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C.T.
Lawrence Butler, Keith McHenry
Food not bombs
Prefazione
all'edizione italiana
di
Kafka Collective
Succede che,
frequentando certi ambienti, avendo a che fare con certe persone, muovendosi in
certe situazioni, si entri per forza di cose a contatto con realtà, esperienze,
modi di essere e di vivere diversi da quelli convenzionali o, se si preferisce,
da quelli dominanti.
Come Kafka [da intendersi, qui e altrove, come il nome di un gruppo musicale,
n.d.A.] è ormai da qualche annetto che bazzichiamo la scena punk-hardcore:
concerti, festival, piccoli tour in Italia e in Europa ecc. Un movimento
costante all'interno di un mondo per certi versi sommerso e, se si vuole, anche
un po' confuso, ma, allo stesso tempo, intorno allo specifico creativo-musicale,
straordinariamente prolifico di idee, riflessioni, pratiche di vita radicali e
iniziative di lotta che, pur senza un ordinamento ideologico rigidamente
pianificato, vogliono, nel loro piccolo, incidere, modificare la realtà storica,
materiale e sociale contemporanea.
È in questo contesto, e a pensarci bene non poteva essere altrimenti, che siamo
venuti a conoscenza delle prime sparute informazioni relative a Food Not Bombs
[d'ora in poi nell'introduzione FNB, n.d.A.]. Poche cose all'inizio: qualche
riga letta distrattamente su qualche fanzines [rivista di musica e attualità
autoprodotta, tipica delle realtà underground, n.d.A.], qualche ragazzo/a,
specialmente nei concerti all'estero, con attaccata al giubbotto la toppa
raffigurante una mano che stringe la carota, nulla più. Ma, si sa, la curiosità
fa miracoli, specie se aiutata dalla fortuna, o per lo meno ci prova. E così
accadde che un paio d'anni fa, durante l'ultimo tour dei Kafka in Gran Bretagna,
precisamente a Winchester, ci imbattessimo in un banchetto di stampa alternativa
e lì tra i tanti libri, riviste e pubblicazioni di vario genere e formato ci
capitasse tra le mani un volumetto tutto arancione, sul quale campeggiava il già
conosciuto logo della mano con la carota e la scritta nera a caratteri cubitali
di FNB. Ovviamente facemmo l'acquisto, e quel volumetto ci piacque e stimolò a
tal punto da spingerci a contattare gli autori, nonché fondatori, del primo
collettivo FNB, C.T. Butler e Keith McHenry, portandoci, nel giro di un paio
d'anni, a realizzarne la pubblicazione in italiano.
Diciamolo subito: non staremo qui a fare un riassunto della cronistoria di FNB.
La sua genesi, le sue prime azioni, il suo sviluppo, la sua – per certi versi
sorprendente – diffusione negli Stati Uniti prima e in Europa poi trovano il
giusto spazio, le dovute spiegazioni all'interno del libro e non avrebbe quindi
senso anticiparle in questa sede. Basterà dire, in queste noterelle
introduttive, che l'avventura di FNB, oggi più che ventennale, ha inizio sulla
scia dei movimenti antimilitaristi e antinucleari attivi, negli Stati Uniti, nei
primissimi anni ottanta; con una piccola, ma decisiva, peculiarità. Alla
"cultura della morte" e delle bombe, FNB risponde distribuendo ad ogni
manifestazione, ad ogni sit-in di protesta a cui prende parte cibo gratuito. Il
messaggio è chiaro, spietato nella sua banalità: "cibo non bombe, food not bombs".
Il discorso o, per meglio dire, l'azione di FNB ben presto però si allarga,
partendo dalla constatazione empirica e scontata – tanto scontata da farci,
forse, cinicamente l'abitudine – che ci sono esseri umani che vivono patendo la
fame e che questo molto spesso accade non all'altro capo del mondo, ma in molte
strade delle nostre città, dove emarginati, disadattati, vinti dalla vita o,
meglio ancora, vinti nella lotta per la vita cercano di riempirsi una pancia
che, però, rimane sempre vuota. Tutto questo avviene ogni giorno perché chi ha
in mano le leve del potere spende soldi in armi sempre più micidiali, anziché in
cibo che sfami chi ne ha bisogno. È un fatto assurdo, illogico, paradossale
tanto quanto è vero, innegabile, verificabile. Contro questa follia
contemporanea, FNB non propone paroloni ad effetto o discorsi roboanti, ma
agisce concretamente portando cibo nelle strade – perché è nelle strade, nei
parchi, nelle nicchie di cemento poco illuminate, nei ghetti e nei vicoli che si
muovono i poveri, gli esclusi del e dal "mondo perfetto" –, mettendo in piedi
situazioni, eventi dove "improvvisi", ma non improvvisati, banchetti della "mano
con la carota" offrono zuppe, pane, caffè caldo senza chiedere nulla: né soldi,
né tessere.
