Food not bombs
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Mondovivo

Cibo, non bombe
di Giovanni Valerio

Vita
Mettete dei cavolfiori nei vostri cannoni
di Giampaolo Cerri

Famiglia Cristiana
Come nutrire gli affamati
di Luca Orsenigo

L'Unità
Un pasto caldo per tutti: ecco la vera bomba intelligente
di Luca Baldazzi

Il Corriere della Sera
Il cibo scartato può salvare chi ha fame
di Luca Orsenigo

Il Sole - 24 Ore
Che tesoro di un bidone
di Davide Paolini

Il Secolo XIX
Food not bombs
di Lucia Compagnino

Animali & Animali
Nonviolenza e tofu, una strana coppia?
di Paola Segurini

Viterbo Città
Food not bombs
di Pasquale Bottone


 

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Da Mondovivo - Maggio/Giugno 2003

Grandi idee e microprogetti geniali per
risolvere il problema della denutrizione
 

Cibo, non bombe
 
Nell’indifferenza generale, sommersa dal frastuono televisivo, sul
nostro ricco pianeta si continua a morire di fame. Eppure c’è chi si
batte per portare il cibo là dove non arriva. Come l’associazione
“Food not bombs”, che distribuisce pasti gratuiti (rigorosamente
vegetariani) ai nuovi poveri delle periferie metropolitane.

 

di Giovanni Valerio

C’è qualcuno che dice no a questo “ordine omicida del mondo”, come lo definisce Ziegler. E lo fa rimboccandosi le maniche, cucinando e portando cibo là dove serve. Con uno slogan efficacissimo, in questi tempi di guerra che ci tocca vivere: “Food Not Bombs”. Cibo non bombe. Di questo ha bisogno l’umanità, e non del lancio di missili Cruise (che costano mezzo milione di dollari l’uno: ne sono stati lanciati mille solo durante la prima settimana della guerra in Iraq). Diffusi in tutto il mondo, i gruppi di Food Not Bombs (FNB: su Internet al sito www.foodnotbombs.net) distribuiscono gratuitamente pranzi e cene là dove serve: nelle periferie urbane, nelle grandi metropoli, dove si concentrano i nuovi poveri. Non solo barboni, ma disoccupati, donne sole con figli, anziani senza assistenza. “Spesso i banche tti vengono organizzati in occasione di manifestazioni pacifiste o contro la vivisezione”, racconta Luca Villa, uno dei traduttori italiani del libro Food Not Bombs (Frilli Editori, v. Betlemme 12/2002 p. 39, ndr). “In questo modo è più facile trovare persone interessate a creare gruppi FNB. Si tratta di un’esperienza lasciata all’iniziativa dei volontari, a cosa ci si mette dentro: lo spirito antimilitarista, umanitario oppure vegetariano. O tutto insieme”.
Nel menù di FNB la cucina è rigorosamente vegetariana, secondo i consigli di Rifkin. Le materie prime provengono da donazioni di ristoranti, buffet, panetterie. Tutto avviene in maniera molto diversa, a seconda dei volontari, che si aggregano spontaneamente un po’ ovunque. Qualcuno prepara giornate speciali di FNB, altri si sono organizzati per distribuzioni settimanali o addirittura quotidiane. “Innanzitutto il nostro invito – continua Villa – è di reagire in maniera personale, diretta, agli sprechi di cibo. Crediamo che prima sia importante parlare del problema e condividere l’esperienza con altri: da soli è tutto più difficile”.

 

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Da Vita del 28 dicembre 2002

Mettete dei cavolfiori
nei vostri cannoni

di Giampaolo Cerri

In principio fu un allegro e raffazzonato servizio di catering organizzato per una grande manifestazione antinucleare. Primi anni 80, Nevada, migliaia di attivisti radunati durante l'annuale campo della American Peace Tests. Quei cucinieri solidali, ancora non lo sapevano (si arrangiarono con cucine da campo, pentoloni e cibi adatti alla bisogna) ma vent'anni dopo sarebbero state oltre 175, in tutto il mondo, le comunità di Food not bombs.

