Firmato Parpot
 
un noir di Alain Monnier


Introduzione



Che cosa hanno in comune un romanzo e una lettera di candidatura a un posto di lavoro, fatta pervenire a un funzionario della Camera di Commercio? Apparentemente niente, se non fosse per quella trama sottile di relazioni tra idea e parola che danno origine a una storia.
 
“Un giorno, sul mio tavolo, in mezzo ai tanti documenti che sono abituato a controllare in ufficio, mi capitò la lettera di un giovane, indirizzata al Direttore della Gestione Risorse Umane di un’importante azienda. Sembrava una delle tante lettere di candidatura per un lavoro, o almeno, così avrebbe dovuto essere. Ma, invece di fornire delle informazioni sulle sue competenze e qualifiche, o di presentare il suo curriculum professionale, il giovane disoccupato ha incominciato a raccontare, in una sorta di confessione intima, i problemi che aveva con la moglie. La cosa mi è sembrata curiosa e quantomeno bizzarra e mi sono chiesto che cosa avrebbe potuto rispondere un Direttore della Gestione Risorse Umane a una simile lettera…”.
 
Così Alain Monnier ci spiega come è nato il suo primo romanzo, “Firmato Parpot”: una lettera bizzarra, capitata sulla scrivania durante la routine del suo lavoro di funzionario d’azienda, diventa occasione per trasformare tutta quella produzione burocratica di fascicoli amministrativi, rapporti, resoconti e lettere, che quotidianamente invadono un ufficio, in una storia capace di commuovere e divertire.
 
Dalle pagine di questa sorta di romanzo collage, alla maniera di Max Ernst, emerge la vicenda rocambolesca di Barthélémy Parpot, monomane visionario che, nella più totale dissociazione dalla realtà che lo circonda, decide che è giunto il momento di realizzare l’obiettivo della sua vita: sposare la sua adorata “Claudine Courvoisier del novembre 1990”. E poco importa se quest’ultima sia a conoscenza o meno di un tale disegno, lui ha già preso la sua decisione: “…nella vita è importante avere una donna, che per me sarebbe Claudine Courvoisier del novembre 1990, la mia sposa per tutta la vita… Non riesco a fare niente senza la mia Claudine Courvoisier del novembre 1990 e non posso rimanere solo per il resto della vita aspettando gli altri, perché voglio sposarmi con la mia Claudine Courvoisier del novembre 1990 e farle fare tre figli, adoro i bambini soprattutto quando si tratta dei miei…”.
 
La visione del mondo di Parpot, assolutamente personale, finisce per imporsi anche sul destino degli altri personaggi, coinvolti – loro malgrado – nelle fantasie deliranti  del protagonista; da qui lo scatenarsi degli eventi che, se da un lato coinvolgono il lettore nel variegato universo dei sentimenti umani – vendetta, amore, amicizia, dolore, odio, perdono – dall’altro gliene rivelano tutta la complessità. Sono infatti le sfumature, i sottintesi, il confine ambiguo tra ciò che è e ciò che appare, che Alain Monnier lascia indovinare nelle pagine del romanzo, suggerendo che è sempre la prospettiva dalla quale decidiamo di osservare le cose a mostrarci ora la maschera, ora il vero volto.
 
L’ossessione di Parpot, sgangherato eroe fuori dal tempo, è in realtà la lente introspettiva con la quale l’autore mette a fuoco le smorfie e le trafitture dolorose dell’esistenza: l’umorismo corrosivo, e a volte tragico, si accompagna a quel senso di comicità distaccata che è visione lucida dei mali dell’umanità. Come spesso accade nella vita, l’irruzione di un evento imprevisto ci costringe a guardare dritto negli occhi i fantasmi che collezioniamo lungo il cammino: così la “valanga” Parpot investe con violenza chiunque si trovi sulla sua strada, lasciando al suo passaggio vittime e superstiti. Tuttavia la sua purezza lo preserva dalla corruzione che lo circonda, anche quando questa finisce per travolgerlo e, ben presto, ci si rende conto che sono gli altri ad approfittare della sua incoscienza, mentre lui, a dispetto di ogni logica e coerenza, prosegue il suo cammino per il mondo come un moderno Don Chisciotte, anche se il mondo va inesorabilmente in un’altra direzione.
 
Ma in Parpot, diversamente da Don Chisciotte, non c’è scissione tra fantasia e realtà, perché la sua fantasia è il solo modo con il quale riesce a guardare la vita e a raccontarla a noi. Per Parpot il mondo è una sfera, il suo tempo è un tempo circolare che abbraccia uno spazio assolutamente soggettivo: da qui la circolarità della struttura narrativa, che da ultimo ci riporta al punto di partenza, sottolineando la ciclicità degli eventi e di un pensiero che ritorna sempre su se stesso. La fine è in realtà un nuovo inizio, e tutto ricomincia. Ma questa è un’altra storia…
 


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