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Qualcuno
vuol darcela a bere
Acqua minerale: uno scandalo sommerso
un libro di Giuseppe Altamore
Le pagine dedicate allo scandalo
dal quotidiano "Liberazione"
mercoledì 27 agosto 2003
Retroscena del Business
Dietro il business dell’acqua minerale c’è una storia che non molti
conoscono. Il 2
luglio 1999 Pasquale Merlino, perito chimico industriale di Rionero in Vulture
in
provincia di Potenza, consegna alla Commissione europea la relazione finale
delle sue
indagini. Merlino infatti scopre che in base alla legislazione italiana nelle
acque minerali si
possono trovare (ed in effetti si trovano) sostanze nocive in misura superiore
rispetto a
quella del rubinetto, senza l’obbligo di dichiararlo nell’etichetta. Ecco che
parte l’inchiesta
della Commissione europea che porta ad una direttiva nella quale si obbliga di
indicare tutti i componenti dell’acqua. Fra il silenzio degli organi di informazione ed il disinteresse
del mondo politico (le varie interpellanze parlamentari vengono insabbiate,
mentre il
governo D’Alema recepisce solo in parte la direttiva europea, varando una norma
nella
quale continua a mancare l’obbligo di inserire nelle etichette la composizione
analitica
dell’acqua) il 7 novembre 2000 l’Adusbef, per mano del presidente Lannutti,
Antonio di
Pietro e lo stesso Merlino, presenta un esposto presso 52 procure della
Repubblica che
sottolinea i danni che derivano dal permettere, grazie ai 2 diversi metri di
giudizio, che «la
minerale possa contenere veleni in concentrazione superiore a quanto ammesso per
l’acqua potabile». Il risultato è che il 14 marzo 2001 l’Istituto superiore di
sanità, sollecitato dal Ministero, consiglia di abbassare i limiti di alcune
sostanze tossiche. Il
nuovo governo Amato, con un decreto del ministero della Sanità, abbassa solo
parzialmente i limiti che rimangono di gran lunga superiori anche a quelli
fissati dal Codex
Alimenatarius, organismo internazionale nato dalla collaborazione fra la Fao e
l’Oms. Nel
frattempo però si muove la procura di Bari che dopo 2 anni di indagini e 2 lotti
di bottiglie
di una nota fonte sequestrati, con una nota del 21 ottobre 2002 dichiara di aver
trovato
valori fuori norma per quanto riguarda il vanadio, l’arsenico ed i nitriti.
Pochi mesi dopo, ad inizio 2003, una Asl piemontese segnala alla procura di
Torino, la
presenza di cloroformio nell’acqua minerale contenuta in una bottiglia di
Fiuggi. Il procuratore di Torino Raffaele Guariniello fa scattare l’indagini dei Nas e a questa
bottiglia incriminata se ne aggiungerà un’altra cinquantina. Con un comunicato
stampa del 22 febbraio viene annunciato l’allargamento delle indagini su tutto
il
territorio nazionale. Scatta anche l’inchiesta del ministero che scopre 86 acque
irregolari su 98, e a fine agosto, su 149 marche scrutinate dai Nas, 112
risultano
contaminate da veleni e pesticidi vari. Il ministero della Sanità ha lanciato un
ultimatum alle marche sotto indagine (sconosciute ai consumatori) per far
pervenire una nuova e completa certificazione. L’ultimatum scadeva ieri, ma
nessuno ha fatto trapelare niente. (Andrea Milluzzi)
Italiano il record dei consumi.
Nonostante
la nocività di quello che ci danno da bere
Minerale all'arsenico e altri veleni
Acqua e plastica, un binomio insostenibile. Difficile sapere
se ciò che beviamo è come alla sorgente o se c’è stata
una “migrazione tossica” dal contenitore al contenuto
Quest’estate le temperature
inchiodate ai
quaranta gradi hanno
fatto impennare i
consumi delle acque minerali.
La piccola bottiglietta di
plastica da cinquanta centilitri
per molti, se non tutti, è stata
l’inseparabile compagna di
giornate roventi: refrigerio e
salvezza dall’afa.