Il cibo che adopera FNB, strano ma vero, non è stato comprato, ma per la maggior
parte è stato raccolto facendo il giro di supermarket, mercati, forni, che,
quotidianamente, buttano via tonnellate di cibo ancora buono e utilizzabile
quando, ripetiamolo, in molti casi letteralmente dietro l'angolo, c'è chi per
colazione, per pranzo, per cena ha sempre, se va bene, lo stesso tozzo di pane,
solo più secco, più vecchio, più sporco. E qui sta l'altro mostruoso paradosso
del nostro "mondo perfetto". Viviamo in una società che in buona parte,
statistiche mediche alla mano, si avvia all'obesità e che, nello stesso tempo, è
schiava della "nevrosi Weight Watchers" e del fitness ad oltranza ma che,
indifferente ed egoista com'è, assolutamente non si preoccupa dell'"altra metà
del cielo" che ha fa la fame tutti i giorni dell'anno. È una società ipocrita,
sedotta e corrotta dall'iper-consumo, miope e sprecona, che s'ingozza e fagocita
a più non posso per far muovere gli ingranaggi del mercato globale e dei suoi
capitali (il cibo, in questo caso, è davvero paradigma perfetto dello sperpero
di risorse acquifere, energetiche, ambientali del nostro tempo postmoderno,
postindustriale, ma per molti aspetti ancora pre-umano e certamente
ipo-lungimirante). L'azione di FNB mira a contrapporsi, in un modo semplice,
diretto, minimale, ma concreto, alle follie di un mondo che si vuole presentare
e rappresentare – col contributo pseudo-intellettuale di apologisti da strapazzo
– come "il miglior mondo possibile". FNB raccoglie, prepara e distribuisce cibo
a tutti gli esseri umani che riesce a raggiungere, esseri umani in difficoltà e
bisognosi di aiuto anche perché, semplicemente e drammaticamente, affamati.
Questo è quello che fa FNB, quello che fanno gli oltre 170 gruppi FNB sparsi nel
mondo. Gruppi, collettivi, che si muovono come cellule autonome del tutto
indipendenti e degerarchizzate tra di loro, andando al più a formare una rete
organizzativa informale (scambio d'informazioni, esperienze, strategie, consigli
pratici ecc.). Ciò vuol dire, sostanzialmente, che chiunque può formare un
gruppo FNB senza aver bisogno di iscriversi ad alcunché, senza aver bisogno di
tessere di partito o di certificati d'appartenenza. Basta "solo" averne voglia
e, una volta messo in piedi un gruppo, non c'è nessun superiore a cui si debba
rendere conto di quello che si fa o non si fa, se non alla propria coscienza. Le
regole, l'organizzazione interna, le pratiche d'azione variano a seconda delle
persone che formano ogni specifico collettivo, del contesto sociale, della
città, del quartiere in cui ci si trova ad operare. Parallelamente, esistono
alcune linee guida che specificano meglio l'impianto ideologico di FNB:
- tentare di coinvolgere attivamente gli individui che ricevono il cibo,
invitandoli, ad esempio, a recuperarlo a loro volta. In questo modo si vuole
superare quella dimensione unidirezionale passivo-caritatevole che alla lunga
può risultare avvilente per chi la "subisce", specie se accompagnata da lunghe e
umilianti trafile burocratiche e da segreganti definizioni ed etichettature
sociali; modalità, purtroppo, spesso caratterizzanti i servizi d'assistenza
pubblica istituzionale;
- praticare sempre interventi nonviolenti. Così facendo, tra l'altro, si evita
di appiattire il concetto di azione diretta nell'angusta riserva dell'azione
violenta o vandalica, mettendo contemporaneamente in serio imbarazzo, agli occhi
dell'opinione pubblica, le forze dell'ordine che si trovano, nelle loro azioni
repressive, a brandire manganelli e scudi contro chi offre ciotole di zuppa e
caffè caldo;
- essendo contro ogni forma di violenza, non utilizzare nessun prodotto animale
perché frutto anch'esso della violenza brutale dei forti sui deboli, cioè degli
uomini sugli animali. Si supera in questo modo un'ottusa ottica puramente
