Nord e Sud uniti nella lotta
 

un libro di Vincenzo Guerrazzi


Introduzione


Questo libro, come tutti potranno facilmente capire, è nato dall’interno della fabbrica, dall’interno della condizione di vita dell’operaio.
Nell’ottobre del ’72 le organizzazioni sindacali prepararono una giornata di lotta per l’unità della classe operaia del Nord con quella del Sud. La manifestazione si svolse a Reggio Calabria. Dalla Liguria una nave noleggiata dal sindacato portò a Reggio Calabria mille operai, fra questi il compagno Guerrazzi.
Fra noi operai si era discusso molto di questo viaggio, dei problemi politici e umani che aveva comportato, e sorse così l’esigenza che qualcuno scrivesse qualcosa. Fu quindi, quasi per caso, che l’operaio Guerrazzi il più indicato a scrivere, che fra l’altro è pure di origine calabrese, cominciò a buttar giù quello che poi divenne questo romanzo.
Abbiamo seguito, si può dire riga per riga, la stesura: leggendo, criticando, suggerendo, e con grande soddisfazione di tutti ne è uscito qualcosa di valido. Ci sono dei punti che potranno suscitare un dibattito, ma è bene che si sviluppi una discussione, in modo che quello che pensano gli operai esca fuori così com’è, che ci piaccia o no. Se è vero che la liberazione degli operai sarà un prodotto dell’azione stessa del proletariato, la parola non può spettare che ai diretti interessati: cioè a noi stessi.
Questo libro è nato con questo fine, l’operaio Guerrazzi vi ha raccolto la propria vita e poiché egli è legato ogni giorno a migliaia di altre vite di operai, questo non poteva e non può che riflettersi in maniera preponderante in ciò che fa, in ciò che pensa.

Io sono Giuliano n° 838299, terzo livello reparto Cald, professione tubista.
Uno dei punti più scabrosi, secondo me, saranno le scritte dei gabinetti. Molti diranno che non è vero che gli operai scrivono sui gabinetti, altri diranno che quelle scritte sono inventate, ma quelli che conoscono la fabbrica, l’unica cosa che potranno dire è che non era bello metterle, non si doveva farlo, solo pochi pazzi scrivono sui gabinetti, ecc. Io personalmente ho potuto notare, in quattro anni che lavoro, la persistenza e la verità di tali scritte, tanto che queste affermazioni cadono. Non solo a esprimersi nei gabinetti sono i giovani, ma soprattutto sono gli anziani. Ad esempio, “L’urlo della notte”, il giornale murale più famoso, conta fra i suoi “redattori” più qualificati i cinquantenni ormai pensionabili.
L’opportunità o meno di fare pubblicità a queste cose mi sembra che sia stata ottimamente risolta dal compagno Guerrazzi che ha messo in risalto due aspetti di queste scritte estremamente importanti. Questi due aspetti sono: l’umanità che queste scritte esprimono e il linguaggio tipico che mettono in luce.
Secondo me, pertanto, data la buona intenzione, la critica dovrebbe spuntarsi. Gli operai, si sa, non hanno giornali, non hanno televisione, mancano di voce, tutti parlano per loro, fanno qualcosa a loro nome, dicono di fare i loro interessi, ma in fondo volere o volare cercano di tenerci sotto. Anche gli studenti, del resto, disegnano dei grossi cazzi o fighe nei cessi delle scuole e frasi del tipo: “Abbasso il prof. Calimero che si chiava la profia di matematica”, fra questi studenti ci sono i nostri futuri dirigenti, uomini politici, industriali, scrittori, generali, ecc. Se fossero costretti a subire otto ore di scuola per tutta la vita, riempirebbero i cessi di scritte, frasi e altre belinate. Anche i GRANDI UOMINI hanno scritto sui cessi, poi hanno preso il potere, i soldi, e hanno cessato di scrivere sui cessi. Noi operai scriveremo sui cessi fino a quando non ci saremo rotti le palle e decideremo di farla finita con tutti coloro che ci sfruttano.
Ma il linguaggio operaio, al contrario di quello grossolano e volgare degli studenti, e questo il compagno Guerrazzi è stato il primo a capirlo, mostra come l’operaio sia ricco di una cultura che non gli viene riconosciuta per potergliela rubare più facilmente, mostra come l’operaio sia ricco di sentimenti che gli devono essere sistematicamente negati perché a lui si chiede solo la sua fatica e il suo lavoro. Penso che questo recupero del linguaggio fatto dal compagno Guerrazzi sia molto importante e dia un tono al libro stesso.

