Enrico Ratto

G8... affondato!
 

Questo racconto è apparso sul trimestrale "M Rivista del Mistero" nel mese di luglio 2002.
L'autore ne autorizza la pubblicazione in questo sito Internet.

 

 

A Paola Mordiglia,
per l'idea!

Prologo
"Pronto, Pepe?"
"Sì."
"Sono Fermo, chiamo da Genova, Italia"
"So benissimo dove si trova Genova. Senta Fermo, in questo momento sto preparando delle zampette di lepre al curry, e se non aggiungo la cipolla all'istante, le zampette mi prenderanno l'aroma dell'olio fritto, lei mi capisce... richiami un'altra volta!"
"Quando?"
"Tra un anno!"
Il detective barcellonese riattaccò e io mi ritrovai al punto di partenza.
Ero in un bel guaio, avevo bisogno di un buon detective a cui sub-affittare un incarico, ma la lista degli investigatori di mia conoscenza era terminata e io mi ritrovavo con un lavoro da risolvere entro ventiquattr'ore e una serie di articoli da scrivere per cinque riviste diverse sullo stesso argomento, confidando come al solito sul fatto che i rispettivi redattori non si leggessero a vicenda.

1
Uscii dalla mansarda di Vico Vegetti ed imboccai Stradone Sant'Agostino evitando accuratamente tutti gli studenti di architettura che frequentavano ormai da qualche anno la zona. Eravamo rimasti in pochi in città, tra l'inizio dell'estate e i cantieri di preparazione al vertice del G8, Genova era deserta.
In un certo senso il mio lavoro, per quelle ventiquattro ore, riguardava proprio il G8.
Testapelata stazionava in cucina, nel retro della sua "Creperie des Arts", e aveva deciso di tenere aperto il negozio durante i giorni del vertice, sfidando così a colpi di latte-uova e farina ben otto capi di stato e l'assoluta assenza di clienti che questi si portavano dietro.
Diedi una sbirciata dalla vetrina, poi entrai.
"Buongiorno Mr Fermo!" mi accolse come al solito.
"Buongiorno Herr Testapelata!" contraccambiai, di rito "Sono in un guaio. Ho un lavoro da risolvere entro 24 ore, e cinque articoli da scrivere entro qualcosa di meno. Cazzo." conclusi.
"E da quando si è messo a lavorare Mr Fermo? La conosco da tre anni e non ha mai fatto altro che ricerche inutili in biblioteche frequentate da universitarie". Testapelata voleva provocarmi, era nella sua indole di uomo ricoperto da muscoli e tatuaggi, ma allo stesso tempo riusciva a mettere insieme crepes per artisti in quantità industriale. Era un tipo per cui la vita andava affrontata a colpi di mestolo e paletta. Così cedetti alla provocazione e mi dilungai.
"Mia nonna non pubblica mezza riga da tre anni, Testapelata" spiegai "Mi tocca darmi da fare in qualche modo. A lei si è esaurita la creatività, a me la pecunia".
"Di che cosa ha bisogno, Mr Fermo? Li vede questi muscoli, nel caso non li uso solo per cucinare le crepes. So risolvere i miei problemi, e se occorre anche quelli degli altri. Mi dica". Parlai.