antropocentrica a favore di una nuova etica laica fondata sul rispetto di tutti
gli esseri viventi, supportando allo stesso tempo la diffusione di una cultura
gastronomica vegetariana, che, non dimentichiamolo, se applicata in larga scala
permetterebbe di risolvere buona parte del terribile problema della fame del
mondo – se tutti i terreni coltivabili della terra venissero esclusivamente
usati per produrre non foraggi, ma frutta, verdura e cereali (negli USA., ad
esempio, ben il 90% dei cereali, tra quelli prodotti e quelli importati, viene
impiegato per nutrire animali destinati al macello), si potrebbe sfamare una
popolazione 5 volte superiore a quella attuale;
- vincere, nell'atto stesso di formare un gruppo FNB, l'indifferenza verso il
prossimo, l'individualismo assolutizzato, la solitudine insita nella società
dell'uomo-consumatore, e favorire al contempo una pratica aggregativa e
collaborativa che aspira, facendo "qualcosa insieme", ad una collettività più
umana e altruista. In definitiva, chi sceglie, chi vive FNB cerca, citando le
parole di C.T. Butler e Keith McHenry, di essere "le stesse persone che stiamo
cercando di servire".
Furono queste idee, questo modo di intendere l'impegno politico come qualcosa di
indissolubilmente connesso ad una pratica sociale attiva, concreta e solidale a
farci decidere, due anni fa, di fare qualcosa per supportare FNB. Non essendo
allora in grado di formare un collettivo nella nostra città, decidemmo di
"sfruttare" il fatto di essere, come Kafka, un gruppo di persone da tempo
impegnato nella scena punk-hardcore. Grazie ai nostri contatti e, soprattutto,
alla disponibilità di altre ventidue band del nostro "giro" – italiane, europee
e statunitensi – riuscimmo a realizzare un cd compilation benefit, "Still a
plastic culture in the 21th century", i cui ricavati sarebbero stati destinati,
con tutta probabilità, ad un collettivo FNB in Europa, non esistendo nessun
gruppo FNB italiano. Nello stesso tempo, in diversi concerti, portammo cibo che
vendemmo a prezzo "politico", per raggranellare altri soldi da aggiungere a
quelli ottenuti con la vendita del cd benefit. Ma proprio perché, in Italia, FNB
è praticamente sconosciuto, furono gli stessi C.T. Butler e Keith McHenry a
suggerirci di investire il denaro ricavato nella pubblicazione italiana del
libro di FNB, favorendone così, si spera, la sua diffusione anche nella nostra
penisola.
Il libro, infatti, fornisce tutte le indicazioni necessarie per creare un gruppo
FNB. Nelle sue pagine, accanto alle parti dedicate all'ideologia, alla storia,
alle battaglie nonviolente del movimento della "mano con la carota", si danno
un'infinità di consigli e supporti pratici un po' di tutti i generi: come e con
quali criteri raggruppare i componenti di un possibile gruppo; come strutturare
e gestire la divisione delle operazioni da compiere (raccolta, preparazione,
distribuzione) per la riuscita delle azioni; come rapportarsi agli enti di
assistenza già attivi sul proprio territorio; come gestire le ingerenze delle
forze dell'ordine; di quali mezzi e oggetti non si può fare a meno (dal furgone
al tipo di pentole più idoneo); come far girare la voce che si ha intenzione di
distribuire cibo; come e dove organizzare materialmente il banchetto della
distribuzione (il numero e la gestione delle pentole, la scelta dei piatti di
plastica o no, l'uso dei thermos, la richiesta di eventuali offerte ecc.). C'è
persino un piccolo ricettario per far rendere al massimo gli alimenti e i
prodotti recuperati nel corso della fase di raccolta. Tutto è spiegato con una
dovizia di particolari davvero scrupolosa, la dovizia di chi ha sperimentato sul
campo cosa sia meglio fare e cosa si debba evitare in ogni fase, in ogni
momento, in ogni circostanza, in ogni imprevisto che si può presentare quando si
agisce, quando si effettua un'azione diretta, non-violenta, che incide
nettamente sulla vita reale.