Un business quello delle
acque minerali che, soprattutto
in Italia, è in costante
crescita. E per quest’anno, fa
sapere l’Adiconsum, è previsto
un balzo della produzione
di oltre il 10 per cento ed aggiungendo
a questo anche
l’aumento dei prezzi, i profitti
delle “aziende della minerale”
dovrebbero lievitare anche
del 20 per cento. Un mercato
da 7 miliardi di litri. È questa
la quantità di acqua minerale
che 160 imprese italiane producono
ogni anno, attingendo
da 700 sorgenti e imbottigliandole
sotto 250 nomi diversi.
Primi in Europa e terzi
nel mondo, in quanto ci precedono
solo Paesi molto più
estesi come Canada ed Usa. Il
consumo di acqua minerale
pro capite è di 173 litri annui
(primato mondiale). L’85%
delle famiglie la preferisce all’acqua
di rubinetto con una
spesa media di 260 euro. Soldi
che vanno a finire quasi interamente
nelle tasche dei sei
gruppi leader del settore, nell’ordine:
Nestlé, S. Benedetto,
Danone, Co. Ge. Di, Spumador
e Norda.
Ma torniamo all’estate rovente
e alle bottigliette di plastica
e al loro contenuto. Se la
scorsa settimana Legambiente
ha diffuso l’allarmante rapporto
sullo stato del Mediterraneo
che quest’anno ha raggiunto
temperature medie di
27 gradi, denunciando l’ebollizione
del mare e le relative
conseguenze legate a flora e
fauna, cosa può essere accaduto
allora all’interno delle
bottigliette di plastica esposte
a quaranta gradi?
Domanda lecita, visto che
trattasi di contenitori sensibili
alla luce e al calore. Del contenuto,
abbiamo detto non c’è
molto da fidarsi, o almeno
non è così salutare come ce lo
presentano visto le inchieste
in corso, ma anche il contenitore
dell’acqua minerale lascia
spazio a gravi dubbi per la
salute dei consumatori. Davanti
ad una bottiglietta di
plastica l’altro fattore di rischio
su cui riflettere riguarda
la materia prima usata per
“custodire” il prezioso elemento:
Pvc prima e il Pet oggi,
trasportano infatti la grande
maggioranza d’acqua nelle
nostre case, malgrado il costo
della singola bottiglia sia fino
a cinque volte superiore rispetto
a quella in vetro. Questione
di vuoti a rendere, di
peso e fragilità nei trasporti. In
compenso, se il cloruro di polivinile,
accusato di essere teratogeno
- che causa cioè anomalie
fetali - e cancerogeno, è
stato quasi del tutto escluso
dall’imbottigliamento, il suo
sostituto polietilene che è a rischio
luce e calore è quello che
quotidianamente svuotiamo.
E siccome il trasporto bottiglie
avviene su autocarri quasi
mai termicamente protetti,
difficile sapere se nell’acqua
che beviamo tutto è come alla
sorgente o se c’è stata una
“migrazione tossica” dal contenitore
al contenuto, come il
rilascio di aldeidi, soprattutto
in quest’estate a quaranta
gradi: unica prevenzione possibile,
scegliere bottiglie uscite
di fabbrica da poco tempo
(dato che dovrebbe essere obbligatorio
in etichetta). Diciamo
che, con questi presupposti
è davvero difficile credere
alle pubblicità delle acque minerali,
dove l’associazione
“bere uguale salute”. (Sabrina Deligia)
Bottiglie a perdere
Pvc e Pet, plastiche nocive alla salute
Si tratta di materiali, ancorché insostituibili in moltissimi settori
industriali,
sotto accusa a causa della possibile contaminazione di cibi e bevande.
Eppure, il loro utilizzo dal 1985 ad oggi è cresciuto dal 6,5% al 55%
Dal 1985 ad oggi la
quota dei contenitori
in vetro è scesa dal
92% al 42%, mentre quella
in plastica è crescuta dal
6,5% al 55%. Più
plastica significa
meno costi di
trasporto.
Lo stesso tir,
infatti, che trasporta
circa
20.000 litri di acqua
in bottiglie
di vetro con relative
casse, ne
può trasportare
26.500 litri nella
plastica, il 40% in più. Dunque,
il Pet rispetto al Pvc oltre
ad avere vantaggi estetici
(brillantezza e trasparenza)
e pratici (maggiore resistenza
meccanica e permeabilità
ai gas), contribuisce
alla riduzione dei costi
industriali di produzione.
