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Congiura
azzurra
un libro di Davide Stasi
Alcuni brani dal libro
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Voi abili a tenere sempre un piede qua e uno là
avrete un avvenire certo in questo mondo qua,
però la dignità dove l'avete persa?
Vasco Rossi - Gli spari sopra, 1993 |
Le gambe cominciavano a fargli male per la
corsa in salita. Eppure sentiva di non potersi fermare e, imboccando a tutta
velocità Salita di Porta Soprana, benediceva di essersi vestito sportivo quella
mattina. Il suo capo, l'assessore, era fuori città e questo gli aveva permesso
di andare in ufficio con abiti più comodi e un paio di scarpe morbide. Con le
sue Gucci di ordinanza, eleganti e raffinate, ma rigide e dalla suola scivolosa,
sarebbe probabilmente già caduto, e quei due gli sarebbero già stati addosso.
Uscito dall'ufficio, si era fiondato alla sede del partito, dove si riuniva il
comitato di redazione di una rivista politica a diffusione regionale di cui era
il vice-direttore. Al termine della riunione, aveva accettato l'invito di una
delle sue fidanzate. Dopo una cena a base di acciughe marinate e Vermentino
freddo erano andati a letto, e lì erano rimasti tre ore. Al ritorno, si era
fatto lasciare dal taxi poco lontano da casa. Gli era venuta voglia di fare
quattro passi nell'aria fresca di quel fine maggio genovese. Davanti a Palazzo
Ducale si era sentito chiamare: «Marco Cassini!». Due uomini si erano avviati
nella sua direzione. Uno dei due teneva una mano in tasca, l'altro dietro la
schiena. Le strade erano deserte, come sempre in settimana a sera tardi. Si era
guardato intorno con una certa apprensione poi un riflesso gli aveva suggerito
di prendere la corsa, il più forte possibile. Nella mano di uno dei due era
baluginato un riverbero cromato. Non si poteva ingannare: una pistola.
Marco capì che doveva muoversi, scuotersi.
Aveva sull'anima il peso di una cosa che non aveva mai fatto prima. Un omicidio.
Duplice. Ma non solo: aveva sull'anima la consapevolezza di essere nel mirino di
qualcuno, senza riuscire minimamente a capire di chi né il perché. Ripassò tutti
i suoi atti e le sue iniziative degli ultimi mesi. Tutto, come sempre, fatto
sotto la protezione dell'amministrazione regionale, del partito e di tutti gli
altri potentati che giravano intorno al suo mondo. Si era sempre guardato bene
dal mettersi in primo piano, compito riservato agli eletti, assessori e
presidenti vari. Da sempre aveva lavorato per essere un mangiafuoco dietro le
quinte e non un burattino sul palcoscenico. Al di là di questo, si era sempre
impegnato ad agire correttamente con tutti, creando meno scontenti possibile,
con massima diplomazia. E i pochi rimasti a bocca asciutta non erano certo tipi
da attribuirgli tutte le colpe e assoldare due killer.
Marco guardò l'ora. Mancavano venti minuti
circa all'arrivo di Pozzo. Le due ricambiavano i suoi sguardi, e ci infilavano
dentro anche parecchia malizia. In risposta cominciò a sentire il sangue
scorrergli più caldo nelle vene e maledì il ciellino e tutta la sua razza.
Sperava di liberarsene presto per poter rispondere all'ennesima sfida che i suoi
sensi lanciavano a se stesso, prima ancora che a tutto il genere femminile. Si
disse: "scarico Pozzo con poche parole e quelle due me le porto a letto...
contemporaneamente". Sperava solo che le due capissero e non se ne andassero
mentre lui era lì a menarsela col ciellino.
Il gioco di sguardi ebbe un'evoluzione imprevista. Ormai Marco saltava con gli
occhi dalle labbra delle due alle loro cosce. D'improvviso la più matura slacciò
le gambe fin allora accavallate e poggiò un piede su un piolo della sedia,
mettendosi in una posizione che nulla lasciava all'immaginazione. Permise che
Marco fissasse per un po' gli occhi sull'ombra alla fine delle cosce, poi si
alzò, seguita dalla sua amica. Marco temette subito che le due se ne andassero,
ma non fu sorpreso quando invece si diressero con decisione verso il suo tavolo.