È quindi un libro fortemente pratico, che considera il fare, l'evento, la
situazione concreta come l'unica forma possibile di realizzazione politica. È un
libro che non sa di accademia e neppure di teoresi rivoluzionaria chiacchierata
in un comodo café o in una calda biblioteca; è un libro che, in ogni sua pagina,
sa di zuppa, di caffè caldo, di vento preso in faccia in un banchetto d'inverno,
d'impegno per ridurre la sofferenza letta negli occhi di chi ha fame; è un libro
che sa d'amore e di rivoluzione messa in pratica e non solo a parole. Non è
certo un libro da scaffale di libreria, ma è un libro d'azione di strada, un
libro di prassi rivoluzionaria che vuole aiutare chi vuole fare e non solo
riempirsi la testa e la bocca di parole e slogan più o meno ribelli e bellicosi.
In questo senso, anche quando parla di quanto sale occorra in pentola a seconda
che si cucini per dieci, cinquanta, cento persone è, prima di tutto, un libro
politico, un libro di pratica e militanza politica. "Quelli che parlano di
rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi esplicitamente alla vita
quotidiana, senza comprendere ciò che c'è di sovversivo nell'amore e di positivo
nel rifiuto delle costrizioni, costoro si riempono la bocca di un cadavere".
(Raoul Vaneigem, filosofo intellettuale situazionista)
Kafka Collective
Genova, febbraio 2002
Prefazione alla
seconda edizione americana
di C.T. Butler,
Keith McHenry
Nel 1992, quando
questo libro fu pubblicato la prima volta, non potevamo certo immaginare quale
ampiezza avrebbe raggiunto Food Not Bombs alla fine del secolo. Pensavamo di
poter avere un ruolo nel cambiamento della società, ma non avremmo mai potuto
prevedere che volontari in più di 175 comunità nel mondo avrebbero lavorato
sotto il nome Food Not Bombs. È stata una crescita massiccia, che ha avuto luogo
proprio nel periodo in cui Food Not Bombs ha dovuto affrontare forti interventi
della polizia, inclusi più di 700 arresti e dozzine di pestaggi solo a San
Francisco. Questa storia straordinaria è stata sostanzialmente ignorata dai
media nazionali; ma Food Not Bombs non dipende da loro. Il suo messaggio ha
viaggiato in tutto il mondo attraverso parole, volantini, video, fanzines,
Internet e la musica. La gioia di condividere cibo gratuito con gli affamati ha
spinto i volontari a superare gli ostacoli della povertà e del terrorismo
burocratico. Il sogno di un mondo in pace e con cibo in abbondanza sembra
possibile nel momento in cui si pratica Food Not Bombs: la sua magia continua ad
essere un'ispirazione, ed il farsi coinvolgere in questa esperienza ha cambiato
la vita di molte persone.
La maggior parte dei movimenti radicali che nascono negli USA sono schiacciati o
cooptati dal governo, ma questo non è successo a Food Not Bombs. La
decentralizzazione, una struttura non gerarchica e la democrazia diretta sono un
aiuto efficace per sopravvivere ed evitare la cooptazione. I fondatori di Food
Not Bombs pensavano che ci dovesse essere un modo per porre fine alle guerre e
alla povertà, e che il teatro e il reciproco aiuto sulle strade costituissero il
modo più efficace per utilizzare il proprio tempo e le proprie risorse. In
breve, stiamo cercando un modo per raggiungere un pubblico che non ha
familiarità con i modi alternativi di organizzare la società e di rapportarsi
agli altri esseri umani. Crediamo che ogni scodella di zuppa che un volontario
di Food Not Bombs dà ad un affamato sia un passo in questa direzione.
Dopo 20 anni Food Not Bombs ha raggiunto una vita propria. Nei primi tempi noi
(C.T. e Keith) proponevamo raduni ed azioni, ma il ruolo di leader in un
movimento non gerarchico e decentralizzato ci metteva a disagio. Man mano che
Food Not Bombs è cresciuto, ci siamo tirati indietro per lasciare che nuove
persone prendessero il nostro posto. Oggi ci sono persone che organizzano
gruppi, raduni ed eventi, che non erano ancora nate quando cominciammo Food Not
Bombs. Chissà dove arriverà il movimento Food Not Bombs? È possibile che, da
subcultura colorata, si trasformi in una parte delle fondamenta di una nuova
società di pace, giustizia e benessere? Lo dirà solo il tempo.
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