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La cuciniera genovese
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Il Secolo XIX
La cuciniera genovese e il
giallo del pesto
di Egle Pagano
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Da Il Secolo
XIX del
16 ottobre 2003
Nella prima edizione il volume raccoglieva 481
ricette e non tutte potevano essere definite
correttamente e filologicamente genovesi»
La cuciniera genovese
e il giallo del pesto
La nuova edizione del ricettario del Ratto che alza
il sipario sull’invenzione del “battuto alla genovese”
di Egle Pagano
I l 13 giugno scorso, a 50 anni dalla sua costituzione,
l’Accademia Italiana della Cucina, ha festeggiato con una cena all’hotel Diana
di Milano, là dove mezzo secolo fa Orio Vergani, Arnaldo Mondadori, Giò Ponti e
altri intellettuali e gentiluomini dell’epoca si riunirono per lanciare un
manifesto a difesa del patrimonio gastronomico delle regione italiane.
Stasera, in occasione della cena ecumenica che in tutto il mondo riunirà intorno
a un tavolo 6 mila soci di 229 delegazioni (55 delle quali all’estero), gli
accademici di Genova e del Tigullio rivivranno insieme, presso la “Manuelina” a
Recco, la storica “colazione di magro” che venerdì 6 maggio 1955 segnò il
debutto della delegazione genovese.
«Sarà l’occasione ideale - sottolinea David M.Bixio, delegato del Tigullio e
coordinatore delle delegazioni liguri - per presentare un contributo importante
alla storia della cucina ligure, una nuova edizione della Cuciniera genovese
di Gio Batta e Giovanni Ratto». Il volume, edito da Fratelli Frilli
Editori, fa parte della collana “Liguria storica” curata da
Gabriella Airaldi, docente di Storia medievale all’Università di Genova, e
reca, quale prefazione, un saggio di Paolo Lingua, giornalista de La
Stampa, romanziere e saggista, nonché delegato dell’Accademia a Genova.
A Lingua, autore, tra l’altro de’ La Cucina dei Genovesi e La Cucina
del Ponente ligure, Il Secolo XIX ha rivolto alcune domande.
Quale sarà il menu della cena rievocativa?
«Ho avuto la fortuna di ritrovare su un testo di Massimo Alberini l’elenco dei
piatti che i marchesi Carlo Piuma e Beppe Gavotti stilarono per quella storica
cena al Casino dei Nobili, a palazzo Negrotti Cambiaso in via XXV Aprile. “Prima
di cominciare” servirono panissa, farinata, e patatine fritte con un bicchierino
di Vernaccia. “In centro tavola” era il Cappon magro. “Facoltà di scegliere come
primo”: il minestrone, gnocchi (trofie) col pesto, la torta pasqualina con i
carciofi, quindi zucchini, pomodori, cipolle e acciughe ripiene. “E seguitando”
lo stoccafisso accomodato, la buridda di pesce, la ventresca di tonno con i
fagioli. “Per dolce”: i marzapani e i canestrelli di Romanengo (noi avremo anche
Profumo). “Per frutta”: albicocche di Andora, cedri e nespole. “Vini per
tavola”: Bianco di Coronata, Rossese di Dolceacqua (noi: Pigato e Ormeasco). Per
i piatti Piuma si rivolse agli eredi delle antiche trattorie non scoperte dal
turismo di massa. Mary Canepa, che per mezzo secolo aveva sfornato farinate e
torte a Tommaseo, per esempio, fu l’autrice della Pasqualina, mentre Petronilla
Profumo, già proprietaria della Trattoria della Lena, tornò ai fornelli per il
minestrone e la buridda. Lo stesso Piuma, per molti anni responsabile degli
Esteri de’ Il Secolo XIX, preparò personalmente il pesto, con mortaio e
pestello».
Questi piatti si ritrovano nella Cuciniera del
Ratto. Ma qual è il significato di quest’opera?
«Il libro, frutto delle fatiche di Gio Batta Ratto, e per le edizioni successive
alla terza, del figlio Giovanni, risale al 1863 ed è da ritenersi il primo
saggio completo della cucina del territorio genovese».
Nel ricettario figurano però anche piatti di altre
regioni, come la Fonduta con tartufi o la Zuppa pavese...
«È vero. Nella prima edizione il volume raccoglieva 481 ricette e non tutte
potevano essere definite correttamente e filologicamente genovesi. Non era solo
la cucina di Genova, ma la maniera di cucinare alla genovese. Nella Genova
ottocentesca, del resto, era diffusa la cucina internazionale dell’epoca. Già
nel ’400 e ’500, mentre i poveracci avevano ben poco da mangiare, le corti si
contendevano i grandi cuochi ed era una cucina internazionale. Il panorama delle
cuciniere è tipicamente ottocentesco: risente del Romanticismo, della sua ansia
di ricercare le radici, vere o inventate che fossero. Dagli anni ’30 fino al
1863 escono via via tutte le cuciniere regionali, che altro non sono che un
repêchage del passato, un recupero del folklore».
Se la codificazione è ottocentesca, quando nascono le
cucine regionali?
«La cucina regionale si forma con i piccoli stati e l’istituzione dei dazi
ed è condizionata dai fattori economici».
Nella Cuciniera del Ratto troviamo finalmente la ricetta
del Pesto (battuto alla genovese), anche nella versione, più povera, destinata a
impreziosire il minestrone. Ma quando nasce il pesto?
«Quello del pesto è un vero e proprio “giallo”. Nel ’700 il pesto non
esiste: è accertato. Nel 1840 non c’è, non figura nel poema di Martin Piaggio.
Nei quaderni d’acquisto delle famiglie nobili il basilico è una presenza
saltuaria. Invece nel 1863, nel Ratto, il pesto c’è. È la prima volta che lo
troviamo codificato. È come un fiume di cui si vede il corso ma non si conosce
l’origine».
Che cosa si può ipotizzare?
«Ci sono due scuole di pensiero. O è l’evoluzione di una salsa, come salsa
di noci o di pinoli (presente già nel ’400). Oppure deriva da un’agliata, una
salsa in cui l’aglio si sposa con il basilico. Forse l’invenzione di un cuoco.
Certo una sorta di miracolo, perché alla fine dell’800 il pesto è diffusissimo.
E le piantagioni di Prà sono una conseguenza del successo di questa salsa. Penso
che sia nato alla fine degli anni ’40, intorno alla metà dell’800. Bisognerebbe
consultare tutta la stampa dell’epoca. Ma non dispero, prima o poi, di
arrivarci».
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