Asinara. Il rumore del silenzio
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Tuttolibri - La Stampa
Asinara, l'isola su cui è vietato fumare
di
Ferdinando Albertazzi

Le due città
Asinara: metafora dell'esistenza
di Susy Borzachiello

inalessandria.it
L'Asinara: un'isola reclusorio in un romanzo-verità
di Piero Archenti

Il Lavoro
Il silenzio dell'Asinara la "Cajenna" italiana
di Piero Pastorino

L' Unione Sarda
Il silenzio del rumore
di Marco Noce


 

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Da Tuttolibri - La Stampa del 26 aprile 2003

Eccezion fatta per i minuscoli centri abitati, su
quei 52 Km quadrati le sigarette sono bandite

Asinara, l'isola su cui
è vietato fumare

di Ferdinando Albertazzi

«La terra non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, ma l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli». Il monito pellerossa a rispettare la natura campeggia sulle scatolette di metallo fornite ai tabagisti impenitenti sul molo di Fornelli, approdo all’Asinara dopo una traversata di venti minuti salpando da Stintino e punto di partenza per le escursioni sull’isola. Eccezion fatta per i minuscoli centri abitati su quei 52 km quadrati, è difatti vietato fumare dal 1997, quando l’isola venne dichiarata Parco nazionale: probabile interregno fra la destinazione storica di Isola della Pena e il temuto assalto della speculazione edilizia che sta già «puntando» l’Asinara.
Dedicata anticamente al culto di Ercole, Herculis Insula è poi diventata l’Asinara frequentata da Fenici e Romani (nei fondali bassi di Cala Reale c’è un loro relitto che continua a regalare anfore in ottimo stato), prima di ospitare i monaci camaldolesi (XII sec.). Teatro di battaglie fra Genovesi e Aragonesi (XV sec.) e meta dei nobili sassaresi (XVIII sec.), l’isola divenne colonia penale e stazione sanitaria nel 1885.
Gli edifici di Campu Perdu, Stretti e Fornelli ricevettero decine di migliaia di prigionieri durante la Grande Guerra, mentre a Tumbarinu era attivo un campo di isolamento sanitario (colera, tubercolosi). In seguito l’Asinara è stata attrezzata come Colonia Penale Agricola (cereali, vigneti, allevamento di bestiame) e, successivamente, come Casa di Reclusione per «detenuti definitivi».
Tra le varie «diramazioni» (Santa Maria, Campo Faro, Trabuccato, oggi convertite in osservatori naturalistici e foresterie) è tristemente famosa quella di Fornelli, con il supercarcere in cui hanno «soggiornato» i brigatisti Renato Curcio e Alberto Franceschini, il camorrista Raffaele Cutolo e il mammasantissima Totò Riina.
Nonostante l’evidente stato di abbandono mette i brividi aprire le porte e i cancelli blu mare, varcare la soglia delle celle e respirare nella penombra di quelle abbruttenti angustie, un’atmosfera resa con toccante intensità in Asinara, il rumore del silenzio (Ed. Frilli), storia a tre voci di Giampaolo Cassitta.
Lunga 17,5 e larga 6 km, l’Asinara è visitabile in corriera o sul trenino ecologico che percorrono i 24 km di cementato tra Fornelli e Cala d’Oliva, dai cui margini via via si dipanano i 9 sentieri tracciati per le escursioni a piedi, alla scoperta delle 80 specie di vertebrati e dalle 678 specie floreali. Spicca l’esclusiva Centaurea Horrida, il fiordaliso spinoso e sfoggiato soprattutto dalle coste di Punta Sa Nave.
Da non perdere una nuotata nelle trasparenze «tropicali» dell’incantevole Cala Sabina, uno degli accessi consentiti dove fanno compagnia corvine, triglie e cefali che non disdegnano il quasi contatto con l’uomo. Ha il sapore dell’avventura, l’esplorazione lungo l’anello sterrato di 18 km a bordo di fuoristrada 9 posti guidati da Stefania e Veronica, laurea in scienze naturali e in veterinaria. Con appassionata competenza illustrano le caratteristiche di Punta Scorno (l’estremità Nord), delle rocce di Punta Grabara, del lecceto di Elighe Mannu che da su Punta della Scomunica, il tetto dell’isola 408 m) e altre singolarità di una natura incontaminata (a parte le deturpanti «chiazze» di sacchetti e bottiglie di plastica, disseminate qua e là).
È raro vedere i mufloni e i marangoni dal ciuffo, mentre capita di assistere in diretta alla nascita di un puledrino selvaggio magari affiancati dall’asinello grigio Severino e osservati a distanza da Pamela, emblema dei 100 asini albini fiore all’occhiello dell’Asinara.
Albini che sul molo di Fornelli stringono improvvisamente d’assedio i fuoristrada in combutta con pecore e cinghiali, per contendersi il cibo distribuito a piene mani dai troppi turisti incuranti delle disposizioni.