Come si riconoscono? Le
bottiglie di Pvc sono caratterizzate
da una linea di saldatura
sul fondo, il che permette
di riconoscerle dalle
bottiglie di Pet che, al contrario sono caratterizzate
da un cerchietto in rilievo,
corrispondente al punto di
iniezione della “preforma”.
Le plastiche, materiali insostituibili
in
moltissimi settori
industriali,
usate come
contenitori
alimentari sono
sotto accusa
a causa della
cosiddetta
“migrabilità”
di alcune sostanze
tossiche
(additivi e
monomeri) presenti nel
composto chimico organico.
Tanto che le Autorità sanitarie
della Cee e dei paesi
membri hanno fissato delle
norme che regolano i quantitativi
massimi di prodotti
migrati dal contenitore nel
contenuto, in funzione sia
dalla natura del contenuto,
che della temperatura alla
quale la confezione è destinata
ad essere portata nel
ciclo della sua fabbricazione.
I regolamenti sanitari
prendono anche in considerazione
in modo specifico
tutte quelle sostanze che
sono suscettibili di causare
danni alla salute. Per quanto
concerne il Pvc (inevitabile
il ricordo degli operai
morti al Petrolchimico di
Marghera, impianto sotto
accusa appunto per la lavorazione
della materia plastica
cancerogena) è il caso del
suo monomero che è cancerogeno
e dà luogo ad una rara
forma di tumore: l’angiosarcoma
epatico. Per il Pet,
invece, sicurezze non ce ne
sono in assoluto, in quanto
è una materia plastica relativamente
giovane, il suo
utilizzo risale da circa dieci
anni fa, e dunque una conferma
o una smentita della
sua nocività si avrà nei prossimi
anni. Certo è che le bottiglie
dovrebbero garantire
l’igiene e non la contaminazione
dell’acqua e i casi di
migrazione di sostanze chimiche
presenti nei polimeri
plastici sono il tema di una
vasta letteratura scientifica. (Sabrina Deligia)
Avvertenze
L’importanza dell’etichetta, istruzioni per l’uso
La legge dice espressamente quali indicazioni devono
esserci sull’etichetta di
un’acqua minerale secondo
quanto previsto dall’articolo 11
del Dlsg 25 gennaio 1992, n.
105. Tralasciando le
denominazioni del tipo
totalmente degassata, aggiunta
di anidrite carbonica,
naturalmente gassata o
effervescente naturale,
soffermiamoci sui risultati delle
analisi chimica e fisicochimica.
L’articolo in questione
non dice esattamente qual è il
contenuto nominale, ma lo
possiamo desumere
dall’articolo n. 5 del Decreto 12
novembre 1992, n. 542. In ogni
caso, la Circolare del Ministero
della Sanità n. 19 del 12
maggio 1993, tuttora in vigore,
al punto C, dice che possono
essere quattro i parametri
riportati sulle etichette:
elementi caratterizzanti,
conduttività, residuo fisso, pH e
C02 libera alla sorgente.
Parametri importanti come il
sodio sono spesso occultati e
comunque, al massimo
troverete i valori della parte
destra di questo schema. Le
concentrazioni delle sostanze
indesiderabili non sono previste.
Tra le indicazioni che possono
apparire è molto importante, per
esempio, l’indice di ossidabilità:
più elevato è tale valore, meno
“pura” è l’acqua perché
relativamente ricca di sostanze
organiche (funghi, alghe,
batteri) che si legano facilmente
all’ossigeno disciolto
ossidandosi. Le etichette
possono riportare alcune
indicazioni sulle caratteristiche
dell’acqua (clorurata,
magnesiaca, ferruginosa
eccetera) ma le eventuali
controindicazioni sono
facoltative. Per esempio, se
l’acqua contiene meno di 10
mg/l di nitrati si può scrivere
“indicata per l’alimentazione dei
neonati”, ma se la
concentrazione di nitrati è
superiore non è obbligatorio
indicare che è dannosa per i
bambini. È solo un esempio che
può essere esteso ad altre
sostanze. Chi volesse sapere
qual è il contenuto di nitrati di
una delle marche
commercializzate in Italia può
consultare il sito
http://www.acqua20.it/indexlistacquestor.htm. (Tratto da “Qualcuno vuol
darcela a bere”, Fratelli Frilli Editori).