"Devo risolvere una situazione entro 24 ore. Che lei sappia, i tombini di questa città sono già stati tutti sigillati per il G8?"
"Che domanda cretina, Mr Fermo. Mancano tre giorni a 'sto cazzo di vertice, mi passi il termine, e i tombini sono chiusi e saldati almeno da una settimana. Però i miei muscoli, non so se..."
"Tranquillo, non ti avrei chiesto di aprirli. E' che ci ho lasciato una cosa dentro, e ora devo recuperare questa cosa prima possibile. Anzi, solo 'prima'. Anche se fosse impossibile. Altrimenti non mi sarei rivolto a te."
"Cosa ha imboscato nei tombini, Mr Fermo?" domandò Testapelata, seriamente incuriosito più che preoccupato.
"Tranquillo, niente che possa essere rivenduto. E se anche fosse, per queste cose, ha l'esclusiva il cileno del mio palazzo. E' una scatola di candelotti lacrimogeni inesplosi. Pronti per essere sparati."
"E ce la lasci! Quando finiranno 'sto cazzo di G8, mi ripassi il termine, se la andrà a riprendere. Cosa se ne fa lei dei candelotti lacrimogeni?"
"Io niente, l'avevo in custodia per un lavoro. E l'ho nascosta in un tombino per precauzione visto che da un po' di tempo mi sembrava di essere pedinato. Adesso però non posso aspettare che finisca 'sto strafottuto G8 per recuperarla. Non li legge i giornali, Testapelata?"
"No, ho altro da fare".
"Nemmeno io, infatti preferisco scriverli. Insomma, se questi candelotti si dovessero per caso aprire, sul loro contenuto si conosce ancora molto poco..."
Testapelata non mi seguiva più. Non era interessato alla storia dei candelotti tossici, e forse nemmeno ci credeva del tutto. Eppure ero riuscito ad ottenere la scatola con 15 candelotti per vie traverse, attraverso amici di nemici che per qualche strano motivo erano diventati miei "amici", con qualche virgoletta di precauzione. I candelotti li avevo nascosti, sigillati e mimetizzati in uno scatolone che poteva contenere di tutto tranne, appunto, dei gas lacrimogeni. Poi li avevo gettati in un tombino di via Gramsci la notte stessa che me li avevano consegnati. Quella notte sapevo di essere seguito, e non ho trovato altra alternativa che scaricare il tutto in un tombino semiaperto. Tutti i tombini della zona sono sempre semiaperti, bene che ti vada ci trovi dei candelotti lacrimogeni. Poi il tombino lo avevano sigillato una settimana dopo, quando io ero troppo impegnato a ricordare dove avessi nascosto la scatola per poterla recuperare alla svelta.
Testapelata non si era rivelato di aiuto, forse perché come al solito non lo avevo neanche lasciato parlare. Fatto sta che ora sarebbe stato troppo pericoloso aspettare la fine delle quattro giornate di 'sto stramaledettofottuto G8 per tornare a recuperare la scatola dei candelotti nel tombino. Sempre che ci fosse ancora stata. Ci sarà ancora stata?

