Gianfranco Mascia
Vademecum della bugia
Da Stalin a Berlusconi


 

prefazione

 

di Nando Dalla Chiesa

Prima di tutto l'idea. Un'idea eccellente. Leggere, cioè, la vicenda pubblica nella quale siamo immersi alla luce di una categoria eterna della politica: la bugia. La bugia nobile, repertorio dell'ars retorica che serviva a volte anche a difendere nei processi di piazza governanti e filosofi e condottieri da accuse a loro volte bugiarde o pretestuose; e dunque a salvare uomini virtuosi dall'ostracismo, dall'esilio o dalla morte. 

Oppure la bugia astuta mandata in scena per rendere più grandi e gloriosi i destini della polis e della città, la bugia di Machiavelli: il mezzo posto al servizio del fine perseguito dal signore che, fornito della saggezza dei grandi, alternava i panni del "lione" con i panni della "volpe". Bugia come requisito del potere. Bugia che trae la sua legittimazione dal traguardo al quale conduce. Ma per questo pericolosa. Perché ogni regnante considera il proprio fine buono e capace di riverberare legittimità storica e morale su ogni suo atto e su ogni sua parola. 

Bugia ambivalente, dunque. Che neanche le grandi utopie rivoluzionarie sono riuscite a estromettere dai codici politici. E che, amara in sé, può diventare ignobile, orrida, in relazione al regime politico che se ne serve. Quando essa prepara e legittima le dittature o addirittura gli stermini. Quando diventa ideologia, rappresentazione del mondo, rovesciamento dei concetti e dei valori, peste del linguaggio.

Ebbene, Gianfranco Mascia ritiene che oggi l'Italia si trovi esattamente davanti a uno di quei tornanti della storia in cui il rischio della assolutizzazione della bugia, della sua trasformazione in universo culturale, in dimensione e metodo quotidiani, si fa maledettamente concreto. Ci sono molte ragioni che militano a favore di questa tesi. Naturalmente coloro che si sono sgolati in questi ultimi mesi per sostenere che il Paese non sia in alcun modo "a rischio regime" riterranno a loro volta che anche questa tesi sia nulla più che una bugia. Ma chi ritiene che i passaggi ai quali abbiamo assistito -in una sequenza rapidissima e persino inaspettata dagli stessi esponenti della "cultura del sospetto"- siano passaggi rivelatori di un cammino che ha un suo intenzionale punto di arrivo (il regime delle libertà limitate e della fine di ogni divisione dei poteri), ha più di uno stimolo a rivedere il percorso politico di Silvio Berlusconi alla luce della categoria che Mascia suggerisce: la bugia, appunto.

La bugia (si vedano le pagine della seconda parte) che dà il via all'avventura del nuovo leader sulle macerie di Tangentopoli, tra arresti a Milano e stragi di mafia a Palermo e altrove, tra partiti che si disfano e leader amici che a lui si rivolgono e lo consigliano perché salvi il salvabile: dei vecchi assetti di potere e dei suoi interessi personali.

"Non entrerò mai in politica". Questa asserzione ripetuta ossessivamente fa in effetti da apripista a una delle più inedite e rapide ascese politiche che si conoscano, naturalmente associata ad accuse risentite verso chi preveda o sospetti il contrario. E da allora la bugia, fin lì puro strumento tattico, cresce nel pubblico discorso, fino a innervarlo, avvolgerlo e colorarlo. La bugia del Paese governato dai comunisti, gradita, graditissima da chi vuole riverniciarsi come nuovo, dai molti desiderosi di mondarsi delle proprie colpe, diventa il primo principio della rilettura della storia patria. Sarà seguito da altri, fino alla più recente teorizzazione della "guerra civile" che sarebbe stata in corso in Italia proprio in quegli anni, combattuta tra magistrati politicizzati e galantuomini serenamente dediti agli affari pubblici o privati. La bugia che per essere dimensione totale ha bisogno che non solo il passato venga riscritto ma che anche il presente venga mutato sotto gli occhi di chi lo vede. Da qui l'assalto ai giornali ancora liberi, al "Corriere", alla tivù di Stato, la censura del giornalismo Rai nel periodo preelettorale, le liste di proscrizione buone a epurare (anche l'esempio serve...) i cattivi maestri della stampa "ostile". Da qui, perfino, la sostituzione degli istituti di sondaggio presso la tivù di Stato con gli istituti tradizionalmente legati al Capo. Perché anche la rappresentazione degli orientamenti popolari non può che confermare il consenso, ratificare la giustezza delle scelte di chi governa. Tutto deve tenersi, intorno alla bugia che diventa verità, principio unificatore della realtà virtuale.

Bisogna dire che Gianfranco Mascia, con la sua ricostruzione di cronaca, ci offre alcuni ottimi esempi della volatilità delle parole, e a ragione; perché è proprio vero che meno le parole pesano e più può pesare la bugia come dimensione esistenziale di un popolo. Ma altri, tanti altri esempi potrebbe offrirci uno studioso intenzionato a lavorare su questo fecondissimo campo di ricerca. Non siamo dunque che all'inizio di un impegno di scavo, di ricostruzione e di analisi, che si annuncia lungo e complesso già oggi. La scienza della politica e del linguaggio, magari suo malgrado, dovrà essere grata a Silvio Berlusconi (e una volta di più all'Italia) per averle offerto questo formidabile caso di studio.

Due parole, infine, sull' autore. La sua identità civile, diciamolo, rende tutto quel che abbiamo detto più denso e coinvolgente. Perché Gianfranco Mascia, fondatore del Bo.Bi. (Boicottiamo il Biscione) già dai primi tempi dell'esordio berlusconiano, ha pagato direttamente -subendo l'aggressione e un'infame violenza fisica da parte di squadristi o criminali anonimi- il prezzo della sua posizione. La punizione inflitta a lui pretendeva di ammaestrare tutti gli altri, soprattutto i cittadini sconosciuti, i cittadini "senza potere" posti da Vaclav Havel alla radice del dissenso nei regimi totalitari. Perfino qualche professionista e intellettuale che oggi propugna il boicottaggio ha ancora paura, in forza di quell'episodio, di firmare appelli contro le tivù berlusconiane. Nessuna esagerazione; lo ha raccontato recentemente uno dei maggiori settimanali italiani. Mascia però non è stato ammaestrato. Oggi lo ritroviamo, per nulla fiaccato da quell'esperienza, alla testa del movimento per la più moderna forma oggi possibile di autodifesa civile, come egli stesso spiega nella parte finale di questo volumetto: il rifiuto organizzato del dominio attraverso tivù, il boicottaggio delle merci pubblicizzate sulle reti o sui programmi della tivù serva o spazzatura. Chi pensa che i nuovi movimenti di opposizione civile siano destinati a durare una stagione o a esaurirsi nei vituperati girotondi si sbaglia, e di grosso. Per fortuna lo capirà un po' tardi. 

Nando Dalla Chiesa

 


 

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