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Martiri per
l'Irlanda
Bobby Sands e gli scioperi
della fame
di
Manuele Ruzzu
Le prime pagine del libro
Lungo e complesso è il percorso che porta
a ricostruire quelle che sono le origini del conflitto anglo-irlandese.
Bisognerebbe compiere un salto indietro di circa otto secoli per trovare le
tracce di antiche colonizzazioni straniere sul suolo irlandese. Ogni nuova
colonizzazione, ogni nuova dominazione determinava – secondo un copione già
letto in altre parti del mondo e in altre epoche storiche – uno stato di
soggiogazione e d’impoverimento degli indigeni che vivevano nell’isola.
Soggiogazione, che vale ricordarlo, spesso ha registrato feroci massacri da
parte dei nuovi dominatori. Su tali basi si fonda quella che oggi viene, in
maniera piuttosto riduttiva e semplicistica, identificata come la diatriba tra
cattolici e protestanti nelle sei contee dell’Irlanda del Nord.
Per capire meglio in quale contesto storico e culturale si inseriscono i fatti e
i personaggi presi in considerazione in questo libro, è più conveniente
ricostruire la storia dell’Irlanda a partire da quello che è ritenuto l’evento
che, agli inizi del secolo scorso, segnò il punto di svolta nella dominazione
britannica in Irlanda e contemporaneamente ha segnato la vita di milioni di
irlandesi.
Fu probabilmente ciò che accadde nel 1916 a fungere da volano e fonte
d’ispirazione di tutto ciò che è stato indicato come il conflitto vero e
proprio, quel conflitto che noi abbiamo potuto recepire dalle notizie che,
grazie a giornali e televisione, periodicamente arrivavano e che tuttora – anche
se sporadicamente – arrivano dall’Irlanda del Nord.
Il 24 aprile 1916 l’ufficio postale di Dublino fu occupato da un manipolo di
uomini che si autoproclamarono “Governo provvisorio della Repubblica d’Irlanda”.
Il “Freeman’s Journal”, tra il 26 aprile e il 5 maggio, così riportava gli
eventi:
Verso mezzogiorno cominciarono a
verificarsi molte cose strane a Dublino. Una pattuglia composta da un centinaio
circa di uomini, membri dei gruppi “volontari irlandesi” e dell’“esercito dei
cittadini”, marciò per le strade della città, come era loro abitudine di fare da
un mese a questa parte – attirando, tra l’altro, scarsissima attenzione in un
giorno di festa (Lunedì di Pasqua), quando moltissimi villeggianti si trovavano
all’ippodromo per le corse dei cavalli – e fermandosi di fronte all’Ufficio
Postale Centrale in O’Connell Street, irruppe subito dopo al suo interno. In
pochi minuti, dopo aver brandito pistole e aver sparato alcuni colpi in aria,
essi costrinsero i clienti e gli impiegati ad abbandonare l’edificio. Poco dopo,
due bandiere sventolavano dai palazzi delle poste: una era quella tradizionale,
di colore verde con un’arpa color oro su cui, ora, erano state cucite le parole,
sempre in color oro,’Repubblica d’Irlanda’; l’altra una bandiera sconosciuta
alla maggior parte della gente, un tricolore composto dai colori arancione,
bianco e verde. L’ufficio postale era diventato il quartiere generale della
nuova repubblica.
Sul portone dell’edificio, situato nella
centralissima O’Connell Street, Patrick H. Pearse, uno dei comandanti della
rivolta, lesse un documento che dichiarava la nascita della repubblica e che
cominciava con una frase che suonava come una chiamata alle armi per gli
irlandesi del tempo e per le generazioni future:
Uomini e donne d’Irlanda: nel
nome di Dio e delle generazioni di defunti dalle quali riceve la sua antica
tradizione di nazione, l’Irlanda, tramite noi, chiama a raccolta i propri figli
sotto la sua bandiera e colpisce per conquistare la sua libertà.
Frase che potrebbe valere anche per i
protagonisti dei fatti del 1980 e del 1981. L’insurrezione fu neutralizzata dopo
una settimana e tremila volontari che vi avevano partecipato furono arrestati.
Tra loro, vi erano quelli che avevano organizzato e diretto la rivolta e che,
assieme a Pearse, avevano firmato la “proclamazione”. Figure di spicco nella
lotta di liberazione dell’Irlanda, come Connolly, Clark, Plunkett, MacDiarmada,
MacDonagh, Ceannt e lo stesso Pearse, furono condannate a morte e le loro
sentenze eseguite all’interno della prigione di Kilmainham a Dublino.
Due uomini, destinati a diventare fondamentali per il destino dell’Irlanda,
riuscirono ad evitare il plotone d’esecuzione: Eamonn De Valera e Michael
Collins.