2
Per accertarmene chiamai un amico al Secolo XIX.
"Claudio, sono Fermo. Dobbiamo incontrarci subito."
"Senti Fermo, ieri sera sono andato a letto alle due e mezza, perché io a differenza di te il giornale lo devo fare davvero, e non solo quando mi gira di scrivere qualche riga per fare la giornata..."
"Ahh... frena l'entusiasmo! Se ti chiamo è perché sono in un guaio, altrimenti ti avrei lasciato alle ottantenni e ai loro canarini persi tra i tetti di Bogliasco. Posso parlarti al telefono?"
"Con l'aria che tira in questi giorni, l'ultima cosa da fare è parlare dei propri affari al telefono. Se infili quattro parole sospette ti intercettano all'istante. Vediamoci al Mentelocale Café tra un'ora".
Un'ora che utilizzai per girare tra i vicoli. Incontrai tre mie ex fidanzate e, nonostante i vicoli, non riuscii ad evitarne nemmeno una. Ci sono momenti in cui sbucano dappertutto.
Per un momento, anzi tre, quei vicoli assomigliarono a gironi dell'inferno dantesco, ma fortunatamente le ex non mi apparvero tutte insieme contemporaneamente. Una alla volta mi faceva moderatamente piacere incontrarla. Due alla volta, iniziava ad essere una situazione difficile da gestire. Tertium non datur.

Claudio arrivò in camicia sbottonata e capelli spettinati. Era un reporter d'azione, un duro con un debole per il rhum e le notizie vere. La differenza tra lui ed Hemingway. Il Mentelocale Café alle 11 del mattino era frequentato solo dagli impiegati delle banche del centro che prendevano il caffé di metà mattina e da no global solitari che si attaccavano alla tazzina per smaltire i postumi della nottata. Le giornate, ognuno le affronta dal proprio punto di vista.
Io e Claudio ordinammo due birre e due Sprite.
"La cosa più immorale che tu possa bere è una panachée, Claudio".
"Infatti, io ho ordinato due birre. Per me."
Fui costretto a scolarmi le Sprite.
"Vieni al sodo. Ieri sono stato tutto il giorno a controllare i lavori di sigillo dei tombini della città. Ne é uscito un gran pezzo, lo hai letto?"
"Non leggo i giornali, preferisco scriverli" repetita iuvant "Hanno trovato qualcosa nei tombini?"
"Puoi immaginare: da buste di hashish andata a male ad un paio di 7,65 Magnum cariche. Dipende dal genere che ti interessa."
"Mi serve una scatola con dentro quindici candelotti lacrimogeni. Zona via Gramsci, angolo via delle Fontane".
"Non credo che ne abbiano trovate, ma ti terrò informato. Adesso però andiamocene, hai visto quel soggetto in nero laggiù? Se non lo hai visto, non ti girare. E' da ieri che me lo trovo dappertutto. Prima o poi gli piazzo il registratore di fronte alla bocca e un destro alla mandibola. Poi mi sbobino il tutto con calma, sai che capolavoro?"
"Immagino. Dove vai in missione oggi?"
"Scarcerano il figlio trentacinquenne di una vecchia. Ex-vecchia, per essere precisi. Le ha sparato lui alle spalle, cinque anni fa, ora lo hanno dichiarato incapace di intendere e di volere. Spero che sia solo una balla da avvocati, altrimenti devo inventarmi anche le risposte: mi tocca intervistarlo, il pargolo. C'è da dire che all'epoca la mira l'ha saputa prendere bene, e ciò mi rassicura. Ti tengo informato sui tombini."