Intervista al chimico Pasquale Merlino
«Acqua tossica, ma nessuno mi dà ascolto»
Pasquale Merlino è il perito
chimico industriale
che con le sue indagini
nel 1999, riprese poi nel libro di Giuseppe Altamore “Qualcuno
vuol darcela a bere”
pubblicato nel
giugno 2003, ha
portato alla luce lo
scandalo delle acque
minerali avvelenate.
Attualmente
sta organizzando
2 seminari
sullo stesso
tema. Il primo si
terrà in Lucania il
20 settembre ed il
secondo a Bologna
il 25 ottobre.
Merlino, l’acqua minerale
che compriamo è avvelenata o
no?
Dobbiamo innanzitutto precisare
che i veleni hanno due diverse
origini: naturale od antropica.
I primi sono sostanze tossiche,
come l’arsenico, che si
trovano nel terreno. Nei secondi
rientrano, per esempio, i pesticidi di vario genere. È evidente
dunque che un’acqua pura è
una illusione. Per questo l’Oms
fissa dei limiti massimi ammissibili
per le acque minerali commercializzate.
Ma
quando ho iniziato
le mie ricerche
ho scoperto che
in Italia la presenza
dell’arsenico
nelle acque potabili
è tollerata fino
a 50 microgrammi/litro, mentre
nelle acque minerali
raggiunge
un valore 4 volte
superiore. E la cosa
incredibile è
che il ministero
della Sanità, che rilascia l’autorizzazione
per la messa in commercio,
non ne era a conoscenza.
Questo perché il produttore
non era obbligato a comunicare
l’eventuale sforamento dei limiti.
E questo riguarda, oltre all’arsenico,
il manganese (presente
fino a 2mila microgrammi, rispetto
al limite di
50), il boro (5mila
invece di 1.000) ed
il cromo (assente
nell’acqua potabile).
Oltre a questo
c’era un altro
scandalo riguardante
i nitrati, per
i quali erano fissati
2 limiti: 10 microgrammi
per i
bambini e 45 per
gli adulti. Ma se il
valore superava il
primo parametro,
nelle etichette delle bottiglie
non veniva scritto il divieto di
somministrarle ai bambini.
Purtroppo però tutti i reclami
fatti da me e dai, pochi, politici
che hanno appoggiato la mia
battaglia non sono stati ascoltati
dalle bande bassotti che ci
hanno governato in questi anni.
Adesso anche l’inchiesta di
Guariniello rischia di cadere nel
vuoto, se passa la truffa di Mineracqua
che spaccia per irrilevanti
i grammi di pesticidi rilevati
nelle analisi, che invece a
lungo andare diventano cancerogeni.
E quindi lei si è rivolto all’Unione
europea...
Si, ma la direttiva 96/70 dell’Ue,
che creava una nuova figura
delle acque di sorgente e che
obbligava i produttori di inserire
nelle etichette tutti gli elementi
presenti nell’acqua, è stata
accolta solo in parte dal governo
D’Alema. E per la questione
dei limiti invece le richieste
dell’Ue arrivano al tavolo dell’Istituto
superiore della sanità
che fissa questi nuovi parametri:
10 microgrammi per l’arsenico,
50 per il manganese e 1.000 per
il boro. Il governo Amato però
porta a 50 il limite per l’arsenico
e lascia invariati gli altri, fregandosene
sia dell’Ue che dell’Istituto
superiore. Ma c’è di più: un
organismo internazionale, il
Codex Alimentarius, ribadisce i
limiti fissati dall’Ue ed il Wto di
riflesso li assume come punti di
riferimento per il commercio. Di
conseguenza le nostre acque
non potrebbero neanche essere
esportate nei mercati europei!
E quali sono gli effetti sulla
salute delle persone?
Io non sono medico, ma le
posso fare un esempio: l’arsenico
è causa del melanoma alla
pelle, che in Italia ha un’incidenza
2 volte e mezzo superiore a
quella greca. Uso la Grecia come
paragone perché
le caratteristiche
sia ambientali
che della pelle
umana, sono
molto simili alle
nostre.