Sono Sergio, cartellino n° 742318.
Questo libro di Guerrazzi non so se devo chiamarlo romanzo, non ne capisco, a me sembra qualcosa di diabolico che riesca a sconcertare qualsiasi persona si avvicini al libro come a un normale testo di letteratura, dove si parla di operai.
I personaggi di questo scritto hanno il grande merito di essere se stessi, cioè tremendamente reali e umani.
Gli stessi “attori” dei gabinetti nella loro violenza, paradossale e contraddittoria, di concetti, di linguistica e di “libertà” intimistica, dimostrano un travaglio che non può non essere profondamente ed essenzialmente umano.
Può essere anche un invito a respingere tutte le visioni “mistiche” ufficiali, di una classe operaia pronta, così ci hanno sempre fatto intendere, a sacrificarsi per il bene supremo della produzione e a prendersi sulle spalle tutti i problemi della nazione tricolore, e certamente nemmeno pronti alla rivoluzione proletaria, vera e unica liberazione dalla repressione e dallo sfruttamento.
Il personaggio che più mi colpisce, forse è dovuto alla mia lunga esperienza all’interno del movimento operaio, è Paolo. Di Paolo ce n’è più di uno nelle fabbriche italiane. Militante del Partito comunista e del sindacato, da sempre sfruttato, represso dal padrone, dall’ambiente della fabbrica, dalla società di merda, costruita a piramide con la base che poggia sulla schiena degli operai. Questi Paoli trasportano il peso degli anni oscuri e allo stesso tempo esaltanti delle lotte dure, difensive e di resistenza, del ’48 e poi del periodo scelbiano. Sono gli anni della guerra di Corea, dei generali americani, del piano Marshall, del Patto Atlantico, della guerra fredda USA-URSS, delle illusioni sulla conquista del potere da parte del proletariato, sotto la direzione del partito comunista, magari con l’aiuto di Stalin.
Tutto questo finisce, finisce Stalin e il suo mito, finisce l’illusione della presa del potere, eppure questi Paoli sembrano passare questi cataclismi senza ferite, graniticamente. Ma non è così: le contraddizioni, i punti interrogativi, la sfiducia, vengono respinti con atti di fedeltà assoluta, attraverso l’orgoglio, l’attivismo, ecco, proprio sgobbando, sgobbando, sgobbando, credendo, credendo, credendo. Tutto questo dimostra una grande e complessa umanità.
Altro aspetto che colpisce è il viaggio sulla nave, dove c’è un continuo incontro-scontro, fra i compagni dei gruppi e quelli del partito comunista e del sindacato, anche qui non ci sono compiacimenti vari, ma solo i dialoghi veri di tutti i giorni, con la loro violenza. Questo contrasta con il piano “superiore” della nave, dove non ci sono scontri di un certo tipo, ci sono quasi tutti i sindacalisti e politici con moglie, fidanzate, ecc., si va d’accordo, si mangia e si beve meglio, c’è meno rumore e sporcizia e soprattutto non c’è quel tanfo, quella puzza. Sopra c’è la “borghesia” del sindacato e delle forze politiche.
Sono pagine impegnative e istruttive. Si possono dire tante cose su questi operai che Vincenzo ha descritto, ma non che non sono reali e descritti con il cuore.