Sapeva come lanciare i messaggi giusti alle donne giuste. Aveva una specie di
fiuto, capiva al volo quando una donna desiderava essere spogliata con gli
occhi, e non lesinava certo in questo senso. Anzi, una delle accuse che con più
trasporto le sue fidanzate gli lanciavano era proprio quella di denudarle con lo
sguardo. Adoravano sentirsi frugate nella loro intimità dai suoi occhi, ma per
un deviato senso del femminismo di tanto in tanto si ribellavano. Marco sapeva
capire quando l'occhiata andava a buon fine. Le vedeva allora, le sentiva
eccitarsi e bagnarsi. Guardando quelle due i suoi occhi avevano espresso tutte
le fantasie che il cervello, e non solo quello, stava concependo. L'immagine dei
loro tre corpi, sconosciuti ma eccitati, intrecciati in ogni possibile
architettura era passata dalle sue pupille direttamente, attraverso i loro occhi
e la loro mente, al loro fondo pancia, come una proposta, un gioco, sicuramente
una sfida che le due mostravano di voler accettare.
Si sedettero accompagnate dai loro bicchieri. Marco le accolse con un sorriso e
uno sguardo da bambino colpevole. Impetrava inutilmente pietà alle due virago
della sua notte. Sapeva che lo avrebbero punito per la sua sfrontatezza. E non
vedeva l'ora di ricevere quella loro punizione.
«Ciao, io sono Paola, lei è Alessandra», parlò la più matura.
«Carlo, piacere», mentì Marco. Non dava mai il suo vero nome al primo incontro,
per evitare qualunque tipo di complicazione. Per la stessa ragione non c'era il
suo nome sui campanelli del citofono e della porta dell'appartamento, né nella
cassetta della posta. Ovunque aveva messo il suo pseudonimo, Zadig, e se al
primo appuntamento si portava qualcuna in casa (ma cercava sempre di evitare)
diceva che era un "pied-à-terre" che divideva con un amico. Il suo nome e il suo
recapito li faceva avere solo a chi pensava li meritasse. Tutto questo le due
sventole non potevano saperlo, perciò Marco non si spiegò il loro sguardo un po'
complice, un po' meravigliato.
«Non vi piace il mio nome?», chiese facendo la faccia imbronciata.
«No, no... ci piace molto... e ci è piaciuto anche come ci guardavi», proruppe
la biondina. Marco resistette e non raccolse la provocazione. Notò che non erano
di Genova: il loro accento era piemontese, o giù di lì. «Di dove siete?», chiese
loro. Questo suo ignorare la loro malizia le avrebbe mandate in bestia. Non c'è
niente di più seducente di una donna che pensa di non riuscire a sedurre un
uomo. Il miglior modo per conquistare una donna è per un uomo fare violenza alla
propria natura, e non cedere subito alla seduzione di lei, ma anzi resisterle e
negarsi. Lei crescerà nella sua sensualità fino a che non vedrà la preda cedere.
La più matura era esperta di queste cose, e stette al gioco.
«Di Asti, siamo qui per lavoro...», rispose col tono di chi non è per nulla
attratta dalla conversazione. Poi giocò sporco. Prese la flute che aveva davanti
e bevve l'ultimo sorso del suo cocktail. Teneva il bicchiere in modo innaturale
e fece di tutto per mostrare a Marco la posizione della mano. Il gesto e la
postura erano sfrontati: lo maneggiava come se fosse stato un cazzo. Il vetro
del bicchiere era umido, e le fu facile, una volta posatolo sul tavolo, far
scorrere la mano chiusa su e giù. Marco sentì che stava diventando paonazzo.
Probabilmente, pensò, la tardona è una dirigente, madre di famiglia, e l'altra è
la sua segretaria, entrambe con un uomo che le attende fiducioso in quel di
Asti. E queste, pensò, probabilmente anche un po' lesbiche, vengono fin qua a
Genova a togliersi gli sfizi, a giocare con un bel giovane. Trattenne
l'eccitazione, e guardò alternativamente la mano e gli occhi della donna, pieni
di sfida. Le due avevano optato subito per i colpi bassi. Intervenne la
biondina.
«Aspetta...», mormorò. Prese il bicchiere dalle mani dell'amica e prese a
leccarne il bordo, come se vi fosse rimasto un po' del cocktail. Usò solo la
punta della lingua, tenendola morbida, mentre l'amica prese ad accarezzarle i
capelli e il viso. Quasi fossero d'accordo, all'ennesima carezza, la biondina si
voltò prendendo in bocca l'indice dell'amica e succhiandolo in modo plateale.
Marco ingollò un bicchiere intero di "Nero d'Avola" che aveva davanti: i suoi
sensi erano ormai quasi fuori controllo. Avrebbe voluto intervenire e inserirsi
nel duetto, ma sapeva che così avrebbe perso la sfida. Guardò l'orologio. Fra un
giochino e l'altro si erano fatte le dieci e un quarto. Si accese una sigaretta
e si ricordò dell'appuntamento con Pozzo. Lo maledì dal profondo del cuore, lui
e la sua congrega di santarellini. Ma, benché questi fosse in ritardo, gli
doveva deferenza, almeno finché il suo partito glielo ordinava. E almeno finché
sarebbe rimasto nel suo partito. E Marco ci sarebbe rimasto fintanto che gli
fosse convenuto. O fino a che non l'avessero fatto fuori... bastarono questi
pensieri a raffreddarlo e a fargli governare la situazione con razionalità.