3
Claudio si diresse verso Marassi, io mi incamminai verso via Gramsci angolo via delle Fontane per dare un'occhiata ai tombini e capire se potevo risolvere da solo la situazione. La zona era occupata da gru e camion enormi, stavano blindando la città per 'sto cazzo di G8, come dicevano Testapelata e la sua saggezza. Con tutti i poliziotti che c'erano in giro, aprire un tombino in piena Zona Rossa era impossibile.
Arrivai in via Gramsci e passai sopra il "mio" tombino facendo pressione con le scarpe. Non era più semi aperto, era sigillato con due punti di saldatura rossi che facevano da punto e virgola tra "De Ferrari" e "Nicolay". Il marchio stampato a ferro e fuoco dell'acquedotto genovese. Sarebbe stato meglio scegliere un tombino targato "Telecom", per lo meno se anche i lacrimogeni si fossero aperti, non avrebbero fatto piangere nessuno al telefono. Detesto le lacrime telefoniche, chi non se ne intende può scambiarle per una risata. A me è successo, se può interessare.
Passeggiai nella zona per un buon quarto d'ora e iniziai a notare gli sguardi che mi rivolgevano una quindicina di agenti attaccati ad altrettante Marlboro accese, in attesa di ordini superiori. Gli ordini non arrivavano, io invece ero diventato un bersaglio troppo appetibile per non lasciare spazio alla libera iniziativa.
Transitai per la dodicesima volta sopra il tombino, facendo per la dodicesima volta pressione con la suola delle mie Timberland. Devo dire che perfino io, nelle loro divise, mi sarei insospettito. Un poliziotto spense la sigaretta, se ne accese un'altra e si avvicinò al mio passo incerto sui tombini della città.
"Cerca qualcosa?" mi domandò.
"Niente di importante. Ma se vuoi ti offro una birra e ne parliamo con calma." sperai che reagisse secondo canoni consolidati. Invece non accettò.
"Lei non è nella condizione di poter scherzare" dichiarò.
"Dicevo sul serio. Andiamo a farci una birra." ci riprovai.
"Porta con sé i documenti?"
"Porto con me i documenti. Se ritiene, posso estrarli ed esibirli in ogni loro parte." adottai un linguaggio consono alla situazione. Così feci.
"Studente". lesse il poliziotto sulla mia carta d'identità.
"Per modo di dire. Comunque non Coranico". lo tranquillizzai. L'undici settembre apparteneva ancora al futuro, ma tra gli addetti ai lavori qualche voce girava già.
"Le ripeto che non è nella condizione di scherzare. Mi segua, facciamo un controllo."
Valutai la situazione. La Zona Rossa non era ancora stata chiusa del tutto. In via Gramsci transitavano gruppi di turisti fuori stagione benché fossimo in luglio, qualche giornalista interessato solo alla data di produzione delle barricate per mettere in piedi qualche inchiesta in mancanza d'altro, e un gruppetto di no global che si prendevano la soddisfazione del tutto personale di aver varcato una Zona Rossa non ancora blindata. Focalizzai l'attenzione sui no global che avanzavano a suon di bongo. Loro focalizzarono l'attenzione su di me. Ci studiammo a vicenda per qualche secondo. Dall'abbigliamento io potevo tranquillamente appartenere all'oggetto della loro contestazione, esibivo in maniera disinvolta troppe griffe perché potessimo fare amicizia. Loro capirono la situazione difficile in cui mi trovavo, li vidi indecisi se intervenire o lasciare al proprio destino uno sporco individuo che indossava Timberland e Lacoste. Poi si guardarono a vicenda. Anche loro indossavano Timberland e Lacoste, solo più consumate.
"Ragazzi!" urlò il capo dei no global, facendo cenno a chi suonava il bongo di tacere "La polizia dell'Impero ancora una volta sta esibendo il proprio potere con atti di subordinazione verso un amico e fratello pacifico. Ciò si schiera contro la nostra filosofia nonviolenta nel Bene e nel Male!" Aveva il senso pratico, non c'è che dire. Rimasi stupito dell'idea che il no global si era fatto sul mio conto, poi feci capire al poliziotto che, tra i due, quello più in difficoltà al momento era lui. Il poliziotto alzò gli occhi dalla mia carta d'indentità e si vide accerchiato da quindici no global. Erano pacifisti, certo, ma il poliziotto ancora non lo sapeva.
I no global si disposero a cerchio e alzarono le mani senza che nemmeno il poliziotto estraesse la pistola. Ciò lo stupì, ed ebbe un secondo di titubanza. Ne approfittai per assestargli un ceffone che lo colpì di striscio ma fece comunque il suo dovere. Non avevo problemi di pacifismo, io. Ringraziai comunque una seconda volta chi ne aveva e li aveva usati per risolvermi una situazione difficile. Oddio, non avevano salvato il mondo, ma avevano capito che si deve iniziare dalle piccole cose.
"Ragazzi, posso offrirvi una birra?" domandai a tutti e quindici, prima che il poliziotto si riprendesse.
"Non bevo mai quando sono in servizio" rispose. Il no global.
Un suo amico pacifista, quello che aveva ripreso a suonare l'Internazionale con il bongo in preda a qualche allucinazione, ebbe qualcosa da ridire, ma il capo dei no global tagliò corto "Amico fratello, se domani ci incontreremo in corteo saremo lieti, io e i miei compagni, di offrirti un piatto tipicamente nonviolento che cuciniamo con le nostre mani bianche: riso crudo alle erbette indiane, condito al rhum".
"Ma se avete detto che non bevete alcol in servizio!"
"Sì, ma nulla ci vieta di mangiarlo. A presto amico fratello. Fai più attenzione lungo il tuo cammino".
Salutai il no global, che ormai lo avevo ribattezzato "il guru", ed entrai in un bar dell'angiporto. Gli altri quattordici poliziotti intorno a noi avevano osservato la scena senza intervenire. Forse aspettavano ordini dall'alto, nel frattempo ci fumavano sopra stravaccati sui Jeepponi.