Mi chiamo Ignazio, n° 714019, come mi chiama il capopersonale, e lavoro in fabbrica da tre anni.
Quando sentii parlare di Guerrazzi pensai un altro che scrive fesserie, poi con il tempo parlando e conoscendolo mi sono accorto che ero in errore, anzi fu lui stesso che mi parlò della sua necessità di scrivere sull’operaio di prenderlo e di metterlo nel libro.
Di qui è iniziato il suo lavoro nello scrivere questo libro. Libro dove sono descritti in modo esemplare, fabbrica, macchine, operai, e soprattutto gli effetti ed i comportamenti che il lavoro fa sugli operai.
Su questo libro ognuno dei personaggi descritti, oltre a essere veri, possono riconoscere il modo di vita che conducono in fabbrica e fuori.
Io sono di origine siciliana, costretto a emigrare, mi è piaciuto questo libro perché vi sono gli operai come me che parlano.
Il mio amico Vincenzo, che è un caro compagno, è stato bravo nel descrivere il Sud, la mafia, i padroncini locali, agrari e preti che tiranneggiano i proletari e li fanno lavorare per pochi soldi, e il lavoro è duro, più di qui al Nord.
Ci sono delle parti che non ho capito bene, quella lettera che scrivono i filosofi, a Vincenzo gliel’ho detto e lui mi ha spiegato e mi ha detto che la mia opinione gli è stata utile. Per il resto non è stato difficile capire perché sono tutte cose che si dicono fra noi operai tutti i giorni.
Penso che non sia difficile capire. Le cose della nave sono vere, i dirigenti hanno quel linguaggio che ti fa girare la testa quando parlano, con paroloni difficili e poi non sono come noi uomini di fabbrica. Anche quei compagni che hanno la tessera del partito comunista e che si fanno il culo a lavorare perché devono mantenere la famiglia, devono capire che tanti dirigenti sono fuori e sono diversi da noi operai.
Non ci posso ancora credere che venga stampato un libro scritto da un operaio, non sembra quasi neppure un libro tanto le cose che dice sono vere.
In genere i libri, per quello che ne so, parlano di grandi personaggi che fanno cose eroiche, molto intelligenti, ricchi, ma non di noi poveri perché non siamo interessanti. Anche al cinema hanno fatto solo il film La classe operaia va in paradiso, ma era brutto e poi l’aveva fatto un regista non un operaio.
Gli operai sono ignoranti, ma non è vero, e lo dicono sempre, ma a chi credono di darla da bere? Noi operai non ci crediamo più. C’è il mio capo che non sa neanche tenere la penna in mano e i permessi me li devo scrivere io. L’altra volta gli ho detto che avevo una malattia strana chiamata epidemobiologia (questa parola l’avevo sentita il giorno prima al corso che frequento per l’acculturazione con le 150 ore) e che dopo mangiato alla mensa non potevo lavorare, il fesso che dice di essere istruito ci ha creduto. “Quando è così – mi ha detto – faccia pure come crede”. Vorrei parlare un po’ con questi professori, per questo mi sono iscritto alle 150 ore, per metterli in difficoltà. Se ti mostri deciso e non ti lasci impaurire, quelli non ti capiscono più e restano di stucco a guardarti. Anche Vincenzo la pensa così e nel libro noi operai facciamo bella figura, anche se a una mentalità limitata può sembrare il contrario.

Giuseppe n° 46206.
Una lettura molto significativa in quanto qualsiasi lettore si può identificare in un personaggio che parla, agisce, nel modo in cui si sente lui stesso partecipe della storia, con la differenza che forse non ha mai parlato e agito in quel modo, lo ha solo pensato e ora lo legge e può avere un’idea abbastanza chiara di ciò che potrebbe suscitare il suo comportamento sulle persone che gli roteano attorno che sono persone molto reali.
Questo libro può servire a dare una giusta dimensione ai problemi d’oggi sociali e politici, in quanto vengono rappresentati nel loro ambiente, cioè dove nascono, dove sono, e chi cerca di risolverli, tutto questo calcato e sfumato da ciò che li circonda, facendoli apparire giusti o sbagliati attraverso una ponderazione e un esame del lettore stesso.
Chi vorrebbe cagare sulla scrivania del direttore, io certamente e chissà quanti altri. Chi scrive i messaggi al direttore dell’“Urlo della notte” ma io e chissà quanti altri ancora.
Chi è contagiato da queste alienazioni assurde, tutti noi e purtroppo è realtà. Perché Paolo è strumentalizzato, perché è un servo, perché suscita simpatia e compassione, perché è una persona vera, è una realtà, perché non è un frutto dell’immaginazione. Un frutto dell’immaginazione potrebbe essere il monitor del direttore che ci spia, ma purtroppo anche questa è realtà, se invece di monitor lo chiamiamo capo o ruffiano.
Questi personaggi apparentemente assurdi che si muovono parlano e agiscono purtroppo sono realtà e non fanno altro che rispecchiare la mia vita dall’età di 14 anni.
Mi piace questa lettura mi scorre bene la capisco, in fondo Guerrazzi ha trovato il coraggio di scrivere un libro che potrei avere scritto benissimo pure io.

