superiori, fino ad arrivare al vertice della catena gerarchica, confidando nelle
capacità d'indagine dei magistrati che da molti mesi sono impegnati nella
ricerca di quella verità - sollecitata anche del nostro Presidente della
Repubblica - capace di saldare la grave frattura della legalità democratica che
si è consumata nelle giornate del luglio del 2001.
A norma dei principi internazionali in materia, recepiti dallo Statuto del
Tribunale di Norimberga agli Statuti delle Corti internazionali per il Ruanda e
per i crimini commessi nei territori dell'ex Jugoslavia, l'ordine del superiore
attenua, non esclude la punibilità del singolo.
Anche per l'ordinamento italiano il Codice Penale, all'articolo 51, statuisce
che solo l'ordine legittimo esclude la punibilità: ma è doverosa la precisazione
che nel caso delle forze di polizia gli agenti non possono mai sindacare la
legittimità sostanziale dell'ordine che viene loro impartito, salvo il caso in
cui l'ordine sia manifestamente criminoso (così, l'articolo 66 della l.121/67
sulle forze di PS).
Ammettiamo dunque che i singoli agenti non potessero sindacare - e cioè:
legittimamente disubbidire - agli ordini loro impartiti.
Ma chi diede l'ordine di sparare quella quantità incredibile e senza precedenti
di lacrimogeni - ma penso anche a chi autorizzò l'uso dei micidiali manganelli
Tonfa - a quali responsabilità andrebbe incontro?
Soccorre l'articolo 53 del Codice Penale, rubricato "Uso legittimo delle armi",
che stabilisce che, ove difettino i presupposti della legittima difesa e
dell'adempimento di un dovere, "non e' punibile il pubblico ufficiale che, al
fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso
delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi e' costretto dalla
necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'Autorità" -
e qualora altri mezzi non siano possibili per respingere la violenza o vincere
la resistenza (Cassazione penale, sez. IV, 15 febbraio 1995, n. 2148).
Solo i due requisiti suddtti autorizzano nel nostro ordinamento l'ordine ad
usare le armi.
Nei video delle giornate di Genova si vedono molte scene di persone inermi, che
si trovavano in cortei regolarmente autorizzati, bersagliati da gas e percossi
con i manganelli, che non stavano resistendo all'Autorità nel senso della norma
suddetta, anche perché la semplice disobbedienza non è ritenuta condizione
sufficiente per l'uso legittimo delle armi (Vincenzo Manzini, Trattato di
diritto penale italiano, Torino, 1961, 312ss.; nel senso della mancanza del
requisito di proporzionalità Giovanni Fiandaca, Enzo Musco, Diritto penale,
Bologna 1999, 255ss.).
Le immagini mostrano bombardamenti tutt'altro che mirati - e anche qui vi è un
ulteriore profilo di illiceità, dato che il capo del Dipartimento di Pubblica
Sicurezza davanti alla Commissine d'inchiesta ha elogiato l'uso del gas proprio
perché consentiva una azione mirata - con i micidiali candelotti lacrimogeni,
sparati dal mare, dal cielo e da terra anche ad altezza d'uomo.
Non pare dunque davvero che l'uso dei gas fosse legittimo dal punto di vista
dell'articolo 53 c.p.
Anche da questo punto di vista, ritengo legittimo l'interrogativo se con l'uso
delle armi, ed in particolare attraverso il massiccio uso dei gas, in realtà non
si sia voluto impedire o limitare con tutti i mezzi lo svolgimento delle
manifestazioni per un "mondo diverso", limitando o impedendo il diritto
costituzionalmente garantito della libera manifestazione del pensiero: se questa
terribile ipotesi emergesse a seguito degli accertamenti della magistratura, in
gioco non vi sarebbe solamente l'incolumità fisica di manifestanti, dei
cittadini e delle stesse forze dell'ordine, ma il fulcro della nostra
democrazia, la pietra angolare del nostro sistema democratico.
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