|
Musica e musicisti nella
storia - di Roberto Iovino
Intervista a Roberto Iovino
da "Il Cantiere musicale" - numero 18
- dicembre 2002
Roberto Iovino firma “Musica
e musicisti
nella storia” per Fratelli Frilli Editori
Una nuova Storia della
musica nasce dal “Paganini”
Di Giorgio De Martino
Dopo aver sorpassato la soglia dei vent’anni
di insegnamento al “Paganini”, Roberto Iovino – docente di Storia della
Musica – ha recentemente pubblicato “Musica e musicisti nella storia” (Fratelli
Frilli Editori, pag. 429, euro 24), mettendo a frutto la sua lunga
esperienza didattica.
Un cimento riuscito, complesso “”alla fonte” ma non per il lettore, esauriente.
Insomma una vera Storia della musica che può competere senza complessi con la
ricca produzione oggi presente sul mercato.
Il volume di Iovino parte dalle origini fino ai giorni nostri, ed ha fatto bene
l’autore a segnalarlo nel sottotitolo, perché altre storie della musica, pur
prestigiose, fanno il contrario, partendo dalla contemporaneità ed arrivando –
alla fine del libro – alle origini. E il gioco, pur molto a la page, non
funziona.
Il libro è chiaro, qualità fondamentale non solo per i ragazzi che studiano
storia della musica, ma per tutti i lettori. Non solo “didattico”, il volume non
è impostato esclusivamente sulle tesi d’esame, ma può tranquillamente essere
fruito da un lettore adulto, musicista, musicofilo o semplicemente curioso.
Oltre alla materia strettamente musicale, vengono affrontate parallelamente
anche le altre arti e la storia, in un meticoloso inquadramento culturale e
sociale di ogni autore e di ogni corrente.
Peraltro il libro è cadenzato da schemi esplicativi, schede di approfondimento
su argomenti specifici, su comparazioni, o su dati squisitamente musicali che
talvolta può essere pericoloso dare per scontati.
Laddove utile, Iovino ricorre ad una serie di prestiti critici di assoluto
rilievo, un atteggiamento di grande onestà intellettuale che si riverbera in
tutto il libro. E quando possibile l’autore fa parlare direttamente i
compositori, i teorici della musica, i poeti.
Perché un nuovo libro di storia della musica?
Da tempo pensavo di tradurre in libro gli appunti raccolti in circa vent’anni di
insegnamento. Esistono vari manuali di storia della musica, naturalmente. Ma
ogni insegnante ha un proprio metodo, ama esporre gli argomenti secondo propri
criteri, tradisce nelle scelte i propri interessi storico-artistici. L’idea di
crearsi un proprio libro di testo è insomma oltremodo stimolante.
Sarebbe interessante capire il tipo di lavoro, il metodo con cui hai
affrontato una fatica di questo tipo…
Il mio obbiettivo era scrivere una storia della musica calandola tuttavia in un
più ampio contesto storico, sociale e culturale, facendo naturalmente i conti
con i problemi di spazio, con l’esigenza di contenere tutto in un unico volume.
Sono dunque partito dai miei vecchi appunti, ho verificato e corretto i “punti
deboli”, ho letto le più recenti pubblicazioni, ho allargato il campo di azione
e di approfondimento, ho raccolto testimonianze per far parlare, ove possibile,
in modo diretto i protagonisti della storia (filosofi, storici, letterati,
musicisti) e rendere così il libro più vivo.