Non immaginavano che “Cibo, non bombe” avrebbe indicato una delle più creative esperienze solidali, in America e non solo: raccogliere cibo e cucinarlo per i poveri o per i raduni ecopacifisti.
Oltre alla succulenta storia del movimento, il libro offre anche un baedeker del cuoco new global: come organizzare un punto di ristoro, quali attrezzature utilizzare, quali pietanze cucinare. Non una deriva di pauperismo gastronomico: Food not bombs teorizza la qualità culinaria. Perché mai, poveri o militanti dovrebbero mangiar male?

"Food not Bombs", di C.T. Butler Keith McHenry, Fratelli Frilli, 6 euro
 

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Da Famiglia Cristiana del 5 gennaio 2002

Come nutrire gli affamati

di Luca Orsenigo

Che in occidente si sprechi una gran quantità di cibo è una notizia che non fa più notizia, ma solo rabbia. A partire da considerazioni simili, negli Usa un gruppo di persone ha pensato bene di ritirare il cibo scartato dalla grande e piccola distribuzione per cucinarlo in piazza e ridistribuirlo ai bisognosi. "Food not bombs", attivo anche in Europa, con questo libriccino, manifesto politico e manuale culinario, sbarca in Italia. "Food not bombs" è un gruppo vegetariano e pacifista, spesso, chissà perché, mal visto dalle forze di polizia, almeno negli Usa. Il libriccino racconta anche questo e spiega come farvi fronte.
 

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Da L'Unità del 4 dicembre 2002

L'associazione "Food not Bombs" muove i primi passi anche in
Italia. Obiettivo: recuperare gli sprechi delle industrie alimentari
e distribuirli a chi muore di fame