«Ragazze... ok, ok... stop, basta così, time out per un attimo...». In quel
momento la mora aveva infilato la lingua nell'orecchio della biondina, che aveva
cominciato a gemere piano piano. La presero come una resa, e il maschio, per
piacere a donne così, non deve mai arrendersi. Marco lo sapeva e tolse subito
loro l'impressione di aver vinto la sfida.
«Carino il vostro spettacolino», sminuì convinto di cogliere nel segno. «Vi
chiedo però di continuarlo da voi, in albergo, oppure da me, se vi va. Abito a
due passi...». La mora lo fissò con intensità.
«Perché no... Carlo...», disse sottolineando il nome. Era una donna di mondo,
pensò Marco. Aveva capito che era un nome falso.
«Però non subito. Mi spiace». Gli risposero con uno sguardo interrogativo. «Sto
aspettando un amico. Un pezzo grosso qui a Genova. Dobbiamo trattare certi
affari. È un po' in ritardo ma arriverà a momenti. Lasciateci chiacchierare un
attimo, poi sono subito da voi». Aveva cercato di essere rassicurante. Non se lo
voleva perdere il triangolo con quelle due strafiche. Lì per lì pensò che per
loro non ci sarebbe stato problema, visto che avevano iniziato a ridacchiare.
Marco le guardò con fare interrogativo. Aspettava una risposta. Sperava non
volessero sfidarlo ancora, del tipo: o noi subito o l'amico. Avrebbe dovuto
preferire Pozzo a quei due corpi. E il colloquio che ne sarebbe seguito non
sarebbe stato granché costruttivo... trattava sempre male in politica quando era
sessualmente frustrato.
Ridacchiarono ancora un po', poi misero entrambe la mano nella borsetta che si
erano portate appresso, e che avevano appeso a un bracciolo della sedia.
Trassero fuori qualcosa che Marco non vide, e che posero sotto il piano del
tavolino. Pensò che fossero due pazze stravaganti. Scommise con se stesso che
avevano tirato fuori i loro slip, o due vibratori, o qualcosa del genere, per
provocarlo. Si chinò per guardare. Due pistole nere, con tanto di silenziatore,
gli restituirono lo sguardo.
Erika era una hacker, uno dei migliori
pirati informatici d'Italia, oltre che una sua ex fidanzata. Era lei che gli
conservava su un server superprotetto tutti i documenti delicati dell'ufficio in
formato informatico.
Arrivò per le dieci del mattino. Marco la trovò bella, magra magra come sempre,
biondissima e saltellante come un grillo. Si baciarono sulle guance e si
sedettero in silenzio in cucina, con un bicchiere di moscato piemontese senza
pretese. Marco pensava a come mettergliela giù. Erika era in grado di violare
qualunque sistema. In un momento di orgoglio si era detta capace di entrare
nelle mutande del Presidente della Repubblica senza che questo se ne accorgesse
e facendosi addirittura salutare dai piantoni. Era vero. Una volta, davanti agli
occhi di Marco, era entrata in contatto contemporaneamente con il server della
Casa Bianca e con un server piazzato in Cecenia dove si scambiavano informazioni
i più pericolosi terroristi islamici. L'avevano entrambi individuata e inseguita
attraverso tutti gli snodi della rete, ma alla fine li aveva seminati facendoli
finire nel vicolo cieco di un server per coprofili. In quell'ambiente virtuale
avevano guardato insieme americani e terroristi prendere contatto gli uni con
gli altri pensando di averla scovata. Li avevano visti annusarsi dietro come
fanno i cani, con una certa circospezione, riconoscersi e fuggire ognuno da dove
era arrivato.
Il problema di Erika era la passività. Davanti a scenari di quel tipo Marco non
aveva potuto non chiederle come resisteva alla tentazione di intervenire, in un
senso o nell'altro, mettendo nei casini gli uni o gli altri, o cercando di
metterli d'accordo. O ancora, come potesse resistere dall'infilarsi in qualche
server bancario e farsi un bel bonifico, di quelli che ti sistemano per la vita.
Erika si infuriava a questi discorsi. Non si faceva problemi a clonare software
o a commettere altri piccoli reati informatici, ma oltre non andava. Diceva di
avere una sua etica. E non si discuteva.
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