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Da Le due città dell'ottobre 2001

Asinara: metafora dell'esistenza

di Susy Borzachiello

Il viaggio, il mare, la solitudine e tre destini che si incrociano su un'isola, l'isola penitenziaria per eccellenza: l'Asinara. Si può amare un'isola come questa, arida e crudele dove la natura sembra prendersi gioco delle vite che la abitano? Il maestrale, il libeccio, le pecore, quei bianchi caseggiati che sono lontani dal mondo e che creano un carcere nel carcere, dove tutti diventano prigionieri, non solo i detenuti, fanno da filo conduttore al racconto di tre vite che per caso o per necessità si incontrano in un luogo dove il contatto con il mondo è affidato al volere del mare.
Giampaolo Cassitta conosce bene l'Asinara, vi ha lavorato come educatore dal 1985 al 1998 e dell'isola ha imparato a conoscerne la durezza, ma ha imparato anche ad amarla, nonostante la natura selvaggia del luogo sembri restia a farsi amare. Il libro di Cassitta è la storia di tre uomini: un educatore, un agente penitenziario e un detenuto, che hanno vissuto all'Asinara per oltre tredici anni. Per i primi due l'isola non è solo un luogo dove lavorare, così come per il detenuto - un terrorista condannato all'ergastolo - non è solo un luogo dove sconterà la pena inflittagli.
L'isola diventa la metafora dell'esistenza, la dimensione dello spazio e del tempo che ogni protagonista misura, nella vita quotidiana, scandendo le ore della giornata, vivendo l'incontro con l'altro, con i colori e il mistero della natura. È nel silenzio e nella solitudine dell'isola che il dialogo interiore dei tre uomini diventa incessante, è un fluire di emozioni e di ricordi che diventa essenziale e non lascia spazio alla retorica dei buoni sentimenti, senza per questo trasformarsi in un atto d'accusa contro il "sistema". Tre uomini protagonisti nelle pagine di un libro scritto con tecnica cinematografica, una storia descritta con lunghi fuori campo e primi piani, che si alternano per comprendere il racconto di altre vite, come quella del vecchio Salenti. Calabrese, una condanna a trent'anni, dopo vent'anni trascorsi all'Asinara riceve la grazia e non riesce o non vuole capire perché lo Stato gli chieda di lasciare l'isola e il suo asinello Bobò, e in un dialetto quasi incomprensibile fa capire il suo dramma: "Iu, senza Bobò nun me ne vaggu, se lu statu ha liberato a mia pure Bobò deve venire".
Scoprirsi scrittori in un penitenziario è esperienza piuttosto diffusa, e forte è il bisogno di raccontarsi e raccontare le voci, gli odori, i rumori, i colori per chi vive intensamente la realtà del carcere, ma il libro di Cassitta non è solo un libro di ricordi. L'Autore fa parlare in prima persona i tre protagonisti, e le parole si stendono come pennellate di colore che danno al lettore il senso di tre esistenze che si muovono in una dimensione forte, a volte allucinata, dove la comunicazione è interrotta. Il dolore della detenzione non è solo del detenuto, ma dell'agente, dell'educatore e tutti, ogni giorno, fanno i conti con la solitudine.
C'è il giovane agente, un ragazzino che è nato in Sardegna e che non ha mai visto il mare: "D'altronde nella mia terra l'acqua ha fatto sempre lunghi complimenti prima di arrivare. Ero figlio di vecchie storie, antiche come i nuraghi, che affermavano categoricamente che questa era la nostra terra, la nostra vita: arida ma nostra". La sua è la storia di tanti ragazzi che sono scappati da un destino tracciato da altri, da ancestrali memorie, e che si ribella e fugge, ma quando è sulla nave che lo porterà a Genova, per raggiungere poi Cairo Montenotte, dove frequenterà il corso per diventare agente di custodia, deve