Un pasto caldo per tutti: ecco
la vera bomba intelligente

di Luca Baldazzi

Il pugno è chiuso e levato verso l'alto, ma nella mano stringe una carota. E la scritta che affianca il logo dice il resto: Food Not Bombs, cibo e non bombe. Sono il simbolo e lo slogan di un movimento nato negli Stati Uniti 22 anni fa, che oggi conta 175 gruppi attivi in tutto il mondo, dall'Europa al giappone, e sta muovendo i primi passi anche in Italia. A partire da un'idea semplice: combattere il paradosso della povertà nei paesi ricchi recuperando "sul campo" gli sprechi dell'industria alimentare. E cucinando pasti rigorosamente vegetariani, per strada e nei parchi pubblici, per chi ha il problema quotidiano della fame: senzatetto e non solo.
Soltanto negli States, secondo dati dell'Harvard School of Public Health, sono più di 30 milioni le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (reddito annuo inferiore a 9069 dollari per una famiglia di tre persone) e non riescono a mangiare regolarmente. Meno del 15% degli affamati sono homeless: il grosso è formato da ragazze madri "capofamiglia", dai loro figli, dai nuovi poveri che lavorano ma devono pagare affitti troppo alti. Al tempo stesso, ogni anno industrie e distributori buttano via 22 milioni di chili di cibo. Non necessariamente alimenti scaduti, spesso solo con difetti di confezione e ancora più che commestibili. Nella distanza che separa queste cifre si inserisce l'attività di Food Not Bombs. "E' una delle più grandi contraddizioni del liberismo - dice Luca Villa, referente italiano dell'organizzazione -. Le nostre società continuano a spendere miliardi per armarsi, e intanto sprecano il cibo: la produzione sarebbe sufficiente a soddisfare tutti, eppure c'è chi fa la fame. Food Not Bombs è una risposta diretta".
Raccogliere prodotti invenduti e destinati alla spazzatura, facendo il giro col furgoncino tra aziende, supermarket, mercati ortofrutticoli, ristoranti disponibili. Comprare di tasca propria quello che manca, poi scendere in strada con pentole e cucina da campo per allestire pasti vegetariani e distribuirli a chi ne ha bisogno. Ecco l'attività dei gruppi Food Not Bombs in Olanda, USA, Inghilterra, Germania, Polonia e altri paesi dell'est Europa: ed ecco come - nelle parole di Villa - "cucinare e servire gratis una zuppa di verdure è un atto politico". L'idea di Food Not Bombs nacque nel 1980, tra i gruppi antimilitaristi, ambientalisti, disobbedienti civili e anarchici nonviolenti che protestavano contro un impianto per l'energia nucleare a Seabrook, New Hampshire, per diffondersi poi a Boston e a San Francisco, culla delle controculture americane. E il movimento non dimentica queste radici. "All'inizio le distribuzioni di cibo avvenivano sempre in occasione di manifestazioni politiche, ora non più. Ieri come oggi, comunque, Food Not Bombs è un'organizzazione aperta e non gerarchica, trasversale, strutturata per gruppi di affinità che non richiedono tessere di appartenenza". Tra le idee fondanti, oltre alla lotta allo spreco, è importante il vegetarianesimo, "per un approccio nonviolento anche nel campo della produzione alimentare". Ed è importante la visibilità, la creazione di un evento "situazionista": si cucina all'aperto, per strada e nei parchi, anche per mettere sotto agli occhi di tutti gli invisibili ai margini della società. Il che può comportare qualche problema con le autorità: Keith McHenry, uno dei fondatori di Food Not Bombs, è stato arrestato decine di volte dalla polizia americana per aver distribuito pasti gratuiti in luoghi pubblici senza permesso. In Italia il movimento è agli inizi. A importarne le idee è stato un gruppo musicale hardcore-punk, i genovesi Kafka, dei quali Luca Villa fa parte: "Durante un tour di concerti in inghilterra, abbiamo trovato sui banchetti della stampa alternativa il libro-guida di Food Not Bombs. Ci è piaciuto, abbiamo contattato McHenry e deciso di curarne la versione in italiano". Il volumetto è stato da poco pubblicato da fratelli Frilli Editori. Non è un testo "ideologico" ma un manuale che spiega con pragmatismo tutto americano come mettere su un gruppo Food Not Bombs, organizzare la raccolta del cibo e cucinare per cento e più persone. "Qui da noi è appena nato il primo gruppo italiano a La Spezia - racconta Villa - e in poco tempo il libro ha suscitato molto interesse. Riceviamo e-mail di persone che segnalano mercati e negozi biologici dove recuperare cibo, e messaggi di gente che chiede consigli per organizzarsi. A tutti diciamo che l'importante è l'approccio: non da istituzione caritatevole, ma da persone che si mettono sullo stesso piano di coloro che vogliono servire". Con l'idea che anche un pasto caldo può essere una piccola rivoluzione.
 

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Da Il Corriere della Sera del 22 novembre 2002

Il cibo scartato può
salvare chi ha fame

di Luca Orsenigo

Come comincia: il mondo produce una quantità di cibo che, se distribuita equamente, potrebbe sfamare tutti. C'è abbondanza di cibo; basti pensare che in America, tutti i giorni in ogni città viene scartata un'enorme quantità di alimenti, sufficiente a risolvere i problemi di coloro che non ne hanno abbastanza. A partire da questo presupposto il libro si snoda in modo del tutto atipico. Non come un saggio, né come un pamphlet, ma a tutti gli effetti come un manifesto politico e un manuale culinario, di grande impatto. Del resto anche solo una piccola parte dei soldi destinati agli armamenti potrebbero sfamare migliaia di esseri umani. Il messaggio del gruppo è infatti chiaro che più chiaro non si può: cibo e non bombe.