4
"Una birra, grazie" ordinai al barista.
Mi sentii battere su una spalla. Era il personaggio in nero che da due giorni seguiva Claudio.
"Ha sbagliato persona" feci notare "Non è me che sta pedinando".
Il tipo in nero infilò una mano nella tasca interna del doppiopetto che indossava con nonchalance in luglio, e io persi le ultime speranze di incontrare altri pacifisti nella zona.
"Pago io" mi disse estraendo il portafoglio.
"Si accomodi. Cosa prende?" domandai, più rilassato.
"Due Sprite. E lei?"
"Due birre, ma non provi a mescolare le sostanze. Cosa vuole da me?"
"Lei sa mantenere un segreto?" mi domandò, con l'aria da duro nonostante l'espressione sembrasse rubata al diario di un adolescente.
"Spiacente. Sono un giornalista freelance, e quando ho un segreto per le mani cerco il sistema più rapido per divulgarlo al maggior numero di redazioni possibili. Devo pur mangiare..." mi giustificai.
"Peccato, ha perso un'occasione. Perché io so dove si trova la scatola di candelotti lacrimogeni che sta cercando".
Non gli chiesi nemmeno come facesse a sapere quello che stavo cercando, intanto era un periodo che per i vicoli di Genova giravano più spie e giornalisti che prostitute e clienti. Anche se una cosa non escludeva l'altra. Stavo riflettendo su queste categorie di disperati, quando mi sentii di nuovo battere una spalla. Non poteva essere l'uomo in nero. Era Claudio.
"Claudio! Non dovevi intervistare il matricida?"
"Già fatto. Come previsto era perfettamente capace di intendere e di volere, in un quarto d'ora ho registrato un'intervista da Pulitzer".
Presentai Claudio all'uomo in nero e viceversa, ma si conoscevano già.
"Sei tu quell'infame che mi segue da ieri!" attaccò Claudio.
"Frena, Claudio" intervenni "ci può essere utile. Deve essere una spia, ma forse anche un doppiogiochista"
"Triplogiochista" mi corresse la spia.
"Ottimo. Intanto quando sei nel giro tanto vale divertirsi. Allora dove sono questi lacrimogeni al CS?" feci fretta.
"Che cazzo è il CS?" si incuriosì Claudio, che fino ad allora aveva avuto a che fare solo con Conferenze Stampa.
"Orto-clorobenzilidenemalonitrile. Non hai mai letto le 115.107 pagine dedicate al CS dallo Stoa del Parlamento Europeo?" gli domandai.
"Io sì" intervenne divertito l'uomo in nero "C'era sempre questa domanda fottuta. Prima nel concorso per entrare nel KGB, e poi in quello della CIA. Ma io li ho passati entrambi!" spiegò.
Io e Claudio ci guardammo e posammo le birre sul banco all'unisono. Bastò un colpo d'occhio per decidere di sollevare l'uomo in nero da terra e dai suoi incarichi di spia e chiedere al proprietario del bar di farci strada per la toelette. Bussammo e uscì una senegalese in scarpe da ginnastica e bikini accompagnata da un senegalese in altre scarpe da ginnastica e doppiopetto bianco. Entrammo noi, intanto quel bagno ne aveva già viste di peggiori.
"Allora? Dove hai messo questi candelotti?" gli domandai mentre Claudio lo teneva con la testa semi infilata nel water sollevandolo quel tanto che potesse pronunciare un'eventuale risposta. L'uomo in nero, aveva pur superato tutti i concorsi per 007 del pianeta, ma non riuscì a resistere alla pressione delle mani di Claudio sulla sua testa intrappolata nel water.
"Li tengono i no global nel camion!" piagnucolò.
"Non dire stronzate. I no global sono brave persone" dichiarai, pensando al pacifista di poco prima "Dimmi chi tiene i candelotti o... tiro la catena!"
Una minaccia esile esile, ma funzionò.
"Non i no global che hai incontrato lei, Fermo. Sollevatemi, vi prego, e parlerò. Come è vero che sono una spia, parlerò!"
"C'è da fidarsi?" mi domandò Claudio.
"Che sia una spia non lo so, che parlerà sono sicuro. Abbiamo a disposizione il bagno tutto il tempo che vogliamo."
Claudio gli sollevò la testa. L'uomo in nero iniziò a parlare.
"Quando la polizia ha sigillato i tombini, io ho seguito tutte le operazioni. Abbiamo trovato di tutto, anche i candelotti lacrimogeni. Io tenevo d'occhio questa zona già da settimane, e sapevo benissimo che era stato lei, Mr Fermo, a buttare i candelotti in quel tombino. Un mio ex collega del KGB, ora in forza al Mossad la seguiva da tempo, e lei si è voluto disfare della scatola di lacrimogeni".
"Questo lo so, c'ero anch'io." lo interruppi "dimmi cose che non so."
"Tutto quello che è stato tirato fuori dai tombini lo abbiamo restituito in base alle nostre informazioni. La 7,65 carica, ad esempio, apparteneva ad un gruppo eversivo ungherese di estrema destra. Gliel'ho rispedita io personalmente. I candelotti lacrimogeni sono finiti nelle mani di un gruppo di anarchici austriaci che in questo momento sono ospiti di amici qui a Genova, zona Castelletto."
"Tu ci credi?" domandai a Claudio.
"Tutt'al più ci rimette lui". e gli strinse la testa tra le enormi braccia da cronista di cronaca giudiziaria. Con gli avvocati Claudio non scherzava. Con l'uomo in nero nemmeno.
"Ora li tengono in un camion, vogliono aprirli, fondere il contenuto e ottenere un mega lacrimogeno da fare esplodere in piazzale Kennedy dopodomani".
"Cacchio. Dobbiamo intervenire, Claudio. Quei cretini non hanno letto le 115.107 pagine dedicate al CS, eccetera eccetera... quelli prima si ustionano, e poi ci rimettono i cromosomi e tutto il resto! Dove tengono nascosto il camion con la scatola e i candelotti?"
"Un camion, come lei ben sa, Mr Fermo, si sposta in continuazione..." mi disse l'uomo in nero. Poi vide la mia espressione e riprese subito il filo del discorso.
"Adesso lo tengono nascosto in un garage. Vi guido io".