combattere con la solitudine, il silenzio, l'incomprensione. La stessa solitudine che accompagna l'educatore, quando arriva in un mondo grigio e monocolore, il grigio del carcere, accolto con sguardi silenziosi e sospettosi: "Ho sempre vissuto dentro le tinte forti. Ho sempre odiato il grigio. È, essenzialmente, un non colore, un compromesso. Un gioco tra il bianco e il nero. La loro metà". L'educatore che veste come "uno di sinistra", quando la scelta ideologica era una scelta anche negli aspetti formali, e che si scontra con il detenuto, il terrorista che voleva cambiare il mondo con le armi. Roberto Ugni, "il politico", che si presenta al colloquio con l'educatore con addosso ancora i segni dei pestaggi e rivolge accuse pesanti e feroci al "fascista vestito da compagno", deciso a distruggere le certezze di quel giovane, che visto così "era anch'esso figlio di questa storia perversa, nonostante la sua piccola età e quel presentarsi da compagno: camicione a quadri, pantaloni in velluto, quasi a mimetizzare ed apparire un prodotto della mia specie". Il dialogo, che l'Autore affida all'io narrante del detenuto, è tra le pagine più belle del libro, e il senso della differente scelta di vita dei due giovani nelle parole dell'educatore, che così risponde alle provocazioni del politico: "Io non ho mai avuto certezze e non ho mai pensato a Lei, né agli altri, come a dei compagni che sbagliano. Ho ritenuto assurda questa lotta. Fin dal principio. Odio le armi e amo le parole. Le amo più di me stesso. È un errore, io non so quale sia la barricata e dove devo attendermi dei nemici. Ne ho da tutte le parti e forse, come dice Lei, sono troppo giovane per capire e capirci. Mio padre era un operaio, un piccolo e insignificante operaio con il quale non ho avuto l'onore di poter discutere ed incazzarmi. Lo avrei fatto volentieri. Avevo assoluto bisogno di un padre da amare e contemplare. Lui è morto sopra una maledetta ruspa mentre svolgeva il suo lavoro. Da operaio".
Ed è proprio la figura del padre ad accompagnare lo svolgersi del racconto dei tre protagonisti. Il padre dell'agente, che non comprende la scelta del figlio e lo guarda con gli occhi stretti come fessure e lo saluta al porto: "Dovrai contare detenuti, come le pecore" sono le sue uniche parole. Il padre dell'educatore, operaio morto su una ruspa. Il padre del terrorista, che ha combattuto, ma dalla parte giusta "il vecchio compagno, fermo nei suoi forti ideali, che aveva abbracciato il fucile per una causa giusta lui, adesso, attendeva un figlio perduto che aveva abbracciato fucili sbagliati e momenti inutili", il padre che non riuscirà a vedere mai più perché muore prima di poterlo riabbracciare, bloccato sull'isola dal mare in tempesta.
Arriva il giorno della partenza. Per tutti. Perché l'isola-penitenziario "chiude", diventa parco nazionale. Partono i detenuti, partono gli agenti, gli uffici si svuotano. Sono passati molti anni dal giorno dell'arrivo, sulle strade sdrucciolevoli sfrecciano le camionette blu con la scritta polizia penitenziaria. Il giovane agente è diventato sovrintendente; il detenuto politico ha fili grigi sulle tempie e sulla barba, sempre fedele al patto che ha stabilito con se stesso, sconterà l'ergastolo, con dignità, senza sconti di pena;l'educatore si chiede come è stato possibile innamorarsi di quest'isola, pezzo di terra dura riarsa e senz'acqua.
Il libro di Cassitta è il racconto di tre vite diverse e uguali, perché il dolore e la speranza appartengono a tutti. È un omaggio all'Asinara, che come una grande madre ha assistito silente all'intrecciarsi di tante vite, isole sull'isola e che é rimasta dentro, nel bene e nel male, a chi ha vissuto il suo abbraccio.