La popolazione civile accolse scetticamente, e anche con malcelato fastidio, la
rivolta (facendo così mancare un adeguato sostegno alle truppe di rivoltosi) ma
cominciò a manifestare il proprio disappunto di fronte alle esecuzioni dei
ribelli. Tale dissenso si rivelò propizio per il partito dello Sinn Féin (dal
gaelico “Solo noi”), il quale vide crescere il numero dei propri sostenitori.
Fondatore dello Sinn Féin, nel 1905, era stato un altro uomo chiave nella lotta
repubblicana irlandese: Arthur Griffith. Era stato lui ad avanzare la proposta
che i deputati irlandesi rifiutassero di sedere a Westminster ricusando la
pretesa del governo di Londra di legiferare su questioni riguardanti l’Irlanda.
Ritornato in libertà il 22 dicembre 1916, grazie ad un’amnistia generale,
Michael Collins cominciò a reclutare uomini per organizzare uno dei più efficaci
gruppi armati d’Europa: l’esercito repubblicano irlandese o IRA (Irish
Republican Army), com’è universalmente conosciuto.
Il 25 ottobre 1917 De Valera divenne presidente dello Sinn Féin e nel 1919 il
partito ottenne, nelle elezioni al parlamento inglese, circa i tre quarti dei
seggi riservati all’Irlanda. I dirigenti decisero che tali seggi non venissero
ricoperti e istituì a Dublino il primo parlamento indipendente, noto come Dáil
Éireann. Londra, come risposta, dichiarò illegali sia il parlamento da poco
costituito – ordinando l’arresto dei suoi membri – sia il partito che lo aveva
creato, lo Sinn Féin.
Nel marzo 1920 Londra inviò in Irlanda truppe di Black and Tans, un apparato
semi-poliziesco che agiva fuori di qualsiasi controllo militare e che, avendo
come unico obiettivo la distruzione del nazionalismo irlandese, si rese
responsabile di feroci massacri ai quali le forze ribelli irlandesi risposero
con attacchi di guerriglia e atti terroristici. Fu il segnale d’inizio della
guerra anglo-irlandese, come fu denominata dalle forze inglesi.
Per i nazionalisti irlandesi, essa fu dapprima semplicemente la Tan war
(“Guerra dei Tan”), per poi divenire “guerra d’indipendenza”. Nello stesso anno
fu emesso un Government of Ireland Act (Legge riguardante il Governo
dell’Irlanda), che stabiliva che sei contee, situate nella zona nord-orientale
dell’isola, restassero sotto il dominio britannico, e le restanti ventisei sotto
il controllo di un parlamento istituito a Dublino.
Nel Nord, intanto, dilagava la violenza settaria da parte dei protestanti nei
confronti dei cattolici. Derry e Belfast furono teatro di feroci scontri, sorti
in seguito ad attacchi di protestanti contro famiglie cattoliche; il tutto sotto
gli occhi dei militari britannici e delle forze di polizia nord-irlandese.
Centinaia di lavoratori cattolici furono costretti ad abbandonare i propri posti
di lavoro.
Michael Collins, che dal momento dell’arresto dei membri del Dáil era costretto
a vivere in clandestinità, organizzò la guerriglia contro le forze inglesi
sgominando in primo luogo quella che, a tutti gli effetti, rappresentava il
mezzo con cui Londra controllava l’Irlanda: la rete spionistica.
Durante tutto il corso della guerra, l’attività militare – rappresentata dai
volontari dell’IRA – e l’attività politica – rappresentata dallo Sinn Féin –
seguirono strade diverse. Fonte di discussioni e controversie fu il rapporto tra
le due parti e i reciproci controlli. Cathal Brugha, membro del Dáil, che non
vedeva di buon occhio Collins e i suoi metodi, cercò in tutti i modi di
assoggettare gli uomini dell’IRA sotto il controllo del parlamento incontrando,
però, la ferma opposizione dello stesso Collins. Consiglieri militari
avvertirono il Primo ministro inglese Lloyd George che con il proseguire della
guerra e l’aumento delle perdite umane, le truppe di sua maestà cominciavano a
demoralizzarsi. L’unica soluzione restava, per i vertici militari, ritirare le
truppe e sostituirle in blocco.
La diplomazia, intanto, cercava di trovare un modo per porre fine a quello che
diventava, giorno dopo giorno, un vero e proprio bagno di sangue.
Per poter trovare l’accordo che riuscisse a portare le due parti ad un tavolo di
negoziati, comunque molto difficili, era necessario che esse dichiarassero un
armistizio.