Parliamo delle numerose scelte che hai dovuto affrontare: dalla struttura
generale, a valutazioni che giustamente tradiscono la tua idea della storia
della musica. Ad esempio mi sembra di riscontrare un’attenzione maggiore al
Novecento Storico piuttosto che all’Avanguardia…
Un libro di storia della musica impone scelte molto delicate. La materia è
ovviamente sterminata, ridurla in qualche centinaio di pagine obbliga a
tagliare, sacrificare, privilegiare. Scegliere, insomma. ho articolato il libro
in pochi capitoli, suddivisi però in molti paragrafi e sottoparagrafi. Il
limitato numero di capitoli consente uno sguardo panoramico su epoche
relativamente ampie, mentre la più capillare suddivisione rende, almeno lo
spero, più agile la lettura dei vari argomenti. Quanto ai contenuti, racconto la
storia della musica occidentale, in particolare europea; ma cerco anche di
guardare all’America (il jazz, oltre alle produzioni più recenti) e all’Oriente
con qualche riferimento sia pure rapido e sintetico. In epoca di contaminazioni
le barriere fra generi sono sempre più labili e per questo nell’ultima parte
affronto anche aspetti solitamente poco battuti nelle storie della musica, dal
beat al rock, ricordando il musical, la commedia musicale ecc. Arrivati al 2002
credo sia ormai improrogabile una seria analisi del Novecento, un secolo
straordinariamente ricco di fermenti e di soluzioni differenziate, eppure ancora
molto poco conosciuto. Per decenni si sono ignorate intere generazioni di
musicisti con un grande danno alla comprensione dell’intero secolo. Il discorso
sarebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano. Nelle scelte culturali si è sempre
un po’ faziosi, io stesso lo sono stato certamente. Ma la politica culturale
perseguita in Italia negli ultimi 30 anni ha arrecato gravi danni trasformando i
teatri e le istituzioni in musei e accettando del XX secolo solo determinate
correnti. Basta riguardare le cronologie degli spettacoli per rendersene conto
direttamente.
Quante volte si sono ascoltate musiche di Pizzetti, di Casella, di Malipiero
(Gian Francesco), o venendo più avanti, di Ghedini, di Petrassi e di
Dallapiccola? Eliminando intere generazioni, è stato soppresso un tassello
fondamentale nel mosaico del Novecento obbligando gli ascoltatori a passare da
Puccini a Nono. Il Novecento lo si è voluto rendere incomprensibile. Oggi è il
caso di riguardarlo per intero senza preconcetti cultuali o politici. Tutto ciò
non compete ad una storia della musica come la mia. Tuttavia ho cercato di pormi
in questo atteggiamento, dando spazio al Novecento storico, ricordando
l’esperienza del futurismo e, venendo più avanti inserendo autori altrove
dimenticati: penso, ad esempio a Giancarlo Menotti, fondatore del Festival di
Spoleto, o, per citare nomi cari all’ambiente genovese, a Contilli e a Cortese.
La tua è una storia della musica che arriva praticamente fino al nuovo
millennio. Quali criteri hai tenuto per quest'ultima parte del libro, forse la
più delicata?
Parlare di compositori viventi e attivi è sempre difficile. In questa parte,
soprattutto, ho cercato testimonianze, citato interviste, fatto parlare i
protagonisti. Come ho già detto, ho poi condensato in poche pagine rapidi
itinerari nel rock, in altre esperienze più moderne, sviluppando un discorso
sulla cosiddetta “musica leggera” dagli anni Cinquanta e Sessanta che mi ha
portato a ricordare miti della giovinezza (i Beatles, ma anche, lo confesso, il
Modugno del “Vecchio frac”).
Sono oltre vent'anni che insegni Storia della musica al Paganini: hai
verificato dei cambiamenti negli allievi?
Sono cambiati gli allievi e siamo cambiati noi insegnanti. Se non altro perché
abbiamo vent’anni di più. Oggi avverto un disorientamento generale e una
frenesia eccessiva dovuta alla paura di non arrivare, di non trovare lavoro, di
non avere strade da percorrere. Diminuiti gli sbocchi professionali nel campo
strumentale, ridimensionate le possibilità di insegnamento (almeno fino a che
non sarà davvero effettiva la riforma), i giovani sono bombardati da fin troppe
sollecitazioni alle quali sono costretti tuttavia a rispondere con il risultato
di un calo inevitabile di attenzione e di un rendimento globale decrescente. Non
è colpa loro se gradualmente perdono entusiasmo. Spetterebbe a noi cinquantenni
cercare di far tornare loro la fiducia, qualche certezza, qualche speranza. La
scuola dovrebbe servire anche a questo…
Torna indietro
|
|