Orgoglio Granata
 
un libro di Michele Monteleone


Perché il Toro

 

Potevo essere della juve: al paese dei miei genitori, in Calabria, lo erano tutti, o quasi. Juve o Inter.
Oppure poteva non fregarmene nulla del calcio, come mio padre.
Per lui non c’era differenza tra la domenica ed il lunedì: tempi duri, passati a cucire giacche e pantaloni sotto ad un neon, ad aspettare di consegnare un vestito ad un cliente che forse ti avrebbe pagato subito, o più probabilmente dopo, a volte mai.
Potevo essere juventino. Anche quand’ero bambino io, sembrava esistessero solo loro, come adesso. Mio padre si piegava di lavoro, mia madre stringeva gli occhi e lo aiutava: imbastire, cucire le asole, tagliare tessuti Zegna o Principe di Galles, tutta roba buona: come loro. Ma fatti per altri.
Potevo essere juventino: nella mia classe, alle elementari, lo erano tutti, sembravano un gregge. Ma c’era qualcosa che non tornava, questione di pelle. Vita troppo facile, tutto dovuto, nessuno sforzo, poche discussioni, partecipazione emotiva zero. Se non puoi sognare riscosse nemmeno da bambino, allora quando? Se già da ragazzino stai solo e sempre dalla parte dei più forti, che razza d’uomo diventerai?
Mi piaceva il Toro, perché lo sentivo come me. A scuola ero bravo ed anche onesto, come mi era stato insegnato. Mi piacevano Lido Vieri e Gigi Meroni, li disegnavo dappertutto, uno nell’atto di parare un rigore, l’altro, con il suo mitico sette sulla schiena, mentre segnava gol impossibili. Pregavo di aprire una bustina della Panini e pescare le loro figurine. Solo due o tre tentativi la settimana, ma li ho trovati. C’erano anche gli scudetti argentati, gli unici pezzi autoadesivi, e già allora del loro luccichio coperto di ditate non m’importava nulla. Mia sorella a quattro anni sapeva tutta la formazione del Toro, e se la ricorda ancora.
Riuscii a farmi portare allo stadio. Ad un derby. Andammo nella curva Filadelfia, quella della juve, che era più vicina alla fermata dell’autobus e per mio padre quel quarto d’ora risparmiato era un quarto d’ora di lavoro in più.
Ero nel pieno centro della gradinata, a gridare Toro da solo che neppure io mi sentivo, con una mano paterna sulla spalla a darmi sicurezza in quella bolgia nemica. Ricordo un signore anziano che si avvicinò, si mise al mio fianco parlandomi in quella che allora mi sembrò una lingua straniera e che invece diventò anche la mia: “Ca’ crìa cit, ca’ crìa! Crìa pi fort!”(Grida, bambino, grida! Grida più forte!). Eravamo in due. Troppo bello! La Maratona di fronte mi faceva lo stesso effetto della Madonna a Bernadette.
Un’estate, durante le vacanze in Calabria, un mio cugino mi disse: “Sai Michele, non sei il solo del Toro, c’è anche l’anziano maestro delle Scuole Elementari”. Lo conobbi ed era un grande. Se avesse esercitato la professione a Montegiordano, il paese di Cimminelli, forse ora non saremmo a questo punto.
Non ho più smesso di gridare Toro. Sono passati quarant’anni da allora ed adesso ho meno fiato ma più parole. Alla giornalista che alla nostra Marcia non trovava di meglio che chiedere ai bambini: “Sei del Toro perché ti piace soffrire?” avrei voluto replicare: “ No, perché mi piace lottare. E tu fai queste domande perché hai poca fantasia o perché non hai capito nulla?”. Buona la seconda.
A chi ci dice che siamo in pochi, che spariremo, che ormai non c’è più spazio per noi, che non vinceremo mai nulla, rispondo: lo dicevate anche allora, quand’ero bambino, l’avete sempre detto, scritto e sperato. C’è chi lavora da anni per questo scopo. Siamo in serie B? Va bene pure questo, pazienza, abbiamo già dimostrato di saper rinascere e lo faremo anche stavolta. È l’unica vittoria che a voi manca, il risorgere: la più difficile. E l’avete evitata solo grazie ad una delle vostre prime dimostrazioni di “stile”: e questa è storia. Ma ho visto anche fior di squadre, gente che dava l’anima, scudetti persi per un soffio ed uno vinto alla grande: e prima o poi lo rivedrò. Certo, che lo rivedrò! Insieme a mio figlio, o, se non basterà, insieme ai nipoti. E sarà sicuramente il più bello di tutti.
 


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