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La Mala-Ricetta
Dieci geniali mosse del marketing farmaceutico
In principio fu il
gadget
I primi vagiti del comparaggio partirono
proprio dal gadget. Quell’oggettino, dal valore pressoché nullo che, nelle
intenzioni, doveva rimanere sulla scrivania del dottore a ricordargli il marchio
del farmaco, e che molto spesso, in realtà, finiva come giocattolo nelle mani
dei figli del medico o restava a fare da accumulatore di polvere sugli scaffali,
finché qualche mano pietosa non lo mandava dove meritava: nella spazzatura.
Nella mia carriera ho visto i gadget più incredibili: da una roulette
funzionante ad acqua (almeno credo che fosse acqua, anche se aveva un
preoccupante color verdognolo), al boccale portapenne fatto a forma di vertebra
(forse sarà piaciuto ai cultori dell’Amleto). Esistono addirittura veri e propri
collezionisti di gadget.
Tuttavia, all’epoca, la visita del signor propagandista era ancora un rito:
veniva ricevuto, fatto accomodare, si chiacchierava un poco e infine,
l’informatore tirava fuori dalla sua borsa, identica a quella del medico, i
campioni di medicinali, ne illustrava le caratteristiche, le indicazioni, le
dosi e gli effetti collaterali con l’aiuto di una serissima scheda tecnica
impostata in modo sobrio e scientifico, poi lasciava la pennina.
Il passo successivo fu qualcosa di più della pennina: libri di argomento
rigorosamente scientifico, piccoli attrezzi diagnostici, un fonendoscopio, un
martelletto e così via; erano comunque oggetti ancora moralmente accettabili e
non coinvolgenti.
Poi apparve Lui, una figura mitologica, che rappresenta simbolicamente tutti i
mali dell’industria farmaceutica. Questo innovatore ha svilito la professione
dell’informazione al di sotto del vù cumprà da spiaggia. Ha elevato a metodo
scientifico la corruzione sistematica della classe medica e porta sulle sue
spalle buona parte della responsabilità della situazione attuale. Egli è,
comunque, in buona compagnia, dal momento che quasi tutte le aziende che
praticano assiduamente il comparaggio hanno dirigenti che gli assomigliano. E se
così non fosse, sarebbero già fallite.
Il nostro eroe fece un ragionamento profondamente logico, estremamente semplice
ed assolutamente immorale, che fu il seguente: i farmaci che vendo sono
esattamente identici ad altri, e dato per scontato che funzionino, perché mai il
medico dovrebbe prescrivere proprio il mio? Le possibilità sono due: o perché se
lo ricorda meglio dell’altro, o perché ha un interesse a prescriverlo. E cosa
posso fare perché il medico lo ricordi meglio? Semplice, invece di mandare
l’informatore una volta ogni tre mesi, glielo mando una volta al mese, così
ricorderà più spesso il farmaco al medico.
Il problema era convincere stimati professionisti della propaganda a
trasformarsi in piazzisti sempre in giro a contattare medici. La soluzione era
semplice e a portata di mano: assumere una nuova generazione di informatori,
mediamente poco intelligenti, ma giovani e motivati a raggiungere il successo,
pagati con stipendi bassissimi, ma con premi favolosi legati alle vendite,
addestrati non a comunicare con il medico, ma a martellarlo con un assedio
estenuante. L’azienda crebbe e prosperò.
Intanto la corsa al gadget prese delle dimensioni da febbre dell’oro, nel senso
letterale della parola. Nel periodo natalizio gli informatori si trasformavano
in fattorini che dovevano consegnare piatti d’argento, cassette di vini pregiati
e penne di marche costosissime, placcate in metalli preziosi. Gli unici
contenti, a parte i medici, erano gli orafi e le enoteche.
Nelle industrie normali, quelle per intenderci dove si progetta e si produce
qualcosa, esiste un punto della vita del prodotto (che si chiama break even per
gli anglofili), che sta ad indicare quel momento della vita del prodotto in cui
gli utili hanno pareggiato le spese di progettazione e sviluppo, e da quel
momento in poi l’azienda comincia a guadagnarci.