Domenico n° 84414, aiuto operaio, allievo calderaio, secondo livello.
Vi è un sottile muro in cemento che divide il mio posto di lavoro da quello di Guerrazzi, a compensare il passaggio vi è una porta, e passando quella mattina tutto assonnato, salutai con un grugnito il caro compagno e amico Guerrazzi, ma prima di varcare la porta mi fermai perché mi parve che mi volesse dire qualcosa o che l’avesse detta, ma quelle macchine infernali facevano rumore e il mio compagno di lavoro Valenti mi stava parlando martellandomi di calcio. Ritornato sui miei passi mi avvicinai a lui e lui mi disse che ci era riuscito e che il libro si stampava, di colpo mi ripresi da questa rivelazione e provai gioia e commozione al pensiero che i suoi sforzi venivano finalmente ripagati.
Il rumore delle macchine non esisteva più e Valenti 87502, visto che non ascoltavo più le sue cronache sportive se ne andò attaccando discorso con il gruista Torroni 89117.
Un operaio come me che tutte le mattine indossa la tuta è riuscito a far pubblicare i suoi scritti, o che gran cosa, anche gli operai finalmente in questo campo letterale emergono.
Ha scritto di come siamo trattati qui, e come mai i nostri genitori hanno dovuto emigrare e portarci quassù.
O Guerrazzi dillo al mondo, scrivi che si soffre a dire sempre “sì va bene”, quando invece tutto va male.
Sai cara saldatrice che parlerà anche di te che mi fai dannare e mi rovini la respirazione e forse di quella turbina scriverà dove il povero Scipiano lasciò le sue dita. Gli dico “Senti Guerrazzi ma non ti senti importante, non pensi che forse potresti smettere di fare lo schiavo”.
“Ma no, che dici dobbiamo uscire tutti da questa situazione”.
“Questi sì che sono bei discorsi e che sempre con i fatti mi ha dimostrato”.
Quella mattina non lavorai molto perché ero felice come se l’avessi scritto io quel libro, il mio compagno di lavoro e tutti gli operai, come se tutti insieme ci fossimo riuniti e tutti insieme con una grande penna avessimo scritto “Ciccio Franco va’ fa’n culo”.

Daniele n° 45458.
Leggendo il manoscritto del compagno Guerrazzi, operaio come me all’Ansaldo Meccanico Nucleare, mi sembrava di leggere dei testi che io stesso avevo composto, in quanto tutte le cose che vi erano scritte, io le ho vissute, le sto vivendo ora per ora sulla mia pelle.
Premettendo che ho sempre avuto enormi difficoltà a leggere un libro (gli unici due libri che ho letto sono La strage di stato e Vogliamo tutto, dove mi impersonavo in Alfonso) ho potuto notare con quanta scorrevolezza passavano quelle righe sotto i miei occhi.
Leggevo la prima parte del discorso e già sapevo il testo, in quanto avendolo scritto un operaio che vive otto ore (cioè che muore otto ore) al giorno come me in questo troiaio chiamato fabbrica, aveva lo stesso bagaglio di esperienze mie sul fatto che noi operai di lavorare ce ne abbiamo per il cazzo e meglio di qualsiasi ente sappiamo prevenire le malattie non entrando la mattina, che il nostro linguaggio non è fine come la tela smeriglio ma è grezzo come la carta vetrata. Il compagno Guerrazzi ha indotto me e altri compagni a collaborare con lui dandogli dei consigli e questo a noi ha fatto molto piacere. Non per il fatto che una volta uscito il libro possiamo dire:
“Vedi questo Guerrazzi lavora con me, questo libro l’ha fatto grazie ai miei consigli”, ma bensì per dimostrare agli altri compagni che tra le cazzate di un borghese che parla degli operai sapendo soltanto che indossano la tuta blu e la realtà nuda e cruda su dei fogli di un operaio c’è molta, molta differenza. Nord e Sud uniti nella lotta non l’ha scritto Guerrazzi, l’ha scritto la classe operaia, col suo linguaggio schietto e genuino.
 


Torna indietro