 

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Da inalessandria.it del 3 dicembre 2001

L'Asinara: un'isola reclusorio
in un romanzo-verità


di Piero Archenti

ALESSANDRIA - Sarà presentato mercoledì, 5 dicembre, alle 18, presso la sala convegni di Palazzo Guasco, il romanzo scritto da Gian Paolo Cassitta.
Il titolo "Asinara, il rumore del silenzio", è sintomatico dell'interesse che ha suscitato questo libro all'interno dell'ambiente, quello carcerario, per i suoi risvolti in campo educativo e giudiziario.
Per questo, la Cooperativa sociale "II Gabbiano", l'Associazione "Don Angelo Campora", il Circolo Culturale Sardo "Su nuraghe" e la "Camera penale" hanno deciso di organizzare una serata, di cui, a fondo pagina, vi proponiamo il programma dal titolo eloquente: "Viaggio nella realtà carceraria".
Il libro di Cassitta sarà presentato dal professor Agostino Pietrasanta, già preside degli istituti speriori di Alessandria e opinionista della "Voce alessandrina", e rappresenta il frutto dell'esperienza maturata in 13 anni trascorsi nel carcere dell'Asinara, in qualità di educatore, quando l'Asinara era ancora carcere di massima sicurezza, dal 1985 al 1998.
Da quell'esperienza è scaturito un romanzo-verità, in cui l'autore racconta tre storie parallele. Storie non vere, ma verosimili, in cui le relazioni umane sono spesso difficili da instaurare e quando sono possibili si rivelano talmente fragili che basta un nulla per spezzarle vanificando il lavoro di anni.
I tre personaggi, un detenuto, un agente della polizia carceraria ed un educatore, offrono al lettore, uno spezzato di vita quotidiana, cogliendo situazioni, spesso complesse, che intrecciano la vita di questi tre uomini, il tutto descrivendo la suggestività dell'isola in cui, tutti e tre, sono costretti a vivere, sia pur interpretando ruoli così differenti.
Un romanzo quindi, che non è solo un racconto fine a se stesso ma una testimonianza di vita che i relatori, avvocato Mario Boccassi, Presidente della Camera Penale, il dottar Alberto Marcheselli, Magistrato di Sorveglianza, e l'ispettore Raimondo Tocco, Comandante il reparto Casa di Reclusione "San Michele", svilupperanno nel corso delle loro relazioni.
L'intervento conclusivo dei lavori sarà tenuto dalla Dottoressa Mara Scagni, Assessore della Pubblica Istruzione della Provincia di Alessandria.
Breve biografia dell'autore: Gian Paolo Cassitta, nato a Oristano e algherese di adozione, è stato educatore al carcere dell'Asinara dal 1985 al 1998; Attualmente è direttore coordinatore di area pedagogica presso la Casa di Reclusione di Alghero. Laureato in Pedagogia presso l'Università di Sassari, ha collaborato in percorsi di formazione presso la Facoltà di Giurisprudenza e Scienza dell'Educazione della stessa Università. Svolge dal 1988 il suo lavoro presso il Ministero di Grazia e Giustizia, dove ha collaborato presso l'Istituto Superiore Studi Penitenziari e la Scuola di Formazione di Roma. È alla sua prima esperienza in qualità di romanziere.