Di che cosa parla: è presto detto. Il movimento è nato durante le proteste contro l'energia nucleare del 1980 a Seabrook. Da lì si è diffuso in larga parte dell'Occidente, ma non ancora in Italia. Ora questo libricino vuole essere un incitamento all'opera, per distribuire cibo gratuitamente nelle grandi città della penisola e in ogni luogo dove se ne scorga il bisogno. Se una prima parte è dedicata alle motivazioni ideologiche di una simile scelta, la seconda contiene tutti i consigli necessari per svolgere al meglio questa attività. Si va infatti dall'organizzazione interna del gruppo (metodi di comunicazione compresi), alle modalità di raccolta del cibo (perché "ogni tappa dell'industria alimentare può essere una risorsa potenziale di raccolta del cibo, dalla vendita all'ingrosso a quella al dettaglio, dalla produzione alla distribuzione"); dai consigli legali, perché chi si dedica a questa attività non cerca certo l'appoggio e i permessi delle istituzioni (né può sperarlo); ad un praticissimo ricettario adatto ad una cucina di strada aperta a centinaia di persone.

Perché leggerlo: perché un mondo diverso è davvero possibile e si può cominciare proprio da qui, da un uso più razionale del cibo e dalla sua ridistribuzione, magari senza interrompere i baccanali mediatico-culinari più schizzinosi e ricercati, né sabotando i lucrosi guadagni dell'industria alimentare nelle sue diverse fasi, ma dando spazio ad una alternativa concreta anche quando di un piccolo gruppo. Un libretto rivoluzionario.
 

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Da Il Sole - 24 Ore del 3 novembre 2002

"Food not bombs" è un'organizzazione statunitense
per il recupero degli scarti alimentari

Che tesoro di un bidone

Un manuale, ora tradotto in italiano, spiega come raccogliere
quanto di commestibile solitamente finisce nella spazzatura
e propone alcune ricette per cucinare i rifiuti più diffusi
 

di Davide Paolini

Quanto cibo, ancora commestibile, c'è in quei 501 chilogrammi di rifiuti, all'anno, che vengono attribuiti ad ogni cittadino italiano?

Le cifre non lo svelano. Anzi per dirla con Trilussa: «Me spiego,/da li conti che se fanno/ seconno le statistiche d'adesso/ risurta che te tocca un pollo all'anno: /e, se nun entra ne le spese tue,/ t'entra ne la statistica lo stesso/ perché c'è un antro che se ne magna due».

Sono più documentate in proposito le indicazioni che arrivano dagli Stati Uniti: colà vengono "rifiutati" approssimativamente 22 miliardi di tonnellate di cibo all'anno: secondo gli esperti basterebbe un decimo di questa montagna per eliminare completamente la fame in quell'America, paese ricco pieno di poveri.

E nell'Italia, paese povero pieno di ricchi, quanto pasta, frutta, verdura, carne e dolci saranno contenuti in quei 29 milioni di tonnellate di rifiuti? Non è dato sapersi, forse nessuno, esclusi i clochard, sanno cosa c'è in quei bidoni sparsi per le strade. La società affluente non si pone questi problemi, altrimenti il motore si spegnerebbe. L'importante per l'economia, giustamente, è il consumo non la destinazione finale della produzione. Così come Keynes ha suggerito ai politici "lo scavo della buca" per creare volano all'economia, nel caso del cibo, come di altri prodotti, essenziale è convincere al consumo, quindi se il tutto finisce nella spazzatura non "es problema".

Seppure a malincuore si debba accettare questa logica, sorge però un interrogativo: quanto cibo, buttato nei bidoni della spazzatura, potrebbe venire salvato, nel senso di "riciclato"?

Ebbene, c'è da premettere che la frutta, la verdura, la carne, il pesce non sono plastica o cartone o legno. Sono beni "pericolosi" per la salute, una volta deteriorati divengono "immangiabili" anche per stomaci allenati, come quelli dei clochard.

Risulta quindi fondamentale neutralizzare quel ben di Dio che viene gettato ancora in stato di presunta normalità (scadenza vicina, abbondanza, partenza per le vacanze) da mense, ristoranti, abitazioni. E come "neutralizzarlo", cioè salvarlo prima che venga distrutto?