Questo avvenimento è strettamente legato al numero dei pezzi venduti ma,
nell’azienda del nostro eroe, questo punto non esiste perché non produce e non
sviluppa nulla; ed è per questa ragione che, nella sua impresa, non conta quanto
si vende purché sia sempre qualcosina in più del concorrente che vende lo stesso
farmaco. Tutto ciò per dimostrare di essere più bravi e per ottenere sempre
nuovi farmaci da vendere. É un circolo assolutamente vizioso dove, data la
totale mancanza di qualsiasi ricerca o di produzione, per procurarsi
continuamente nuovi farmaci da commercializzare bisogna in ogni momento essere
un passo, anche minimo, avanti al diretto concorrente, e in questa gara tutto è
lecito. Per questa ragione i suoi informatori, non solo devono procurarsi sempre
nuove prescrizioni ma, possibilmente, devono rubare anche quelle del
concorrente.
Ora se il medico sta già usando quel farmaco, l’unico sistema per convincerlo a
cambiare il nome sulla ricetta è quello di legarlo a sé.
Come? Semplicemente facendo in maniera che il medico abbia un interesse
personale per legarsi all’azienda. Questo non si ottiene sicuramente né con il
gadget, per quanto bello, né con la simpatia dell’informatore, che oramai è
diventato più aggressivo di un venditore di enciclopedie. Il risultato si
raggiunge procurando o promettendo benefici personali al medico.
Il disastro è iniziato.
Al Ministero, l’oro cominciava a fluire copioso, sempre nuovi farmaci
arrivavano, sempre più aziende vendevano la stessa cosa, sempre più denaro
girava.
Si arriva a registrare e ad approvare farmaci assolutamente inutili a costi
spropositati che, con i profitti, permettono di comprare riconoscimenti e premi.
É di questo periodo il rimborso di complessi vitaminici, sciroppini e preparati
di nessuna utilità, senza alcuna base scientifica e con costi altissimi:
venivano prescritti a tutti. Siamo negli anni d’oro del comparaggio, medicinali
di efficacia pressoché nulla vengono approvati, registrati e inseriti in
prontuario con prezzi di vendita mostruosi, naturalmente a carico dello Stato, e
senza che questi prezzi debbano coprire spese di ricerca o di sperimentazione.
Quando, sull’onda di “Tangentopoli”, una nuova commissione del farmaco comincerà
a mettere un po’ di ordine facendo sparire, in un colpo solo, 706 confezioni di
farmaci, alcune aziende, tra le più compromesse, spariranno letteralmente dal
mercato.
Ormai il nostro eroe, l’uomo della provvidenza, ha fatto scuola, parecchie
aziende hanno imparato e applicato i suoi metodi e il vortice dei regali ha
assunto le dimensioni di un tornado.
La pressione dell’ultima ondata di informatori sul medico di base (così adesso
si chiama il medico della mutua) è diventata a questo punto insostenibile ed è
direttamente proporzionale al numero degli assistiti del medico stesso; più ci
si avvicina ai mitici milleottocento pazienti, e più le visite si fanno
frequenti e le richieste di prescrizioni assidue.
Le aziende, dato che non possono mandare l’informatore dal medico una volta alla
settimana, sdoppiano, triplicano e, qualche volta quadruplicano le linee di
vendita, con il risultato che ogni informatore parla di pochi farmaci e su
questi concentra l’attenzione. Questo modo di operare impedisce all’informatore
di ottenere quel potere contrattuale che nasce dai fatturati imponenti. Un altro
vantaggio per l’azienda.
Infatti, a parte i pochi casi di farmaci veramente unici, il medico prescrive
l’antibiotico X piuttosto che il Z, in funzione del ricordo che ha del nome
commerciale. Questa memoria è legata alla persona che ne ha parlato ma, mentre
l’identificazione dell’azienda con la persona che la rappresenta è, per
l’informatore la vita e l’essenza stessa del lavoro, per l’azienda rappresenta
un grosso rischio. L’informatore, infatti, potrebbe decidere di cambiare ditta
portandosi dietro l’immagine, molto meglio legare il medico all’azienda e non
all’informatore.
I medici cominciano a reagire e a porre delle limitazioni alle visite degli
informatori, sia come frequenza che come visite giornaliere, anche perché i
gadget, ormai, li danno tutti e anche belli.
Una annotazione, come si direbbe, di cronaca: ancora oggi, nell’anno 2000, gli
informatori, oltre ad avere tonnellate di gadget dal valore pressoché nullo,
hanno a disposizione consistenti fondi finanziari per l’acquisto di regali
“mirati”: il grosso volume scientifico, lo strumento diagnostico, il regalo “una
tantum”.
In una azienda di dimensioni medio-piccole questa cifra è di circa sei milioni
all’anno che, moltiplicata per una forza vendita di trecento informatori, fa la
rispettabile cifra di un miliardo e ottocento milioni, più o meno l’equivalente
di cento borse di studio per giovani ricercatori.
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