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Da Il Lavoro del 30 ottobre 2001

Libri di Liguria

Il silenzio dell'Asinara
la "Cajenna" italiana


Di Piero Pastorino

È un romanzo a tre voci, cui si aggiunge una quarta voce: quella del silenzio. È il silenzio dell'Asinara, quando era ancora colonia penale, la Cajenna italiana. Le tre voci narranti sono quelle di un educatore, di un detenuto politico, di un agente di polizia. L'autore è Giampaolo Cassitta, di Oristano, attuale direttore coordinatore di area pedagogica presso la casa di reclusione di Alghero, che fu educatore all'Asinara dal 1985 al '98, anno di chiusura di quel penitenziario. Introduce il libro, pubblicato dagli editori genovesi Fratelli Frilli, una prefazione di Giancarlo Caselli. Il magistrato rileva la delicatezza dell'autore nell'affrontare "quasi in punta di piedi" temi peraltro molto duri e spigolosi. In questo senso, vuoi anche per le doti proprie dello scrittore, si fa accettare dal lettore in un crescendo di emotiva riflessività.

Nulla è taciuto: la segregazione e l'emarginazione dei condannati e, se vogliamo, anche dei loro custodi; parimenti, la solitudine e la tristezza; la violenza, anche gratuita. Luogo di dolore, dunque, per chi lo abita: il recluso, che diventa numero da contare e da ricontare; il sorvegliante che per lo più fa quel mestiere ingrato per guadagnarsi il tozzo di pane quotidiano; l'educatore che reprime la sua angoscia, per nulla convinto di una qualsiasi redenzione, sommerso dalla opacità morale.

Non c'è aria rarefatta, il dominio è del silenzio, del rumore del silenzio, implacabile in questo lembo di terra desertica, arida di acque, a un braccio di mare appena, ma tuttavia avulso dalla madrepatria sarda. È un lembo di terra, donato ora al turismo, che per oltre cent'anni ha ospitato i cosiddetti reietti della società, i figli dell'ignoranza, della vendetta, della paura e qualche vessillifero delle idealità politiche. Quest'ultimo senz'altro più riottoso, che stringe i denti quando è percosso, che non scende a compromessi per migliorare la sua sorte, il meno incline a chiedere comprensione e a farsi influenzare dall'educatore. È la seconda voce, quella del brigatista, che resterà voce mai più ascoltata dopo un primo incontro col pedagogo, chiusa in un solitario soliloquio a darsi conto degli errori della sconfitta.

Tramite queste voci, altre storie s'intrecciano e si confondono in questa durissima esperienza che non pare avere prospettive umane. La stessa prosa, al di là delle folgoranti aperture sui colori dell'isola, è aliena da effetti, si limita a raccontare, quasi fosse dovere di cronaca, anzi proprio per questo si fa propositiva di un genere di vita che vita non è, che perlomeno non è accettabile come sistema di vita. Eppure il volume, mentre guardie e detenuti danno all'imbarco il definitivo addio ai lugubri, tristissimi e decadenti casermoni, si chiude con la sensazione per la prima voce, quella dell'educatore, di un qualcosa non certo nostalgico, di un aspetto comunque dell'isola, quasi di paradiso, che non era riuscito a vivere. È, in certo qual modo, bene augurante per il futuro dell'Asinara.

Giampaolo Cassitta: L'Asinara. Il rumore del silenzio. Prefazione di Giancarlo Caselli.
Fratelli Frilli editori, Genova 2001, pagine 160, lire 26 mila, euro 13,43.