A prima vista può sembrare una banale esercitazione culturale, ma non è così, come mostra un'esperienza americana, partita nel 1992. Il suo slogan: Food not bombs, può ricordare quel "fate l'amore non la guerra", ma sebbene i contenuti siano anche in questo caso "pacifisti", l'obiettivo è quello di recuperare materie prime e produzioni ancora in grado di soddisfare la domanda di cibo. Questa organizzazione ha messo a punto un vero e proprio manuale per raggiungere questo fine ("Food not bombs" di C.T. Butler & Keith Mc Henry, ora edito anche in Italia da Fratelli Frilli Editori).

È difficile essere d'accordo con questa organizzazione sulla considerazione che il salvataggio del cibo dai rifiuti annullerebbe la fame nel mondo, poiché nei paesi in via di sviluppo, non c'è alcunché da recuperare.

Forse (ben sottolineato) ridurrebbe solo lo spreco nei paesi cosiddetti sviluppati, creando un surplus da usare per scopi benefici, appunto l'invio di prodotti in altri paesi. Una goccia comunque nel grande mare della fame.

Food not bombs si muove come una vera e propria organizzazione; esistono gruppi che si costituiscono volontariamente. "L'individuazione di fonti di cibo ­ si legge nel manuale - può sembrare inizialmente una grande sfida, ma soprattutto ci vogliono un po' di esperienza e pazienza. Ogni tappa dell'industria alimentare può essere una risorsa potenziale di raccolta del cibo, dalla vendita all'ingrosso a quella al dettaglio, dalla produzione alla distribuzione. Qualche volta possono volerci un po' di creatività e perseveranza per convincere un manager testardo a lasciarvi prendere del cibo avanzato, ma nella maggior parte dei casi, i negozi sono cooperativi.  Cominciate a prendere accordi per la raccolta del cibo con i magazzini, i negozi di prodotti biologici e i panifici. Chiedete ai commessi se buttano via regolarmente del cibo ancora commestibile, e se sì, chiedetegli se sono disposti a darlo a voi. Sottolineate che, raccogliendo quel cibo, gli farete risparmiare soldi per l'eliminazione dei rifiuti. Saranno consapevoli di quanto costi far rimuovere questo surplus e di quanto la spesa aumenti ogni anno, visto che gli spazi per la raccolta si esauriscono".

E una volta neutralizzati i potenziali rifiuti? Food not bombs ha messo a punto il manuale della attrezzature, della cucina, e perfino delle possibili, semplice ricette. Nel leggerle, viene da sorridere, perché sono ovviamente made in Usa, ma sicuramente esprimono ciò che è possibile là reperire negli scarti: pane e dolci, verdure crude, salsa di pomodoro, riso e fagioli, macedonia, colazione a base di avena, tofu strapazzato o panini al tofu, pasticcio piccante, humus (è un piatto a base di ceci, limoni e cipolle), riso marrone, patate e piselli al curry, lasagne agli spinaci e al tofu.

Che dire? Siamo ben lontani dalla proposta borghese di quel poeta romagnolo, Olindo Guerrini, detto lo Stecchetti che nella sua "cucina degli avanzi" riciclava perfino capponi. Così come Food not bombs non è sintonizzato sulle proposte di un sofisticato autore francese, Jean Philippe Derenne, autore di un volume dal titolo davvero accattivante "La cuisine vagabonde" (Fayard Mazarine Editions).

C'è un capitolo di Derenne, tutto rivolto, alla cucina degli scarti, delle bucce, delle mondature, di volta in volta, di legumi (un esempio di ricetta: brodo di scarti di cipolla, carote, peperoni con aggiunta di qualche foglia di prezzemolo, una foglia di allora, una spruzzata di vino), di pesci, di uccelli, dei mammiferi, dei grassi, di pane secco, dei resti in generale fino ad arrivare agli insetti. Un invito rivolto insomma alla "spazzatura", sebbene l'occhio e il fine di questo medico francese non possegga l'obiettivo "sociale "di Food not bombs.

