Più mi tradisci più ti amo
 
un libro di Alberto Isola


Oggi

 

di Dario Bianchi

È sabato, il 7 giugno 2003. È successo quello che nemmeno il peggior nemico può augurare a chi, come me, ha da sempre il Genoa nel cuore e nelle viscere. Siamo in serie C, matematicamente.

Questa sera, al Ferraris contro il Cosenza, il Genoa schiera la formazione Primavera; il perché è tristemente noto a tutti, non merita ulteriori commenti. Non c’è più niente da fare, i verdetti sono già scritti, siamo retrocessi. Ma ecco, proprio il giorno che per qualsiasi tifoseria al mondo sarebbe stato il più cupo e triste, si trasforma nella più bella e commovente favola d’amore sportivo.

Lo stadio è nuovamente tutto bardato di rossoblù e, insieme a quelli di sempre, ci sono tante famiglie, papà e mamme con i loro bambini vestiti a festa. Ed è nella romantica bolgia rossoblù di quella sera, dall’alto del terrazzino sovrastante la Nord che, scosso da tanta passione, mi trovo a rivivere – come in un film a episodi – i tanti indimenticabili momenti della mia vita di genoano.

Mi rivedo con mio papà e la mia inseparabile bandiera nella mia gradinata, la Nord. E quello che ora mi passa davanti è un fiume di sensazioni, di gioie (poche) e di delusioni (tante), di emozioni comunque sempre vive e forti. Dall’afoso pomeriggio del 1968, con le ventimila radioline a De Ferrari (guarda caso, erano spareggi per non andare in C…. ma quella volta andò bene), a Genoa-Lecco del giugno 1973, col Ferraris straripante di gente e bandiere per il ritorno in serie A. Da lì a pochi mesi ebbi l’onore e la fortuna di far nascere insieme ad alcuni amici quello che per vent’anni ha cambiato la vita di tanti di noi e della gradinata. La Fossa dei Grifoni.

Ora, mentre una Nord stracolma d’orgoglio intona “Ma se ghe pensu…” sventolando fiera i suoi vessilli, rivedo le prime trasferte, le faticose collette per fare il primo striscione della Fossa, la prima maglietta. E poi tante, tante partite. Su tutte, i quindicimila di Bergamo per la serie A nel giugno 1981, con i due treni – quello rosso e quello blu – straripanti di gente; la salvezza con il goal di Faccenda a Napoli, l’anno seguente; e poi Modena, giugno 1988, e il ritorno con una città impazzita di gioia; la cavalcata trionfale verso la seria A dell’anno dopo, e ancora le imprese del quarto posto e l’Europa, fino alla vittoria all’Anfield Road con il Liverpool, marzo 1992, nel tempio del football.

Ma anche tante delusioni, amarezze, batoste e contestazioni, che mai sono riuscite a scalfire il nostro amore per questi colori. E tante giornate speciali (alcune, magari solo per me) le trasferte in camion con il compianto Callaghan, gli scompartimenti dei treni e gli scomodi sedili di pullman di viaggi qualunque, i ponti dei traghetti direzione Sardegna (il 31 gennaio…). O le feste dentro i club, le tante serate in via Armenia, e le giornate intere dedicate alle coreografie che hanno fatto storia in Italia, e non solo. E il ricordo non può non andare anche ai tanti (purtroppo troppi) amici persi per strada.

Guardo ancora giù, verso la Nord che canta, senza sosta. Questa serata, quei bambini festanti bardati di rossoblù, sorridenti e felici tra le braccia dei loro papà, mi ha fatto capire – una volta di più – che la nostra è una storia eterna. So che non è facile spiegarlo, farlo capire, ma chi è genoano dentro, ne sono certo, mi avrà compreso.

Ed attraverso queste poche righe, prefazione di questa pubblicazione a sua volta colma di ricordi rossoblù, spero di essere riuscito a trasmettere – soprattutto ai più giovani – quello che da sempre per noi genoani è il più prezioso tesoro di famiglia, quello che mai ogni nonno al nipotino, come ogni papà al proprio figlio, mancherà di tramandare. Perché la mano forte e sicura di mio papà che mi accompagnava “al campo” è diventata poi la mia, con mia figlia, ed un giorno – ne sono certo – sarà la sua con i suoi bambini. Perché questi siamo noi. Perché questo è il Genoa, questi siamo noi. E torneremo a volare.
 


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