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Da L' Unione Sarda del 25 luglio 2001

Il silenzio del rumore


Di Marco Noce

È il 1978, anno degli anni di piombo: l’educatore, il detenuto, la guardia stanno tutti dentro. Tutti a Fornelli, il supercarcere dell’Asinara, labirinto di celle, corridoi, sale colloqui, angusti cortili per l’ora d’aria. Un microcosmo fatto di silenzio, di colori (il blu delle sbarre, il bianco dei muri, il grigio delle divise) che non sono quelli del mare precluso; e fatto di ruoli, rapporti psicologici, punti di vista incompatibili. Le guardie da una parte, i detenuti dall’altra. L’educatore, solo, in mezzo. Dentro anche lui. Come tutti.
Un microcosmo dentro un altro, quello dell’isola carcere: che oggi è un parco senz’alberi, un parco di sole a picco, bassa macchia mediterranea e cicale. Allora i detenuti meno pericolosi vi circolavano in stato di apparente libertà: tanto, dove andavano ? Oggi, se fai domanda, la puoi visitare. Incluso Fornelli, il supercarcere, ma non i bunker che ospitarono Totò Riina e Leoluca Bagarella: il ministero della Giustizia non ha ancora dato l’autorizzazione. Soluzioni tecnologiche, pare, da tenere riservate: una delle tracce più concrete del passato.
L’educatore, il detenuto, la guardia raccontano un capitolo ciascuno di "Asinara. Il rumore del silenzio", libro fresco di stampa scritto da Giampaolo Cassitta (che l’educatore all’Asinara l’ha fatto davvero, e negli anni più duri) e pubblicato dai Fratelli Frilli Editori. Romanzo, si legge sotto il titolo. In realtà romanzo non è. Racconto corale, piuttosto, testimonianza (di primissima mano) trasfigurata, narrazione che è quasi poema. Serve lo svolgimento, perché ci sia romanzo: e qui non c'è vicenda, ci sono incontri, gradi progressivi di conoscenza, descrizioni, ma manca il plot.
E manca, va detto, anche il pieno controllo dello stile. Che è grazia, ha scritto un poeta, perché non ci appartiene: Cassitta, invece, vuole che gli appartenga, e pecca per eccesso di stilizzazione. Col risultato che le tre voci narranti (l’educatore sardo che ha letto Foucault, il compagno che sbaglia romagnolo finito dietro le sbarre, il pastore sardo che conta detenuti anziché pecore) parlano con lo stesso accento, la stessa sintassi, lo stesso lessico. E magari capita che una guardia carceraria descriva il pestaggio del detenuto politico con una frase così: «Vidi rumori sordi che si accanivano dentro il detenuto». Troppo. Ciò detto, il libro merita di essere letto. Proprio perché è uno squarcio attraverso cui ci si spalanca, d'improvviso, la vita che si viveva sull’Asinara. A Fornelli c'erano camorristi e mafiosi da una parte, sequestratori di persona dall’altra, politici da un’altra ancora. Per tutti, e anche per le guardie, una vita minima, spazi sempre più angusti: come quel detenuto calabrese, Salenti, che dopo vent'anni sull'isola con una condanna all'ergastolo (fine pena: mai) ottiene la grazia ma non vuole andar via senza l'asino, unico essere caro al mondo. Davanti all'educatore li sentiamo parlare, raccontare, esporsi con la loro voce nuda: per ringhiare la loro rabbia di terroristi contro il servo del potere; o lamentare (un camorrista) la mancanza di ciliegie; o argomentare la richiesta di un permesso spiegando perché ci si sia trovati costretti a sequestrare una persona. I nomi sono di fantasia, le situazioni reali. Giampaolo Cassitta è ancora dipendente dell'amministrazione giudiziaria, non può scrivere memoriali. O meglio può: ma solo ammantando la verità di un velo di finzione narrativa. Come ha fatto in "Asinara, il rumore del silenzio".


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