5
Uscimmo dal bar dell'angiporto ringraziando il barista per l'ospitalità. L'uomo in nero ci guidò tra i vicoli. Eravamo in piena Zona Rossa, tra San Lorenzo e Palazzo Ducale. L'uomo in nero mostrò un tesserino a due poliziotti che stazionavano di fronte ad un bassofondo di un vicolo stretto quanto me e Claudio messi insieme ed entrammo nel garage. L'uomo in nero accese la luce.
"Perché mi sta facendo vedere queste cose?" gli domandai.
"Perché lei aveva in custodia i candelotti per una sua inchiesta. Se ora riesce a scoprire che cosa contengono, allora mi dovrà un favore personale. Io le faccio riavere i candelotti che cercava, lei mi fa il piacere di scoprirne il contenuto. Mi hanno detto che è piuttosto bravo in questo genere di cose."
"Si dimentica che se io scopro il contenuto di quei candelotti, l'informazione finirà prima nelle mani della stampa, poi eventualmente nelle sue".
"Fermo, per lei è indifferente a chi dare l'informazione. La darà a chi paga di più. E io pago di più. Non potevo prendere i candelotti direttamente dal tombino, sarei stato troppo esposto. Preferisco che la versione ufficiale sia che lei, con indagini personali, sia tornato in possesso dei suoi candelotti."
"Senta, lei è già un triplogiochista. Non si metta d'accordo anche con me, inizierebbe a rischiare un po' troppo. Mi faccia vedere questi candelotti, poi dei particolari ne parleremo".
"Glieli mostro solo perché lei ha un'etica. Mi fido".
Probabilmente mi aveva scambiato per un altro.
L'uomo in nero tirò fuori da una pila di materassi ammucchiati su una rete sfondata la scatola con i miei candelotti lacrimogeni. Ancora una volta l'uomo in nero commise una grande ingenuità. Ebbi la conferma che i concorsi alla CIA e al KGB dovevano essere quello che Gerard Depardieu e Roman Polanski chiamavano "una pura formalità". Una grande stronzata, avrebbe tradotto Claudio, con il suo aplomb.
Ma Claudio non disse nulla. Eseguì. L'uomo in nero mi porse la scatola piena di lacrimogeni. Claudio ne approfittò per afferrargli il braccio mentre io mettevo al sicuro i candelotti. Prendemmo l'uomo in nero di peso e lo portammo nel bagno del box. Eravamo tre tipi abitudinari. Però questa volta, senza fare troppe domande, ce lo sprangammo. Uscimmo con i candelotti e senza l'uomo in nero.
Lasciammo solo un biglietto sulla porta: "Da qui passò una una spia del Mossad."
"Non era della CIA e del KGB ensemble?" mi domandò Claudio.
"No, hai visto la stella che portava al collo? Non era né comunista né una Star Splangled Banner. Era la terza possibilità, fidati. Lui non voleva i lacrimogeni, voleva noi".
"Noi?" si stupì Claudio.
"I lacrimogeni erano solo un'esca per farci arrivare a lui. Gli servivano le nostre indagini per ottenere risultati personali. In pratica, stavamo lavorando per lui senza saperlo. E questa, in definitiva, è la cosa che più mi irrita. Quello che mi aveva seguito settimane fa era un collega dell'uomo in nero, ed erano d'accordo. Mi hanno costretto a nascondere i lacrimogeni per creare un contatto, oggi, nel bagno del bar prima, e nel garage poi. Era tutto previsto. E poi, l'uomo in nero non ti pedinava per seguire te, ti pedinava perché noi trovassimo lui. Tipico del Mossad."
"Tipico del Mossad?!" continuavo a stupirlo, Claudio.
"Certo, ho dato anche io l'esame per entrare nel Mossad. Non l'ho passato perché non ho mai studiato le 115.107 pagine che lo STOA ha dedicato al CS..."
"Davvero?"
"Mah?! Forse." conclusi. Scherzavo, ma non volevo che si sapesse.
"E adesso che ne facciamo del CS?" mi domandò Claudio "E' tardi, io devo andare a scrivere il pezzo su quel fottuto matricida. Ne uscirà fuori una brava persona, al confronto."
"I candelotti li tengo io. Mi potranno servire quando avrò bisogno di versare qualche lacrima. Specie se di coccodrillo, le più difficili".
Salutai Claudio e gli regalai un candelotto lacrimogeno. Poteva essergli utile in qualche modo che non riuscivo ancora ad immaginare.
"Tieni, non si sa mai" gli dissi "In fondo le quattro giornate di Genova devono ancora incominciare".

 


 

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