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Disoccupati
disorganizzati
senza sussidio
Cronache di straordinario ozio
un romanzo di Pasquale Bottone
premessa
di Antonio Dipollina
Non fanno notizia. Non cercateli sui
giornali, che hanno ben altro di cui occuparsi. Guardarli in faccia, invece, è
molto più facile. Basta un tram di una città importante e, per riconoscerli, una
base minima d’intuito. Qui vengono raggruppati nella buffa sigla Disdiss
(Disoccupati Disorganizzati Senza Sussidio). È facile immaginarli mentre
trascorrono qualche ora nell’ideazione della sigla medesima, di un’associazione
senza costrutto alcuno se non quello di riconoscersi e aderire a un vago senso
di appartenenza. Per poi passare a nuovi capitoli di quella che potrebbe
definirsi una vita di espedienti morali (quelli materiali li hanno ormai
codificati da tempo). Sono tra noi e sono tantissimi e – direbbe qualche acuto
osservatore – non sappiamo nulla di loro, o quasi. Tiriamo a indovinare.
Il problema è quello: non fanno notizia. Ed è meglio sorvolare sui casi in cui
questo invece succede. Sbuca qualche film ogni tanto, a descriverli (soprattutto
all’estero), ma non si ricordano inchieste vere negli ultimi anni. A chi
piacerebbero? Se ben fatte, a loro stessi, certo. Scusate, ma da quando in qua i
mezzi di comunicazione di massa hanno interesse a piacere a persone che non si
sentano appagate nel riconoscersi, che non possono correre ad acquistare il
prodotto pubblicizzato nella pagina a fianco, che non possono innescare quei
meccanismi virtuosi – a buon fine economico – che vanno per la maggiore?
La sana, ripetiamo: sana, curiosità sociale e intellettuale rimane così affidata
all’iniziativa volenterosa di singoli. Da un certo punto di vista saranno i più
fortunati, visto che più sanno e meno si stupiranno in futuro di quello che
accadrà. Ammesso che la consapevolezza oggi abbia ancora valore corrente e sia
un bene per l’individuo.
Per chi ci sta ancora, pochi ma buoni, questo è un racconto che dice parecchio.
Merce (merce?) ormai rarissima.
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