Le genovesi
Streghe, sante, prostitute, schiave, muse ed eroine
 
di Luca Ponte


Premessa dell'Autore

Alle donne non si dimostra nulla,
perché non credono che con il cuore e la fantasia.

Alphonse Karr

Mi accingo ad un’impresa folle, disperata, oserei dire temeraria, se non sapessi bene che è dettata più dall’incoscienza che non dal coraggio: parlar di donne. Farlo, si sa, è cosa filosoficamente impossibile, e se avessi un minimo di buon senso rinuncerei da qui, da questa stessa riga, dato che, se ne parlo male, ebbene, non c’è creatura al mondo come la donna pronta ad incassare qualunque critica con assoluta nonchalance, ma solo per poi vendicarsi, freddamente, alla prima occasione. Parlarne bene è altrettanto impossibile: se parlo bene di una, posso star certo che ce n’è almeno un’altra lì pronta come minimo ad offendersi, e come massimo... beh, siamo da capo (non dice, forse, un proverbio, che “l’amicizia di due donne è solo la congiura contro una terza”?). Parlar bene di tutte, d’altro canto, non si può: sarebbe poco credibile e in fondo neanche giusto; senza dire che non si tratta solo di parlarne bene oppure male, ma anche di “chi” parlare, e di “come” farlo. Fatta eccezione per quelle poche figure che, pur a distanza di secoli, restano nella memoria e nel cuore di tutti noi, come Caterinetta Fieschi, per le altre non potevo che fare delle scelte, citandone talune e tacendone altre, senza altri scopi che quello di rendere omaggio al carattere ed alle virtù delle nostre donne. Va da sé che le scelte hanno dovuto limitare (ahimé, meno brutalmente che mi sia stato possibile) la quantità di materiale che tale argomento rendeva disponibile, grazie al quale, invero, si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Spero che di questo il lettore si renda conto: è, questo, un lavoro che ho intrapreso con serietà e passione, lungi da qualunque pretesa di “scientificità”. Del resto, mi pare ovvio che anche un’opera nata con tali intenzioni non avrebbe potuto che arrendersi, dinnanzi ai milioni di nonne, madri, mogli e figlie genovesi e liguri che si sono succedute nel corso dei secoli, nell’anonimato, dopo vite intere di onestà e di sacrificio. Esse, tuttavia, non hanno mancato in nessun tempo di mostrare un carattere ed un volto, unico per tutte: quello, appunto, della genovesità (o ligusticità che dir si voglia: sono per me, questi termini, pressoché equivalenti). E questo era il mio intendimento: non tanto quello di fare nomi e cognomi (anche se ho poi finito per farne, e tanti, basti dare un’occhiata all’indice dei nomi che trovate nelle ultime pagine), quanto piuttosto quello di individuare questa identità, questo carattere, lasciando che emergesse in tutti i suoi aspetti, rendendo, insieme con questo, omaggio a tutte le nostre donne di ogni tempo. Sappia, il lettore, anche se potrà apparirgli, questa, un’affermazione retorica, che lo spirito di questo libro non ne dimentica nessuna.

Da dove cominciare, dunque? È, in fondo, ogni lavoro che si fa, un cerchio che prima o poi si deve chiudere, e forse anche per questo un proverbio della nostra terra dice saggiamente: Tûtto sta in to comensâ, o resto o ven da lë (tutto sta nel cominciare, il resto vien da sé). Tuttavia, un ordine evidentemente ci vuole, ed anche se in questo lavoro ho utilizzato criteri diversi, seguendo nient’altro che il mio istinto ed il mio gusto, non potevo che cominciare “dall’inizio”, ovverossia dalle prime donne liguri che fanno capolino dalla storia, laddove quest’ultima, secondo le cognizioni che ne abbiamo oggi, si confonde con la leggenda.


Torna indietro