L’estate del 1921 vide Lloyd George rivolgere istanze di pace verso De Valera,
presidente del governo di Dublino. Per gli irlandesi questa era già una prima
vittoria, dal momento che avevano costretto il potente governo britannico a
sedersi a negoziare. L’ottimismo li induceva a credere che George avrebbe, alla
fine, riconosciuto la repubblica irlandese. Tra il 14 e il 21 luglio, tre
incontri esplorativi ebbero luogo tra De Valera e Lloyd George, incontri che non
portarono ad alcun risultato effettivo, dal momento che l’intransigenza di ambo
le parti portava l’uno a non voler riconoscere la repubblica e l’altro ad
opporre un deciso rifiuto all’offerta di assoggettare l’Irlanda al Commonwealth
britannico in qualità di Dominion. Il 14 settembre il Dáil approvò la scelta
riguardante la delegazione da inviare a Londra per negoziare la pace. Del gruppo
non faceva parte, per sua scelta, Eamonn De Valera. Michael Collins, l’uomo più
temuto e ricercato, guidava, insieme con Arthur Griffith, la delegazione
irlandese. Fin dal primo momento fu loro chiaro che George non avrebbe
acconsentito all’indipendenza dell’Irlanda, poiché ciò avrebbe significato una
diminuzione dei domini appartenenti all’impero britannico che, in quel momento,
si trovava a fronteggiare richieste analoghe anche da parte d’indipendentisti
indiani ed egiziani.
Diversa era la proposta che avanzava la componente conservatrice (tra cui
figurava Winston Churchill) della delegazione inglese, che mirava ad una
divisione (Partition, nda) dell’Irlanda in due parti distinte. Tale
proposta ricalcava quello che era un desiderio espresso dagli unionisti, che
rappresentavano la maggioranza nel Nord dell’isola. Per i conservatori si
trattava di una questione d’opportunità, poiché essi avevano bisogno dei voti
unionisti per poter continuare a fare parte del governo.
I negoziati andarono avanti per diversi giorni e non poche furono le difficoltà,
in particolar modo per la delegazione irlandese, composta per lo più da uomini
d’azione abituati alle strategie militari e, di conseguenza, poco avvezzi ai
maneggi politici che una situazione così delicata richiedeva. Il 6 dicembre,
dopo che Lloyd George ebbe avvertito la controparte del rischio di una guerra
imminente (egli parlò di tre giorni, nda) se non si fosse arrivati ad una
conclusione, le due delegazioni stipularono un documento conosciuto come il
Trattato Anglo-Irlandese. Ricordò Churchill a proposito di quei momenti:
Michael Collins si alzò come se
volesse sparare a qualcuno, preferibilmente a se stesso. Non ho mai visto, in
tutta la mia vita, tanta passione e sofferenza tenute sotto controllo.
Il documento sanciva lo smembramento
dell’Irlanda, con ventisei contee che andavano a formare lo Stato Libero
d’Irlanda, e le restanti sei contee che da quel momento davano vita ad un nuovo
stato, l’“Irlanda del Nord”, sotto il controllo del governo inglese.
Collins, conscio del significato che la Partition avrebbe assunto nel cuore di
molti irlandesi, subito dopo la fine dei negoziati affermò, realisticamente, che
firmando il trattato egli aveva firmato la sua condanna a morte.
Se per Collins, Griffith e gli altri delegati l’accordo rappresentava il massimo
risultato conseguibile, per De Valera e per tanti altri irlandesi rappresentava
un tradimento inaccettabile, un ennesimo atto di sottomissione alla corona
britannica. Tra coloro che si schierarono apertamente con De Valera vi erano
sopratutto molte donne coinvolte nel movimento repubblicano: Constance
Markievicz, una delle figure storiche del nazionalismo irlandese, la madre di
Patrick e Willie Pearse – quest’ultimo giustiziato due giorni prima del fratello
– la vedova di Tom Clarke e Mary McSwiney. Ad amareggiare maggiormente tutte
queste persone era la parte del trattato riguardante il giuramento che i membri
del parlamento dello Stato Libero avrebbero dovuto prestare di fronte al re
Giorgio V:
Giuro solennemente lealtà e
alleanza alla Costituzione dello Stato Libero irlandese, come stabilito dalla
legge… e sarò fedele a sua maestà re Giorgio V, ai suoi eredi e successori per
legge, in virtù della comune cittadinanza tra Irlanda e Gran Bretagna e della
sua adesione e partecipazione al Commonwealth britannico delle nazioni.
Per Dan Breen, uno dei fedelissimi di
Collins, questa clausola rappresentava
la negazione di tutto ciò contro
cui avevo sempre combattuto… non mi avrebbero costretto a dichiarare lealtà ad
un re straniero.
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