È davvero bizzarro che in una società, d'accordo opulenta, ma sempre più attrezzata di frigoriferi, di congelatori, di sistemi spinti di conservazione del cibo, il cumulo dei rifiuti aumenti a dismisura. Spreco? Incuria? O cos'altro? Una curiosità: mi piacerebbe scoprire quanti prodotti, colpevoli dell'omologazione del gusto, sono presenti nei 22 milioni di spazzatura italiana e in quelli ancor più pesanti degli americani. Insomma c'è o no il "rifiuto" della globalizzazione a tavola? Gli scarti sono un indicatore veritiero. Sine qua non.
 

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Da Il Secolo XIX del 6 novembre 2002

Food not bombs
 

di Lucia Compagnino

Non è poi tutta "rumenta" quel che finisce ogni giorno nei bidoni. Spesso è cibo commestibile, a volte addirittura confezionato, che potrebbe aiutare gli affamati.
Il libro "Food not bombs" di Lawrence Butler e Keith McHenry (a cura di Nicoletta Marchese e Luca Villa, Fratelli Frilli Editori, 6 euro), che sarà presentato oggi alle 18 alla libreria Feltrinelli di via XX Settembre dai curatori dell'edizione italiana insieme a Paolo Pezzana della Fondazione Auxilium (che la scorsa settimana ha organizzato la nottata all'aperto in Piazza De Ferrari), insegna a recuperare questo cibo gettato quotidianamente da supermarket, forni, mercati e ristoranti e a servirlo alle persone bisognose, allestendo piccole mense gratuite.
Fedeli al loro stile di vita pacifista (lo slogan "food not bombs", cibo non bombe, è una critica aperta ai governi che spendono in armi dimenticando i poveri), i due autori del volume hanno fondato i primi gruppi "Food not bombs" vent'anni fa negli Stati Uniti, dove si calcola che ogni anno vengano buttati via ventidue milioni di chili di cibo all'anno, mentre ne basterebbe un decimo per sconfiggere la fame nel paese.
La loro filosofia si è poi diffusa a macchia d'olio in America ed Europa e sbarca ora in Italia con questo volumetto, che ne descrive la storia e le linee guida: dalla nonviolenza, sia verso le forze dell'ordine che dovessero intervenire per sgomberare le mense, sia verso gli animali (sono infatti rigorosamente vegetariani), al coinvolgimento attivo nella ricerca di cibo degli utenti, che in questo modo si sentono meno umiliati.
Il libro contiene anche tanti suggerimenti pratici: su come farsi conoscere, come organizzare il banchetto della distribuzione del cibo, con in più una sezione di ricette sperimentate sul campo dagli autori. Un libro d'azione e non da scaffale, per una rivoluzione semplice, ma sostanziale.
 

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Da Animali & Animali del 30 ottobre 2002

Nonviolenza e tofu
una strana coppia?

 

di Paola Segurini

Nel reparto cucina delle grandi librerie cittadine è comparso un libriccino nuovo, la copertina di un intenso color carota, un serio titolo in inglese, "Food not Bombs" (Frilli Editori)