Qual è la
causa di questa
diversa incidenza?
Una persona
su 1.666 che nell’arco
di una vita
media beve acqua
con presenza
di arsenico, quasi
per certo si ammalerà
di tumore alla pelle.
In conclusione, è meglio bere
l’acqua di rubinetto?
Chimicamente l’acqua di rubinetto
è sicuramente migliore
dell’acqua minerale. Ed in molte
zone d’Italia l’acqua di rubinetto
è effettivamente potabile.
Il problema si verifica quando
l’acqua passa in acquedotti ed in
tubature pieni di cloro e batteri,
diventando così nociva. C’è un
vuoto normativo: mentre i cittadini
hanno il diritto di avere acqua
potabile in casa, non si è definito
il punto in cui debbano essere
rilevati i parametri di potabilità.
Ecco perché a mio avviso
la migliore soluzione sarebbe
trattare l’acqua ad uso alimentare
al punto di erogazione. In
parole povere, depurarla al rubinetto.
E non è certo una cosa impossibile. (Andrea Milluzzi)
Il commento
Bere bollicine, un lusso del primo mondo
Una volta le acque minerali erano
poche e beneficio quasi
esclusivo delle persone con
problemi di salute. Poi hanno scoperto
che anche con le acque si possono
fare montagne di quattrini, così sono
iniziate denigrazioni e sottovalutazione
degli acquedotti delle acque potabili
e pubbliche. Più che in altri settori,
nel mercato delle acque minerali
pubblicità è davvero la parola magica.
Grazie ad un bombardamento mediatico,
il consumatore è indotto a ritenere
che bere acqua minerale in bottiglia
sia più salubre. Così scompare dalla
mensa degli italiani la brocca di acqua
di rubinetto, spesso di qualità superiore
e con meno controindicazioni di
quella imbottigliata.
Uno studio diffuso in occasione della
Giornata mondiale dell’acqua ha
accertato che in Italia si consuma più
acqua minerale che in qualsiasi altro
Paese nel mondo: circa 170 litri pro capite
l’anno, di cui il 35 per cento si consuma
al ristorante. E nemmeno ci
scandalizziamo del prezzo: paghiamo
le bottigliette da 0,20 a 0,75 centesimi
per un giro di affari di parecchi miliardi.
Ma ciò che sorprende di più è che
queste aziende pagano la concessione
pubblica per l’imbottigliamento meno
di una lira al litro e che i controlli
sulle acque potabili pubbliche (quelle
che provengano dal rubinetto) sono
più frequenti e più sicuri di quelle a cui
sono sottoposte le minerali.
Bere minerale è un lusso del primo
mondo, specie se si considera che un
miliardo e mezzo di esseri umani, il 25
per cento della popolazione del pianeta,
non ha accesso all’acqua. È un business
per le multinazionali e per le più
grandi società che controllano spesso
più marchi, in barba alla pura concorrenza.
Ecco perché le multinazionali tramite
l’Omc fanno pressione affinché
la gestione delle acque sia privatizzata,
considerando l’acqua non un diritto
dell’umanità, ma una merce. Se noi
cittadini non interveniamo l’avvenire
non è certo roseo. A settembre, nel corso
della riunione di Cancun, l’Ue presenterà
dei progetti di liberazione e
privatizzazione delle acque in 109
Paesi del mondo, tra i quali 50 sono poverissimi.
Ma non basta. L’Ue ha dato
anche la facoltà ai gestori di imbottigliare
e di vendere le acque di sorgente
che sinora alimentavano gli acquedotti
pubblici. Dalla sottovalutazione
delle reti idriche, noi cittadini abbiamo
ricavato aumento dei costi, peggioramento
della qualità delle acque,
aumenti dei consumi energetici e dell’inquinamento
dovuto alla produzione,
allo smaltimento e al trasporto delle
bottiglie in giro per l’Europa.
Siamo di fronte a un vero e proprio
esproprio. Che fare? Mobilitarci affinché
l’acqua sia pubblica e sia considerata
un bene per l’umanità. E poi
un passo concreto, nei limiti del possibile:
non compriamo più acqua
minerale.
(Ciro Pesacane, Contratto Mondiale dell’acqua)
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