|
Supercarcere Asinara.
Viaggio nell'isola dei dimenticati
di Gianpaolo Cassitta
e Lorenzo Spanu
Prefazione
Io sono stato qui e nessuno racconterà la
mia storia.
Scritta ritrovata nel campo di concentramento di Bergen Belsen e citata.
LUIS SEPÚLVEDA, Le rose di Atacama
Quando, nel febbraio del 1985, sbarcai per
la prima volta sull’isola ero abbastanza intimorito e frastornato. Arrivai al
bar, allora meta obbligata per tutti quelli che sbarcavano all’Asinara e, dentro
il bar, che mi ricordava quei locali di paese, – con il frastuono delle voci e
l’odore acre del fumo, con molte cicche abbandonate sul pavimento – dentro il
bar c’era un rumore più forte di tutti, che sovrastava gli altri. Quel rumore
era il Brigadiere Lorenzo Spanu.
Un uomo d’altri tempi che ho imparato a conoscere nel corso degli anni. Un
ottimista, uno che riesce in ogni modo a sorridere anche nelle situazioni più
difficili, che urla ma che sa urlare e sa, tutto sommato, di essere un falso
cattivo e ormai questo lo hanno capito tutti.
Il Brigadiere, oggi Ispettore Spanu, ha sempre avuto un contatto diretto,
schietto con tutti i detenuti, un modo di rapportarsi leale che ho sempre
apprezzato e che continuo ad apprezzare.
Di molti detenuti ricorda i nomi, dove lavoravano, cosa facevano, chi erano i
parenti, quanti colloqui effettuavano.
Sentirlo raccontare dell’Asinara è un piacere, perché lui l’Asinara la vive
ancora oggi e la vive dentro. Penso sia stato un segno del destino per lui
finire sull’isola e, forse, dentro questo destino ci sono finito anch’io.
L’ispettore Spanu è un grande chiacchierone. Lo è stato soprattutto all’Asinara,
nei giorni di levante e di maestrale, quando si era costretti ad inventare un
modo per passare il tempo e si trascorrevano le ore davanti al caminetto
ascoltando, con dolce divertimento, i suoi racconti; un po’ come da bambino
amavo ascoltare mia nonna e i suoi “contos de foghile”.
Da queste chiacchierate e da alcuni suoi appunti è nato questo libro che è un
po’ un gioco di memoria.
Le storie raccontate dall’ispettore Spanu sono marginali e probabilmente non
interessano alla Storia – quella con la “S” maiuscola, per intenderci – eppure
sono pillole di esistenza e ascoltandole ho capito che mi trovavo davanti a
qualcosa di indefinito e di indefinibile e solo allora mi sono ricordato della
visita al campo di concentramento di Bergen Belsen che Luis Sepúlveda racconta
nel suo libro Le rose di Atacama. Solo allora mi sono ricordato che Sepúlveda
partì da una frase, una frase incisa in un angolo di quel campo di
concentramento. Quella frase era, secondo lo scrittore, la più drammatica delle
proteste: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”. Da quella
frase, Sepúlveda decise di scrivere storie, piccole storie recuperate
dall’oblio.
Da quella frase che oltre ad una drammatica protesta è anche un invito, una
sfida a raccontare storie minime, storie di gente dimenticata e da dimenticare,
da quella frase è nata l’esigenza di raccontare queste storie nate dentro
un’isola speciale come l’Asinara.
Ho scritto le storie sforzandomi di viverle, con gli stessi colori e gli stessi
umori con cui Lorenzo Spanu me le ha raccontate.
Alcune sono storie allegre, uniche. Probabilmente impossibili in qualsiasi altro
carcere d’Italia. Altre sono storie tristi, molto tristi legate a periodi
particolari che l’isola ha vissuto, l’avvento delle Brigate Rosse soprattutto.
In tutte le storie vi sono sempre dei protagonisti, che non sono semplici
comparse, ma vivono in simbiosi con il loro ruolo e la loro isola. I racconti
sono infine accompagnati da una voce, una sorta di “io narrante” che impersona,
appunto, l’Ispettore Spanu.