Si tratta della traduzione italiana del manuale organizzativo - redatto dai fondatori del movimento - dei gruppi afferenti all'omonimo network pacifista, creato all'inizio degli anni 80 e che oggi conta 175 sezioni tra Usa, Canada e altri paesi. Il loro attivismo si basa sul riutilizzo degli alimenti in esubero e sulla donazione di cibo a chi ne ha bisogno. Poiché la non-violenza si pratica a partire da ogni elementare gesto quotidiano, il volumetto, oltre ai consigli pratici per la gestione degli eventi di distribuzione alimentare, contiene anche un ricettario vegetariano, con dosi per comunità, come il paté di tofu per guarnire i sandwich per 100 persone! Di tenore diverso, più spirituale, ma sempre fondata sull'aiuto agli altri, in conformità al principio dell'ahimsa - la non-violenza dinamica - e di conseguenza sul rispetto per tutti i viventi, animali inclusi, è l'ormai affermata campagna "Food for Life", i cui mille volontari distribuiscono quotidianamente più di 40.000 pasti vegetariani (80% vegan) gratuiti in sessanta nazioni (vedi). Connotazioni pacifiste e spirituali a parte, il tofu, incontrastata stella della cucina vegetariana e vegan, è un alimento davvero versatile, che vale la pena di conoscere. Il bianco panetto ha un gusto neutro - e per questo è poco corretto definirlo "formaggio di soia", il tofu non ha un sapore suo - dipende da come è cucinato - che si associa con tutto e, condito o insaporito con spezie, erbe aromatiche o salsa di soia, risulta ingrediente ideale in moltissime preparazioni. Alimento di derivazione orientale, principe nella cucina nipponica e cinese, da molti anni viene prodotto anche in Italia. Dal fagiolo di soia, legume assai ricco di proteine, si ricava il latte, lavorato fino a ottenere il tofu, che si presenta di colore bianco-rosato e viene commercializzato immerso in acqua, come la mozzarella. Sul mercato (in negozi di alimenti biologici, "etnici", erboristerie e supermercati) è disponibile fresco, in pezzi venduti a peso, a lunga conservazione, alla piastra, in forma di polpette o di "burgher"- Il tofu giapponese è reperibile sia in versione solida (firm) che cremosa (silken).

Valori nutrizionali per 100 grammi di tofu fresco.
cal. 80
grassi 4,5 gr
ferro 1,5 mg
calcio 120 mg
proteine 8 gr

La qualità delle proteine contenute nel tofu è molto elevata, pari a quella dei prodotti di origine animale. I grassi prevalentemente insaturi e l'assenza di colesterolo lo rendono alimento ideale dal punto di vista della salute. Si cucina in tanti modi: marinato, grigliato, saltato in padella, in ricette orientali e altro. Per aggiungerlo alle insalate è preferibile (secondo i macrobiotici) farlo bollire qualche minuto in acqua leggermente salata, e poi tagliarlo a cubetti o a fette. Adatto anche per tutte le preparazioni che tradizionalmente richiedono ripieni tipo ricotta, frullato e dolcificato, diventa un'ottima crema per dolci.
Provare per credere allora, anche senza 100 ospiti!
 

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Da Viterbo Città del 28 ottobre 2002

Food not bombs
 

di Pasquale Bottone

Le contraddizioni del mondo di oggi. Tante, tantissime. Grandi ricchezze, povertà in aumento anche nei Paesi più industrializzati e persino negli "imperiali" United States.
L'organizzazione Food not bombs si occupa di recuperare il cibo buono buttato via ancora confezionato e di distribuirlo ai meno abbienti. Negli Stati Uniti solo vengono buttati via circa 22 milioni di chili di cibo all'anno. Solo un decimo di questi sarebbe sufficiente per sconfiggere la fame nel Paese.
"Food not bombs" di C.T. Butler e Keith MC Henry, tradotto in italiano da Nicoletta Marchese, Nicolò Rondinelli, Margherita Siri e Luca Villa, pubblicato in Italia da Fratelli Frilli Editori, ricostruisce un po' gli scopi, le finalità dei centinaia di gruppi Food not Bombs presenti in tutto il mondo, offrendo tutta una serie di consigli su come raccogliere cibo fresco e cucinarlo, su come fare per trasformare un pranzo in un evento politico.
Tante le ricette inoltre presenti nel libro, corredato anche di volantini -tipo da stampare e distribuire per partecipare attivamente alla costituzione di gruppi Food not bombs in tutta la penisola.


 

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