Mi sono concesso una sola licenza, legata alla storia di Salenti e contenuta nel
mio libro Asinara, il rumore del silenzio. Era piaciuta un po’ a tutti la favola
del detenuto e dell’asinello Bobò. Questa volta la storia è raccontata per
intero, sin dalle sue origini, ma ritengo, nonostante sia la storia più citata
nelle recensioni e considerata una favola moderna, che questa non è una bella
storia, semmai la cronaca di una sconfitta per chi crede in questo mestiere.
Un’altra piccola licenza è legata alla partita di calcio dei detenuti con la
rappresentativa della Torres nel 1986. Quella partita l’ho vissuta intensamente
anch’io come selezionatore della squadra dei detenuti e il gol, l’unico gol
segnato dal detenuto, è stato veramente un attimo, ma anche per la mia anima.
Ho scritto le storie con un grande impegno: raccontare piccole cose di uomini
forse dimenticati, derisi, inascoltati che non hanno le stigmate di eroi. Di
uomini soli, dannatamente soli ma che, come tutti gli uomini, avevano qualcosa
dentro di indelebile che valeva la pena di raccontare e ricordare.
Spero di esserci riuscito.
Gianpaolo Cassitta
I miei trentatré anni vissuti intensamente all’Asinara potranno sembrare tanti o
troppi. Hanno avuto comunque un peso specifico indelebile per la mia esistenza.
Avevo appena vent’anni quando arrivai spaesato dentro un mondo che ritenevo non
potesse neppure esistere. Ci arrivai con la determinazione di fuggire, di andar
via da un luogo così vasto, così solitario, così gonfio di silenzio.
Ci rimasi invece tanti anni e me li porto tutti dentro perché sono stati anni
intensi, difficili, duri ma sono anche stati anni gonfi di amicizie, di risate,
di emozioni e di dolcezza.
Dentro l’isola ho trascorso gran parte della mia vita e ho conosciuto tantissimi
direttori, agenti, agronomi, educatori, detenuti, Autorità che venivano
soprattutto d’estate a trascorrere le vacanze e per tutti avrei un ricordo nella
mia memoria.
Questo lavoro dunque è solo una piccola parte di vicende che sono realmente
accadute all’Asinara. Qualcuna l’ho vissuta da protagonista, qualcun’altra da
spettatore ma fanno parte di un pezzo di storia che, forse, andava raccontata.
Ho trovato un compagno d’avventura che ha saputo raccogliere dentro i cassetti
dei miei ricordi e ha provato a descriverli e, devo ammettere che il lavoro
rispecchia il mio stato d’animo, probabilmente perché Giampaolo Cassitta, oltre
a saper usare le parole e i colori che le parole hanno, ha vissuto come me un
pezzo di Asinara. In un ruolo diverso ma credo ugualmente intenso.
Ci siamo conosciuti nel 1985 e ancora oggi lavoriamo insieme. Sono convinto che
quando parliamo dell’Asinara oltre a ritornare sull’isola con i ricordi
riusciamo ancora a vederla, a fotografarla, a sentire i suoi odori, un po’ come
i racconti di questo libro.
Volevo inoltre ricordare alcuni compagni di avventura. Molti di essi ci hanno
lasciato, altri sono in pensione o continuano il loro lavoro nei penitenziari
italiani, con ruoli diversi. Sicuramente il Maresciallo Murru, il primo
Maresciallo che conobbi quando arrivai sull’isola; il Maresciallo Vitalone e il
Maresciallo D’Ascenzo, che sono stati i miei maestri e mi hanno insegnato a
sopportare le difficoltà dell’isola. Vorrei ricordare il Dott. Vindice Silvetti,
medico per tantissimi anni e punto di riferimento utilissimo per noi e per i
detenuti, i cappellani Don Pistuddi e Don Giorgio Curreli; il Dott. Napodano e
il Dott. Caccamo, che sono stati i miei primi direttori. Il Dott. Francesco
Massidda, profondo conoscitore dell’isola, Direttore negli anni ’80, che mi ha
insegnato ad amare il silenzio di questa terra. Il Dott. Francesco Gigante e il
Dott. Gianfranco Pala, ultimi direttori prima della chiusura definitiva
dell’Asinara. Un ultimo saluto alla famiglia del Maresciallo Peppino Campus che
mi ha accolto nei primi momenti in cui sbarcavo sull’isola e non riuscivo a
capire ancora dove fossi arrivato.
Lorenzo Spanu
Torna indietro
|
|